Autore: Alexiel
Mihawk
Titolo: Norne
Personaggi/Pairing: Sakura, accenni NaruSaku e SasuHina.
Genere: Introspettivo, nonsense, malinconico, vagamente
horror/angst
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, one shot.
Note dell'Autore : Norne
sono le divinità nordiche che controllano il tempo degli
uomini,
secondo la mitologia sono tre Urd, Skuld e Verdandi, che controllano
passato,
futuro e presente. Nella mia fic il personaggi è unico, ma
al suo interno vi
sono le tre Norne, in questo caso ho visto Hanabi, Karin e Temari come
futuro,
passato e presente di Sakura. E’ molto nonsense, perdonate se
è una cavolata,
ma non so proprio cosa mi sia preso. Le parti in corsivo sono
flashback,
l’ultimo è quello che vede Hanabi quando descrive
a Sakura il suo futuro, è messo
in fondo perché di fatto succede dopo, è un
flashforward.
Questa fic ha partecipato al contest "Il misterioso Viaggiatore"
indetto da BlackRose 88 classificandosi 4°: Link
bando e risultati
Norne
Era già la una e la strada, poco illuminata di suo,
appariva più buia del solito.
Sakura si morse l’unghia del pollice con fare nervoso,
probabilmente non sarebbe arrivata a Londra prima delle sette e se
avesse avuto
davvero fortuna a quell’ora avrebbe potuto trovarlo sveglio.
Forse.
Accese gli abbaglianti, tanto sulla strada non c’era
nessuno, quindi ingranò la terza e accese la radio.
Le note leggere di una canzone di Cat Stevens invasero
l’auto e la giovane si sentì prendere da
un’improvvisa malinconia.
La strada di fronte a lei era tutta dritta e ai lati vi
era solo campagna, una distesa di prati e boschetti per niente
illuminati,
vagamente tetri durante la notte. Per questo motivo la ragazza si
stupì
particolarmente quando notò che lungo le strisce bianche che
costeggiavano la
corsia vi era una persona seduta.
Rallentò per controllare che stesse bene, che fosse tutto
a posto - la sua anima da crocerossina tornava a farsi sentire
– e fu in quel
momento che notò il pollice inclinato, evidente richieste di
un passaggio.
Autostoppisti.
La gente più assurda e fiduciosa della terra. Sakura li
detestava.
Una volta, anni prima, lo aveva fatto anche lei, dormire
dove capitava, salire sulla macchina di chiunque fosse così
bendisposto a dare
un passaggio, vivere senza pensieri, fidarsi degli altri.
Poi era cambiato tutto, Sasuke era tornato in Giappone
con sua moglie, sua moglie…
Non riusciva ancora a dirla ad alta voce quelle parole,
era troppo assurdo, troppo umiliante, era semplicemente troppo per lei.
E ora cercava di andare avanti, di dimenticare e voltare
pagine, ma non era facile.
La persona era seduta una sacca da viaggio grigio topo,
aveva un’aria pensierosa, vagamente stanca, ma alla ragazza
fece subito una
buona impressione, era un viso antico quello, elegante e sì,
anche molto
affascinante.
Sakura ne rimase incantata, forse fu quello il motivo per
cui si fermo, forse solo la noia o la solitudine, o il fatto che il
cartello ai
piedi dell’autostoppista indicasse
“Londra”, che era dove lei stava andando.
Fece scendere il finestrino e sorrise gentilmente.
- Puoi salire se vuoi – disse.
La portiera si aprì lentamente e di fianco a lei si sedette
una ragazza.
- Grazie – sussurrò con una voce flebile e gentile
–
Pensavo che non si sarebbe fermato nessuno. –
- Oh, sì, so cosa vuol dire, è una sensazione
orribile,
sei lì al freddo e credi che nessuno ti farà
salire o che magari si fermerà
qualcuno di pessimo. – rispose continuando a guardare avanti.
La ragazza di fianco a lei annuì e si spostò una
ciocca
dietro l’orecchio.
- Come ti chiami? – le chiese mentre giocava con i
capelli.
- Oh, io sono Sakura, e tu? –
- Io ho tanti nomi – mormorò la ragazza.
- Eh? –
Fu solo in quel momento che Sakura osservò davvero bene
la ragazza che aveva di fianco, quella che all’inizio le era
apparsa come una
donna matura, ora le sembrava una bambina, rabbrividì, era
come se qualcosa non
andasse, c’era qualcosa nell’aria.
