Il cielo di Londra era nuvoloso e carico di pioggia, come
tutte le mattine da circa un mese. Mycroft non si azzardò minimamente a uscire,
senza prima aver letto le previsioni del tempo. Non voleva bagnarsi
inutilmente, né indossare l’impermeabile, che era un capo che non portava
volentieri. Così passò del tempo a prepararsi la colazione rigorosamente Light.
Poi si vestì indossando il solito completo tre pezzi, che
stavolta scelse di colore scuro, vista la giornata. Optò per la decima cravatta
a destra, delle settanta, tutte allineate in base al colore. Poi passò agli
accessori, scelti con cura. Il solito
rituale dunque. Orologio da taschino e fermacravatte.
Certo non poteva
sapere che quella sarebbe stata la sua ultima giornata da uomo libero e solo.
Sentì battere forte alla porta, certo cosa insolita per
quell’ora. E si avviò a vedere chi fosse. Prima per sicurezza prese il suo
ombrello da difesa. Qualcuno batteva ancora alla porta, ma Mycroft non riusciva
a vederlo dallo spioncino.
“Chi è? Chi cercate a
questo indirizzo?”
“Mister, per piacere, cerco questo signore! “Una voce di bambino proveniva dall’ esterno,
e agitava nella mano un foglio scritto.
Mycroft rassicurato e incuriosito aprì la porta e senza rendersene
conto, la sua vita cambiò in quell’istante.
Davanti a lui c’era un bambino di circa sette anni, magro con
i capelli mossi e neri. Gli occhi grigi e vispi. Aveva uno zaino sulle spalle.
Era decisamente sporco e provato. Aveva in mano un foglio sgualcito che porse a
Mycroft, che dovette chinarsi per prenderlo.
“Chi cerchi, piccoletto? E dove sono i tuoi genitori? “ Mycroft
arcuò le sopracciglia sorpreso.
“Cerco mio padre Signore, la mia mamma è morta e mi ha dato
questo indirizzo, dove lo avrei trovato. Lo conosce Signore? E’ scritto lì il suo
nome. “Il bambino lo guardava serio, e sospettoso.
Mycroft aveva il cervello in fiamme, che presagiva guai a
non finire. Elaborava velocemente fissando il piccolo davanti a lui. Che
sembrava essere la sua esatta copia. Poi si decise a leggere il foglio. E come
si aspettava ci trovò scritto il suo nome. Mycroft Alexander Holmes. Con
allegato l’indirizzo esatto della sua casa. Non respirò per alcuni secondi. Poi vedendo il
piccolo stanco che lo fissava turbato, lo fece entrare.
“Vieni, piccoletto, credo di conoscere chi stai cercando. Tu
come di chiami? E da dove vieni? “
“Mi chiamo Miles Alexander Scott Devon, Mister. Come mio
padre e mio zio, la mamma mi diceva che portavano questi secondi nomi. Vengo da
Edimburgo mister, lei mi ha insegnato a prendere l’aereo per venire a Londra. Ho una lettera per mio padre, che devo dare
solo a lui.” Miles sembrava stanco, turbato.
Mycroft, prese lo zaino dalle sue piccole spalle e lo appoggiò sulla poltrona.
“Vuoi mangiare qualcosa Miles? Non sei affamato?” Rimase freddo, ma cortese Mycroft.
“Non posso signore, devo cercare mio padre! Mi dica dove posso
trovarlo! Lei ha detto di saperlo! “
Miles aveva gli occhi lucidi. Mycroft fece un lungo respiro inghiottendo più
aria possibile.
“C’è l’hai di fronte piccoletto. Almeno secondo quello che
c’è scritto nel tuo foglio. Io sono Mycroft Alexander Holmes. “
Il governo britannico guardava serio il bambino che rimase
silenzioso per un lungo minuto.
“Sei deluso piccoletto? Non ti aspettavi che potessi essere
io?”
Miles era confuso, certo non si aspettava che quel signore
con il vestito elegante, l’orologio da catena, la cravatta perfetta, distaccato
e tanto, tanto serio fosse il suo papà.
Così lo fissò imbambolato.
Indeciso se abbracciarlo o rimanere immobile.
Mycroft vedendo i dubbi del piccolo, fu premuroso.
“Miles hai paura di me? “
Mycroft aveva perso tutta la sua freddezza. Si inginocchiò
di fronte al bambino, rovinando irrimediabilmente i suoi calzoni di alta
sartoria e gli accarezzò piano i capelli scuri. Era sorpreso dal suo
comportamento, ma il cuore gli batteva a mille. Miles gli assomigliava molto.
Stava pensando dove lo avesse concepito, e con chi. E questo lo turbava,
soprattutto per il bambino.
Miles si avvicinò a Mycroft. Allungò le piccole mani e lo
abbracciò così forte da sciogliere il suo cuore di ghiaccio. Desiderò
fortemente che Miles fosse suo figlio.
“Vieni piccoletto, vuoi mangiare qualcosa? Ti piace il
latte? Ho anche qualche biscotto.”
Miles lo seguì si sedette sulla sedia vicina al tavolo,
mentre Mycroft gli preparava una prima colazione. Scese improvvisamente e andò
verso lo zaino, lo aprì e prese una lettera contenuta scrupolosamente dentro
una busta di plastica, e la consegnò a Mycroft.
“È per te mister, è della mamma. “Il bambino si sedette e
cominciò a mangiare con frenesia tanto che Mycroft lo dovette rimproverare.
“Piano piccoletto, hai tutto il tempo che vuoi.” Poi prese
il cellulare e chiamò Anthea avvisandola che sarebbe arrivato in forte ritardo.
Forse avrebbe anche saltato il lavoro.
