Epilogue – one year
later
「 Cambridge,
Boston, 5th June
h. 09:02 a.m.」
Un raggio di sole fastidioso penetra dalla finestra, finendo
direttamente sul suo volto.
Jude mugugna pigramente, affondando il viso nel cuscino. Inspira a
fondo il profumo di pulito delle lenzuola, e subito un sorriso gli
compare sul volto.
Il ragazzo si ritrova a rotolare tra le lenzuola, finché non
si ritrova a puntare lo sguardo sul soffitto. Travi di legno che si
susseguono, in un’alternanza perfetta.
Percepisce una moltitudine di profumi: legno stagionato, il delizioso
profumo della carta dei libri e, infine, l’aroma meraviglioso
del caffè.
Il sorriso sul suo volto si allarga ancor di più mentre si
mette a sedere sul materasso.
Non si sono trasferiti da molto tempo nel campus universitario di
Harvard. Il letto è l’unico mobile che i
trasportatori non hanno ancora consegnato, ma Jude non riesce a
dispiacersene, in fin dei conti si trova comodissimo anche con il solo
materasso poggiato a terra. Le ultime due settimane sono state
piuttosto caotiche, piene di scatoloni da riempire, bagagliai
di automobili da colmare, viaggi da un appartamento all’altro
e poi la ricerca del posto adatto per ciascun oggetto nella loro nuova
collocazione, un attico da poco ristrutturato all’interno di
quello che, in pochissimo tempo, era diventato il loro nuovo mondo. Un
luogo piccolo, calmo, accogliente, il migliore che potesse desiderare.
Boston è veramente dietro l’angolo, eppure Jude
sente in un certo senso di essersela lasciata alle spalle. Il campus
è la sua nuova dimensione: le lezioni occupano la maggior
parte del suo tempo, ma quando è lontano dalle aule gli
piace entrare in un caffè e prendersi un cappuccino caldo da
sorseggiare.
In quella nuova dimensione si sente così a suo agio. I suoi
compagni di corso lo adorano, gli esami stanno andando benissimo
– ha sempre totalizzato il massimo dei voti, per ora
– e le lezioni sono una più interessante
dell’altra. È felice di aver scelto la
facoltà di matematica e non quella di economia, come invece
la sua famiglia aveva da sempre progettato per lui. Gli sembra di aver
cominciato a respirare veramente solo in quell’ultimo anno di
vita.
Il parquet scricchiola mentre dei passi si avvicinano a lui.
Istintivamente il volto del ragazzo si illumina di gioia.
Ray tiene in mano due tazze di caffè, e ricambia subito il
sorriso del ragazzo non appena lo vede seduto sul materasso.
«Oh, ti sei svegliato» commenta, sedendosi accanto
a lui. «Buongiorno, tesoro.»
Ray gli posa un bacio sulle labbra, e Jude sente il cuore battere ancor
più veloce. Quella convivenza è
l’esperienza migliore della sua vita, sul serio.
«Buongiorno» ricambia, lasciandosi passare la tazza
che Ray gli sta porgendo.
«Spero di non averti svegliato io mentre litigavo con i
fornelli» commenta, infilando una mano tra i capelli
arruffati del ragazzo e scompigliandoli ancor di più.
«Nah» lo rassicura Jude. «Diciamo
piuttosto che è stata colpa di un raggio di sole
dispettoso…»
Ray si prende il mento in una mano, pensieroso. «Mh, in
effetti forse dovremmo prendere delle tende…»
Jude sospira, ma un sorriso si forma comunque sul suo volto. Sgattaiola
piano lungo il letto fino a raggiungere la figura dell’uomo,
per poi accoccolarsi tra le sue gambe.
Ray Dark è l’uomo più straordinario che
esista al mondo, di questo Jude ne è convinto da molto
tempo. Dopo che Jude era tornato da lui, Ray gli aveva raccontato di
aver consegnato le dimissioni dal Cambridge Ringe già prima
della cerimonia dei diplomi. In inverno, dopo la loro separazione, Ray
aveva mandato il suo curriculum ad Harvard, certo che i dottorati che
aveva conseguito ai tempi del college e le varie ricerche che aveva
pubblicato su diverse riviste letterarie nel corso degli anni fossero
delle referenze più che valide. La verità
è che avrebbe potuto fare quel passo già molto
tempo prima, solo che fino ad allora non aveva avuto il coraggio
né, soprattutto, una valida motivazione per farlo. Certo, la
paga come insegnante in un liceo non sarebbe mai equivalsa a quella che
una delle migliori università americane avrebbe potuto
offrirgli, tuttavia nella piccola e quieta dimensione liceale non
s’era mai trovato male.
