Come
un velo, il silenzio copre il quartiere.
Gli
alti palazzoni svettano contro il cielo, grigio di nubi, prossime a
sfaldarsi in una pioggia violenta, mentre un gelido vento spazza le
strade, sollevando carte e rifiuti.
Di
tanto in tanto, cani randagi di ogni specie, taglia e colore occupano
il percorso, poi scompaiono.
Alejandro,
a passo lento, percorre il marciapiede e il suo sguardo ceruleo
saetta inquieto da una parte e dall’altra.
Il
vento scompiglia i lunghi capelli neri e gonfia l’ampio
impermeabile, come la vela di una barca.
Il
suo viso, ogni tanto, si contrae in uno spasmo. Come sempre, il
quartiere è deserto in quella giornata.
Diciannove
anni non hanno mutato quel luogo.
La
chiesa di Santa Maria dei Fiori, col suo splendente oratorio
cinquecentesco, svetta ancora nella piazza principale.
I
palazzi nobiliari, vestigia di un glorioso passato, attirano lo
sguardo dei turisti, che li fotografano con gli smartphone o con le
macchine fotografiche.
Le
strade dei quartieri antichi, ornate da lampioni liberty, mantengono
ancora l’antico fascino.
Alejandrò
si ferma e, lento, si appoggia al muro di un palazzo e chiude gli
occhi. I suoi genitori hanno creduto di trovare stabilità,
lontani dalla Spagna, ancora dominata da Franco.
E,
per anni, anche lui ha creduto di avere costruito un’esistenza
tranquilla.
La
scuola. Gli amici. Il calcio.
Per
tanto tempo, sono stati i pilastri della sua vita.
Apre
gli occhi, velati di lacrime, e contempla le strade. In quel
quartiere popolare, al compimento dei suoi sedici anni di età,
ha conosciuto lei.
Maria
Luisa Colombo.
Ne
ricorda il corpo alto e sottile, i lunghi e ricci capelli biondi,
perennemente raccolti in una coda, e gli occhi castani, screziati di
pagliuzze d’oro.
Quello
sguardo, così particolare, ha attirato la sua attenzione.
Per
cinque, lunghi mesi si è accontentato di guardarla da lontano,
il cuore oppresso dal peso della timidezza.
Poi,
era riuscito a confessarle il suo interesse.
Ridacchia.
In quel momento, ha creduto di svenire, colpito da emozioni
contrastanti.
Ha
creduto di suscitare lo scherno di lei.
Ma
lei si è mostrata gentile e intelligente e gli ha confessato
di provare rispetto per lui, pur non ricambiando il suo sentimento.
Alcune
lacrime tremano sulle lunghe ciglia nere di Alejandro. Marialuisa,
pur non amandolo, ha espresso il desiderio di conoscerlo.
Gli
ha confessato, il volto velato di rossore, di amare le sue poesie e i
suoi racconti, pubblicati in una raccolta antologica, a seguito di
una sua vittoria in un concorso letterario.
E
la reciproca approfondita conoscenza ha creato tra di loro un legame
profondo.
Il
tempo trascorso non gli ha fatto dimenticare il loro primo, timido
sentimento.
Ma
non ha dimenticato l’orrenda fine di quel loro amore di
adolescenti.
Avrei
preferito essere lasciato. Se il
loro amore fosse finito per
volontà di lei,
l’avrebbe accettato.
Ma
quella è una fine crudele.
E’
un insulto alla dignità umana.
Sorelle
Colombo uccise a colpi di pugnale nella loro abitazione.
Indagato
il padre per omicidio.
Ricorda
ancora quell’articolo di giornale, letto al suo ritorno da una
vacanza in Spagna con la sua famiglia.
Maria
Luisa è morta, colpita da cinquanta pugnalate, assieme alle
sue sorelle, Cristina, di nove anni, e Carola, di tre.
E
a sferrare i colpi è stato il loro padre, Antonio, in preda ad
un delirio di onnipotenza.
Quell’articolo
ha distrutto la sua esistenza.
– Perché?
Perché non mi hai detto la verità? Avrei potuto
proteggerti… – balbetta.
Il padre delle tre sorelle Colombo era un uomo violento, incapace di
prendersi le sue responsabilità.
