Il
riposo del guerriero
Per l’immensa e verdeggiante vallata alle falde degli
innevati Monti Paoz regnava una calma quasi irreale, che soltanto
qualche grillo sonnacchioso o qualche sparuto esemplare di rapace
notturno di tanto in tanto osava fendere lanciando il proprio canto, il
cui suono stridente si perdeva tra le spesse ombre della notte appena
calata.
Nell’indaco intenso del cielo occhieggiavano miliardi di
stelle cui facevano da contrappunto sciami di lucciole che vorticavano
sui fili d’erba e tra le fronde degli alberi, eseguendo una
danza d’amore millenaria e affascinante.
Un’unica abitazione sorgeva nel bel mezzo di quel versante
disabitato del Distretto dell’Est. Con i suoi muri esterni
dipinti di bianco e la mancanza di recinzioni appariva semplice e
modesta nell’aspetto, al pari di una casetta di umili
contadini, sebbene la sua pianta circolare e la fattura moderna
stonassero un po’ in quel contesto bucolico che pareva
sospeso nel tempo.
In pochi erano a conoscenza del fatto che quella fosse la dimora di uno
dei guerrieri più forti e potenti non solo del Pianeta Terra
o della Galassia, bensì dei Dodici Universi conosciuti che
compongono lo Spazio infinito.
Era stato proprio tra quelle montagne aspre e irte di pericoli che il
suo animo combattivo si era temprato e il suo fisico mingherlino
forgiato, prima ancora di conoscere il suo eroico destino di salvatore
dell’umanità. Ed era a contatto con quella natura
selvaggia che tornava sempre, alla fine dell’ennesimo
confronto con qualche malvagio nemico intenzionato a distruggerlo senza
scrupolo alcuno.
Lì, tra le pareti di quella sorta di rifugio ai confini con
la civiltà, lontano dalle luci, dallo smog e dal frastuono
dei centri urbani, vigeva una rigenerante quiete che conciliava il
ristoro dello spirito e del corpo, sfibrati dall’aver
affrontato tante impegnative battaglie intergalattiche contro sfidanti
così spietati e agguerriti da mettere in seria
difficoltà perfino l’abilità e la
resistenza di un combattente tenace, instancabile e amante delle sfide
come lui.
La stanchezza fisica ed emotiva era una sensazione che raramente aveva
sperimentato durante la sua movimentata vita costellata di peripezie,
incredibili avventure e duelli contro antagonisti formidabili, eppure
quando arrivava a chiedergli lo scotto non poteva astenersi dal
pagarglielo, con gli interessi. In fin dei conti non era un vero Dio.
Dopo aver risciacquato e lucidato anche l’ultimo piatto del
servizio buono che oramai era costretta da anni a mettere in tavola,
data la penuria cronica di stoviglie sufficienti a servire i pranzi
pantagruelici che preparava per la sua famiglia, la donna dai capelli
corvini raccolti in una crocchia si strofinò le mani un
po’ intirizzite sul grembiule, stendendolo ad asciugare.
L’aria vespertina che entrava dalle tende era piacevolmente
frizzante, ma tutto sommato ancora abbastanza mite per essere vicini
all’autunno. La natura cominciava ad addormentarsi ed era
sempre più raro udire i versi dei tanti animali selvatici
che vivevano nei boschi attorno.
Quella sera poi aleggiava un silenzio insolito anche tra le mura di
casa, tanto che ebbe l’improvvisa quanto abituale sensazione
di essere rimasta da sola. Niente di così imprevedibile, era
tipico di quei due zucconi scapestrati volare via senza neanche
avvertirla per andare a trovare i loro amici, anche agli orari
più improbabili. Le loro energie erano inesauribili.
Chichi sospirò rassegnata e, accertandosi che in cucina
fosse tutto impeccabilmente in ordine, spense l’interruttore,
ritirandosi nella zona più intima della casa. Passando
davanti alla porta della cameretta del figlioletto notò
però uno spiraglio di luce provenire dall’interno.
- Goten! – esclamò sorpresa e rincuorata,
scorgendo il bambino chino sulla scrivania.
Quello le rivolse un sorriso sereno: - Ho appena finito di fare gli
ultimi compiti, mamma – la informò con fare
giudizioso, sistemando libri e quaderni nello zainetto.
- Credevo fossi andato da Trunks o da tuo fratello – ammise
la donna, continuando ad accarezzarlo con uno sguardo affettuoso,
sentendosi in torto per averlo giudicato male.
Goten accese il lumetto sul comodino, prendendo il pigiama pulito dal
cassetto: - Domani ricomincerà la scuola. Devo andare a
dormire presto – affermò come fosse la cosa
più naturale del mondo, mentre alla madre balenò
l’idea folle che quello davanti a lei fosse un clone.
Rispetto a Gohan, che era sempre stato coscienzioso e impegnandosi con
costanza nello studio aveva raggiunto grandi traguardi ed era per lei
motivo di smisurato orgoglio, il secondogenito era ben più
indisciplinato e scostante, non era mai stato troppo ubbidiente o
interessato all’istruzione. Anche a causa delle cattive
compagnie con cui era cresciuto.
Immersa in queste riflessioni, trasalì lievemente nel
percepire il leggero bacio con cui il figlio le augurò la
buona notte, infilandosi subito dopo sotto le coperte.
Quasi in trance per la felicità scaturita da quel
comportamento inaspettato, socchiuse la porta e, spostandosi agilmente
nella penombra, si avviò alla propria camera.