Da quando Zoolan aveva ottenuto la cattedra del liceo in cui
così a lungo aveva insegnato, tuttavia, la sua vita aveva
ricominciato ad essere un incubo. Credeva di essersi liberato di
quell’individuo una volta terminati gli studi, e invece no,
era tornato direttamente dal suo passato per rendergli ancora una volta
la vita un inferno. Quella volta, tuttavia, Ray aveva deciso di non
rimanere spettatore. Non voleva più osservare
immobile tutto ciò che nel tempo e con molti sacrifici aveva
costruito andare in frantumi, così s’era mosso
prima che fosse troppo tardi.
Il rettore Raimon si era dimostrato entusiasta al pensiero di assumere
uno dei più brillanti ex studenti
dell’università come nuovo professore. Ray aveva
ottenuto la cattedra di letteratura inglese moderna, e per lui era
stata una vera e propria benedizione. Nel momento in cui aveva
cominciato ad insegnare ad Harvard, a Jude gli era parso di vederlo
rinascere: di rado lo aveva mai visto così felice prima.
È tutto perfetto. Compreso il fatto che tutti sono a
conoscenza della loro relazione. Stanco di nascondersi, Ray prima di
accettare l’incarico aveva parlato con il rettore della loro
relazione. La sua risposta era stata semplice quanto spiazzante.
“Finché non interferisce con il tuo insegnamento,
non vedo che problema possa esserci.”
Ed era vero. Jude frequenta la facoltà di matematica, Ray
insegna in quella di letteratura. Due mondi che non avranno mai modo di
collidere e di influenzarsi dal punto di vista professionale.
Così era cominciata la loro nuova vita, fatta di passeggiate
mano nella mano lungo i viali del campus e pomeriggi passati a
sorseggiare insieme tè verde in una caffetteria. Felici,
innamorati, sotto agli occhi di tutti.
Il sogno che avevano sempre conservato si era finalmente realizzato.
Ray osserva accigliato il ragazzo, che gli si è stretto al
petto in cerca di protezione. Gli accarezza piano i capelli, scivolando
verso la spalla.
«Oggi è il giorno» mormora, intuendo le
sue preoccupazioni.
Jude si abbandona alle sue carezze. «Mh mh» mugola,
ancora intrappolato nei suoi pensieri.
Ray si china piano su di lui. Gli tiene il volto tra le mani, e lo
bacia con tutta la dolcezza del mondo. Percepisce la paura crescere
piano dentro di lui, e adesso vorrebbe solo poter alleggerire un poco
il peso che gli grava sul cuore.
«Ehi» lo chiama piano. «Sarò
lì accanto a te, non hai nulla di cui temere. Ho intenzione
di tenere la tua mano stretta e di non lasciarla nemmeno per un
secondo…»
Ray si interrompe, avvertendo il ragazzo affondare il volto contro il
suo petto e strusciarsi sul tessuto candido della camicia che indossa.
«Lo so» ammette. «Tu sei
l’unico motivo per cui sento di potercela
fare…»
Ray gli posa piano un bacio tra i capelli. Ce la farebbe comunque,
perché per quanto Jude si ostini a non volerlo comprendere
lui è probabilmente la persona più forte che
abbia mai conosciuto in vita sua, ma se il suo supporto può
essergli in qualche modo d’aiuto Ray è determinato
a non farglielo mai mancare in alcun modo.
«Partiamo solo quando te la senti» conclude,
continuando a tenerlo stretto a sé.
L’autostrada si schiude davanti a loro come una lunga lingua
di asfalto grigio.
Jude preme la suola delle sue scarpe contro il cruscotto
dell’auto. Ray ha perso il conto delle volte in cui gli ha
chiesto di non farlo, ma ormai si è arreso.
E poi quello non è un giorno come un altro. È
tutto diverso, e lo sanno bene entrambi.
«Hai più sentito tuo padre?» domanda
soprappensiero.
Jude cambia stazione radio e Ray si morde la lingua, certo di aver
combinato un casino. Apparentemente, però, non è
così.
«No» si limita a rispondere Jude.
Il ragazzo volta lo sguardo di lato, mettendosi a fissare le auto che
scorrono accanto a loro lungo la strada. È una giornata
calda, e il sole è alto nel cielo. Una strana discordanza,
considerando che esattamente un anno fa quello stesso giorno si era
scatenato un violento temporale.
A ripensarci bene, forse si era trattata di un’avvisaglia di
quello che sarebbe successo poche ore dopo.
Jude viene rapito nuovamente dai suoi pensieri. No, non ha
più sentito suo padre da quando, quel pomeriggio a
Brookline, ha scelto Ray. Sinceramente, la cosa non gli ha mai pesato
per nulla, perché alla fine lui ha sempre voluto passare il
resto della sua vita con Ray, e ora che finalmente
c’è riuscito sente di non avere alcun rimpianto.