Sua
moglie è morta, lo sa, ha perduto il lavoro, a seguito della
crisi della filiale dell’industria di plastici Cox, che,
malgrado le proteste degli operai e le azioni dure dei sindacalisti,
ha chiuso e ha delocalizzato in Romania e in Vietnam.
Non
può negare la tragedia della loro situazione.
Ma
questo non giustifica la mattanza da lui compiuta!
Suo
padre e sua madre, ardenti comunisti, malgrado la caduta dell’Unione
Sovietica, hanno sempre dato affetto e serenità a lui e ai
suoi tre fratelli e a sua sorella.
Certo,
suo padre, Leon Gonzales, è sempre stato un uomo burbero e
chiuso, ma non ha mai levato le sue grandi mani su sua madre, Julia,
su di lui e sua sorella, Irene.
Anche
lui e Juan, Francisco e Adrian hanno trovato in quell’omone
burbero, ma gentile, un solido punto di riferimento.
Li
ha sempre incoraggiati a seguire i loro sogni.
E
ha mantenuto questo suo atteggiamento composto e introverso, ma
buono.
Grazie
a lui, è riuscito a non sprofondare nella depressione.
Gli
ha dato la forza di non abbandonarsi al mostro della sofferenza.
Ma
lui non è riuscito a dimenticare.
Le
cure farmacologiche e la psicoterapia non hanno eradicato quel
sentimento di rabbia e dolore, per l’ingiustizia subita da
Maria Luisa e dalle sue sorelle.
E
quella notizia, così crudele, ha riaperto una ferita mai
veramente rimarginata.
Scarcerato
per buona condotta e per indulto Antonio Colombo.
Uccise
le sue tre figlie a colpi di pugnale.
– Buona
condotta… Buona condotta… Buona condotta… –
mormora Alejandro, con voce
robotica.
Volge
lo sguardo verso il cielo, illuminato dal bagliore livido di
episodici lampi.
L’articolo
di giornale è proseguito con un lacrimevole e disgustoso
elenco delle sue presunte problematiche.
Nessuna
parola è stata spesa per quelle tre povere sorelle, massacrate
di pugnalate dal loro padre.
Sono
state dimenticate in tombe anonime, in nome di una legge offensiva
per le vittime.
Antonio
Colombo è stato trattato come un malato mentale, che ha
compiuto un atto crudele senza avere consapevolezza.
Non
hanno considerato le pagine del diario di Maria Luisa, che, fedeli,
hanno raccontato anni di dolore e di angoscia.
Loro
non hanno veduto gli sguardi, ormai spenti, di tre sorelle,
addormentate in un sonno privo di sogni.
O
meglio, li hanno visti, ma li hanno rimossi dalla loro mente.
Ma
lui, Alejandro, sa cosa si nasconde oltre il volto anonimo di Antonio
Colombo.
Una
belva sanguinaria.
– Signore,
si sente bene? – domanda una voce femminile, preoccupata.
Alejandro
si scuote e fissa i suoi occhi su una giovane prostituta, dai lunghi
capelli biondi e occhi verdi.
Sussulta,
turbato. Gli ricorda Maria Luisa…
Sbatte
le palpebre e fissa il suo sguardo sul viso di lei.
In
quegli occhi, neri di mascara, riconosce un lampo di umanità.
Ma
non può schiudere il mistero del suo cuore a quelle iridi.
Accenna
ad un sorriso amaro, privo di allegria.
– Sto
bene, signorina. Sono solo un po’ stanco. – rivela,
pacato.
La
prostituta, per alcuni istanti, lo osserva, dubbiosa, poi scompare
nei vicoli.
Alejandro
osserva la sua figura procace per diverso tempo, poi, a passo rapido,
si allontana nella direzione opposta.
Cammina.
Pensi
di potere sfuggire alla giustizia?,
pensa, il cuore ardente d’ira. Di solito, lui è un uomo
gentile.
Ma,
in quel momento, la sua ira divampa e si ciba del suo dolore, troppo
a lungo taciuto.
Vuole
sottomettere quell’uomo, che si è sentito padrone della
vita delle sue figlie.
Desidera
vedere nei suoi occhi bovini il riflesso della paura.
