I ciechi non possono
nuotare
Joe fa una smorfia contrariata e tasta con le piccole dita
il tessuto acrilico del costume da piscina; è fastidioso al tatto e gli crea un
irritante prurito sulle cosce.
Sua madre, la signora Cecilia Sandys, sta in piedi al suo
fianco ed estrae velocemente la cuffietta in silicone da un involucro di
plastica. La sventola per aria e sbuffa, avvertendo fin troppo caldo.
«Che succede?» le domanda suo marito Harold, appoggiato con
la spalla contro l’armadietto numero 20, quello che è stato assegnato al
piccolo Joe per potervi lasciare l’attrezzatura da piscina.
«Qui dentro c’è un tasso di umidità assurdo, non oso
immaginare quando saremo vicino alle vasche!» borbotta la donna. «Joseph, su,
infiliamo la cuffia!» gracchia poi, chinandosi appena sul figlio e passandogli
una mano tra i capelli chiari e ricci.
Il bimbo di sei anni tiene il capo chino in avanti e ascolta
i suoni che lo circondano, annusa l’aria e tenta di abituarsi a tutte quelle
novità: quando ha chiesto ai suoi genitori di iscriverlo a un corso di nuoto,
non immaginava che sarebbero andati in una piscina. Sperava che avrebbe
imparato al mare, un posto che gli è sempre piaciuto, pieno di odori bellissimi
e di suoni rilassanti.
In piscina, invece, tutto sa di marcio e di funghi. Joe
annusa e sente puzza di muffa, non gli piace affatto.
«Harold, che fai? Mi aiuti o devo fare tutto da sola? Questi
capelli sono troppo lunghi e ingombranti, è difficile farli entrare nella
cuffia!» si lamenta ancora Cecilia, combattendo con i boccoli vaporosi del
figlio.
Harold si lascia sfuggire una breve risata e si accosta a
loro, raccogliendo le ciocche castano chiaro del bambino e infilandole a forza
sotto il silicone, mentre la moglie tenta di tenere fermo l’oggetto sulla testa
di Joe.
«Mi fate male!» strilla improvvisamente il piccolo, balzando
all’indietro e rischiando di andare a sbattere contro la panchina in legno
posta alle sue spalle.
Harold presto lo afferra per la mano e glielo impedisce,
posando l’altra sul viso di suo figlio. «Ecco fatto, campione. Sei pronto per
la tua prima lezione di nuoto?»
Joe sembra pensarci un po’ su: inclina la testa verso
sinistra, il visetto arrotondato e paffuto si distorce in una smorfia di
concentrazione, mentre i suoi occhi privi di vita schizzano dappertutto senza
però scorgere ciò che lo circonda.
«Joseph, rispondi a tuo padre!» ordina perentoria Cecilia.
«E se poi annego?» chiede all’improvviso il bambino,
tremando appena sotto il tocco rassicurante del padre.
L’uomo aggrotta la fronte e si accovaccia davanti a lui,
posandogli entrambe le mani sulle piccole spalle. «Perché dici così?
L’istruttrice ti aiuterà, ne avrai una tutta per te!»
«Ma… Dylan dice che i ciechi non possono nuotare perché non
vedono il fondo della piscina!» piagnucola Joe.
«Ma no, campione, non è vero: conosco un sacco di nuotatori
ciechi! Forse Dylan si è confuso» replica pacato suo padre, regalandogli un
breve abbraccio.
Cecilia tace, mantenendo le labbra sottili serrate in
un’espressione indecifrabile. Non è del tutto certa che un non vedente possa
nuotare, ha deciso di permettere che Joseph si iscrivesse in piscina soltanto
perché Harold ha deciso così. Lei, dal canto suo, preferirebbe tenerlo a casa
il più possibile; è molto difficile aiutarlo a studiare e a scrivere, lei e suo
marito hanno addirittura dovuto assumere un’insegnante privata che conoscesse
il braille e supportasse il bambino nei compiti pomeridiani.
«Vero, cara?»
La donna cade dalle nuvole e lancia un’occhiata scettica al
marito. «Sì, certo…» bofonchia.
