Un visionario in fuga

di TDwriter
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Capitolo VIII

Quando la vide fuggire, non poté biasimarla. Primo di tutto: da quanto tempo era sparito? Quasi diciotto mesi. Secondo: qual era il suo aspetto? Non uno dei migliori. Aveva dovuto finire la bottiglia per raccattare il coraggio sufficiente. Si risedette a fatica, appoggiandosi al muro. Ora gli sembrava tutto così lontano, tutto così stupido. Andare, partire, non tornare mai più. E per cosa? Mise la mano in tasca, come per carezzare la lettera che aveva rimuginato a lungo se lasciarle o meno. Forse era stupida anche quella. Forse non viveva in un romanzo e avrebbe dovuto aspettare e sperare che lei alla fine acconsentisse di parlare con lui, per dirglielo di persona. Aspettò.

Alla fine la vide uscire dal bar con un'altra donna che era entrata prima (Sonia, forse? Gliene aveva parlato spesso, ma l'aveva vista solo qualche volta). Le vide venire verso di lui e si alzò, tentando di non barcollare.

“Ciao Alessandro” si sforzò di sorridere Irene

“Ciao” provò a dire lui, ma gli uscì un suono incerto “E tu sei?” chiese all'altra donna, tentando di dire qualcosa

“Ciao, io sono Sara, sono...un'amica di Irene. Mi ha parlato di te” gli strinse la mano

“Anche di te” ricambiò. Sorrise appena: gli aveva parlato di lui.

“Mi fa piacere, avrete un sacco di cose da dirvi” continuò lei

“Si, in realtà speravo potessimo entrare in casa, sto congelando”. Di colpo si sentì più rigido. Forse si era spinto un po' oltre? Ma le due donne sembrarono non farci caso e anzi, Sara lo invitò a salire per cenare con loro. Fu così bello che quasi non si accorse di star entrando nel palazzo.

Già l'androne delle scale, gli sembrò più caldo. La casa poi, un lusso. Si era ripromesso più volte di non fare complimenti, ma alla fine si rese conto che se si fosse lavato e avesse mangiato qualcosa sarebbe stato meglio per tutti. Si fece prestare una grossa vestaglia e mise a lavare anche le proprie cose. Dopodiché, si diresse in camera da letto per cercare di riordinare i pensieri e, prima di poter fare altro, si addormentò.

 

Quando si svegliò, il tutto non gli sembrò vero. Si rigirò nel letto, al buio, sentendo il profumo del cuscino di Irene nelle narici, sentendo il rumore di lei che era di là a lavare i piatti. Poi qualcuno bussò alla porta, lui schiuse le palpebre e si risvegliò del tutto.

“Avanti” disse quasi come se fosse casa sua, sentendosi di nuovo uno stupido. Irene entrò, accese solo la bajour e posò sul comodino un piccolo vassoio con due panini e una bottiglia d'acqua. Quasi si avventò sul cibo, non potendo farne di nuovo a meno. Non importava, presto avrebbero risolto tutto. Quando finì, si prese un momento per osservarla: si era seduta sul bordo del letto; aveva lasciato dietro di lei la porta aperta, da cui si poteva intravedere Sara, seduta sul divano a fingere di fare altro. Non si fidavano, ma lui sapeva che Irene era sempre stata troppo buona. Cercò di ricomporsi, lisciando le pieghe del lenzuolo morbido.

“Irene” cominciò poi “ È vero, sono sparito, ma ho un sacco di cose da dirti e la prima è che tornando ho capito una cosa: io ti amo”.





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