Così,
spera di riscattare se stesso agli occhi di Maria Luisa, Cristina e
Carola.
Certo,
una simile punizione non darà loro la vita rubata, ma ridurrà
il delirio narcisista di quell’uomo.
Devo
farlo., si
dice. Lui, stupido sedicenne, non aveva compreso la realtà di
dolore della sua amata.
Ma,
anche se avesse compreso, Antonio Colombo avrebbe avuto ragione di
lui.
Alejandro
ghigna. La situazione si è invertita.
L’esile
adolescente è scomparso e ha lasciato il posto ad un campione
di pugilato alto e robusto, conosciuto come “il Toro di
Siviglia”.
I
suoi avversari, spesso, si compiacciono della sua ferocia sul ring,
unita ad una indiscutibile correttezza.
Cosa
gli può fare un uomo come Antonio Colombo?
Ora,
può sottometterlo e picchiarlo.
Può
restituirgli la violenza da lui inflitta a tre ragazze indifese,
prive del sostegno della loro madre, morta in un incidente stradale,
pochi mesi dopo la nascita di Carola.
Una
smorfia deforma il suo viso. Ricorda le parole del prete, al funerale
di Maria Luisa e delle sue sorelle…
Perdonate
un uomo solo.
Anche
lui, malgrado la sua morale specchiata, non ha mostrato alcuna
comprensione per la disperazione di una comunità.
Ha
preteso, in nome di una religione stupida, di coprire d’oblio
la sofferenza di quell’atto lacerante.
E
nessuno ha osato dirgli nulla.
Perfino
lui, malgrado il cuore straziato, è rimasto prigioniero del
silenzio.
Ma
il suo animo è mutato.
E
non intende più sottomettere se stesso alle direttive
moraliste degli altri.
No,
il perdono è per deboli.
Solo
i vigliacchi non si prendono la loro giustizia e si ammantano di
belle parole.
E
lui non vuole essere definito vile.
Giunge
davanti ad una palazzina assai alta.
Sfiora
i muri e, per alcuni istanti, contempla la sua mano, bianca di
intonaco.
Ride.
Presto, la sua mano sarà rossa di sangue.
Antonio
Colombo morirà presto.
E,
forse, sa che cosa fare.
Non
ha bisogno di armi.
I
suoi pugni sono armi micidiali.
Osserva
il citofono, poi preme il pulsante.
Sa
che è una scelta assai azzardata, ma non gli importa.
Non
vuole più pensare.
Poi,
può trascorrere l’intera esistenza in carcere.
Perfino
il pugilato, sua grande passione, passa in secondo piano.
– Chi
è? – abbaia una voce maschile.
Bingo.,
pensa
Alejandro. E così Antonio Colombo abita ancora in quei
palazzi.
Bene,
non deve cercare a lungo.
– Signor
Colombo, sono il postino. Può scendere? C’è
una raccomandata per lei. –
domanda, d’impulso. Sa di stare precipitando, ma non gli
importa.
Ormai
sta precipitando.
Non
può tirarsi indietro.
Desidera
spegnere quella vita inutile.
Attende.
Nessuno
passa in quell’ora gelida.
Alejandro
sorride. Al termine del suo lavoro, si costituirà, ma non gli
importa nulla del giudizio altrui.
Sopporterà
il carcere per lei e le sue due sorelle.
La
porta, con un rumore secco, si apre e un uomo alto e imponente esce.
Gli
occhi verdastri, bovini, si guardano intorno, poi si posano sul
giovane pugile.
Per
alcuni istanti, Luis Alejandro lo studia.
Quasi
gli viene da ridere. Non lo ha riconosciuto.
Ma
presto saprà tutto.
Un
violento montante, rapido, crea una traiettoria curva nell’aria.
Colpisce Mario Colombo allo stomaco.
L’uomo,
colto di sorpresa, precipita a terra a gambe all’aria.
Agevolmente,
Luis Alejandro lo solleva per il bavero della camicia e lo fissa
negli occhi.
–
Non
urlare. – sibila.
Mario
Colombo sgrana gli occhi, sgomento, e il suo cuore comincia a
martellare contro le costole.
Chi
è il suo aggressore?
Chi
lo ha cercato, in quel paese dimenticato?