Joe non pare molto convinto, tuttavia dopo aver indossato
l’accappatoio verde acqua, si lascia condurre dal padre verso la zona delle
vasche; Cecilia cammina un paio di passi dietro di loro e si sente sempre più
accaldata: non ama particolarmente i luoghi tanto umidi, in questo lei e suo
figlio sono uguali.
Una volta nei pressi della piscina più piccola, una ragazza
di circa trent’anni li raggiunge. Indossa una cuffia verde acqua, un costume
intero dal taglio sportivo e sorride cordialmente ai nuovi arrivati.
Harold si fa avanti e tende la mano. «Salve, lei è la
signorina Fitzpatrick?»
Lei annuisce e ricambia educatamente il gesto. «Sì, sono io,
ma chiamatemi pure Monica.» Dopodiché si accovaccia di fronte a Joe e gli
sfiora appena la guancia chiara e paffuta. «E tu devi essere Joe! Io ti
insegnerò a nuotare come un pesciolino, sei emozionato?» gli si rivolge.
Lui annuisce ma rimane imbronciato, poi allunga la mano
sinistra. «Anche tu hai la cuffia?»
Monica afferra delicatamente le dita del piccolo e le guida
finché non toccano la sua testa. «Sì, senti?»
Joe corruccia le labbra. «La tua è diversa!» esclama.
«Sì, è ruvida, vero? Invece la tua è liscia» commenta l’istruttrice.
«Ed esistono tante cuffie diverse?» si interessa ancora il
bambino, sorridendo e mettendo in mostra alcuni buchi presenti nella sua
dentatura. Da poco ha perso alcuni denti da latte e si diverte a seguire
diligentemente con la lingua la loro ricrescita.
«Joseph, quante domande fai?» si intromette Cecilia in tono
di rimprovero.
«Non si preoccupi, signora, è normale che i bambini siano
curiosi quando arrivano per la prima volta in piscina!» la tranquillizza
Monica, rimettendosi in piedi e afferrando la mano del piccolo. «Joe, allora
entriamo in acqua?»
«Sì, sì, sì! Che bello!» esulta lui, saltellando goffamente
sul posto.
L’istruttrice rivolge un cenno ai genitori e lentamente
conduce il nuovo allievo a bordo piscina.
«Cecilia, perché devi essere sempre così rigida e dura?
Rilassati un po’» dice Harold, posando gentilmente una mano sulla spalla magra
della moglie.
Lei lo guarda per un attimo e si perde nei suoi occhi scuri,
quelli che l’hanno fatta innamorare ormai dieci anni prima. «Cosa ho fatto
stavolta, Harold?»
Lui le sorride. «Non devi sempre rimproverare il nostro
bambino, ha bisogno di stimoli per crescere nel modo migliore.»
«Ho solo paura che si faccia male, lui non è come gli altri»
puntualizza Cecilia, mettendosi sulla difensiva.
«Non è come gli altri perché non vede? Beh, può vivere lo
stesso, solo facendo le stesse cose di tutti quanti ma in maniera diversa. Dai,
calmati e andiamo a goderci la sua prima lezione di nuoto!»
Lei annuisce e, prendendo il marito sottobraccio, si accosta
con lui al bordo della vasca più piccola.
Monica, con un enorme sorriso, aiuta Joe a esplorare con il
tatto la scaletta metallica che gli permetterà di entrare in piscina.
«Qui ti puoi appoggiare con le mani, e se allunghi il piede
verso il basso troverai un gradino» spiega pazientemente.
Il bimbo esegue, ma subito tira su la gamba e rischia di
sbattere il ginocchio contro il bordo della vasca. «È freddissima!»
«Ma no, sembra così, però vedrai che ti abituerai in fretta.
Io sono già dentro, mi raggiungi o no?» lo incoraggia la ragazza, tenendo le
mani sulle braccia del bimbo e standogli dietro per prenderlo se dovesse
scivolare.
«Ma io non ci riesco!» piagnucola il piccolo.
«Vuoi imparare a nuotare?»