Prese la lettera e il certificato di nascita di Miles. Si
sedette di fronte al camino a leggerla.
Caro Myc, quando leggerai questa lettera,
molto probabilmente avrai di fronte tuo figlio e io non ci sarò più.
Forse farai fatica a ricordarti di quella cena
all’ambasciata dove ci siamo conosciuti, e di quella notte dove abbiamo
consumato tutto l’amore di una vita.
Io
ero la segretaria dell’ambasciatore
francese, Amanda Devon, tu un gentile signore dall’aspetto curato.
Mi
facesti una corte serrata e complice un bicchiere di più, finimmo per amarci
una volta soltanto.
Ma
mi lasciasti la cosa più bella che ora probabilmente ti sta guardando curioso.
Miles.
Non ti dissi nulla sapendo quale lavoro
pericoloso facevi allora e così ci sentimmo per un po’, ma tu diradasti gli
incontri, preso dai tuoi impegni.
Avrei voluto dirtelo, un giorno non troppo
lontano, ma mi sono ammalata e ho fatto di tutto per proteggere tuo
figlio.
Miles non vuole finire in un istituto. La
malattia è peggiorata velocemente e gli ho promesso che lo avresti
aiutato.
È
preparato alla mia prematura scomparsa è un bambino forte Myc.
L’ho istruito, prenotato l’aereo, e il taxi che lo ha portato da
te.
Ora se hai dei dubbi guardalo, è il tuo
ritratto. Sa che farai la prova di paternità, l’ho già preparato. Voglio che tu
sia certo di questo, che Miles è tuo figlio.
Abbine cura Myc. Perché lui ti amerà, e avrà
cura di te.
Amanda Devon.
Mycroft si ricordò di Amanda e di quella notte d’amore che
sembrava aprigli un nuovo mondo.
Era sua intenzione
continuare la relazione, ma il lavoro decise diversamente e lo portò lontano da
lei. Amanda dai capelli castani e dalla risata contagiosa. Gentile e dolce. Ora
Mycroft ricordava bene quel breve periodo, e fu felice che Amanda avesse
cresciuto Miles. Anche se l’aveva colpita un destino crudele.
“Signore, allora sei tu il
mio papà?” Miles si era avvicinato a
Mycroft che non l’aveva visto, preso dai ricordi dolorosi.
“Penso di sì piccoletto, Amanda, la tua mamma era una donna
meravigliosa. L’ho frequentata anni fa, prima che tu nascessi. Mi dispiace che
non ci sia più. “Mycroft guardava il bambino che si era rattristato, e aveva
l’aria stanca.
“Posso sedermi con te Signore? “ Miles
si accostò alla poltrona e avrebbe voluto sedersi con lui.
“Vieni piccoletto, salì su, ti prendo io.” Mycroft sollevò Miles e lo sedette in
braccio.
Il bambino, prima rimase immobile, poi vinto dalla stanchezza
appoggiò la testa sulla spalla di Mycroft.
“Posso signore?” Chiese
educato il bambino.
“Certo piccoletto, stai tranquillo.” Miles si lasciò andare e in poco tempo si
addormentò stretto abbracciato a Mycroft.
Il governo britannico, era sopraffatto da quello
che era successo quella mattina. Tutte le emozioni di una vita si erano
concentrate in poco tempo. Troppi stimoli irrazionali. Eppure Miles era vitale
e concreto, stretto a lui. Sentiva quel
piccolo corpo leggero, che respirava piano, ma si sentiva incapace di prenderlo
e proteggerlo. Rimase così con Miles su di lui, preso dai dubbi del suo futuro
irrimediabilmente stravolto. Capiva che avrebbe dovuto decidere cosa fare con
quel bambino che molto probabilmente era suo figlio. Lui aveva un lavoro che non
gli permetteva di avere una famiglia, né tanto meno un bambino da crescere. Un
lavoro pericoloso, che lo aveva portato a isolarsi. E ora si ritrovava con un figlio, e non aveva
nessuno a cui affidarlo. Lui non aveva mai avuto legami stretti con nessuno, chi avrebbe
potuto aiutarlo se non suo fratello e
John? Che ora vivevano insieme con la piccola Rosie, dopo i fatti accaduti a
Sherrinford.
Prese Miles e lo strinse
forte, si alzò e mentre il piccolo si lamentava piano per quel cambiamento, lo
portò nella sua stanza. Lo adagiò nel grande letto, gli tolse le scarpe e si
accorse delle calze bucate e dei piedini sporchi di sangue, con delle vesciche
dolorose.
Mycroft rimase sconcertato, non capiva perché Miles avesse
sopportato così tanto senza lamentarsi.
Prese un asciugamano bagnato, e con molta cautela pulì le ferite
cercando di non svegliarlo. Ma la stanchezza del piccolo era tanta che si lamentò
appena e si girò abbracciando il cuscino. Mycroft lo lasciò riposare, lo coprì
con il lenzuolo e uscì piano dalla sua stanza.
Era completamente destabilizzato, tutta la sua ordinata vita era
finita in poche ore nel caos.
Le necessità di Miles lo soverchiavano. Erano passate da troppo
tempo le sue conoscenze di quando accudiva suo fratello minore. Poi allora,
c’erano i suoi genitori e adesso che Miles aveva bisogno delle cure adatte ad un bambino come
avrebbe fatto? Sicuramente gli serviva un buon bagno, ma non c’era la
confidenza col piccolo. Probabilmente lo aveva sempre accudito Amanda. Aveva
bisogno di vestiti e biancheria e cibo, alimenti che lo aiutassero a mettere su
un po' di peso, non di certo le sue diete light.
Così prese il cellulare e chiamò l’unica donna che poteva
aiutarlo. Anthea rispose subito.