Anche lì, l’accendersi della lampadina le
rivelò un altro fatto insolito: - Goku? Ma che ci fai qui?
– lo accusò quasi, trovandolo steso supino sopra
il copriletto, con ancora indosso gli scarponi.
Suo marito girò appena la testa nella sua direzione, gli
occhi dilatati dall’incomprensione: - Eh?
- Pensavo fossi partito per allenarti da qualche parte –
puntualizzò con un filo di stizza lei, rimuovendo gli
orecchini e sfilandosi il fazzoletto viola dal collo, ripiegandolo
meticolosamente.
- Ma è già buio fuori –
ribatté innocentemente lui, distogliendo il volto verso il
panorama visibile attraverso la finestra aperta e piegandosi pigramente
in avanti per slacciare le cinghie degli stivali infangati su cui si
erano appuntate le iridi impermalite della moglie.
Questa sciolse la cinta che tratteneva il kimono alla vita: - Come se
fosse mai stato un problema per te, da quando usi quel diavolo di
teletrasporto – brontolò indispettita, dirigendosi
dietro il paravento per continuare a cambiarsi e indossare la camicia
da notte. Eppure riconsiderò che durante la cena, nonostante
avesse chiacchierato a lungo e animatamente con il figlio, era stato
alquanto sfuggente. O, per lo meno, più sfuggente del solito.
Avvertendolo rilasciare un sospirone quasi sofferente, fece capolino da
dietro il pannello: - Sei sicuro di stare bene? –
allibì perplessa, vedendolo muoversi a rilento mentre si
spogliava della parte superiore della solita pesante tuta arancione.
Fino al giorno precedente, quello del suo ritorno, le era parso il
solito scatenato maniaco del combattimento.
- Uhm … Sì, benissimo –
bofonchiò svelto lui, distendendosi nuovamente con movenze
rigide e rallentate, che si sforzò di dissimulare con un
sorriso tirato.
Chichi si piazzò ai piedi del letto, piantando i pugni ai
fianchi avvolti dalla leggera veste color crema che le sfiorava
metà coscia: - Hai fatto il bis soltanto due volte! Cosa
c’è? Non ti piace più quello che ti
cucino? O mi stai nascondendo qualcos’altro?
Goku alzò un po’ il collo dal cuscino per poterla
guardare: - No, affatto! I tuoi piatti sono sempre squisiti –
la rassicurò con voce squillante, per poi aggiungere in un
farfuglio, abbassando il mento – Non avevo tanta fame.
La donna annegò nell’ansia, fiondandosi al suo
fianco: - Oh, tesoro! Non ti starà tornando quel disturbo
dell’aura? – s’impensierì,
raddolcendo l’espressione e prendendogli teneramente le
grandi mani insolitamente gelate nelle sue.
- Ecco io … – balbettò nervoso il
saiyan, grattandosi i capelli folti e dritti, quasi provando fastidio
anche a compiere quel semplice gesto, specialmente trovandosi piantate
dentro le proprie le inflessibili e apprensive pupille della sua
consorte, capaci di penetrarlo come una lama affilata.
Non aveva mai avuto paura di mostrarsi debole e vulnerabile, solo
voleva che gli altri non si preoccupassero inutilmente per la sua
salute. Perché contavano essenzialmente sulle sue forze
quando le loro vite erano messe a repentaglio e non poteva permettersi
di deluderli.
Ciò nondimeno era consapevole che, stando sotto lo stesso
tetto con una donna risoluta e attenta a tutto come lei, non avrebbe
potuto fingere a lungo che andasse tutto per il meglio.
- Questa volta è diverso, mi sento completamente bloccato
– confessò a denti stretti, i tendini induriti
sotto la pelle tesa e rabbrividita – Forse è un
effetto indesiderato di quell’Ultra Istinto.
Dovrei andare a consultarmi con Whis ...
- Hai esagerato di nuovo, vero? Sei uno sconsiderato! Vuoi
proprio farti ammazzare! – lo rimproverò
aspramente sua moglie, rifilandogli un violento scappellotto che,
ipersensibile e indolenzito com’era in
quell’istante, lo portò a cacciare un ululante
urlo.
In fondo, per quanto potesse credere di elevarsi sopra gli altri,
restava pur sempre un uomo fatto di carne e ossa. Talvolta tendeva a
sottovalutarlo e quelle erano le ovvie conseguenze.
- Non esiste che te ne vada a gironzolare per il cosmo nelle tue
condizioni – sbottò Chichi, tastandogli la fronte
impregnata di sudori freddi, un tono a metà tra il biasimo e
la compassione – Mi occuperò io di te! Vado a
prepararti un infuso tonificante – stabilì
perentoria, alzandosi di scatto dal materasso la cui vecchia rete
cigolò in rimando.
Goku non riuscì neppure a pronunciare un ringraziamento o a
rifiutare che già intravide la sua sagoma longilinea essere
inghiottita dal corridoio. La sua Chichi non era il tipo con cui poter
discutere e averla vinta, e lui non aveva mai saputo farsi valere con
le parole.
La sentì parlare con Goten e rassicurarlo sul suo stato con
più fermezza di quanto non fosse riuscito lui, poco prima
che si convincesse a rimandare la loro volata notturna.