«Sì, anche se Dylan dice che i ciechi non possono!» racconta
lui, la pelle increspata da brividi di freddo.
«E perché mai?»
«Perché non possiamo vedere il fondo della piscina!»
Monica scoppia a ridere e, mentre gli risponde, riesce pian
piano a trascinarlo in acqua. «Sai che io non lo guardo mai anche se posso
vederlo? Ti svelo un segreto: chiudo sempre gli occhi!»
«Davvero?» chiede Joe, le mani arpionate al bordo della
vasca.
«Certo! Forse Dylan ha capito male, che dici?»
«Lui è sempre cattivo con me, dice che non posso fare le
cose come lui!» racconta Joe in tono malinconico.
«Allora sai cosa facciamo? Impariamo a nuotare, così potrai
dimostrare al tuo amico che sei bravissimo e che si sbaglia!» propone
l’istruttrice. «Pensa un po’: avevi freddo e ora sei già in acqua! È stato così
terribile?»
Il bimbo scuote il capo e sorride appena. «No, è bello.
Anche se l’odore che c’è qui non mi piace.»
«Quale odore?»
«L’acqua puzza» spiega Joe con ovvietà.
«Quello che senti è l’odore del cloro. Non è profumato, ma è
davvero tanto utile.»
«A cosa serve?»
«A disinfettare l’acqua. In questo modo non si rischia di
avere delle malattie e tutto è più sicuro» riassume Monica, profondamente
intenerita dalla curiosità di quel bimbo.
«Adesso possiamo nuotare?» cambia argomento lui.
«Certo, ma prima dobbiamo fare un po’ di esercizi. Devi
stare attaccato al bordo, proprio così come sei. Per prima cosa facciamo una
passeggiata, che te ne pare?»
«Ma nell’acqua si nuota, non si passeggia!» esclama il bambino
ridendo.
«Invece si possono fare tutte e due le cose. Segui il bordo
con le mani e cammina verso sinistra. Prova, dai!»
Joe fa una smorfia, tuttavia obbedisce e tasta il cemento
accanto a lui, facendo qualche passo nella direzione indicatagli da Monica. Ben
presto si ritrova a camminare sempre più in fretta, mentre un enorme sorriso si
apre sul viso paffuto.
«Tra poco troverai un angolo e dovrai svoltare» lo avverte
Monica, muovendosi vicino a lui.
Joe esegue diligentemente tutto il giro della piscina, fino
a tornare al punto di partenza presso la scaletta.
«Sai dirmi che forma ha questa vasca?» chiede l’istruttrice.
«Di un quadrato» replica sicuro il piccolo.
«Non proprio. È un rettangolo. Secondo te tutti i lati erano
lunghi uguali?»
Joe scuote la testa. «Due erano più corti.»
«Bravissimo! Ora che ne dici di provare a galleggiare un
po’?»
«E come si fa?» chiede dubbioso.
Monica lo affianca e, proprio come lui, appoggia le mani sul
cemento. «Aggrappati forte al bordo e solleva la gamba destra.»
Joe esegue e ride forte. «Così?»
«Sì, all’indietro. Ora poggiala nuovamente sul fondo e
ripeti l’esercizio con l’altra.»
Il bambino si diverte ad alzare alternativamente i piedi
dalle piastrelle, provocando schizzi che si mischiano alle sue risa e a quelle
dell’istruttrice.
«Ora basta! Vediamo se riesci a sollevare tutte e due le
gambe!» esclama Monica.
Lui inclina il capo di lato e proprio in quel momento alcune
ciocche castane fuoriescono dal bordo della cuffia.
«Ma quanti capelli hai?» scherza la ragazza, avvicinandosi
per tentare di infilare i ciuffi; tuttavia, quando uno sembra rientrare al suo
posto, un altro scappa al controllo del silicone e a quel punto si arrende,
appuntandosi mentalmente di parlare di quel problema con i genitori del
bambino.
«Mi dici come alzare tutte e due le gambe?» insiste Joe,
sempre più curioso e impaziente.
«Giusto, allora… tieniti forte e alza i piedi, vedrai che
l’acqua farà galleggiare il tuo corpo.»
