Non gode dell’ingiustizia
Ci sono suoni che non riesce a ignorare, suoni a cui fa caso
inconsciamente, che lo voglia o meno. Richieste d’aiuto. Spari. Il
battito del cuore di Lois.
Il cuore di Lois gli risuona sempre nelle orecchie, anche quando è
dall’altra parte del mondo; è il primo suono che torna a sentire dopo
una battaglia, quando può di nuovo permettersi distrazioni. Quando
dormono assieme, come quella notte, lascia che lo culli nel sonno.
Quella notte, qualcosa lo sveglia. C’è il battito di Lois e c’è un
altro rumore. Più lieve, più veloce.
Si alza a sedere e guarda sua moglie.
“Clark? Che c’è?”
È il battito di due cuori proveniente dalla stessa persona.
Clark è sopraffatto dalle possibilità. Non può star fermo, va nel
panico, probabilmente, finché Lois non gli lancia un libro.
Poi lei gli allaccia le braccia al collo. “Possiamo lasciare da parte i
Laboratori S. T. A. R. e le ipotetiche scuole che nostro figlio
frequenterà? Prenderci un po’ di tempo per essere felici della notizia,
noi due soli, e basta?”
Clark le sorride e la bacia.
Parlano per ore, dopo, di quello che accadrà. Niente piani, solo
pensieri, opportunità, speranze. Così tante speranze.
Manca un’ora all’alba e Lois fatica a tenere gli occhi aperti,
appoggiata al suo petto.
“Puoi volare a dirlo a Bruce non appena mi sarò addormentata,” gli dice
sbadigliando.
Clark ride, felice, e la bacia ancora.
---
La mascella del criminale si rompe sotto il suo pugno. Bruce rotea su
se stesso e colpisce il secondo uomo alla tempia, stordendolo. Il terzo
si lancia su di lui da uno dei vicoli dei Dixon Docks, armato di un
tubo di piombo.
“Forse avrei dovuto chiamare.”
“È una cosa veloce,” risponde a Clark, appoggiato a un muro di mattoni
umido.
È in uniforme, a braccia conserte. “Be’, allora. Sono quassù, quando
hai fatto.” Vola via.
Bruce lo raggiunge su un tetto dopo aver messo fuori combattimento
anche il resto di quei trafficanti. Clark ha lo sguardo rivolto alla
baia, alla Città del Domani.
“Lois è incinta,” dice Bruce e Clark lo fissa, sbalordito.
“Come…”
“Hai l’espressione ebete di quando sei ispirato e speranzoso, ma stai
tremando. Non riesci a smettere di guardare verso casa: ti sei appena
allontanato e già vorresti tornare.”
Clark sorride e chiude gli occhi. “Mi ha svegliato il suo cuore,
stanotte, Bruce. Lo sento anche adesso.”
Bruce rimane in silenzio. A poco a poco, anche lui comincia a sorridere.
---
“Starai attenta, vero?”
Lois si sta infilando i jeans saltellando per la stanza, perciò gli
lancia un’occhiataccia da sopra la spalla breve, per non perdere
l’equilibrio. “Non è la prima volta che esco di notte per un’inchiesta,
Clark.”
Ma è la prima volta da quando hanno scoperto di aspettare un bambino,
la settimana prima. “Lo so.”
“Sai che succederà ancora. Non smetterò di lavorare.”
“Lo so.”
“Neanche fossi sprovvisto di superpoteri alieni per assicurarti che io
stia bene in ogni momento!” Lois scuote la testa e gli accarezza una
guancia.
Clark sorride, un po’ imbarazzato. Poi guarda verso le ampie vetrate,
aggrotta la fronte.
“Che succede?”
“Bruce è a Metropolis. Ai Laboratori S. T. A. R.”
“Allora è meglio che tu vada a dare un’occhiata,” gli dice Lois con un
bacio veloce. “Io vado. Voi salvate il mondo.”
Ai Laboratori S. T. A. R. c’è una perdita di kryptonite, Clark la sente
non appena entra nell’edificio. Dalle facce dei ricercatori e
dall’espressione accuratamente neutra di Bruce quando si presenta non
invitato, Clark è pronto a scommettere che una sparte sia stata rubata,
anche. Solleva un sopracciglio e Bruce sceglie di non essere testardo.
“Il laboratorio ha subito un furto di attrezzatura e di una discreta
quantità di kryptonite.”
“Kryptonite che stavate usando per?” chiede Clark al responsabile del
laboratorio che sta rispondendo alle domande di Batman.
“Per niente di male, Superman! Ricerche su fonti di energia pulita,
niente che potesse nuocerti! È anche per questo che abbiamo chiamato
Batman e non te, per non esporti—”
“Ho tutto sotto controllo. Dovresti andare,” interviene Bruce. “Sta già
facendo effetto su di te.”
Il suo tono è secco, e Clark sorride, perché sente la sua
preoccupazione, sotto l’irritazione per l’intrusione di Superman sulla
sua scena del crimine. “È tutto a posto, Batman. Posso gestirla. Ora
che sono qui, voglio dare una mano.”