Rimasto momentaneamente da solo, riprovò ad aprire e
chiudere i palmi, a muovere tutte e venti le dita e poi piano piano le
altre articolazioni anchilosate, avendo la sensazione di essere stato
schiacciato da un rullo compressore. Non era abituato a provare tanta
impotenza. I suoi muscoli si rifiutavano di obbedirgli a dovere e la
sua temperatura corporea si era abbassata.
Era pur vero che in un breve lasso di minuti aveva sostenuto sforzi
immani, non si era minimamente risparmiato e più volte si
era convinto di aver raggiunto il limite delle sue capacità
fisiche e spirituali, ma poi si era di nuovo superato. Ed era uscito
indenne, grazie anche alla complicità dei suoi amici e
all’aiuto di qualche ex nemico. E soprattutto aveva
contribuito a salvare l’universo. O meglio gli universi. Non
se ne poteva rammaricare più di tanto.
Dei passi concitati accompagnarono l’ingresso della sua
energica compagna, che reggeva un vassoio con una tazza fumante: - Ecco
qui. Bevilo tutto, anche se è amaro – gli
raccomandò severa, porgendoglielo e aiutandolo a sollevare
le spalle con premura materna.
Lui inghiottì forzatamente il primo sorso, profondendosi in
una smorfia schifata, al che lei gli strinse il naso per costringerlo a
finire di ingerire il restante liquido: - Che saporaccio –
sputacchiò gemendo e tenendosi la pancia.
La donna mormorò tra sé e sé: le
sembrava di relazionarsi con un eterno bambino troppo cresciuto e si
domandò come avrebbero reagito i suoi terribili avversari se
avessero conosciuto quel suo lato così irrimediabilmente
infantile. Eppure non poteva comunque smettere di amarlo perdutamente
così com’era: dissennato, sciocco, leale,
impavido, altruista. Insostituibile.
Il suo cuore era consacrato a lui e per quante sofferenze le procurava,
più o meno coscientemente, non poteva sopportare di vederlo
soffrire senza agire.
Goku intanto, facendo leva sulla sua indefessa cocciutaggine,
cercò di rimettersi in piedi e camminare: – Non
serve che tu faccia altro! Guarda, sto già molto meglio!
– asserì col suo incrollabile ottimismo, ma la sua
affermazione era in netto contrasto con il movimento robotico dei suoi
arti. Le ginocchia non gli ressero e ricadde miseramente sul letto.
Guaì amareggiato: si sentiva pesantissimo e svuotato, una
carcassa di piombo.
A ripensarci, neanche Vegeta gli era parso al massimo della forma
quando si erano fronteggiati dopo la marachella di Pan. E questa
considerazione un po’ lo confortò.
Chichi frattanto finse di non udirlo, dirigendosi allo sgabuzzino e
recuperando una scaletta che usò per setacciare i ripiani
più alti dell’armadio: - Coraggio, spogliati.
Forse ho un rimedio per i tuoi dolori. È un unguento
speciale che mi aveva dato una vecchia fattucchiera, ai tempi in cui
partecipavo anch’io a qualche torneo di arti marziali. Certo,
non posso assicurarti che ti passi subito tutto quanto, ma magari ne
ricaverai un po’ di sollievo.
Il saiyan a malincuore dovette arrendersi e obbedirle, cominciando a
liberarsi a fatica dei vestiti, contenendo i gemiti per impedirle di
agitarsi ancora di più di quanto già non lo
fosse.
La osservò affaccendarsi instancabilmente e in quel momento
quasi invidiò la sua scioltezza, così come ne
ammirò la grinta e la grazia, esaltate da quella veste
sottile che lasciava trapelare le sue armoniose fattezze femminili. Il
suo aspetto era praticamente rimasto in tutto e per tutto identico a
quello della ragazza fiera e intraprendente che, mossa da un profondo
sentimento romantico, aveva reclamato la sua mano sfidandolo su un
ring. Aveva sempre la stessa corporatura snella e scattante, la stessa
cascata di capelli lunghi e nerissimi, lo stesso modo di fare schietto
e diretto, lo stesso sguardo acuto e vivace; forse si era un
po’ indurita con gli anni, era diventata un po’
meno accondiscendente e tollerante, la sua suscettibilità si
era acuita, ma non aveva perso del tutto il suo animo dolce e
premuroso.
Doveva ammettere che gli piaceva molto essere accudito da lei quando
nessuno poteva vederli, anche se spesso finiva per esagerare con le sue
attenzioni, dimenticando che nelle sue vene scorreva sangue alieno e
che era sostanzialmente immune ai comuni malanni delle persone della
Terra. Ma lei non si era mai posta troppi problemi sulla sua vera
natura che di umano aveva ben poco.
Erano un toccasana quegli spensierati sprazzi di normalità
che gli donava, senza lasciarsi impressionare dalle sue imprese
sensazionali, senza temere di rinfacciargli le sue mancanze, come uomo,
come marito e come padre, ricordandogli che non era né
invincibile né perfetto.
Sentì nascere una fiamma al centro del petto, immaginando
quale adorabile espressione potesse avere la sua faccia mentre
sicuramente stava mordendosi la lingua, nella disperata ricerca di
quell’inutile intruglio che aveva menzionato, maledicendo gli
innumerevoli trambusti subiti dai loro averi.
Avrebbe voluto dirle di non affannarsi troppo a cercare, che a lui
bastava semplicemente sentirsi vivo avendola accanto e poter trovare la
sua mano amica da stringere nel sonno.
Lei invece spanse un risolino compiaciuto agitando una boccetta, si
voltò verso di lui e … avvampò: -
Goku?! Cosa fai! Perché sei nudo come un verme?!