Dopo alcuni tentativi, il bambino riesce nell’intento, ma
subito dopo torna con le piante ben salde sulle piastrelle. Sembra
terrorizzato, ma la risata dolce di Monica lo rassicura un po’.
«Che bravo, ci sei riuscito!» si complimenta la giovane.
«Ho paura!»
«Non devi. Ti va di provarci ancora?»
Joe, arpionato a bordo piscina, ha il viso contratto in una
smorfia e trema appena. «No, è difficile. Dylan ha ragione…»
Monica gli posa una mano sulla guancia. «Non dire così, Joe.
Se ci sei riuscito una volta, puoi farcela di nuovo. Coraggio!»
L’istruttrice leva lo sguardo oltre la vasca e nota che la
signora Sandys sta cercando di accostarsi, mentre il marito la trattiene per
una spalla e tenta di rassicurarla.
«I tuoi genitori ti guardano, vogliono vedere come galleggi
bene! Glielo mostriamo?» tenta ancora di convincere il piccolo.
Joe annuisce e torna a sollevare le piante dei piedi, mentre
Monica lo tiene sotto la pancia per aiutarlo.
«Oh, ci riesco!» strilla improvvisamente.
«Te l’avevo detto! Dai, adesso batti prima un piede, poi
l’altro» lo istruisce Monica, allentando appena la presa su di lui.
Il bimbo obbedisce e comincia a schizzare intorno a sé,
mentre la giovane lo lascia definitivamente andare e lo osserva con orgoglio.
A un certo punto, però, qualcosa va storto: Joe perde la
presa con una delle mani e scivola verso il basso, lanciando un grido che
presto viene ovattato dall’acqua che entra senza limiti nella sua bocca.
Monica lo afferra saldamente e lo solleva, stringendolo a
sé. «Joe, è tutto a posto… su, piccolo, sputa, così, bravo. Non è successo
niente, dai…» tenta di tranquillizzarlo.
Ma il bambino ormai è in preda al panico: piange e si agita,
incapace di rendersi conto che è al sicuro.
È a quel punto che, con qualche ampia falcata, Cecilia
Sandys raggiunge il bordo della vasca. «Oh, Signore! Signore mio, fa’ che il
mio bambino non sia morto! Joseph, Joseph! Rispondimi!»
«Signora Sandys, la prego, si calmi… suo figlio sta…»
«Joseph! Lo sapevo, non dovevo iscriverlo! Ho ragione quando
dico che l’acqua è piena di insidie!»
Presto Harold Sandys la raggiunge e le avvolge le spalle con
un braccio. «Cecilia, per favore, non vedi che è tutto a posto?»
«E tu non vedi che stava per affogare? Il mio bambino! Oh,
Signore, abbi pietà di questa povera creatura!»
Harold sospira. «Tesoro, stai esagerando! So che tu hai
paura dell’acqua, ma non possiamo permettere che Joe cresca con il tuo stesso
terrore! Calmati, la signorina Monica era con lui e l’ha subito salvato!»
Intanto Joe si è tranquillizzato un po’, ma non vuole
saperne di sciogliere la stretta ferrea in cui ha intrappolato Monica; trema
come una foglia e continua a singhiozzare, mentre la ragazza lo accarezza piano
sulla schiena e osserva basita i genitori del piccolo discutere animatamente.
«Tu, razza di sciagurata! Hai messo a repentaglio la vita di
mio figlio! Adesso sai cosa facciamo? Ce ne andiamo!» strilla Cecilia,
recuperando l’accappatoio del figlio. «Esci subito dall’acqua, Joseph! Torniamo
a casa!» continua a sbraitare la donna, incenerendo l’istruttrice con occhiate
di fuoco.
La giovane solleva mestamente il capo. «Mi scusi, signora,
non crede di esagerare? Non è successo niente, le assicuro che…»
«Stia zitta! Io assicuro a lei che mio figlio
non metterà mai più piede in questo posto! Lei è un’incompetente! Come ha
potuto permettere che un bambino cieco rischiasse di annegare? Questa è
discriminazione verso i disabili! Si vergogni!» Ormai Cecilia Sandys urla a
ruota libera, gesticola animatamente e, se sapesse nuotare, probabilmente
entrerebbe nella vasca a recuperare suo figlio.