“Anthea, ho bisogno del tuo aiuto, non in via ufficiale,
ovviamente.”
“Bene Ser, sono a suo disposizione.”
“Non chiedermi nulla Anthea, poi ti spiegherò. Dovresti acquistare
dei vestiti per un bambino di circa sette anni, un pò sottopeso direi. Mi serve
tutto da capo a piedi. Hai compreso insomma, tu sai cosa serve.”
“Un bambino signore? “ La
segretaria di Mycroft era sorpresa e si rendeva conto che il suo datore di
lavoro era in difficoltà.
“Si, Anthea, ma ti spiegherò tutto dopo. Comunque spero che tu
sappia fare un bagno a un bambino, temo di non avere confidenza con questo.
Puoi farlo per me? “
“Beh! Signore è una
richiesta insolita, ma posso Ser. Ha bisogno d’altro?”
“Direi cibo, alimenti che piacciono ai bambini. Fa un po' tu
Anthea. Non hai nipoti, o bambini nella tua famiglia? Allora sai cosa fare.”
“Bene ser, farò il possibile.”
“Anthea, procurami un test di paternità e portamelo.” Ora Anthea comprese tutto.
“Ora capisco Ser! Stia tranquillo arriverò presto. Il bambino come
sta? “
“Ora dorme, spero arriverai prima di pranzo. Si chiama Miles.”
“Bel nome signore, e stia sereno.”
Mycroft chiuse la conversazione e si
lasciò cadere sulla poltrona. Gli sembrò che il tempo si fosse fermato era
completamente indifeso. Mentre la sua mente prese ad elaborare ogni piccola
soluzione. Alla fine si arrese e chiuse gli occhi sconfitto. Ora c’era Miles
che lo volesse o no.
Anthea arrivò poco prima di pranzo,
con delle borse voluminose. Vide il suo
capo visibilmente preoccupato, così non disse nulla e lo aiutò a sistemare il
cibo e il resto degli acquisti. Mycroft prese coraggio e le raccontò quello che
era successo quella mattina.
“Ser, tutto si sistemerà stia
tranquillo. Ora è solo allarmato, ma avere un figlio è una cosa positiva. Ora
posso occuparmi di lui, lo svegliamo capo.”
Mycroft annuì e con Anthea salì nella sua
camera, dove Miles dormiva ancora.
Mycroft lo scosse delicatamente e il piccolo si svegliò, si sfregò gli
occhi e lo abbracciò con slancio. Mycroft sorpreso non reagì subito, poi si
lasciò andare e lo strinse a sua volta. Anthea si intenerì a quella scena dove
vide il suo capo sotto un’altra luce. E sorrise divertita.
“Miles questa signora ti aiuterà farti
un bel bagno. Io non sono così esperto e penso che fosse la mamma che si
occupava di lavarti. “
“Quando la mamma non c’era facevo
anche da solo. Ma va bene signore, mi aiuterà lei. Lei è tua moglie? “
Miles guardava Anthea con simpatia e
le regalò un sorriso amichevole.
“No, Miles lei è la mia segretaria, ed
è una donna molto gentile, che per oggi si prenderà cura di te. Quindi adesso
fai quello che ti dice senza protestare.”
Mycroft lo aiutò a scendere dal letto e andò a preparare il pranzo per
loro due, perché Anthea doveva tornare in ufficio a sbrigare le pratiche che
lui aveva lasciato in sospeso.
Mycroft, si tolse la giacca slacciò la
cravatta e si mise comodo. Non era un granché come cuoco, ma preparare pancetta
e due uova non richiedeva una grande esperienza. Così ci mise tutto l’impegno
di cui era capace. E ottenne alla fine qualcosa di commestibile. Poi tostò il
pane e si ritenne soddisfatto.
Intanto Miles, scese correndo dalle
scale. Dietro Anthea lo seguiva, ammonendolo di rallentare.
Ma il piccolo era affamato e aveva fretta. Miles era pulito e odorava di talco.
Anthea aveva scelto una camicia a righe azzurre e un paio di pantaloni corti
blu. Ora aveva i calzini in ordine e delle snicker nuove. Lo aveva pettinato con la riga in modo piacevole.
“Prima di mangiare Miles fai una cosa
per me? Ti ricordi il test che la mamma
aveva detto di fare? Anthea prenderà un po' della tua saliva, non ti farà male.
Io vorrei che tu portassi il mio cognome Miles. Vorrei che fossi un piccolo
Holmes.”
“Non mi chiamerò più Devon? “ Miles
sembrava turbato.
“Io vorrei prendessi il mio cognome,
ma potrai tenere anche quello di tua madre. Sceglierai tu piccoletto.”
My non voleva stressarlo più di così.
Anthea lo aiutò a prendere il tampone, poi salutò entrambi e andò in ufficio.
“Divertitevi, signori Mycroft e Miles
Holmes.” E uscì allegra.
La piccola famiglia Holmes pranzò
incominciando una nuova vita. Miles era affamato e divorò tutto senza
protestare. Era educato e sereno, ogni tanto guardava Myc, studiandolo attento.
Tanto che Mycroft pensò che anche lui avesse il dono delle deduzioni. Così
sondò la sua intelligenza.
“Miles, cosa stai pensando. Vedi
qualcosa in me, che io non ti ho detto? Riesci a capirlo da come mi comporto o
da quello che indosso?”
“La mamma mi diceva di non dire nulla
a nessuno di quello che vedevo. A scuola si arrabbiavano. Così ho imparato a
stare zitto. A volte capivo se i miei compagni mentivano. Dicevano che non
erano andati al campo di calcio e mi accorgevo che avevano la terra e l’erba
sulle scarpe e dallo zaino vedevo che lo avevano appoggiato sulla terra battuta
del campo da tennis che era lì vicino. Erano stupidi a volte. Volevano nascondere
le cose, ma invece avevano le prove addosso.” Miles lo fissava dritto negli occhi.