Non sa se un giorno lui e suo padre torneranno a parlarsi, per ora si
accontenta di quella nuova normalità che così
tanto ama.
Più si avvicinano alla loro meta, e più Jude
sente quel peso che già dal mattino s’è
fermato nel suo petto crescere ancor di più. Non
c’è nulla di bello nel momento che si stanno
apprestando a vivere, lo sa bene.
Ray svolta a destra, e la macchina imbocca un ampio viale. Fin da
lì, Jude riesce a vedere le mura alte che si stagliano verso
il cielo.
La macchina s’arresta. Jude comprende che sono arrivati.
Scende piano dall’auto, mentre Ray recupera dai sedili
posteriori ciò che hanno portato.
Non appena lo raggiunge, Jude lo sente stringergli la mano, e gli
è così grato per quel gesto.
Non è da solo. Sono insieme. Affronteranno insieme
ciò che sta per accadere.
S’incamminano assieme verso i cancelli, e Jude riesce ad
individuare fin da lì le tre figure che li stanno attendendo.
Non vede i ragazzi dall’estate precedente, ed è
grato di averli finalmente ritrovati, anche se si sarebbe auspicato
delle circostanze più liete.
David si era iscritto all’università di San
Francisco. Joe, chiaramente, l’aveva seguito, e aveva trovato
lavoro presso un’officina in città. I due sembrano
il ritratto della felicità, e la loro relazione procede a
gonfie vele.
Caleb, invece, era rimasto a Boston. Si manteneva trovando di tanto in
tanto qualche lavoretto saltuario, tuttavia nessuno di loro aveva
informazioni precise al riguardo.
Non appena lo vede avvicinarsi, David gli rivolge un sorriso smagliante.
«Jude» lo saluta. «Sono felice che siate
venuti.»
«Ciao, ragazzi» ricambia Jude, incerto.
Joe accenna un saluto a mezza voce, mentre Caleb si limita ad
osservarlo. In quegli occhi verdi Jude ci legge un mare di emozioni, da
troppo tempo tuttavia vi vede albergare una tristezza che mai avrebbe
immaginato di attribuire all’ex capo della banda. Purtroppo
però è evidente che nel corso
dell’ultimo anno le cose non sono cambiate poi molto.
«Andiamo?» domanda Joe, e sa già che la
risposta rimarrà sospesa nell’aria.
Varcano i grandi cancelli di ferro in un silenzio inviolabile. Jude
continua a tenere la mano di Ray serrata nella propria, e gli pare
l’ultimo contatto che ancora gli rimane con la
realtà. David sta tutto stretto al corpo di Joe, e fatica
già a trattenere i singhiozzi.
Caleb è imperscrutabile. Più Jude ci pensa, e
più non riesce a fare a meno di chiedersi se lasciarlo da
solo in quei mesi sia stata la scelta giusta. I primi tempi ha fatto la
spola tra Boston e l’università, cercando di
rimanergli vicino quanto più possibile. Ora che
però la vita universitaria l’ha risucchiato del
tutto, non può che chiedersi se le cose siano migliorate.
Il cimitero di Boston è una continua alternanza tra piccole
lapidi e mausolei imponenti. Jude lo ricorda ancora
dall’unica altra volta in cui è entrato
lì, circa un anno prima. Quel luogo riesce ad infondergli
uno strano senso di soggezione, che lo porta ad affondare il capo nella
felpa e le mani ancor più a fondo nelle tasche. Ray tiene
tra le mani un mazzo di piccoli fiori azzurri, non ti scordar di me.
È sembrata loro la scelta floreale migliore: nel nome
risiede tutto ciò che hanno da dire.
L’idea di quell’incontro è stata di
Caleb, ma a contattarlo ci ha pensato David. Per un po’ Jude
si è chiesto il perché di
quell’anomalia, ed è giunto alla conclusione che,
forse, Caleb non avrebbe avuto le forze per pensarci da solo.
Si fermano solo una volta raggiunta una lapide in particolare.
È di pietra, bianca e lucida, e sembra spiccare tra le altre
che la circondano.
In alto al centro compare la foto della persona sepolta là
sotto: una ragazza dai capelli violetti, che nello scatto tiene gli
occhi chiusi mentre un sorriso le solca il viso.
Jude non avrebbe saputo scegliere una foto migliore per rappresentare
Camelia: una ragazza dolcissima, sempre sorridente, altruista e leale.
Era stata il collante delle anime di quei quattro ragazzi disperati, la
luce nella loro miseria.
No, non è riuscita a vincere la sua battaglia. Ma
l’ha condotta fino alla fine con una grande perseveranza, e
forse questo è ciò che conta di più.