- Mi hai chiesto tu di spogliarmi – le rispose con
semplicità, confuso dalla sua reazione
scandalizzata.
- Non intendevo completamente! – obiettò
imbarazzata la donna, girandosi e temporeggiando nel rimettere a posto
i tanti oggetti tirati fuori dai cassetti così da evitare di
doverlo guardare.
Lui continuava a non capire perché si vergognasse tanto: -
Perché urli? Mi hai già visto altre volte
… – balbettò stralunato, rindossando i
larghi boxer e nel farlo sorrise tra sé e sé:
certe sue strane inibizioni non sarebbero mai scomparse.
Le guance di Chichi erano tinte da un intenso rossore: - Non
così, senza preavviso – puntualizzò
tenendo gli occhi bassi e tornando però ad inginocchiarsi
sul materasso a lato a lui – Avanti, mettiti a pancia sotto
– gli intimò persuasiva, accarezzandogli un
braccio.
- Agli ordini! – esclamò scherzosamente il
guerriero, beandosi poi nel sentire il suo lieve peso salirgli
cavalcioni sistemandosi proprio sul suo didietro, i polpacci lisci e
tonici allacciati attorno ai suoi solidi fianchi. Le era sempre
piaciuto appiccicarsi a lui, rimuginò, ricordando il loro
primo incontro, e oramai non provava più alcun imbarazzo
quando lo faceva. Se nessuno li guardava.
Ebbe un leggero spasmo non appena le sue dita affusolate iniziarono a
solcargli la schiena di granito, premendo con decisione su ogni tessuto
muscolare intorpidito, sciogliendone le contratture. Non seppe dire se
quel massaggio vigoroso e delicato al tempo stesso fosse efficace
perché compiuto con quella misteriosa sostanza gelatinosa o
perché fossero le sue sapienti e amorevoli mani a eseguirlo,
Goku seppe solo che gradualmente cominciò a provare un
piacevole senso di tepore e rilassamento lungo la spina dorsale e non
poté impedirsi di mugolare come un cagnolino appagato.
Con quella ritrovata vicinanza riusciva a inalare il suo fresco profumo
di rugiada e fiori di campo, anche quello sempre uguale dal giorno in
cui l’aveva conosciuta, e percepì espandersi un
calore liquido che s’irradiava ad ogni cellula del suo corpo,
ma non era eccessivo né gli suscitava emozioni aggressive,
come succedeva se era in procinto di sferrare un attacco contro
qualcuno. Anzi, mentre quelle energiche frizioni proseguivano,
risvegliavano tutt’altre sensazioni e istinti, che aveva
trascurato di assecondare.
Dandogli un colpetto di tallone su uno stinco, Chichi si
sollevò quel tanto che bastava perché lui
tornasse a stendersi sul dorso e potesse occuparsi di cospargergli
anche il tronco con quel miracoloso unguento curativo.
I suoi pratici polpastrelli tracciarono cerchi concentrici sui suoi
ampi pettorali che riportavano i segni chiari di qualche nuova
cicatrice, scendendo successivamente sugli addominali che si sorprese
di scoprire essere diventati ancora più turgidi di quanto li
ricordasse.
- Comunque ho ricevuto parecchi colpi anche lì sotto
– farfugliò innocuamente Goku, scostando qualche
filo dei suoi fluenti capelli finiti a solleticargli il collo,
quando lei si piegò a frizionargli insistentemente un
bicipite.
Il modulato attrito tra i loro bacini lo stava destabilizzando un
po’ e intuì che quello stretto contatto non
lasciava indifferente neanche lei, glielo lesse nel sorriso
piacevolmente turbato che curvò le sue belle labbra.
- Lì sotto
te lo spalmi da solo, amore – gli sussurrò
maliziosamente all’orecchio la moglie, posandogli un piccolo
bacio sulla tempia. Dopo più di due decenni di matrimonio,
aveva smesso di chiedersi se delle volte fosse davvero così
ingenuo come dava a credere. Aveva imparato a riconoscere le sue
reazioni e sentiva che sotto di lei si stava surriscaldando. Forse, da
buon saiyan qual era, si stava già ristabilendo prima del
previsto, ma lo avrebbe fatto penare un po’.
Non lo aveva del tutto perdonato per avergli taciuto dove fosse andato.
– Su, raccontami cosa hai combinato a questo Torneo del
potere – lo spronò con uno schiaffetto sullo
sterno, dissimulando il compiacimento dietro un’espressione
accigliata nello scivolargli accanto per dedicarsi a massaggiargli
anche le gambe tornite.
E lui accettò di buon grado il suo invito a chiacchierare.
Non sapeva ancora se sarebbe riuscito a controllare la sua spropositata
forza in quella situazione d’instabilità. Avrebbe rimandato ad un altro momento l’appagamento di quel desiderio di
fondersi con lei, nel fiato e nell’anima.
Il valoroso guerriero incrociò le braccia dietro la nuca,
godendosi quegli sprazzi di soffusa e rasserenante intimità:
- Ci sono stati dei combattimenti davvero molto difficili. È
stato un bene che tu e Goten non siate venuti ...
********************
Nell’enorme
parco situato ai margini della Città dell’Ovest
telecamere notturne e sensori di movimento erano entrati in funzione,
producendo un ronzio a bassa intensità e qualche raggio a
infrarossi che scandagliava i viali, i cancelli e lo spazio aereo
sovrastante per prevenire e scoraggiare intrusioni indesiderate.