“Tu signore, ami i dettagli al
punto che non porti l’orologio da polso, perché ti rovinerebbe i polsini della
camicia. E non ti piace. Così come quella spilla sulla cravatta. La metti
perché temi che si sposti,
esca dalla giacca e rovini la tua immagine. Ci tieni ai particolari,
signore.”
“Si chiama fermacravatta, e la giacca
sotto gilet. Notevole Miles. Degno di un
Holmes.” Myc rise con piacere.
“Inoltre non ci sono donne qui. Il
bagno è troppo vuoto e c’è solo il rasoio, e saponi maschili. Niente fiori per
la casa. Ma hai un fratello a cui vuoi bene, perché è l’unica foto che hai in
camera. Anzi in tutta la casa.” Miles si
fece serio e continuò.
“Signore, sei sempre stato così solo? “ Mycroft diede un colpetto affettuoso ai neri
capelli del bambino.
“Piccoletto, indiscreto! E Miles basta
con questo Signore, sai come mi chiamo, ma se è difficile da pronunciare
abbrevialo in Myc.” Miles annuì.
“Va bene Myc. “ Miles aiutò Mycroft a riordinare la
cucina vuota, del governo britannico. Di
solito se ne occupava la donna delle pulizie, ma stavolta fece un’eccezione.
“Ora piccoletto, sbrigo alcune
pratiche dal mio studio. Tu hai qualcosa da fare? O voi riposarti? Vuoi leggere? Ma, Miles io non possiedo molti
libri per bambini come te.”
Il bambino prese il suo zaino e tirò
fuori dei fumetti, poi guardò Myc.
“Posso stare con te nel tuo studio?
Prometto di non darti fastidio.”
“Purché tu stia in silenzio, mi devo
collegare in video conferenza. Sai cos’è? “ Mycroft scrutò il piccolo confidando che
sapesse di cosa parlasse.
“Sì, Myc lo so! e starò zitto. Non voglio stare nella tua
camera di sopra. È lontana.”
Miles lo guardava curioso. Poi non
resistette a indagare.
“Che lavoro fai Myc? “
Mycroft era incerto se dirgli la cosa
con serietà o adattandola ad un bambino. Poi optò per la verità.
“Lavoro per il governo di sua Maestà.
Sono un funzionario, diciamo con ampi poteri. E con molte responsabilità. A
volte corro qualche pericolo, dovuto a gente non troppo ragionevole, ma me la
cavo quasi sempre. Ecco Miles, perché sono spesso solo, per non compromettere
la mia famiglia e le persone che mi amano.”
Miles era impressionato, poi sbottò.
“Come James Bond, allora!”
Mycroft rise, ma il concetto era
quello.
“Diciamo che io mi agito molto meno di
lui, Miles! E non guido Aston Martin! Niente gadget spettacolari. Solo
parecchie carte e lavoro nell’ombra.”
“Ma sei sempre impegnato allora!“ Miles
sembrava presagire la difficoltà di stare con il padre. Mycroft aveva capito e
lo tranquillizzò.
“Troverò una soluzione piccoletto, non
impensierirti. E adesso muto, e leggi sul divano il tuo fumetto. E mi
raccomando quello che senti è top secret “ Mycroft ci scherzò su, facendo
sorridere Miles.
Era rilassante trovarsi quel piccolo
bambino con gli occhi acuti, per casa. Riempiva il cuore
freddo di Mycroft.
Intanto Miles si era steso sul divano
vicino alla scrivania di Mycroft, che prese a parlare con persone dai nomi
strani. Alcuni erano in codice. Myc, sapeva parlare tante lingue. Era un uomo
originale quel padre che tante volte il piccolo Miles aveva provato ad
immaginare. Ma, mai si sarebbe spinto a tanto. Così fantasticando di missioni
segrete e incontri con la regina, Miles si addormentò lasciando cadere il
fumetto sul tappeto.
Mycroft preso dal lavoro non si
accorse del piccolo. Che rischiò più volte di cadere dal divano. Quando lo
notò, Mycroft si sentì sprofondare, aveva lasciato il piccolo dormire in
condizioni pessime. Così cercò una coperta leggera e lo sistemò con dolcezza.
Ebbe la certezza che come padre era un incapace. Così lo accarezzò con il cuore
in tumulto, conscio di sentimenti che non aveva mai provato. Tranne quando Sherlock
era bambino e lui si prendeva cura del fratello. Ma erano passati millenni e
Miles era suo figlio. Aveva molta strada da fare Mycroft, ed ebbe paura. Gli si
insinuò quella sottile angoscia di non essere pronto, un figlio nella sua vita
non era mai stato previsto. Eppure era
lì di fronte a lui, pieno di fiducia nei suoi confronti. Mycroft aveva un
passato non proprio nitido, non che fosse sconfinato in atti troppo al limite.
Ma certo non aveva fatto una vita da semplice impiegato. Cercò di calmarsi,
prese dei bei lunghi respiri e tornò al lavoro con la mente confusa.
Vide la chiamata di Anthea, e con una
leggera apprensione, capì che già sapeva l’esito del tampone. Uscì dallo studio
e la chiamò.
“Anthea, scusa il ritardo, ma stavo
lavorando nello studio. Hai delle novità?”
“Certo Ser. Congratulazione di essere
a tutti gli effetti il padre di Miles. Abbiamo confrontato i suoi dati con
quelli di Miles. È suo figlio biologico, Mr. Holmes.” Mycroft provava un misto di soddisfazione e panico. E rimase
senza parole.