Monica, capendo che non c’è più niente da fare, si avvicina
alla scaletta e risale i gradini, reggendosi con un braccio e tenendo stretto
il bambino con l’altro.
«Joseph, infilati questo e andiamocene immediatamente!»
ordina perentoria la donna, strappando il figlio dalle braccia dell’istruttrice.
Il bimbo, rendendosi improvvisamente conto della situazione,
scoppia a piangere e allunga una mano, come se cercasse nuovamente il contatto
con la ragazza.
«Ha visto? Mio figlio sta ancora piangendo!»
«Mamma… perché andiamo via? Io volevo imparare a nuotare!» piagnucola
il bambino, cercando invano di divincolarsi dall’abbraccio della madre.
«No, Joseph, stavi per affogare! Non torneremo più in
piscina, dimenticati del corso di nuoto!» taglia corto Cecilia Sandys, dando le
spalle alla vasca e dirigendosi a passo di marcia verso gli spogliatoi.
Suo marito sospira pesantemente e si passa una mano tra i
capelli. «Ci risiamo…» Poi si volta a guardare Monica e le rivolge un sorriso
mesto. «Le chiedo scusa anche da parte di mia moglie, a volte drammatizza un
po’ troppo.»
La giovane non risponde e lo saluta con un cenno, per poi
accostarsi a un collega intento a seguire un gruppo di ragazzi all’interno
della vasca più grande.
Harold, attirato dalle urla disperate del figlio che ancora
piange e protesta per quanto appena successo, decide di raggiungere il resto
della famiglia.
«Non se ne parla, Harold! Non cambierò idea, ho visto Joseph
morire di fronte ai miei occhi! Per fortuna il Signore non lo vuole ancora,
ecco perché si è salvato…» blatera a gran voce Cecilia, incurante delle persone
che li circondano e che passano loro accanto mentre sfilano per i corridoi
della struttura sportiva, diretti all’uscita.
Joe, intanto, ha messo il broncio e non rivolge la parola
alla madre da un po’. È vero, si è spaventato quando la testa gli è andata
sott’acqua, ma Monica era con lui e l’ha aiutato.
«Cecilia, guarda che è stata l’istruttrice a salvarlo, non
il Signore…»
«Harold, non essere blasfemo!» strilla la donna, spingendo
con malagrazia il figlio lungo il corridoio.
Quando si ritrovano nella hall, notano Monica intenta a
chiacchierare con la donna alla reception.
Joe riconosce subito la voce dell’istruttrice e la chiama.
«Monica! Monica! Mamma, c’è Monica, la posso salutare?»
«Joseph!»
«Cecilia, adesso smettila!» sbotta Harold, zittendola con un
brusco gesto. Poi si accosta al bimbo e, prendendolo per mano, lo accompagna
accanto alla giovane. «Ecco, campione, qui c’è Monica!»
La ragazza si china per abbracciarlo e il piccolo ricambia
di slancio.
«Scusa, non volevo farti spaventare» mormora lei.
«Non mi sono spaventato, cioè, un po’ sì! Ma io voglio
imparare a nuotare! Se la mamma mi lascia tornare, mi insegni?» la implora.
«Ma certo, piccolo.» Poi Monica lancia uno sguardo al padre,
mentre passa le dita tra i boccoli chiari di Joe. «Signor Sandys, forse questi
sarebbe meglio tagliarli, altrimenti infilarli nella cuffia sarà impossibile.»
Harold annuisce e la saluta, avvicinandosi nuovamente alla
moglie in compagnia del figlio. «Andiamo» conclude, varcando la porta
scorrevole che intanto si è aperta per lasciarli uscire.
«Mamma, perché non posso andare a nuoto?»
Cecilia sospira. «Ne abbiamo già parlato.»
«Ma io non ho più paura di annegare!» esclama convinto il
bambino.