- Cosa... Cosa ci facevi lì? Sul ciglio della strada, da
sola? –
- Aspettavo te – rispose la bambina e dicendolo
alzò il
capo verso di lei.
Sakura frenò all’improvviso.
Occhi bianchi, quella cazzo di bambina aveva gli occhi
bianchi, dov’erano le sue fottute pupille?
- Oh merda! – esclamò parcheggiando la macchina in
una
piazzola di sosta e riprendendo a respirare.
Fu allora che la bambina iniziò a ridere, era una risata
strana, sprezzante, da adulta, assai dissimile dalla voce che aveva
parlato
prima.
- Hai paura? – le chiese canzonatoria.
Sakura non disse nulla, non si mosse, si morse solo il
labbro.
- E’ ovvio che ha paura K. Non farle domande stupide.
–
disse un’altra voce, più secca, sempre femminile,
ma molto più tagliente delle
altre due.
- Cosa sei tu? – domandò piano, senza avvicinarsi
troppo.
Sul volto della sconosciuta comparve un sorriso sbilenco,
vagamente malinconico.
- Noi siamo il tuo tempo. -
Avrei
voluto darti
di più.
Avrei voluto fare
di più.
Avrei voluto essere
migliore.
Avrei voluto
conoscerti meglio.
- Voi siete cosa? – chiese ancora una volta, incerta sul
significato della risposta datale.
- Io sono il tuo presente. – disse la voce che aveva
parlato per ultima, quella più fredda.
- Io sono il tuo passato. – e questa volta il tono era di
scherno.
- Io sono il tuo futuro. – sussurrò la bambina.
Sakura si diede un pizzico, mentre una parte di lei
avrebbe voluto aprire la portiere e buttare giù dalla
macchina quella tizia
assurda, magari rifilandole un bel calcio in culo.
- Assì? – domandò scettica, decidendo
di prendere la cosa
con filosofia, in fondo lo sapeva che gli autostoppisti non sono gente
normale
– e come mai siete qui? –
- Tu avevi bisogno. Io ti ho sentita urlare dalle tenebra
più buie della disperazione, e gridavi, gridavi. Eri
disperata. E ho
visto il sangue e i tagli e i medici che
correvano, e ho sentito il tuo dolore e quello degli altri e tu non
smetti di
urlare. – disse quella chiamata K.
- Taci – sbraitò seccata Sakura stringendo il
volante.
Era andato via da
lei.Era così ingiusto.
Glielo aveva
portato via, glielo aveva rubato.
Si era fidata di
Sasuke, per anni gli aveva affidato tutto quello che aveva, i suoi
sogni, i
suoi desideri, le sue paure. E lui l’aveva tradita, li aveva
traditi tutti.
Era andato via con
Hinata.Aveva abbandonato lei in quella casa vuota dove avevano
condiviso tutto
e lei aveva lasciato Naruto solo, ancora una volta.
Era stato così
facile quel giorno fare quel taglio, era così sottile quel
coltello, ma una
volta passato sul suo polso il sangue aveva iniziato a uscire copioso,
senza
fermarsi.
E sì, Sakura quel
giorno aveva urlato. Aveva pianto, aveva gridato con quanto fiato aveva
in
corpo e si era lasciata andare tra le braccia di Naruto, che
silenziosamente
l’abbracciava e stringeva i denti.
- Io invece ti ho sentita piangere. Piangevi e chiamavi
il suo nome, ma appena ti accorgevi di chi stavi chiamando trattenevi
il
respiro e riprendevi a piangere, silenziosamente. Ti ho vista chiudere
gli
occhi e infilarti le unghie nei palmi delle mani fino a farli
sanguinare, ti ho
vista rifiutare la verità fino a farti male da sola, un
po’ come ora. – la voce
questa volta era distaccata, malinconica.
- Basta. Stai zitta – esclamò Sakura girando il
capo, per
non vederla –Non voglio ascoltare altro. –
Era sdraiata sul
letto scuro e piangeva, i singhiozzi regolari si alternavano senza
sosta, uno
dopo l’altro.
- Naruto… Naruto –
sussurrava in lacrime. Poi si era fermata di botto, non doveva, non
doveva.
Era Sasuke che la
faceva piangere, era Sasuke che lei voleva, era Sasuke a cui doveva
pensare,
non Naruto.