“Ser. Mi sente “ Anthea
fece una breve risata. “Va tutto bene, capo.
Diventerà un ottimo padre. Stia sereno.”
“Grazie Anthea. “ Fu
l’unica risposta che Mycroft riuscì a darle. Poi chiuse la conversazione.
Rientrò nello studio, con le mani sul
viso. Si sedette alla scrivania e fissò il piccolo che dormiva ancora. Adesso
doveva capire bene cosa fare. Era più facile per lui pianificare un colpo di
stato, che decidere come organizzare la sua vita con suo figlio! Era disorientato. Prese in considerazione di
assumere una governante che se ne occupasse quando lui era fuori. Naturalmente
doveva accudirlo e sfamarlo. Decise di parlare con Sherlock e John. Poi avrebbe reso
l’arrivo di Miles ufficiale, anche con i genitori. Finalmente Violet sarebbe
diventata nonna, spesso rendeva la vita difficile al figlio maggiore, lei
voleva una famiglia per Myc, ma si doveva accontentare per adesso di un nipote.
Mycroft si avvicinò al piccolo. E lo
svegliò. Miles lo osservò, poi come faceva di solito abbracciò Myc.
“Miles, ti piacerebbe conoscere mio
fratello? Che vive con il suo compagno e
la piccola Rosie, tua cugina.”
“Il signore della foto? Quello con
tutti i capelli? “
“Beh. Effettivamente lui i capelli li
ha tutti! Molti più di me.” Mycroft ridacchiò.
Poi continuò mentre gli brillavano gli occhi.
“Miles,
sai Anthea mi ha dato il risultato del tampone di stamattina. E tu sei. Insomma
se lo vorrai naturalmente…sarai mio figlio a tutti gli effetti. Potrai portare
il mio cognome. Holmes. Sempre se lo vorrai. O se sceglierai di restare un Devon.
Starà a te piccoletto la scelta.”
Mycroft scrutava il figlio, che aveva il faccino sorpreso e fu incapace
di parlare subito. Ma un pensiero lo illuminò.
“Potrò chiamarti, papà? Myc, potrò farlo? “ Miles
era preoccupato per il possibile rifiuto di Mycroft.
“Certo, piccoletto, quando sarai
pronto per farlo, mi ci devo abituare. Ma cerca di capire Miles, che sono stato
per molti anni solo. Non sarà facile essere mio figlio. Dovrai essere più
maturo di tanti altri bambini della tua età. E dovrai sopportare di avere un
padre molte volte, diciamo, complicato.”
Per tutta risposta, Miles libero da
pregiudizi, dai vestiti costosi di quel padre singolare, dalla rigidità emotiva
di Mycroft, lo abbracciò forte e gli stampò un bacio impetuoso sulla guancia
lasciandolo senza fiato. Lui fu incapace di reagire, e si limitò ad arruffargli
i capelli.
“Bene allora, Miles andiamo a
conoscere lo zio Sherlock. Prepariamoci
per uscire. Vedi se hai delle cose da prenderti nel tuo zaino. “
Mycroft chiamò l’auto, e attivò
l’allarme della casa. Uscirono con Miles
che stringeva forte la mano di Myc. Era intimorito dal conoscere lo zio.
Mycroft se ne accorse.
“Tranquillo Miles, ci sono anch’io con
te, e lo zio non morde. Poi ce la piccola Rosie, tua cugina.”
Lo aiutò a salire nella macchina nera che
lasciò il piccolo stupefatto.
“Myc, ma è la macchina della Regina?
Sembra quella che vedevo nei film. “
“Non proprio piccoletto, però è
un’auto di servizio, che ho il piacere di poter usare.”
Miles era perso in quell’auto enorme,
per fortuna riuscì ad agganciargli la cintura di sicurezza. Non era certo
adatta a portare dei bambini.
In breve furono a Baker Street. E si
avviarono verso la casa, con Miles che stringeva ancora più forte la mano di
Mycroft. Lui si fermò perplesso, si chinò su di lui.
“Cosa c’è che ti turba Miles? Non
avrai paura.” Miles scosse la testa con
un no, ma preso dall’ansia abbracciò Mycroft. Lui si accorse che tremava un
po'. Così lo fece passeggiare, mano nella mano nei dintorni finché non lo vide
sicuro.
La signora Hudson li aveva intravisti
da distante, ed era rimasta sbalordita. Mycroft con un bambino! Che poi gli
assomigliava tutto. Corse in casa ad avvisare Sherlock.
“Dovete prepararvi a una sorpresa!
Mycroft sta girando qui sotto con un bambino a mano, che, Buon Dio sembra il
suo ritratto.” La sig. Hudson era gioiosa. Sherlock incuriosito si affacciò alla
finestra e effettivamente suo fratello stava per salire le scale conducendo un
bambino di circa sette anni. Lo fece
vedere anche a John.
“Ma cosa ha combinato tuo fratello,
Santo Dio, non oso dirti quello che penso.”
“Già, e lo penso anche io.” Sherlock si avvicinò alla porta e attese che
suo fratello salisse.
Mycroft entrò, e fece strada a Miles.
Appoggiò il suo ombrello alla porta, mentre il piccolo fissava incerto Sherlock
e John. La sig. Hudson era sulla porta in cucina che sorrideva, insieme a
Rosie. Miles non dava segno di lasciare la mano di Myc. Il governo britannico era irritato.
“Bene, visto che ci state fissando
così tanto da impaurire il piccoletto, vi presento mio figlio Miles Alexander
Scott Devon, presto Holmes. Ora smettete di spaventarlo e venite a conoscerlo.”
Sherlock era sorpreso, e subito pensò
come avesse fatto il fratello a concepire un figlio, dato le poche donne che
aveva frequentato. John invece si avvicinò a Miles e sorridendo gli porse la
mano per stringerla.
