Convivenza

di Picci_picci
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“Io devo ancora capire perché vuoi una casetta tutta tua”, disse Adrien esasperato guardando il suo kwami.

“Ci siamo già passati su questo discorso, moccioso”, rispose lui volando tra gli scaffali del negozio di giocattoli in cui si trovavano, “Prendiamo la prigione della Lego?”

“Così ti posso chiudere in cella? Ci sto.”

“Ragazzino, sono un kwami. Non puoi mettermi in gabbia.”

“Forse”, intervenne Tikki che fino a quel momento era rimasta in silenzio insieme alla sua protetta, “se fosse una prigione di camembert..”

“Durerebbe qualche minuto, poi la gabbia sarebbe tutta nel suo stomaco”, commentò Adrien con una espressione esasperata.

Marinette si avvicinò a lui e li pose la testa sulla spalla, “possibile che voi due dobbiate sempre litigare?”

“Non è colpa mia, my lady.”

“Vorresti dire che è mia?”, chiese Plagg sbuffando.

“Tacete”, rispose Marinette alzando le braccia, “è colpa di tutti e due. Fine della discussione.”

“Come vuoi.”

“Va bene”, risposero i due litiganti in contemporanea.

“Possibile che una semplice convivenza si sia trasformata in questo?”, chiese Marinette mentre si allontanava con Tikki verso un altro scaffale.

 

Nelle vesti di supereroi, Adrien e Mariette si trovavano in cima alla Tour Eiffel.

“Perché per incontrarci la sera, dobbiamo ricorrere sempre alla trasformazione?”

“Perché se mio padre venisse a sapere che passo tutte le notti con te, verrebbe a cercarti per tutta Parigi tirandoti dietro pane ammuffito.”

“Che brutta visione”, commentò Adrien.

Ladybug si avvicinò al suo compagno, sedendosi poi accanto a lui.

“Povero il mio minou”, esclamò facendoli dei grattini sotto il mento e accoccolandosi al suo fianco.

Lo vide pensieroso per un po’, poi gli occhi di lui si illuminarono come succede sempre quando gli viene un’idea.

“So come fare per evitare tutto questo.”

Marinette sorpresa e curiosa allo stesso tempo, si staccò da lui per vederlo meglio, “sarebbe?”, chiese con un sopracciglio arcuato.

“Vieni a vivere con me.”

Pessima idea, decisamente. Come poteva  Adrien dirglielo come se stesse parlando del tempo? E come poteva dirlo ai suoi genitori? Già si immaginava suo padre richiunderla per sempre in casa e sua madre che piangeva. E il signor Agreste come avrebbe preso la notizia? Non voleva assolutamente pensarci.

Sentì poi due mani sulla vita che la strattonarono verso l’alto.

“Attenta, my lady”, disse lui, “stavi per cadere giù.”

Il suo sguardo si calamitò verso il basso e la distanza che la separava dal pavimento sul quale si sarebbe spiaccicata se non fosse stato per Chat.

“Vorresti toglierti quella maschera di terrore dalla faccia e dirmi cosa ne pensi?”

“Pessima.”

“Pessima, cosa?”

“L’idea”, poi lo guardò negli occhi e un flusso ininterrotto di parole le uscì fuori dalla bocca, “tu non capisci cosa comporta. Cosa direbbe mio padre? E mia madre? E ,soprattutto, tuo padre? Non voglio nemmeno pensarci! Se dicono di no? Cosa facciamo, eh? Diventiamo amanti clandestini come Romeo e Giulietta? Però sarebbe disastroso perché tu moriresti e anche io, e i nostri genitori dovrebbero celebrare il nostro funerale, quando in realtà dovremmo fare un matrimonio, perché è la conseguenza di una convivenza”, si fermò, diventò tutta rossa, e riprese a parlare con più foga di prima, “non voglio metterti fretta o obbligarti a sposarmi. Cioè, chi si vuole sposare? Non io. No che non mi voglia sposare, sia chiaro, è solo che non voglio metterti-”

“Marinette”, disse lui mentre rideva e prendendola per le spalle, “ho capito, tranquillizzati.”

Lei nascose il viso nel suo petto, battendogli una mano sulla spalla, “perché tu ridi sempre?”

“Perché sei uno spasso, mon amour.”

“Fidati, lo pensi solo tu.”

Lui le passò una mano fra i capelli, ormai aveva imparato che quel gesto rilassava la sua lady.

“Da quello che ho capito dal tuo frettoloso discorso, il problema principale sarebbero i nostri genitori?”

Lei annuì con la testa ancora nascosta nel suo petto.

“Se lasciassimo da parte i nostri genitori, tu verresti  a vivere con me?”

Lei lo guardò negli occhi, poggiando una mano sulla sua guancia come per ricordare una carezza, “certo che sì.”

