Niki
My
cup of sorrow
Il sapore leggero e speziato del tè nero mi pizzica la
lingua, la vaniglia tenta di addolcire l’amaro che sento in
bocca. Incredibile
come una delle mie bevande preferite mi risulti nauseante in questo
momento.
Il liquido caldo e scuro mi brucia la gola, eppure tremo.
La tazza bollente mi scotta i polpastrelli, eppure tremano.
L’afosa notte di luglio s’insinua dalla finestra,
eppure non
riesco a smettere di tremare. Come se l’inverno ce
l’avessi dentro.
Maura si accomoda accanto a me e mi scruta con attenzione; i
suoi occhi scuri, sempre così severi e critici, si
addolciscono solo per me.
“Vuoi dello zucchero per il tè?” mi
domanda in un mormorio,
spingendo appena la zuccheriera in ceramica verso di me.
Scuoto il capo; una lacrima mi scivola sulla guancia e si
tuffa nella tazza stracolma di tè. Le premure di mia sorella
mi commuovono: lei
è l’unica che mi è rimasta accanto in
ogni circostanza, anche quando sono
scappata, anche quando ho sbattuto il muso contro il muro della vita
vera, anche
adesso che sono distrutta.
“Voglio soltanto dormire” soffio con la voce rotta.
Non chiudo occhio da tre settimane, dalla sera in cui quello
sconosciuto mi ha bloccato al muro e mi ha strappato via i vestiti
– la vita,
la dignità, il sorriso.
Ed eccomi qui, fragile e distrutta, con le palpebre troppo
pesanti e gli occhi appannati da lacrime e vapore. Eppure non riesco a
chiuderli, forse perché so che poi non avrò
più la forza di riaprirli.
Avevano ragione i miei genitori quando dicevano che le
ragazze come me vengono punite, che le ribelli e le diverse non
meritano di
avere un futuro. Ma io non li ho ascoltati, sono stata testarda e
adesso ne pago
le conseguenze.
Solo perché ero una ragazzina che voleva tuffarsi nel mondo
ed esplorarlo fino in fondo, solo perché sono fuori dagli
schemi.
Poso lo sguardo su Maura e capisco fino in fondo quanto ho
fallito: lei si è sistemata, ha una bella casa, un marito
che lavora sodo e una
figlia adorabile; è una brava ragazza, mia sorella.
Mi poso una mano sulla fronte e sospiro. Vorrei tanto
dormire e dimenticare chi sono, risvegliarmi senza avere memoria del
mio
passato e ricominciare a vivere, come facevo prima di tre settimane fa.
Mi porto una mano sul ventre troppo piatto e magro, lascio
che le dita troppo sottili e pallide accarezzino la pelle nascosta
sotto la
stoffa sdrucita. Non riesco davvero a credere che esattamente in quel
punto,
dentro di me, stia nascendo una nuova vita.
Sembra quasi uno scherzo, un paradosso: mentre la mia si
spegne e si consuma, quella del mio bambino comincia ad ardere e
scalpitare. Il
mio bambino, sì, perché lo amo
già e lo voglio con me; in mezzo a questo
mare di dolore, lui – o lei, ancora non lo so –
è l’unico evento positivo,
l’unica fiammella di speranza che mi dà ancora la
forza di lottare.
Anche se è il frutto di una violenza, lui sarà la
creatura
più pura che questa Terra possa conoscere. Sarà
comunque il mio dolce bambino.
Mi specchio nel liquido scuro che ormai riempie la tazza
solo per metà e il mio riflesso sbiadito si perde sul fondo.
Forse sono io a essere sbiadita.
Chissà se mio figlio avrà gli occhi scuri come i
miei, o
saranno di quel blu ghiacciato che riempiva le iridi del mio
aggressore. Ormai
conosco ogni sfaccettatura del suo sguardo cattivo, mi ha costretto a
guardarlo
per tutto il tempo mentre mi metteva le mani addosso e si prendeva il
mio corpo
con la forza. Bastardo.
E quegli occhi mi seguono ovunque, mi scrutano
dall’oscurità, mi intimano di tenere i miei
aperti, in agguato.
Vorrei soltanto dormire e risvegliarmi tra nove mesi, in un
mondo migliore, in una dimensione dove non esiste la violenza e i
colori
riempiono ogni angolo.
Vorrei soltanto insegnare a mio figlio a vivere, senza
sentirmi morire ogni volta che lo guardo e lo stringo a me.
Mi sento così sporca, sudicia.
Mi sento sporca in mezzo alle gambe, laddove sono stata
violata, e non esistono prodotti, saponi o medicine in grado di
ripulirmi.
Mi sento sporca tra i capelli stopposi, tra le pieghe dei
vestiti provati dalla vita di strada, sulla pelle pallida e secca.
Mi sento sporca nell’anima.
Sporca ed esausta. Debole, impotente.
In fondo io che ne so della vita? Che ne so di cosa si deve
fare in queste situazioni, quando qualcuno prende a calci la tua
dignità e ti
lascia a tremare in un angolo, piena di lividi e con un bambino in
grembo?
Io non lo so, perché sono sempre stata ingenua, ho sempre
pensato che la vita fosse soltanto un gioco e che, anche se avessi
perso una
partita, mi sarei potuta rifare nella successiva. Non avevo capito
quanto ci si
potesse far male.
E non lo so perché ho solo ventun anni.
Il futuro mi fa così tanta paura che non lo voglio
affrontare, non ne ho le forze e le capacità. Non sono
pronta a dimenticare lo
stupro, non sono pronta a diventare madre, non sono pronta a crescere
così in
fretta.
Vorrei soltanto serrare gli occhi – una pesante saracinesca
che si chiude sul mio futuro – e rimanere intrappolata in
questo limbo che è il
presente, con la tazza tra le mani e l’aroma della vaniglia
che mi pizzica le
narici, dolce illusione che possa ancora andare tutto bene.
Mi poso nuovamente una mano sul ventre e piango.
Vorrei tanto dormire e non risvegliarmi mai più, lasciarmi
andare al rassicurante nulla privo di pensieri e
preoccupazioni, e
cullare il mio bambino verso l’oblio insieme a me. Staremmo
bene insieme,
lontani dalla crudeltà della vita.
Ma oggi so che non posso, so che lui ha bisogno di me e
lotterò fino all’ultimo respiro per permettergli
di venire al mondo. Perché è
una creatura tanto dolce, senza colpe e senza peccati e lo
terrò in vita così
come lui tiene in vita me.
Anche se ho il cuore pieno di graffi e lividi, oggi finirò
di bere la mia tazza di dolore e andrò avanti per il mio
bambino.
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Era da tempo che volevo scrivere una storia dal punto di
vista di Niki, la madre di Ives; la sua storia è davvero
triste e meritava di essere raccontata.
Per chi non conosce la serie, non farò alcun tipo di spoiler
su come sia andata a finire la vicenda, anche perché non
credo ce ne sia
bisogno – ho cercato di rendere il tutto più
chiaro possibile e limitare al
minimo i riferimenti alla serie di cui lo scritto fa parte ^^
Per chi invece conosce la serie: notate qualche somiglianza
tra il carattere di Niki e quello di Ives? Non l’ho fatto
volutamente, ma
giunta al termine della stesura mi sono resa conto che hanno tanto in
comune,
sono proprio madre e figlio XD voi che ne pensate?
Grazie mille a chiunque abbia letto questo piccolo momento
introspettivo, spero di non avervi turbato troppo con queste tematiche
estremamente delicate!
Alla prossima ♥
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