“Piacere Miles Holmes, io sono John
Watson, il compagno di Sherlock e padre di quella piccola bambina di nome
Rosie, che strilla e ti guarda dalla cucina.”
Miles si staccò da Myc e gli strinse la piccola esile mano. John lo trovò
adorabile, gli si strinse il cuore.
Sherlock prima fissò frastornato il
fratello maggiore, che lo ricambiò di un ghigno divertito, poi si avvicinò a
Miles e gli porse la mano.
“Piacere piccolo Holmes, io sono il
fratello di Mycroft. Sherlock. Fino ad oggi la persona più importante che
avesse, ma ora vedo che hai preso il mio posto. Miles sei fortunato ad avere un
padre come lui.”
Miles prese la mano di suo zio e la
strinse.
“Ti ho riconosciuto, zio Sherlock. Myc
ha una foto nella sua stanza dove ci siete voi due. L’unica foto di tutta la
casa.” Miles guardò con attenzione suo
zio, mentre Mycroft defilato lo seguiva da lontano.
“Sei diverso, zio, cioè voglio dire,
non ti vesti come Myc. Sei un agente segreto anche tu?”
Sherlock rise. “No Miles, ne basta uno
in famiglia! Io sono un detective
privato, risolvo casi complicati che tuo padre evita, essendo un pigrone.”
Mycroft lasciò che Miles si
ambientasse e non rispose alle provocazioni del fratello. John portò il piccolo
da Rosie e dalla sig. Hudson, lasciando il tempo a Mycroft di raccontare al
fratello tutta la storia di Miles.
“Mio dio fratello, questo proprio non
me lo aspettavo. Tu con un figlio! E adesso come farai con quel lavoro
ingombrante che ti ritrovi. Lo lasci a nostra madre? A noi? Io e John possiamo aiutarti, ma Miles non
sarà contento. Lui ha bisogno di te, specie adesso che ha perso la madre.” Mycroft si era rabbuiato in volto.
“Non capisco perché Miles non si
disperi per la perdita di Amanda. Praticamente l’ha seppellita tre giorni fa.
Eppure non la menziona mai. Questo non
mi piace, sembra che non se ne renda conto, è come frastornato da quello che
gli sta accadendo. Temo che cederà tutto
in una volta.”
“Vedrai, che quando tutto si calmerà,
comincerà a prendere consapevolezza e credo fratellone, che dovrai essergli
molto vicino. Non sarà facile, per te che non sei preparato ad affrontare un
figlio, consolare un bambino che piange la madre.” Sherlock si sentiva pronto ad aiutare
Mycroft, sapeva che suo fratello aveva bisogno di sostegno.
“Cercherò di stargli vicino,
fratellino, ma non lo lascio, devo trovare una soluzione. Tu e John ci siete
riusciti con Rosie.”
“Già, ma siamo in due e abbiamo anche
la signora Hudson. E tu? Devi trovare
una governante che si occupi di lui quando non ci sei, sempre che Miles si
adatti. Puoi contare su di noi, e c’è
anche nostra madre, che ne sarebbe felice.”
Mycroft era turbato, sapeva tutte le difficoltà che aveva a crescere un
figlio.
“Ridurrò il lavoro, non vedo che altro
potrei fare, almeno fino a quando Miles non sarà cresciuto.”
“Non ti vedo a rinunciare al lavoro,
Mycroft. Trova una sistemazione per il piccolo invece, siamo una famiglia
quindi conta su di noi.” Il fratello
maggiore era grato a Sherlock, sapeva che lo avrebbe aiutato.
“C’è una cosa che vorrei chiederti,
fratellino. Ci terrei che tu fossi il padrino di Miles, nel caso mi succedesse
qualcosa. Voglio che non resti solo.”
“Questa te la potevi risparmiare,
Mycroft, starai bene e crescerai tuo figlio, non dire scemate. Ma te lo
prometto sarò il suo padrino.” Mycroft
respirò profondamente e si rilassò.
Intanto John aveva fatto il tè insieme
a Miles e lo portò ai due fratelli.
Miles si accomodò sulle gambe del
padre, e si appoggiò sulla sua spalla.
“Rosie è simpatica Myc, ma si mette in
bocca tutto quello che vede. Credi che lo facessi anche io?”
“Penso proprio di sì piccoletto, tutti
i bambini lo fanno. A volte hanno prurito in bocca perché gli crescono i
dentini, e così mordono tutto quello che trovano.”
“Pensi che avrò una sorella un
giorno?” Mycroft sorrise a denti stretti.
Mentre John e Sherlock ridevano dell’imbarazzo del vecchio Holmes.
“Per ora accontentati di Rosie,
piccoletto.” Miles prese un po' di te
dalla tazzina del padre. Poi scese e girò per la stanza. C’era un mondo da
scoprire in quel posto, così si mise a guardare interessato. Vide delle foto sulla scrivania, mentre gli
Holmes parlavano insieme a John.
Miles si fece serio. “Zio, Myc posso chiedevi una cosa? “
“Certo piccoletto.” Mycroft fissò Miles un po' in allarme.
“Ho una zia? Di nome Eurus? “Sherlock fu imbarazzato dalla domanda.
Mycroft si strinse le mani sulle ginocchia.
“Come lo sai piccolo?” Sherlock e Mycroft aspettarono la risposta.
“Lì zio, c’è una foto. Con dietro
scritti tre nomi. Mycroft, Sherlock, Eurus.
Ma lei nella foto non c’è, perché?
È morta come la mamma? “ Mycroft era
irritato, non era il momento per parlare di Eurus a Miles.
