Disclaimer:
I personaggi di questa storia appartengono a Haruichi Furudate. Essa
non è stata scritta a scopo di lucro, ma soltanto per
diletto personale.
♥
Questa storia partecipa al Profumo
d'autunno [drabble contest] indetto da Asia Dreamcatcher sul
forum di EFP.
♥
NdA:
Non avendo ancora accettato la conclusione del manga, sfogo la mia
frustrazione con un po' di sana KageHina.
Ringrazio l'autrice di questo bellissimo contest che mi ha ispirata
subito.
Le 6 drabble sono composte da 100 parole l'una.
Enjoy!
♥
(icon by me)
Tempting Hands
«L'unico modo di
liberarsi di una tentazione è cedervi. Resistete, e la
vostra anima si ammalerà di nostalgia per le cose che si
è vietata, di desiderio per ciò che le sue
mostruose leggi hanno reso mostruoso e fuori legge.»
- Oscar Wilde
1.
Le mani di Hinata
stringevano costantemente un pallone da pallavolo. Lo avvolgeva coi
propri palmi sudati e ne seguiva i contorni con le dita. Osservavo quel
movimento ogni giorno.
Mi chiesi se i suoi
polpastrelli fossero ruvidi come i miei.
«Kageyama,
alza per me!»
Che strane domande
avevo iniziato a farmi.
Lo vidi saltare al di
sopra della rete e il momento in cui il suo palmo colpì con
violenza il pallone che gli alzai fu lo stesso in cui mi accorsi del
calore bruciante al mio basso ventre.
Mi chiesi come sarebbe
stato averle su di me, quelle mani.
2.
Oikawa gli parlava,
Hinata sudava. Oikawa lo guardava, Hinata spalancava i suoi grandi
occhi brillanti e pieni di desiderio.
Avevo imparato a
riconoscere i movimenti delle sue mani: davanti al Grande Re non
riuscivano a stare ferme.
Una morsa crudele allo
stomaco mi fece piegare in due. Odiavo quella sensazione.
Lo vidi correre verso
di me e afferrarmi per un lembo della maglietta.
«Il Grande
Re è proprio un figo, Kageyama!» esordì
entusiasta.
Lo colpii non troppo
sgarbatamente sulla testa. Sentivo l'odore dei suoi capelli da quella
distanza.
Repressi quella
sensazione, la soffocai.
Avrei resistito. Con
tutte le mie forze.
3.
«Baciami,
Kageyama.»
La sua voce ancora mi
rimbombava nelle orecchie. Me l'aveva chiesto leccandosi le labbra
mentre guardava le mie.
Odiavo quel diavolo
tentatore di Hinata e odiavo me stesso per il desiderio che avevo di
prenderlo lì sul pavimento della palestra.
Ma non voglio. Anzi, non posso.
«Vai a casa,
Hinata.»
Paura di rovinare, di
perdere tutto. Paura di non essere all'altezza.
Faceva così
anche con Oikawa? O magari con tutti?
Guardai le sue mani,
prima di voltargli le spalle e andarmene: erano ferme, immobili. Con me
erano sempre così.
«Perché
resisti?»
Perché
è giusto così. È meglio
così.
4.
Lo bloccai contro il
muro, entrambi i polsi stretti nella mia mano destra. I suoi occhi
grandi si spalancarono.
«Kageyama?»
Il suo profumo mi
invase i polmoni.
Non
posso.
Quegli occhi, questa
volta, guardavano me. Mi pregavano, mentre le sue mani si divincolavano
fra le mie. Volevano toccarmi, mi cercavano smaniose.
Non
posso.
Le sue guance si
tinsero di rosa, mentre le sue labbra si aprivano e mi chiamavano.
Prendimi,
Hinata. Prendimi se vuoi.
Lo liberai, troppo
codardo per prendermelo da solo.
La sua bocca si
avventò sulla mia, mi riempì con la sua lingua
bagnata e prepotente.
Non
posso.
5.
Voleva che fossi io
a cedere miseramente. Voleva che gli dimostrassi quanto lo desiderassi.
Lo presi la sera del
suo compleanno, negli spogliatoi della palestra, contro il suo
armadietto, appena gli altri se ne andarono. Una goccia di sudore che
dal suo mento era scesa fino alla scapola per fermarsi sul capezzolo
del suo petto nudo mi aveva fottuto.
Sentii le sue unghie
fra le scapole, mentre i muscoli del suo fondo schiena mi accoglievano
caldi nel suo corpo. Strinsi le sue natiche fra le mani, eccitato nel
scoprirle così dure.
«Tobio.»
Era il paradiso e
l'inferno allo stesso tempo.
6.
Capii quale fosse la
differenza.
Le mani di Hinata
davanti al Grande Re fremevano, per poi sopirsi. Davanti a me erano
lente, calme, ma mi cercavano sempre. Che fosse solo per un breve
contatto, anche quando non c'ero sentivano il bisogno di avermi.
A scuola, in palestra,
a letto mentre dormiva... Mi cercavano. E quando mi trovavano le
sentivo quasi tremare.
Per quanto ci avessi
provato, avevo perso contro me stesso. Pensavo che concedermi quella
tentazione avrebbe reso tutto più semplice, dopo. La
verità era che non ne avevo mai abbastanza.
Ma essere debole, in
fondo, non era così male.
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