Harold si ferma accanto all’auto e infila la chiave nella
toppa. «Joe, ascoltami. Tornerai a nuoto, ma a una condizione.»
Cecilia, indignata, fa per abbaiare contro al marito, ma lui
la gela con un’occhiata fugace.
«Davvero?» chiede il bimbo, abbracciando il padre.
L’uomo infila le dita tra i ricci del figlio e sorride. «Sì,
ma dovremo andare dal parrucchiere e accorciare un po’ questi capelli.»
«Va bene, papà!»
«Altrimenti non entrano nella cuffia» aggiunge Harold,
conducendo il piccolo al sedile posteriore.
«Che bello! Monica ha detto che mi insegna!» esulta Joe, per
poi lasciarsi aiutare dal padre e sistemarsi sul seggiolino.
L’uomo richiude lo sportello e si volta a fronteggiare la
moglie.
«Non lo permetterò mai!» ringhia lei.
«Ti stai comportando come una bambina capricciosa, Cecilia.
Joe merita di superare le paure che tu stessa gli inculchi, quindi tornerà al
corso di nuoto. Se non vuoi accompagnarlo tu, ce lo porterò io.»
Lei sbuffa e alza gli occhi al cielo. «Va bene, se tuo
figlio muore annegato, Dio saprà chi punire!» conclude, per poi fare il giro
dell’auto ed entrare impettita nell’abitacolo.
«Allora? Come li facciamo questi capelli? Li tagliamo tutti?»
scherza Mauro, il barbiere di fiducia di Harold.
Joe si agita sulla poltrona, però sul suo viso c’è un enorme
sorriso: andare da Mauro gli piace, c’è un odore buonissimo nel suo negozio e quel
signore usa sempre uno shampoo al cocco per lavargli i capelli.
«Li devo tagliare perché non entrano nella cuffia! Mauro, lo
sai che devo andare in piscina? La mamma non vuole perché stavo per annegare,
ma Monica ha detto che se mi taglio i capelli mi insegna!»
Mauro ride e gli tira appena qualche ciocca. «Allora li
rasiamo, vero Harold?»
«Ci sto!» lo spalleggia il signor Sandys con il sorriso
nella voce.
Joe scoppia a ridere. «E allora a papà gli togli anche tutti
i peli delle braccia e del petto!» esclama divertito.
I tre continuano a scherzare, mentre il parrucchiere
armeggia sapientemente con la chioma del bambino che ormai raggiungeva metà
schiena.
Quando finisce, i boccoli di Joe sfiorano appena le orecchie
e quella nuova acconciatura mette maggiormente in risalto il viso paffuto e
arrotondato.
«Che bel ragazzo, vero Harold?» osserva Mauro.
Il padre annuisce e sorride. «Speriamo che adesso ci stiano
nella cuffia!»
Joe si tasta attentamente la testa, controlla se i capelli sono
a posto e se gli piace la lunghezza. «Mauro?» chiama, tenendo tra le dita una
ciocca.
Il parrucchiere scambia un’occhiata complice con il padre.
«C’è qualcosa che non va, Joe?»
«Questo ciuffo è più lungo, l’hai tagliato male!» esclama il
bimbo, scoppiando a ridere con fare canzonatorio.
Mauro lo segue a ruota, facendo l’occhiolino a Harold.
«Visto che se ne accorge? Tuo figlio è un portento!» sghignazza, per poi
sistemare i capelli del bambino.
Una volta pagato il conto, Harold conduce il figlio verso
l’auto. salgono a bordo e il padre mette in moto, preparandosi per partire.
«Sei pronto per andare a nuoto?» chiede l’uomo.
Joe, incredulo, batte le mani. «Davvero?»
«Ma certo! Monica ci sta aspettando, così vediamo se i
capelli vanno bene!»
«Che bello, papà! Grazie!»
Harold esce dal parcheggio e si immette in strada,
sorridendo tra sé e sé: è veramente orgoglioso del suo bambino.
§ § §
Sono passati ormai quattro anni da quando Joe ha iniziato a
frequentare il corso di nuoto: è diventato veramente bravo, si destreggia
perfettamente nella vasca più grande, compie tuffi dal trampolino e suo padre
non potrebbe essere più fiero di lui.