“Eurus è nostra sorella, e quindi tua
zia, ma è molto malata Miles è in un ospedale speciale. Un giorno quando sarai più grande la
incontrerai.” Miles sentì la voce del
padre incollerita, capì che Myc era arrabbiato. Si intimorì.
“Scusa Myc, non lo farò più.” Miles si addolorò, si avvicinò piano a
Mycroft e gli prese la mano, abbassando il capo avvilito.
“Miles, non è successo niente, stai
tranquillo. Mycroft era dispiaciuto per avergli risposto
con cattiveria e si chinò su di lui. “Va
tutto bene piccoletto.”
Miles gli gettò le braccia al collo e
non lo mollò più. Tanto che Mycroft dovette prenderlo in braccio.
Sherlock si avvicinò e lo massaggiò
sulla schiena. “Miles, non avere paura. Siamo una famiglia. E le famiglie si
aiutano. Anche quando qualcuno sbaglia. Ed è allora che lo si ama di più.”
Mycroft si sentì in colpa, e lo fece
sedere sulla poltrona, con delicatezza. Non trovò le parole per consolarlo, si
sentì inadatto e incapace nel ruolo di padre.
Sherlock lo prese per un braccio.
“Comportati da uomo, prima che da
padre.” Gli sussurrò piano. “È un bambino spaventato, ti conosce solo da
poche ore, vedi di regolarti.” Il
vecchio Holmes accusò il colpo e si ammutolì.
John che era forse il più esperto avendo cresciuto Rosie, lo rassicurò e
lo aiutò a distrarsi raccontandogli le malefatte di sua figlia. John gli fece
vedere i suoi giocattoli, e lo invitò a giocare con lei. Rosie già strillava
compiaciuta. Prese a toccare Miles, a tirargli i capelli, a pizzicarlo ficcando
le sue manine paffute dappertutto. Miles rideva, si era già scordato del
rimprovero del padre. Impilava cubi di plastica che Rosie abbatteva
sistematicamente. Ma era attento che non si facesse male. Un piccolo Mycroft insomma, attento a Rosie.
Come il padre lo era stato con il fratello più piccolo, Sherlock. Rosie finì
per abbracciarlo e lo baciò di un bacio appiccicoso e bagnato.
“Rosie!”
Si lamentò Miles con una smorfia disgustata. Poi si asciugò con il dorso
della mano la guancia bagnata. Ma era
felice. Sembrava più maturo per i suoi sette anni.
Mycroft si era rilassato vedendo il figlio sereno. Sherlock voleva
che rimanessero a cenare lì. Così il fratello maggiore non sapendo cosa fare,
decise di rimanere. A cena Miles e Mycroft ripresero il loro rapporto tranquillo, con il
piccolo che non lo lasciava un secondo. Seduto vicino al padre alla fine si
accoccolò sul suo braccio. Chinando la testa la appoggiò su Mycroft, che lo
prese vicino a sé assicurandosi che stesse bene.
“Forse è meglio che torniamo a casa,
che ne dici Miles. Sei stanco?”
“Myc “ Piagnucolò piano il piccolo “Mi sta arrivando il male di testa. Non ti ho
detto che soffro di emi…emicranea.”
Mycroft gli sollevò il visetto guardandolo negli occhi.
“Soffri di emicrania, Miles? Anche io
ne soffro, piccoletto. Non ti sei fatto mancare niente piccolo Holmes.”
Sherlock si preoccupò di prendere in
braccio Miles e lo portò sul divano stendendolo. Sapeva bene cosa passava, in
quanto il fratello maggiore fin da piccolo aveva avuto delle crisi che gli
duravano diverse ore in cui si isolava al buio e lontano dai rumori.
“Zio, nello zaino ci sono le
medicine.” Miles lo disse con un filo di
voce. Il padre rovistò dentro lo zaino e
ritrovò la scatola delle stesse pillole che prendeva lui. John si avvicinò e vide che la dose era
minore di quella che prendeva il padre. Verso un po' di latte nel bicchiere e porse le
pillole a Mycroft, che era bloccato davanti al figlio che si lamentava piano.
Lo spinse con decisione a prendersi cura del piccolo.
“Mycroft, essere padre comprende tutto
il pacchetto, raffreddori, sbucciature, febbri e i mal di testa. Ok. Forza. Lui
ha bisogno di te.”
Mycroft si riscosse prese il posto di Sherlock
e lo aiutò a mandare giù le pillole. Riuscì ad accarezzarlo, tremando un po’
preoccupato e teso.
“Sono qui vicino, piccoletto. Appena
stai meglio ti porto a casa. Nella stanza grande dove non ci sono né rumori, né
luci.” Miles cercò di avvicinarsi, ma
riuscì solo a stare male. Così Mycroft lo prese vicino a sé e lo tenne stretto.
Miles si lasciò andare e chiuse gli occhi sicuro.
Passò una buona mezzora, mentre
Sherlock e John pulivano in cucina.
Mycroft aveva coperto gli occhi del figlio con un panno scuro, e lo zio
gli aveva messo una cuffia per attutirgli i rumori. Miles sembrava riposare, il
suo piccolo corpicino respirava adagio. Mycroft sapeva quanto era dolorosa
l’emicrania che lo colpiva. Almeno un paio di volte l’anno doveva chiudersi in
casa per un giorno intero. Era lo stress che spesso ne era la causa, e di
quello Miles ne aveva passato parecchio.
Mycroft decise di portarlo a casa. La
prima parte era passata. Sherlock
chiamò l’auto poi aiutò il nipote prendendolo in braccio. John istruì Mycroft
su quello che doveva fare a casa. Miles si lamentò debolmente. Lo avvolsero in
una coperta coprendogli la testa. Scesero tutti e tre per adagiarlo
confortevolmente in auto. Mycroft lo tenne in braccio, sul sedile posteriore.