Non era Naruto che
doveva volere al suo fianco quando si sentiva così, non le
sue braccia che
doveva volere che la scaldassero, non la sua voce che doveva volere
udire.
Strinse i pugni.
Riprenditi Sakura, riprenditi.
Sentì il sangue
caldo scivolarle lungo il palmo e finire sul letto, ma che importanza
aveva?
Era solo altro dolore.
- Anche io ti ho vista – disse poi la bambina.
Sakura scosse il capo, con le lacrime agli occhi. Le i
non voleva vedere. Era stufa di vedere, era stufa di stare male, di
soffrire,
non voleva vedere nulla, né il passato, né il
presente, né tantomeno il futuro.
La ragazzina le toccò il braccio, la sua mano era calda e
candida e lei ricordò tanto una sensazione che conosceva, ma
che sapeva negare
a sé stessa da molto tempo.
- Io ti ho vista felice. Ti ho vista sorridere con il
sole tra i capelli, ti ho vista mano nella mano alle persone che amavi,
circondata di amici. Ti ho vista vestita di bianco mentre ridevi e
vestita di
nero mentre piangevi, ma ti ho vista felice. –
Sakura la guardò, ma non disse niente. Sentiva le lacrime
scivolarle lungo le guance e iniziava a sentirsi stanca.
- Non puoi negarti la felicità Sakura. Non puoi essere
sempre divisa in due, il passato è passato, non portarti
dietro il dolore di
una vita, non lasciare che una sola persona rovini il tuo futuro e
pregiudichi
la tua felicità. Ama, ridi, piangi, abbi una
felicità delirante, fatti
trasportare dai tuoi sentimenti e dal tuo istinto e se questo ti
porterà a
sbagliare, che importa? Avrai vissuto senza rimpianti, senza negare te
stessa,
senza chiuderti in una gabbia, e sarai cresciuta. –
Ora la ragazza piangeva senza riuscire a frenarsi, magari
stava sognando, anzi probabilmente era così,
sennò come avrebbero potuto
sapere, come avrebbero fatto a capire?
Non era possibile.
La voce di bambina rise, una risata argentina, felice,
una risata come mai ne aveva udite prima e improvvisamente le piacque.
Cullata
dal suono ritmico di quelle risa si addormentò, senza
nemmeno accorgersene.
Si svegliò verso le cinque, quando i raggi del sole
entrarono dai finestrini dell’auto e le scaldarono dolcemente
il viso, il
riscaldamento era rimasto spento tutta notte e lei aveva oramai la
pelle d’oca.
Si guardò attorno, ma nell’auto con lei non
c’era
nessuno, era vuota e non vi era traccia alcuna della donna della notte
precedente.
Quando arrivò a Londra era già mattina inoltrata,
lui
l’aspettava sulla porta con aria preoccupata, il volto,
solitamente disteso,
era attraversato da una miriade di piccoli solchi. Sakura sorrise
quando lui le
venne incontro correndo.
- Sakura chan! Sakura chan! Ma dov’eri finita? Ero
preoccupato, tantissimo. Sei in ritardo di almeno quattro ore!
–
La ragazza abbassò il capo, dispiaciuta, ma intimamente
grata della sua preoccupazione per lei.
- Mi sono addormentata durante il viaggio Naruto, ma ora
è tutto a posto. Ho ritrovato il tempo perduto. –
Naruto scosse il capo senza capire, quindi la prese gentilmente
per un braccio e la invito a entrare.
- Poi mi racconterai, ora andiamo a casa. –
Sakura camminava
nel prato, la sua mano era chiusa dentro quella di un bambino di poco
più di
cinque anni, capelli biondi come il grano e occhi verdi come i suoi,
come
quelli di sua madre. Seduto in mezzo all’erba stava Naruto,
una palla da calcio
in mano, agitava l’altro braccio con foga ad indicare dove i
trovava. Accanto a
lui una ragazzina dai capelli rosa saltellava felice.
Sakura scoppiò a
ridere e si avvicinò, al suo dito brillava un anello dorato,
non c’erano più
rughe sulla sua fronte, né ferite nel suo animo. Un
bravo osservatore avrebbe
potuto scorgere i segni, quasi del tutto scomparsi, di un taglio sul
polso
destro, risalente a molti anni prima, che oramai non era che una
cicatrice del
passato.
La porta dell’appartamento si chiuse con un tonfo.
Dall’altra parte della strada una bambina sorrise e se ne
andò lasciando l’eco di una risata argentina
nell’aria.
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