Ha deciso di preparargli una sorpresa per il suo decimo
compleanno. Guida rilassato lungo le strade inondate dal sole cocente di
luglio, deciso a portarlo in un luogo a cui è molto legato.
«Mi dici dove stiamo andando o no?» chiede il bambino per
l’ennesima volta, divorato dalla proverbiale curiosità che lo contraddistingue.
«Abbi pazienza, stiamo arrivando.»
Dopo qualche altro minuto, i due giungono a destinazione. Si
trovano nei pressi di una caletta sabbiosa, che sul lato sinistro presenta una
scogliera. Mentre aiuta il figlio a spostarsi, Harold gli descrive il panorama
circostante.
«Dalla scogliera ci si può tuffare come dal trampolino, sai?
Io ogni tanto lo faccio, quando vengo qui con Mauro e lo zio Earl» racconta
l’uomo, fermandosi nei pressi della battigia.
Joe, senza pensarci due volte, si china per togliersi le
scarpe e infila le dita tra i granelli di sabbia. È una sensazione bellissima,
gli piace un sacco quel leggero solletico sulla pelle e il calore fin troppo
intenso che gli dà quasi fastidio. Adora il profumo del vento che proviene dal
mare, lo fa impazzire il rumore delle onde che si infrangono sulla battigia e
sugli scogli poco distanti.
«E io mi posso tuffare?» chiede al padre.
L’uomo ride. «Sì, ma prima aspettiamo che arrivi una
persona.»
Joe corruccia la fronte, scostando con la mano sinistra i
ricci che gli coprono il viso. «Chi?»
«Eccomi!» urla una voce maschile alle loro spalle.
Il bambino la riconosce subito: è quella di Mauro,
parrucchiere e amico storico di suo padre. «Mauro!» strilla, voltandosi nella
direzione da cui ha udito provenire il saluto del nuovo arrivato.
Quest’ultimo lo raggiunge e lo abbraccia forte, battendogli
affettuosamente sulla schiena. «Ti ho portato un regalo!» annuncia.
Il bambino si apre in un enorme sorriso. «Allora dammelo,
cosa aspetti?» strepita curioso.
L’amico del padre gli mette in mano un oggetto che subito
Joe tasta per capire di cosa si tratta: ha la forma di una bottiglia di quelle
di latte fresco che a volte sua madre compra al minimarket vicino a casa loro;
la superficie in plastica è liscia e coperta in parte da un’etichetta
plastificata. Per aprirla, il bambino svita il tappo e ne annusa il contenuto,
per poi lanciare un grido gioioso.
«Hai capito cos’è?» lo interroga Mauro.
«Lo shampoo al cocco che usi sempre per lavarmi i capelli!»
«Hai visto quanto è grande? Se non lo sprechi, ti basterà
per un bel po’ di tempo» commenta Harold, scompigliando le ciocche chiare e
ricce del figlio.
«Adesso possiamo tuffarci?» chiede impaziente Joe,
appoggiando la bottiglia a terra e sfilandosi velocemente la t-shirt e i
pantaloncini.
Mauro e Harold scoppiano a ridere, poi si avviano verso la
scogliera.
Joe sente il vento più torte tra i capelli, la roccia liscia
sotto i piedi e il sole che gli scalda il viso.
«Prima mi tuffo io, va bene? Poi tu mi raggiungi!» esclama
Mauro, poggiando una mano sulla spalla del bambino.
Harold, in piedi alle spalle del figlio, si domanda se sia
stata una buona idea quella di permettere che Joe viva un’esperienza come
quella: conosce perfettamente quel luogo e sa che non ci sono scogli contro cui
il bimbo potrebbe scontrarsi una volta che si sarà tuffato, tuttavia suo figlio
ha solo dieci anni e l’altezza che li divide dall’acqua si aggira a occhio e
croce intorno agli otto metri.
Non ha rivelato a Cecilia la sua idea, sa perfettamente che
la moglie non avrebbe assolutamente approvato e che avrebbe finito per
impedirglielo.