Il frastuono
incessante della megalopoli, le cui strade erano attraversate da un
flusso ininterrotto di veicoli volanti o a ruote, giungeva ovattato
all’interno della Capsule Corporation, il gigantesco
complesso di edifici dalle architetture stravaganti che accoglieva
svariati laboratori dotati di tecnologie all’avanguardia e
un’ampia ala residenziale con appartamenti acusticamente ben
isolati e dotati di ogni comfort elettronico, frutto delle ricerche
scientifiche condotte dalle fervide menti degli eccentrici proprietari.
Le sfavillanti luci
colorate diffuse dai mezzi di trasporto e dai megaschermi installati
sui grattacieli che trasmettevano ventiquattro ore su ventiquattro
rintronanti spot pubblicitari e notiziari, erano ugualmente filtrate
dallo spessore delle vetrate fotosensibili di cui era dotata la
struttura, tanto che la loro accesa luminescenza appariva simile a
quella di astri lontani.
Con le sue mura lucide
e ricurve, i pavimenti laminati, le lampade al neon e quella miriade di
stanze accessibili tramite pulsanti e tessere magnetiche che aprivano
porte a scorrimento, quell’abitazione futuristica somigliava
molto ad un’astronave, cui parevano mancare soltanto i motori
per decollare alla volta dell’iperspazio.
Forse proprio per
quella singolare affinità con l’ambiente in cui
era cresciuto, abituarsi a vivere in quel luogo era stato un
po’ meno arduo di quanto avesse previsto, quando, in uno dei
momenti più cupi della sua esistenza violenta e vagabonda,
gli era stata inaspettatamente offerta la possibilità di
restare su quell’infimo pianeta che alla fine non aveva
più conquistato né distrutto.
Abituarsi a convivere
con i suoi abitanti, invece, era stato tutt’altro che
semplice. Troppo diversi i costumi, gli ideali, i modi di fare, i cibi
che mangiavano, i vestiti che indossavano, i valori a cui tenevano. La
pace, prima di tutti. E anche a distanza di anni, di tanto in tanto,
c’era sempre qualcosa di nuovo o sconosciuto che piombava
come un meteorite a sconvolgere i suoi equilibri o quello che pensava
di avere appreso sui terrestri e su se stesso.
Tuttora, riguardando
indietro, non si capacitava di quanto quell’ecosistema
estraneo e il tempo trascorso tra quella gente così
accogliente e pacifica avessero avuto il potere di cambiarlo, pur non
riuscendo a fargli dimenticare del tutto chi era stato e da dove
proveniva.
Soffermandosi a
guardare quelle sue manine paffute e immacolate premute contro la
piccola bocca dischiusa in un sonno sereno, però, si rese
conto che avrebbe desiderato obliarlo.
Anche se non avrebbe
mai potuto accettare di essere un altro, un uomo come tanti,
perché ciò che bramava più di ogni
altra cosa era essere in grado di proteggerla, sempre, da ogni male.
Di proteggere tutti
loro da chiunque avesse osato minacciarli. E non avrebbe fatto sconti a
nessuno, neanche a se stesso.
Ormai erano loro tre
l’unica ragione per cui sarebbe valsa la pena di vivere o di
morire.
Armata di un
telecomando universale con proiezione olografica appena perfezionato al
termine di una logorante sessione di programmazione, la donna con un
corto caschetto di capelli azzurri percorse a passo sostenuto i
labirintici locali inondati dal riverbero di una striscia di led
installati sul piano del calpestio che si accesero al suo passaggio.
Controllando che ogni macchinario non necessario fosse spento, che ogni
stanza inutilizzata fosse serrata a dovere per non disperdere il
ricircolo dell’aria condizionata e che i robot tuttofare
finissero le pulizie domestiche, decise che per quel giorno aveva
lavorato già abbastanza.
Infilandosi
nell’ascensore, Bulma premette il tasto “Livello
02” e in poco più di cinque secondi
risalì dalla Sala Computer del seminterrato fino al piano
adibito a vera e propria abitazione. Quando le porte metalliche si
richiusero dietro di lei e il rilevatore di soglia
intercettò la sua presenza, l’intero corridoio
s’illuminò rivelando una piccola figura che corse
subito a chiudersi nella stanza in fondo a sinistra, credendo
erroneamente di essere sfuggita al suo raggio visivo.
Ma per quanto quel
monello fosse veloce e silenzioso, ormai lei aveva acquisito una certa
dimestichezza nel cogliere i minimi spostamenti d’aria
provocati dalle sue rapide incursioni nella cameretta appartenente
all’ultima arrivata in famiglia, che doveva suscitargli una
malcelata curiosità nel suo essere femmina e mezza saiyan.
Qualcosa di raro che
aveva tenuto in apprensione anche lei, come mamma oltre che come
scienziata, sin da quando aveva scoperto di aspettarla, sebbene poi la
sua venuta al mondo fosse stata tutt’altro che regolare.
D’altra
parte le stranezze fuori dal comune erano una loro caratteristica
peculiare.
Pur avendola tenuta
costantemente sott’occhio sul baby monitor, volle andare ad
accertarsi di persona che la neonata stesse bene. Giunta davanti alla
soglia sobbalzò intravedendo un’ombra dai contorni
frastagliati vicino al lettino che, avvertendo il suo approssimarsi, si
dileguò in un baleno dalla finestra lasciata aperta.