“Bene, problema risolto. Con i nostri genitori parlerò io.”

“Sei sicuro?”

“Sì, ora possiamo andare a festeggiare.”
“Adrien!”, rispose lei mentre lui rideva, saltando sul palazzo là vicino.

Volarono via, di tetto in tetto, fino a raggiungere l’appartamento del giovane. Entrarono velocemente e sciolsero le trasformazioni, e mentre davano da mangiare ai loro kwami si accomodarono al tavolo della sala da pranzo.

“Adrien.”

Lui girò la testa bionda verso di lei, pronto ad ascoltarla.

“Se pensi che io farò la mantenuta, ti sbagli di grosso.”

Solo lui poteva scegliere una donna così complicata. Aveva un ragazzo ricco, perché non sfruttarlo? No, doveva fare l’indipendente e l’orgogliosa; ma l’amava anche per questo.

“Se pensi che ti farò pagare per stare qui, scordatelo. A me basta che continui a cucinarmi quelle fantastiche omelette.”

“Adrien.”

Il suo sguardo celeste non si sarebbe arreso e avrebbe vinto anche questa guerra.

“Va bene. Divideremo le spese, non credo che tu lavori gratuitamente per mio padre.”

“Infatti.”

“Però per il restyling della casa ci penso io.”

“Si può fare. Cosa vuoi cambiare?”

“Quello che vuoi cambiare te.”

“Quindi posso usare la stanza vuota come mio ufficio?”

“Ufficio?”

Lei alzò la mano e iniziò a contare le punte delle dita, “stoffa, manichino, macchina da cucire, album dei disegni..”

“Ho capito, ho capito, sei stata chiara”, disse prendendola in braccio per farla accomodare sulle sue gambe, “certo che puoi usare quella stanza.”

Lei annuì e lo baciò.

 Adrien stava per alzarsi dal quella sedia, che ora era diventata abbastanza scomoda, per proseguire in camera da letto, ma la voce di Plagg li fece fermare.

“Quindi, posso avere anch'io una casetta?”

“Eh?”, chiese molto intelligentemente Adrien con le labbra gonfie dal bacio e i capelli spettinati.

“Uff, voglio una casa. Tikki utilizza la vecchia casa delle bambole di Marinette. Ora verrà a vivere qui e io non voglio una casa delle bambole, quindi puoi comprarci una nuova casa per avere anche noi la nostra privacy?”

“Non ha tutti i torti”, disse Marinette con mani che giocavano con i bottoni della camicia di Adrien.

“Credo si possa fare”, rispose lui, “Plagg, ne parliamo meglio domani mattina, ora io e Marinette abbiamo da fare.”

Lei lo guardò, “Cos- Ah!”, la sua domanda venne interrotta dal suo stesso urlo causato dal movimento improvviso di Adrien.

“Andiamo in camera.”

“Adrien!”

“Stupidi umani in calore.”

 

Così ora, due giorni dopo e una lunga chiacchierata con i loro genitori, erano in questo negozio a cercare  la perfetta casa per i loro kwami.

Marinette passò distratta tra i corridoi, pensando a quante cose dovesse ancora portare nell'appartamento di Adrien, quando una voce improvvisa attirò la sua attenzione e quella di Tikki.

“L’ho trovata!”

Le due svoltarono subito il corridoio successivo per trovare Adrien e Plagg davanti ad un grosso scatolone.

“Stai scherzando vero?”

“No, è perfetta.”

“Ripeto: stai scherzando”, disse Adrien con una faccia sconvolta.

“Ripeto: è perfetta.”

“Cosa succede?”, gli interruppe la voce dolce di Tikki.

“Succede che Plagg ha trovato la casa perfetta per te e lui”, il biondo fece una pausa e indicò con il braccio lo scatolone lì davanti, “vuole che gli compri la casa di Malibù di Barbie.”

“Cosa?”, domandò Tikki sbalordita.

Marinette non si trattenne e scoppiò a ridere.

“Non c’è niente da ridere, mia signora. Questo qui vuole mettere in casa nostra la casetta di Barbie.”

“Ma ha l’ascensore!”, gridò Plagg.

“Ma tu puoi volare!”, gli rispose Adrien allargando le braccia verso l’alto.

“Un punto ad Adrien. E io sono d’accordo con lui”, disse la kwami della creazione, “io lì non ci abito”, concluse scuotendo il capino.

Plagg, vedendo che nessuno dei due lo avrebbe sostenuto, volò verso Marinette e la guardò negli occhi.

“Sai ho sempre saputo che tu eri la più intelligente, dopo di me ovviamente. Non dare una risposta subito, guarda attentamente questa meraviglia”, disse volando davanti al giocattolo esposto, “Ha quattro stanze di cui una cucina e un bagno, ha due piani ma è fornita di un ascensore per raggiungerli comodamente..”