David e Joe sono i primi a deporre i fiori accanto al sepolcro.
«Me lo ricordo ancora il giorno in cui Caleb ci ha
presentati» racconta David. «Avevi un sorriso
delizioso, ed è lo stesso che ti è rimasto sempre
in volto. Anche quando passavo ad aiutarti con lo studio, negli ultimi
mesi, non hai mai smesso di sorridere. Senza di te non so dove saremmo
oggi. Ci hai aiutati a ritrovare la strada, e d‒di questo te ne saremo
sempre grati…»
La voce di David si spezza verso la fine. Le lacrime bagnano copiose il
suo volto, e Joe lo aiuta ad allontanarsi pacatamente, cercando di
provare a fargli riprendere fiato.
Jude sa che ora tocca a lui. Non lascia la mano di Ray nemmeno per un
momento, e si avvicinano assieme alla lapide. Posa i non ti scordar di
me accanto ai fiori di David e Joe, e poi, lentamente, comincia a
parlare.
«Siamo sempre state quattro navi perse nel mare»
ammette. «Cercavamo una via, la luce di un faro che
c’indicasse la rotta da percorrere, senza però
riuscire a trovarla. Se c’era qualcosa su cui fossimo tutti
d’accordo, tuttavia, era il fatto che tu stessa fossi una
luce di salvezza. Quando Caleb ci parlava di te, vedevamo i suoi occhi
illuminarsi, e per un attimo ci sembrava di averla trovata, la via per
fuggire dal baratro che ci aveva inghiottiti. Ci avevano definiti
“giovani senza speranze”, senza un futuro, ma credo
che se adesso quel futuro l’abbiamo trovato sia solo merito
tuo. Caleb è letteralmente tornato alla vita grazie a te,
noi abbiamo ricominciato a studiare, ci siamo diplomati…
tutto per merito tuo. Questo non significa che non ci siano stati altri
momenti bui. Mi ricordo che l’anno scorso mi ero
letteralmente perso, mi guardavo allo specchio senza riconoscermi.
Quando ne ho parlato con te, però, tu sorridendo sei stata
in grado di farmi aprire gli occhi. Finalmente ho capito quello che
avrei dovuto fare, e se oggi sono la persona che sono non esagero
dicendo che il merito è quasi tutto tuo. Sei stata una delle
migliori amiche che potessi desiderare...»
Jude si ferma. Respira a fondo e tira su col naso, cercando di non
crollare proprio all’ultimo.
«Ti voglio bene, Camelia. Riposa in pace, ovunque tu
sia» conclude.
Un brivido gli corre lungo la schiena. Ray lo stringe forte a
sé, e insieme si allontanano di qualche passo.
L’ultimo ad essere rimasto davanti alla lapide è
Caleb. Per un momento un sorriso triste gli compare sul volto:
è fin troppo evidente che gli altri gli abbiano voluto
lasciare un po’ di tempo da solo.
Si avvicina alla lapide, inginocchiandosi a terra. Posa i propri fiori
tra quelli di David e gli altri portati da Jude, per poi passare le
dita lungo la pietra candida e gelida. Stacca piano alcuni fili
d’erba che sono cresciuti in prossimità del
sepolcro, infine si perde per un momento ad accarezzare la foto di
quella che è stata la sua ragazza.
L’ha amata. L’ha amata con tutto se stesso, e
l’ama tutt’ora. Non riesce ad immaginare di poter
amare un’altra persona tanto quanto ha amato lei.
«Beh, è stato un bel viaggio» commenta.
«Penso che non ti dimenticherò mai.»
Un soffio di vento si alza, carezzando la pelle di Caleb, e per un
momento gli occhi del ragazzo si riempiono di lacrime. Caleb le
ricaccia subito indietro, troppo l’orgoglio che gli arde
dentro per mostrarsi più vulnerabile di quanto
già sia, e volta la testa di lato.
Si rimette in piedi, piano. Non riesce a fare a meno di pensare che
quel soffio di vento sia stato l’ultimo saluto di Camelia.
Caleb tossisce, cercando di ricacciare quelle lacrime che, nel mentre,
gli sono di nuovo salite agli occhi. Volta lentamente le spalle alla
tomba, per poi cominciare a raggiungere gli altri.
David e Jude gli sorridono. Insieme, un passo alla volta, cominciano ad
avviarsi nuovamente verso i cancelli del cimitero.
Prendono ancora una volta tre strade differenti: Ray e Jude
s’incamminano verso Harvard, David e Joe partono in
direzione San Francisco, e a Caleb infine non resta che avviarsi verso
il suo appartamento, lì a Boston.
Anche se adesso vivono lontani, sanno che il legame che li unisce non
si spezzerà mai del tutto.
È quello che Camelia avrebbe voluto per loro.