In
quell’istante pensò che forse l’idea di
rendere gli infissi sensibili al riconoscimento del codice genetico dei
componenti del suo nucleo familiare, affinché potessero
entrare e uscire a loro piacimento senza passare dalle aperture
convenzionali, non fosse stata poi così geniale.
Spesso con quei due
scriteriati rischiava di avere dei veri e propri infarti!
Si assicurò
dunque di disattivare quella funzionalità, almeno per la
notte, e dopo aver rimboccato la copertina lilla alla piccolina che era
sprofondata nel mondo dei sogni, proseguì verso la stanza
dell’irrequieto primogenito, per verificare che non fosse
uscito di nascosto.
Il ragazzino,
avvertendo la sua aura avvicinarsi, si affrettò a spegnere
tv, smartphone e computer, facendosi trovare a sbadigliare e
già prossimo ad accoccolarsi sotto le lenzuola.
- Trunks? Non eravamo
d’accordo che saresti andato a letto entro mezzanotte? Domani
la sveglia suonerà alle sette – lo
ammonì con misurata severità, dando una rapida
controllata al contenuto della cartella buttata con noncuranza sul
pavimento.
L’adolescente
roteò gli occhi al cielo e si passò una mano
sulla frangia color glicine: - Lo so, mamma. Ero solo andato a prendere
un bicchiere d’acqua – cantilenò
impertinente, indicandoglielo sul comodino, a riprova della sua
assoluta sincerità.
Bulma
sospirò sconfitta: quel ragazzino stava crescendo furbo,
spigliato e un po’ bugiardo. Aveva ripreso i loro tratti
migliori, o peggiori, a seconda dei punti di vista.
Era un combattente in
erba, tenace e perspicace, ma lei non voleva che trascurasse di
coltivare anche la sua spiccata intelligenza che avrebbe potuto
condurlo a ottenere grandi risultati nel campo delle scienze.
Perciò aveva stabilito che avrebbe continuato i suoi studi
superiori in un istituto prestigioso che potesse fare sviluppare al
meglio le sue potenzialità intellettuali, fornirgli
un’istruzione adeguata e insegnargli un po’ di sana
disciplina, con buona pace del suo temperamento ribelle e combattivo.
Lo salutò a
distanza, raccomandandogli, senza troppa speranza, di non ricominciare
a navigare in rete, e si avviò alla camera che nella maggior
parte delle notti condivideva con suo marito, domandandosi se lo
avrebbe trovato a letto, propenso ad aspettarla e tollerarla oppure no.
Dopo i frenetici
festeggiamenti tenutisi per celebrare il ritorno vittorioso della
squadra che aveva combattuto il torneo intergalattico e la nascita
della loro piccola, aveva messo in conto che lui avrebbe potuto
scegliere di allontanarsi da loro per un moderato numero di giorni,
sospinto dall’urgenza di sfogare le sue innate tendenze
distruttive e la sua incontenibile rabbia.
Quella sua indole
raminga e solitaria d’altronde con gli anni si era soltanto
attenuata, ma era ormai conscia di quanto fosse troppo radicata nel suo
animo di guerriero e che avrebbe sempre fatto parte di lui, nonostante
il profondo attaccamento che provava per tutti loro.
Ad ogni modo, a
quell’ora tarda era troppo stanca anche solo per pensare di
arrabbiarsi, perciò, che ci fosse stato o meno, lei sarebbe
sprofondata tra i guanciali e si sarebbe fatta una meritata dormita e
solo il pianto disperato di sua figlia al massimo avrebbe potuto
convincerla a destarsi.
Accelerò
l’andatura e spalancò la porta della camera,
entrando e cercando tastoni il pulsante di accensione degli abat-jour.
Nel barlume ambrato
diffusosi attorno, si stagliò il profilo del suo burbero
amante. Era sdraiato a petto nudo tra un guazzabuglio di lenzuola,
composto e immobile, gli occhi chiusi ma i lineamenti non troppo
rilassati.
- Stai dormendo?
– le venne spontaneo domandargli, poggiando un ginocchio sul
bordo del materasso e sporgendosi su di lui.
- Ci stavo provando
– biascicò annoiato Vegeta, girandosi su un fianco
e dandole le spalle, avvolgendosi nella sua solita scorza di reticenza
e imperturbabilità.
Una scorza che la sua
volitiva e invadente moglie puntualmente riusciva a scalfire: -
Giurerei di averti visto in camera di Bra, poco fa …
– ridacchiò intenerita, avvicinandosi un
po’ di più per poter sbirciare la sua espressione
imbarazzata.
Le aveva fatto
traboccare il cuore d’amore vederlo impegnarsi a sorreggere
impacciatamente quel dolcissimo fagottino tra le sue braccia nerborute
e rimirarla come fosse un diamante raro e prezioso, e sapere che andava
a sbirciarla a sua insaputa la inorgogliva ancora di più.
- A quale scopo sarei
dovuto entrarci? Svegliarla e sentirla frignare? Non ci tengo
– confutò bruscamente quella sua pretenziosa
illazione, incrociando le braccia in un moto istintivo di disappunto
che però gli procurò un’acuta fitta di
dolore, costringendolo a cambiare posizione, tornando sulla schiena per
allentare la compressione.