Bruce lo fissa, poi si rivolge al responsabile del laboratorio:
“Facciamo in fretta.”
Non ci vuole molto a esaminare la scena, forse venti minuti. Lui e
Bruce escono all’aperto, volano sulla città ciascuno a suo modo.
Bruce sta facendo il punto di quello che sanno, ma Clark si blocca
all’improvviso. Non sente niente.
“Superman? Cosa c’è che non va?”
Clark scompare. Vola, cerca, ascolta. Torna da Bruce in pochi secondi,
una carta da gioco insanguinata in mano.
“Non la trovo, non riesco a trovare Lois! Ti prego, Bruce, aiutami!”
---
Bruce mobilita la Lega.
La Lega trova il Joker.
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E poi, sente il battito di due cuori proveniente dalla stessa persona
fermarsi.
---
Tutti i monitor della Caverna trasmettono la notizia della distruzione
di Metropolis, dell’esplosione, delle attività di accoglienza per gli
sfollati dell’area circostante, del cordoglio attonito del mondo.
Della morte del Joker e di Superman.
Dick e Damian fissano gli schermi da ore.
“Non dovreste allenarvi?” dice Bruce. Sta guardando Jim Gordon uscire
dalla stazione di Polizia, rispondere ‘no comment’ ai giornalisti che
lo assalgono.
Dick si riscuote. “Non dovremmo… Bruce, non dovremmo fare qualcosa?”
“La Fondazione Wayne si sta già mobilitando per trovare delle strutture
di accoglienza per chi è stato evacuato, i laboratori prendono accordi
per fornire strumenti di contenimento delle radiazioni. La Lega si
occupa del resto. Batman è inutile, in questo scenario,” risponde
Bruce. Damian non ha ancora detto una parola. “Se non siete nelle
condizioni di allenarvi, andate a dormire,” ordina.
Sente Dick sospirare e alzarsi. “Vieni, Dami, andiamo a fare colazione.”
Damian impiega un secondo a reagire, ma poi si alza anche lui. “Non
chiamarmi così!”
Bruce li ascolta salire alla Villa, mentre azzera l’audio e legge le
labbra di una giornalista chiedere a Gordon se può confermare il
coinvolgimento di Superman nella morte del Joker mentre era in custodia
al GCPD.
C’è qualcuno alla Caverna che non ha sentito entrare.
“Diana.”
“Bruce. Perdona l’intrusione.” Diana avanza verso la sua postazione a
testa alta. La sua espressione è grave ma ferma. “Ho preferito venire
di persona.”
“Sei sempre la benvenuta,” risponde lui automaticamente.
Diana esita, di fronte a quell’affermazione.
“Non l’ho fermato,” dice alla fine. Distoglie lo sguardo. “L’ho trovato
lì, tra le macerie, stretto al corpo di Lois. Non potevo sopportare che
pensasse che fosse colpa sua.” Torna a guardare Bruce. “Dentro di me
sapevo dove sarebbe andato e non l’ho fermato. Non volevo farlo. Ho
pensato che il Joker lo meritasse, che Clark meritasse la sua vendetta.”
Bruce stringe le labbra. “Hai pensato che un uomo ammanettato e non più
in grado di nuocere meritasse di essere massacrato da Superman?”
“Sai che non condivido i tuoi scrupoli.”
“Pensavo che preferissi affrontare i tuoi nemici alla pari, su un campo
di battaglia. Questa è stata un’esecuzione.” Bruce le dà le spalle e
torna a fissare i monitor. “Non sta a noi decidere chi vive e chi
muore.”
Sente Diana muovere un passo verso di lui.
“Tu non pensavi che l’avrebbe fatto,” dice lei, lentamente. “Non
credevi che sarebbe arrivato a tanto.”
“Era l’uomo migliore che avessi mai conosciuto—”
“L’hai sempre messo su un piedistallo e ora che ne è caduto, gli dai la
colpa!” lo interrompe Diana.
Bruce si alza, si gira di nuovo verso di lei. “Perché sei qui?”
Diana incrocia le braccia. “Nessuno di noi è ancora riuscito a
parlargli davvero. Vorrei che tu andassi da lui.”
“Per dirgli cosa?” chiede lui bruscamente.
Diana scioglie le braccia con un piccolo suono di rammarico. “Ha perso
tutto, Bruce. Può aver fatto qualcosa che non approvi, ma non merita di
essere lasciato solo. Sei il suo migliore amico.”
“Perché non vai tu da lui, se sei tanto preoccupata?”
Diana incrocia di nuovo le braccia, ma stavolta non è un gesto deciso.
“Non sarebbe… non sarebbe quello di cui ha bisogno. Ha bisogno di un
amico. Io non l’ho fermato. Ho pensato al suo dolore e non alle
conseguenze. Tu agiresti diversamente, vero?”
Bruce non può non pensare alle conseguenze. Ce ne sono già state e
altre ne verranno: il mondo può permettere a Superman di uccidere
impunemente?
“Lo hai fatto perché tieni a lui,” risponde a Diana. Varrà come
consolazione? Bruce non permetterebbe a se stesso di sentirsi meglio,
con quella giustificazione.