«Allora? Ti tuffi o no? Hai paura?» Joe sbeffeggia Mauro in
tono canzonatorio.
«Non penso proprio!» esclama l’uomo, per poi spiccare un
salto e gettarsi di testa, a picco verso il mare cristallino.
L’impatto provocato dal tuffo raggiunge le orecchie attente
di Joe, facendolo ridere felice. «È altissimo! Che bello! Sono almeno cento
metri, vero papà?»
Harold ridacchia e gli poggia le mani sulle spalle. «Cento
metri? Ma no!»
«Joe, vieni! Ti aspetto, l’acqua è bellissima!» grida Mauro
dal basso.
Il bambino freme d’eccitazione. «Davvero posso tuffarmi?»
«Se te la senti, sì. Ma se hai paura, non sei obbligato. Va
bene?»
«Ma io non ho paura, non sono come la mamma!» si pavoneggia
il figlio.
Harold lo aiuta ad accostarsi allo strapiombo, poi sospira e
molla la presa sulle esili spalle del bambino. Chiude per un istante gli occhi,
ma quando li riapre Joe è già sparito.
Il bambino grida di gioia e si lascia cadere nel vuoto,
eseguendo un tuffo davvero perfetto, proprio come quelli che ha imparato a fare
in quattro anni di lezioni in piscina.
Però al mare è più bello.
Non ha neanche il tempo di rendersene conto, che un istante
dopo si ritrova a impattare contro l’acqua e calare a picco per alcuni metri,
per poi risalire subito dopo e riemergere con una risata colma di emozione.
«Lo voglio fare ancora!» strilla felice, mentre trova Mauro
accanto a sé che lo abbraccia.
«Dai, saluta papà che è ancora in alto!» lo incita l’uomo.
Il bambino, non sapendo bene in che direzione voltarsi,
solleva la mano destra e incita Harold a raggiungerli. «Non avere paura, papà,
visto che ci sono riuscito anche io?»
Pochi istanti dopo anche il corpo del padre si infrange
contro l’acqua.
Joe è eccitatissimo e non vede l’ora di raccontarlo alla
mamma e ai suoi compagni di classe.
Harold scambia un’occhiata con l’amico, poi entrambi
guardano nuovamente verso l’alto.
«Lo rifacciamo?» propone il parrucchiere.
Subito Joe ne approfitta per implorare il padre affinché lo
accontenti, così Harold si ritrova a cedere e tutti e tre escono nuovamente
dall’acqua, decisi a risalire sulla scogliera.
Mentre cammina mano nella mano con il padre, Joe sorride
felice come non mai: finalmente potrà dimostrare a quello sbruffone di Dylan
che i ciechi non solo possono nuotare, ma anche tuffarsi dalle scogliere alte
cento metri.
♥ ♥
♥
Ciao a tutti e benvenuti nella primissima Kidfic dedicata al
mio bimbo Joe *-*
Come vedete, qui ovviamente non conosceva ancora Martin,
però ho voluto dare spazio alla sua famiglia; abbiamo visto com’era il signor
Harold Sandys e di conseguenza anche sua moglie Cecilia.
Ho pensato di scrivere, approfittando del contest di
Spettro94, della prima – disastrosa – lezione di nuoto di Joe… e chi poteva
rovinare tutto, se non sua madre e i suoi melodrammi nonsense? :/
Ci tenevo anche a fare un balzo avanti nel tempo e
raccontare della prima volta che Joe si tuffa, entusiasta e impavido, dalla
scogliera che, insieme alla caletta, diventerà uno dei suoi posti preferiti di
sempre ^^
Spero che tutto si sia compreso e di avervi fatto entrare
nel mondo di un bambino cieco, delle sue difficoltà e delle sue potenzialità;
ho cercato di descrivere il modo in cui Joe assapora la vita, privato di uno
dei cinque sensi, quello che per molti è il più importante.
Grazie al giudice per avermi dato quest’opportunità e a
chiunque passerà di qui a leggere e/o recensire! *___*
Alla prossima ♥
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