Dall’ultimo
breve scontro con Kakaroth si era infatti accorto che i suoi muscoli
continuavano a pulsare e scalpitare e nello stesso tempo ad essere come
atrofizzati da un’opprimente forza di gravità che
lo faceva muovere al rallentatore, e più cercava di
contrastare quella molesta sensazione, più si sentiva
contorcere da lancinanti spasmi che soffocava stoicamente, nella
convinzione che quegli strani sintomi sarebbero scomparsi in fretta
così come si erano presentati, senza dargli altre noie.
Peraltro a quello
provvedeva già benissimo la sua logorroica Bulma, che non
perdeva il vizio di coinvolgerlo in conversazioni futili: - Ho notato
che hai mangiato meno del solito. Forse dopo tutto quello sforzo
atletico ti ci vuole un ricostituente extra –
argomentò saccente, mentre con disinvoltura si spogliava di
jeans e maglietta, rimanendo con l’intimo di pizzo rosa che
conteneva a stento le sue forme più abbondanti –
Quando avrò finito di dedicarmi a me stessa, ti
preparerò una vasca con una soluzione concentrata di
elettroliti e …
Lui le comparve
fulmineamente davanti, sbarrandole la strada per il bagno: -
Scordatelo! Non farò di nuovo da cavia per i tuoi
strampalati esperimenti! – la interruppe trafelato,
già intuendo dove sarebbe andata a parare.
Lei sbatté
le palpebre, offesa e indispettita dal suo atteggiamento scorbutico: -
Lo dicevo solo perché da che sei tornato da quel torneo mi
sembri piuttosto spompato – si giustificò,
tentando di conciliare l’irritazione con la sincera
preoccupazione per la sua insolita fiacchezza.
- Che cosa ne puoi
sapere tu! – le ringhiò contro Vegeta, lasciandosi
sopraffare dalla rabbia e dal malumore, non avendo intenzione di cedere
e ammettere che lei avesse colto in pieno il suo essere tormentato da
uno snervante malessere che non sapeva spiegarsi.
- Niente! Considerato
che tu non mi hai ancora voluto raccontare niente! –
replicò pungente e risentita Bulma, piantandogli un indice
accusatore al centro del petto e folgorandolo con due iridi infiammate
di esasperazione che lui rifuggì seccamente, ruotando le
proprie verso il muro alla sua sinistra. La voce della scienziata
divenne poi più pacata e indulgente nel riapprocciarsi a
lui, carezzandogli fuggevolmente il dorso di una mano che teneva inerte
lungo il fianco: - Ma se ti andrà di parlarne, io
sarò qui – sussurrò accompagnando quel
gentile invito ad uno di quei suoi sorrisi radiosi capaci di disarmarlo
e ammansirlo.
Scoccandole uno
sguardo evasivo e intriso di ritegno, con un profondo respiro il saiyan
fece lentamente dietrofront, rimettendosi a sedere con la schiena
appoggiata alla testiera del letto.
- Ascolta potresti
occuparti tu di Bra, in caso dovesse svegliarsi? – lo
pregò allora lei, additandogli il baby monitor e andandosene
via ancheggiando verso la toilette, con un candido asciugamano
attorcigliato attorno al corpo, determinata a concedersi un lungo bagno
ristoratore.
Vegeta
annuì riluttante. Quell’assurda donna dalla
risibile forza fisica non aveva mai avuto davvero paura di lui e della
sua immane potenza annientatrice, forse perché era stata sin
da subito consapevole di esercitarne una di pari valore su di lui.
E lui alla fine si era
arreso definitivamente a quella che era nata solo come impulsiva
attrazione carnale, vinto dalla sua eccezionale arguzia, dalla sua
ardita determinazione e dalla sua incorreggibile sfrontatezza. E forse
sì, anche da quell’indomita e spregiudicata vena
di follia, che tanto spesso lo irritava, quanto altrettante volte lo
ammaliava.
Non era possibile
annoiarsi troppo vivendo insieme a lei.
Sebbene talvolta
preferisse allontanarsi dal suo calmante influsso, adesso era una di
quelle notti in cui sapeva che sarebbe stato indispensabile a scacciare
l’angoscia e il livore che generava nella sua mente il
pensiero che quella rediviva lucertola malefica o qualche altro essere
aberrante proveniente dagli spazi siderali stessero tramando di tornare
ad attaccarli.
E soprattutto che lui
tuttora fosse impreparato ad affrontarli con la dovuta accoglienza, a
causa di quel subdolo spossamento che l’aveva avvinto.
E la questione lo
impensieriva particolarmente, dato che aveva scoperto che di
potenziali nemici dai formidabili poteri ne esistevano molti di
più di quanto non avesse mai immaginato.
Era comunque certo che
si sarebbe ristabilito in poco tempo senza troppi problemi, soltanto
voleva riuscire a liberarsi almeno per qualche ora da
quell’assillo con una lunga dormita, e invece quella femmina
dispettosa stava volutamente tardando a raggiungerlo, affidandogli
l’incombenza di badare alla marmocchia, che almeno al momento
gli stava risparmiando la seccatura di andarla a dondolare.
Mentre stava ancora
dibattendosi in quelle considerazioni, l’azzurra ricomparve
riservandogli un affettuoso cenno di ringraziamento per il suo essersi
prestato a sostituirla.
Il Principe dei saiyan
inghiottì un grumo amaro, deprecandosi per essere diventato
tanto malleabile e non potendo trattenersi dal divorarla con
un’avida occhiata, vedendola denudarsi con spudoratezza del
telo di spugna e infilarsi una succinta sottoveste color pesca.