“E questo lo abbiamo capito fin troppo bene.”

“Non mi interrompere, moccioso. Dicevo? Ah, sì, l’ascensore. Possiamo notare che ha anche una terrazza panoramica in cui sono inclusi due lettini e un ombrellone.”

“Perché immagino che tu ti abbronzi molto”, commentò Adrien.

“Silenzio! Quindi, Marinette, che dici?”

Lei lo guardò con la risata mal trattenuta, “dico che è una fantastica casa, ma forse dovremmo trovare qualcosa che piaccia a tutti.”

“Il capo ha parlato”, decretò Adrien.

“Ma io voglio il lettino e l’ombrellone!”

“Plagg..”

“E l’ascensore!”

“Ma, Plagg”

“Mamma!”

I quattro si girarono verso il bambino che aveva appena gridato e che aveva lo sguardo fisso su Plagg.

“Mamma, mamma! Voglio anche io un giocattolo così”, disse indicando l’esserino nero che svolazzava.

La donna, che gli aveva appena raggiunti, li guardò con interesse.

“Vede, è cinese”, inventò Marinette.

“Sì”, le dette subito man forte Adrien, “sa quante ne inventano quelli lì.”

La madre gli guardò con occhi curiosi, “già”, annuì la donna, “andiamo, Juls.”

Quando madre e figlio furono lontani da loro, Marinette e Adrien tirarono un sospiro di sollievo.

“Quindi, l’ascensore..”

“Tu devi solo stare zitto”, lo ammonì il suo protetto.

Stava per riaprire bocca, quando tre occhiate arrabbiate si posarono su di lui, “sapete, penso che si possa anche fare a meno dell’ascensore.”  

***

“Incredibile, ma vero. Ce l’abbiamo fatta”, disse Adrien stringendo a lui il corpo di Marinette.

Erano tutti e due nel, quello che adesso potevano chiamare, loro letto e la loro casa era finalmente sistemata.

Al balcone erano state aggiunte più piante e le sdraio che prima erano nel terrazzino di Marinette, mentre la cucina era stata riempita da dolci di ogni tipo da Tom per paura che i due coinquilini non mangiassero abbastanza. La casa, prima monotona e vuota, aveva assunto colore grazie all'arrivo di Marinette e la stanza disabitata era stata allestita come un piccolo atelier. 

La camera da letto era la stanza che aveva subito meno cambiamenti: era perfetta così, diceva Marinette. Quella stanza, soprattutto quel letto, aveva vissuto la loro storia d’amore insieme a loro due e Marinette non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo; aveva solo aggiunto i suoi vestiti nell’enorme cabina armadio di Adrien, il suo portagioie e le foto di loro due insieme. La novità più importante di quella camera svettava sulla madia: la riproduzione in Lego del castello Disney.

Alla fine era stata Tikki ha scegliere la casetta per lei e Plagg che, dopo le prime negazioni, aveva accettato: “nel castello ci abitano i re, quindi inchinatevi al Re Plagg, sciocchi umani.”

Il castello era stato allestito con un grande cuscino (grande per dei kwami, ma piccolo per degli umani), cucito da Marinette stessa, dove i kwami dormivano tranquillamente, mentre nelle torri erano stati inseriti degli spuntini per i due.

“Ah, papà ha detto che ci ha fatto preparare anche delle stanze alla villa, nel caso volessimo andarlo a trovare o tu ti volessi fermare lì perché hai lavorato troppo a lungo..”

Marinette interruppe la voce intimidita di Adrien prendendogli il viso tra le mani; sapeva bene che il suo ragazzo non voleva lasciare troppo da solo suo padre.

“Va bene, Adrien. Andremo da lui tutte le volte che vorrai”, poi lasciò un bacio sulle sue labbra, “sono con te.”

“Grazie”, disse lui solamente. Niente ghigni, niente battutine, ma solo il suo amore per quella giovane donna che presto avrebbe voluto chiamare moglie.

“Alla fine è successo.”

“Cosa?”

“Questo letto è tornato testimone del nostro amore.”

“Chaton”, disse lei con voce dolce, baciandolo.

E a confermare le parole dei due giovani, nascosta dentro il castello di Re Plagg, una scatolata in velluto nero con dentro un anello faceva bella mostra di sé.



Angolo autrice
Cosa avevo detto? Che avrei preso una pausa da questo fandom e da questi personaggi? Sì, esatto, ma i personaggi non si sono allontanati da me visto che me li sono sognati, e questo è quello che è venuto fuoti. Piccola shot, senza pretese, solo quella di tirarvi su il morale.
Un abbraccio,
Cassie




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