Eppure,
venti anni dopo l’omicidio delle sue tre figlie, ha cercato
l’anonimato.
Lo
getta a terra, a poca distanza da lui. Gli fa schifo toccarlo, ma
deve compiere il suo dovere.
Deve
fare conoscere a quell’uomo la paura e il dolore delle sue tre
figlie.
Deve
provare una minima parte della loro angoscia e della loro
disperazione.
L’uomo,
ancora sofferente per il pugno, si solleva e fissa il viso del
giovane. Nessuna pietà riverbera in quelle iridi cupe.
Sembra
un robot, privo di qualsiasi emozione.
Gli
ricorda un detenuto nigeriano che, nei suoi primi mesi di carcere, lo
ha massacrato di calci.
Se
non fossero intervenute le guardie, sarebbe morto sotto i colpi di
quell’omone, che ha creduto di vendicare tre ragazze innocenti.
–
Che…
Che… vuoi? – domanda, impaurito.
Una
pedata spegne le sue parole in un gemito, misto a frammenti di dente.
Poi,
Alejandro si china e solleva per il bavero Antonio.
Gli
pare quasi di sentire l’odore fetido della paura.
Un
senso di godimento si espande nel suo corpo. Si compiace della
sofferenza di quello stronzo.
Lo
vede sottomesso e impaurito, dominato da una forza soverchiante.
Le
regole si sono sovvertite e lui, ora, è la vittima.
E
non avrà una pietà negata a tre innocenti.
Implacabile,
il suo montante colpisce ancora l’addome dell’uomo.
A
stento, Antonio Colombo cerca di non urlare. In quello sguardo, ha
scorto decisione.
Non
vede scrupoli in quelle iridi cupe.
Sa
che quel giovane sconosciuto può ucciderlo.
Fanno
male i suoi pugni, degni di un maestro del pugilato, ma teme la
morte.
Non
vuole morire, dopo diciannove anni di prigione.
–
Fa
male, vero? Fa male quando qualcuno di più forte di te ti
picchia? Fa male essere completamente indifesi? – sibila.
Le
lacrime di paura sgorgano sulle guance dell’uomo. Quel giovane
sembra conoscere bene la sua storia…
Eppure,
perché non si ricorda di lui?
–
Sii
uomo! Non comportarti come un lombrico! – sibila Alejandro,
irritato. Spera di muoverlo a pietà con quelle lacrime?
Invece,
gli suscita solo disgusto.
Ha
costretto quelle tre ragazze ad una vita d’inferno, forte del
suo ruolo e della sua forza, ma, davanti a qualcuno più forte
di lui, si umilia.
Non
ha nessuna dignità.
Scarica
un ultimo, violento diretto sul naso di Mario Colombo.
Con
un secco scricchiolio, l’osso del naso si rompe e il sangue
sgorga dalle narici.
Per
alcuni istanti, si agita, come un pesce nelle mani di un pescatore,
poi il suo corpo resta immobile.
Alejandro,
con sprezzo, getta il corpo a terra. Finalmente, ha liberato la terra
da una presenza infestante.
Fino
all’ultimo, non ha compreso nulla.
Non
ha mostrato alcun rimorso per la morte delle sue figlie.
–
Bene.
– mormora. Nulla potrà ridare loro la vita, ma il loro
genitore ha conosciuto l’amaro gusto della sofferenza.
Forse,
è stato anche troppo pietoso con lui.
Ora,
può costituirsi.
Prende
il cellulare e compone il numero della polizia.
–
Pronto,
carabinieri. Qual è la ragione della chiamata? – chiede
una voce femminile.
–
Ho
appena ucciso Antonio Colombo. Sono in via Giuseppe Mazzini 198 A.
Venite o potrei uccidere ancora.– mormora Alejandro, pacato. In
realtà, non vuole uccidere altre persone.
Ma
desidera essere arrestato e minacciare un reato è un ottimo
sprone di azione per la polizia.
–
D’accordo…
Tu non fare nulla. Resta in contatto. – gli ordina la voce
femminile.
–
Come
desidera. – risponde lui.
Alejandro
sorride e si appoggia al muro del palazzo. Bene, tutto è
compiuto.
Ora,
può attendere.
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