A quella sensuale
visione, il suo sangue ribollì improvvisamente dal bisogno
di averla accanto e la sua lingua si mosse ubbidendo a quella viscerale
pulsione: - Bulma … Puoi restare, se riesci a stare zitta
– mugugnò laconico ed eloquente, staccandole le
pupille di dosso, appuntandole al soffitto e distendendosi con un
braccio sotto la testa, ostentando indifferenza.
- Vi ringrazio per la
vostra magnanimità, principe – fu
l’irriverente risposta della consorte, che, essendosi
già convinta di dover ricorrere all’opzione di
trasferirsi in un’altra stanza, si rallegrò di
essere stata smentita con quella schiva richiesta.
E tuttavia
continuò a studiarlo. Era un’acuta
osservatrice e dal suo ritorno presentiva che l’indecifrabile
compagno le stesse nascondendo qualcosa; quello strano affaticamento
che si ostinava a minimizzare non dissipava affatto il suo crescente
sospetto.
Bulma
indugiò qualche secondo a pettinarsi i capelli arruffati dal
vapore dell’acqua calda e a ricontrollare il video trasmesso
dal monitor installato nella stanza della figlioletta, che ancora non
aveva stranamente reclamato la sua poppata.
Abbassando
l’intensità delle luci d’ambiente, si
rannicchiò al fianco del marito, deliziandosi del contatto
con il suo corpo straordinariamente solido e caldo, risultato di un Dna
sovrumano e di una tenacia atletica che rasentava
l’ossessione.
Fece scorrere le dita
sulle vene in evidenza nel possente braccio che teneva rilassato contro
l’addome, sentendolo contrarsi lievemente e rabbrividire,
quasi provasse disturbo anziché calmarsi. Lo conosceva sin
troppo bene e capì che non era una reazione normale, ma
volle correre il rischio di continuare a provocarlo per scoprire fino a
quanto avrebbe resistito a tacerle quello che gli stava succedendo.
Immaginava che lui,
orgoglioso, riservato e taciturno qual era, non avrebbe spiccicato
alcuna confessione a riguardo di ciò che lo affliggeva,
neanche sotto tortura, eppure ciò non la frenava
dall’illudersi che magari avrebbe smentito le sue previsioni,
com’era già accaduto in altre occasioni.
Lui non
batté ciglio nel sentirsela strusciare addosso, rimanendo
nella stessa rigida posizione, finché lei non si
allungò a schioccare le labbra su una sua guancia: - Mi sei
mancato – sussurrò suadente sulla sua bocca,
rotolandogli sopra e avvertendolo strozzare un gemito.
- Ma se sono stato via
per meno di un’ora! – la contraddisse infastidito,
soffiando e ritraendosi come un gatto cui avessero pestato la coda.
In realtà
era arrabbiato più che altro con quello che doveva essere un
maledetto effetto collaterale di tutti quei convulsi combattimenti al
limite delle sue capacità, perché il suo sublime
tocco, che era sempre stato miliardi di volte superiore a qualsiasi
droga, adesso gli procurava lo stesso bruciore di un’ustione.
Sua moglie si
risollevò, incrociando le gambe, e
s’imbronciò, credendo di aver frainteso la sua
predisposizione alla sua presenza: - Insomma, si può sapere
che accidenti ti prende? – lo esortò spiccia a
confidarsi, pur sapendo che non era da lui mostrarsi fragile o
tantomeno chiedere aiuto.
In quello non sarebbe
mai cambiato e lei in fondo si era innamorata da subito di quella sua
smisurata fierezza e della sua perseverante forza di volontà.
Stanca di scontrarsi
col suo ostinato mutismo, Bulma fece per alzarsi e lasciarlo alle sue
ignote macerazioni interiori, una sua ruvida mano però la
afferrò con moderata possessività per un polso,
scusandosi implicitamente, riportandola a stendersi piano contro di lui.
I suoi callosi
polpastrelli cercarono la pelle vellutata della donna, velata da
quell’impalpabile veste di seta: - Passerà
– mormorò fermo e asciutto Vegeta, circondandole
un morbido fianco per stringerla ancora di più al suo
essere, riscoprendola ancora più desiderabile nelle curve
arrotondate dalla recente maternità, che blandì
di lente e insistenti carezze.
Inspirando quel suo
inebriante profumo di frutti esotici che nessun volgare deodorante o
sapone avrebbe mai potuto eguagliare, pensò che aveva
conservato intatto negli anni il suo potere di placarlo e indicargli la
via di casa.
Salve :)
Ringrazio quanti hanno
dedicato qualche minuto del loro tempo alla lettura di questa shot,
nata così in pochi giorni, quasi involontariamente, per
omaggiare e analizzare le due coppie principali di questo manga/anime
su cui non ho mai scritto molto.
Tra l'altro ho
recuperato Dragon Ball Super da pochissimo, perché la prima
volta che lo avevano trasmesso lo avevo abbondanto quasi subito e
invece ci ho trovato qualche spunto interessante, soprattutto a livello
di espansione degli universi e dei poteri finora conosciuti, oltre che
nei filler che ci hanno mostrato qualche scorcio domestico dei nostri
eroi.
Ho cercato in
particolare di
rendere Goku un po' meno bambinesco e Vegeta meno fluff di
quanto non sia apparso in alcuni episodi, pur considerandone
l'evoluzione.
Spero di essere riuscita
a rendere giustizia ai personaggi e di avervi divertito.
Un parere, anche
piccolo, è sempre gradito ^_^
Alla prossima!)
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