Promise di informarli di come sarebbero andate le cose.
“Mycroft, chiamaci se hai bisogno. E
usa tutta la tua intelligenza per non farti prendere dal panico.! Fratello mio,
non vorrei spaventarti, ma questo è solo l’inizio.” Il fratello maggiore, annuì ma era deciso a
prendersi cura del figlio. Anche se il suo cuore gli tremava nel vedere Miles
in quelle condizioni.
L’auto partì lentamente evitando
scossoni inutili. Mycroft, con l’aiuto
dell’autista riuscì a portare il figlio senza ulteriori danni in casa. Lo mise
nel letto, con le luci soffuse, lo svestì e riuscì a infilargli il pigiama che
gli aveva acquistato Anthea. Miles si
era agitato un poco, ma presto piombò nel sonno.
Mycroft lo coprì poi scese a prendere
dell’acqua e le pillole. Poi si preparò per dormire con il figlio.
Si stese al suo fianco, guardando quel
corpicino esile. E provò una tenerezza dolorosa. Come poteva un piccolo bambino
sopportare tutto questo. Mycroft si sentì, impotente e inutile, e una lacrima
bruciante gli scese lungo le guance. Poi si addormentò con la mano stretta in
quella di Miles.
La mattina dopo, Mycroft si risvegliò con
Miles abbracciato a lui. Il piccolo gli aveva infilato la manina sotto la
giacca del pigiama ed era a contatto con la pelle giusto sopra al cuore. Il
governo britannico si chiese perché la infilasse lì. Come se volesse assicurarsi che il
cuore del padre batteva. Mycroft cercò di fare piano, ma Miles si svegliò e lo
trattenne.
“Stai meglio, piccoletto? vado a
prepararti la colazione, che ne dici?”
Miles annuì, ma non disse nulla, era silenzioso. Mycroft non diede peso alla cosa e scese in
cucina. Miles scese poco dopo, ma con
un’aria triste che lasciò perplesso il padre.
“Vieni piccoletto, oggi latte e
biscotti, contento? “ Miles si limitò a sedersi muto.
“Cosa c’è Miles, non sei allegro come
al solito oggi. “ Mycroft tentò di accarezzarlo, ma il piccolo
si ritrasse.
Rimase sconcertato, poi gli versò il
latte e lo lasciò mangiare senza forzarlo. Forse Miles cominciava ad accorgersi
che lui non era proprio il padre che desiderava. Aspettò di vedere il comportamento del
figlio, che si limitò a mangiare silenzioso. Mycroft rispose a poche telefonate
di lavoro, e informò il fratello che Miles stava bene. Non gli accennò del
cambiamento del piccolo.
Miles intanto stava rovistando nel suo
zaino. E Mycroft lo vide prendere un piccolo libro per leggere. Si fece forza
temendo un rifiuto e si avvicinò.
“Miles, dimmi ho fatto qualcosa che ti
è dispiaciuto? Oggi mi allontani.
Perché? “
“Mi manca la mamma, vorrei tornare a
casa, Myc. Non sapevo che stare con te fosse così difficile, sei così…così…”
“Non sono quel padre che volevi
piccoletto. Posso capirlo, non mi vorrei nemmeno io come padre! Però io ho lasciato a te la scelta Miles. Se
non vorrai stare con me, ti troverò una famiglia che ti voglia bene e ti cresca
con amore. “ Mycroft
si passò lentamente una mano sugli occhi malinconici. “Non posso darti di più di così, Miles non so
fare il padre, e non sono nemmeno un padre amorevole. Mi dispiace.”
“Papà, io ti voglio bene! Ma è così
faticoso sei…sei…così complicato papà! Ma voglio stare con te lo stesso . Ti insegnerò
a diventare un bravo papà. Col tempo sono sicuro che diventerai il migliore del
mondo!”
Miles lo abbracciò e lo baciò sulla
guancia con una forza eccezionale per un bambino esile come lui
“Papà, prova a darmi un bacio anche
tu. E così che si inizia.” Mycroft non
si ricordava nemmeno come si facesse a baciare un bambino. Si commosse, prese il piccoletto in braccio e
lo baciò sulla fronte, sulle guance sulla punta del naso.
“Padre, ora sono troppi! “ Miles rise, allungando le mani sul collo del
padre e pizzicandolo. “Papà. Ti voglio
bene. Mi porterai a trovare la mamma a Edimburgo? voglio portarle dei fiori e voglio che ti
veda.”
Mycroft fece scendere Miles. E annuì.
“Faremo il viaggio, insieme con
l’auto, e andremo da Amanda. Vedremo tutta la campagna inglese. E il luogo in
cui sei nato.” Mycroft scompigliò i
capelli neri disordinati del figlio.
“Miles, ti voglio bene anch’io.
Aiutami a diventare un buon padre, cerca di essere paziente con me. Ho molta strada da fare. E tante cose da
imparare.”
“Certo, papà vedrai che non sarà
difficile. Sei un papà speciale. Lo so.”
Si strinsero forte, consapevoli
entrambi che il viaggio era appena iniziato. Sarebbe stato pieno di insidie ma
anche pieno di momenti piacevoli. Mycroft
e il piccolo Holmes erano decisi a percorrerlo mano nella mano, insieme.
Titolo : Un papà speciale per Miles Holmes.
Una nuvolosa mattina a Londra,
qualcuno bussa alla porta di
casa di Mycroft Holmes. E’ un bambino con i capelli scuri, gli occhi grigi che cerca
il padre….
In una nuvolosa mattina di Londra
qualcuno bussa alla porta di Mycroft Holmes. E’ un esile bambino con i capelli
scuri gli occhi grigi che cerca il padre…..