“Lo amo molto, come so che lo ami tu,” replica Diana.
“Non saprei dove trovarlo,” dice Bruce.
“Certo che sai dove trovarlo. Lo conosci meglio di chiunque altro,” lo
rimbecca Diana, con tono quasi affettuoso. “Vai da lui.”
---
“… Undici milioni di
morti, l’inconcepibile bilancio di una sola testata atomica. Il numero
di ordigni nucleari nel mondo si attesta, secondo le stime, a più di…”
“… più di centomila
persone rimaste senza una casa a cui tornare…”
“… mentre l’opinione
pubblica si divide tra lo sgomento per quanto accaduto a Metropolis e
per le azioni di Superman immediatamente successive alla tragedia, le
ostilità nel Byalia non si fermano. Le uniche notizie giungono dalle
ONG ai confini del paese, dato il blocco della rete. Inutili gli…”
Sente Bruce avvicinarsi alla Fortezza della Solitudine da chilometri di
distanza.
Sente il suo aereo, lo sente ordinare alla Fortezza di concedergli
l’accesso, lo sente avanzare inesorabile fino a dove si trova lui,
nonostante gli schermi che lo circondano continuino ad assordarlo con i
mali del mondo.
Lo sente perché nonostante tutto non riesce a smettere di ascoltare.
“Clark.”
“Li senti? Undici milioni di morti, e ancora non smettono di uccidersi
a vicenda.” Clark scuote la testa, gli occhi fissi sulle proprie mani
intrecciate, sul sangue secco che gli imbratta il braccio destro fin
quasi al gomito.
“Clark,” prova di nuovo Bruce.
“Non hanno capito. Che cosa servirà per farli capire? Cosa devo fare?”
“… Un atto barbaro e non
giustificabile, proprio perché compiuto da una figura…”
“Fortezza, interrompi la riproduzione,” ordina Bruce. Gli schermi
svaniscono.
Clark si alza di scatto, fissandolo furioso nell’improvviso silenzio.
Bruce indossa l’uniforme e il cappuccio. Come al solito, Clark può
vedere solo la sua bocca e i suoi occhi, perfettamente impassibili.
“Non devi fare niente,” gli dice Bruce. Prenditi del tempo per—”
“Pensi che debba prendermi
un minuto? Che mi basterà un po’ di tempo per stare bene?”
strilla Clark. “Ho già sprecato fin troppo tempo. Dovrei essere là
fuori a salvare il mondo, tutti noi dovremmo. Invece arriviamo sempre
troppo tardi, mettiamo una pezza, invece di prevenire il male. Sono
stufo.”
Le labbra di Bruce si riducono a una linea sottile per una frazione di
secondo, poi lui si nasconde di nuovo dietro la sua espressione neutra.
Clark è tentato di strappargli la maschera, di urlargli in faccia.
Indica verso gli schermi ormai scomparsi. “Comincerò dal Byalia, li
costringerò a fermarsi.”
“Non puoi fare una cosa del genere,” dice Bruce.
“E perché no? Dimmi che non faresti la stessa cosa, al mio posto, se
avessi i miei poteri.”
“Non puoi farlo, Clark,” ripete Bruce, calmo, misurato, e gli si
avvicina. “Superman non può permettersi di intervenire in nessun
conflitto, ora meno che mai.”
“È adesso
il momento di—”
“Hai ucciso un uomo, Clark, dannazione! Superman ha massacrato un uomo,
davanti a dei testimoni, in una stazione di Polizia e si è allontanato
senza che nessuno potesse fermarlo. Hai idea di quanto spaventeresti il
mondo, se ora intervenissi senza autorizzazione in un conflitto armato?
Sono già terrorizzati.”
“Forse prima non lo erano? Gotham non era terrorizzata da quel maniaco
che tu continuavi a permettere andasse in giro ad ammazzare la gente
per farsi una risata?” ringhia Clark. “Dovresti ringraziarmi: ho fatto
quello che tu, con i tuoi principi, con i tuoi limiti, non hai mai
avuto il coraggio di fare.”
Bruce si irrigidisce.
“È questo che ti dà fastidio?” chiede Clark, sgranando gli occhi. “È
perché ti ho tolto il Joker? La tua grande nemesi! Anni a rincorrervi,
a sfidarvi! A giocare.
Se lo avessi fermato una volta per tutte LOIS NON SAREBBE MORTA!”
Bruce ondeggia davanti a lui. Se sia per il peso della sua accusa o se
si tratti di un effetto ottico per il calore che sente crescere nelle
proprie pupille, Clark non saprebbe dirlo.
Si volta di scatto premendosi una mano sulla bocca, ma non serve a
niente. Ha la voce rotta quando continua. “Mi ha portato via Lois.
Tutto quello che eravamo. Non potrò mai più svegliarmi accanto a lei,
guardarla concentrarsi mentre scrive un articolo. Non… non vedremo mai
crescere nostro figlio. Non ci sarà mai qualcun altro come me
nell’Universo.”
“Clark…” Bruce gli appoggia una mano sulla schiena.
“Quando sei arrivato,” continua lui, “e hai spento gli schermi… ti ho
odiato, per un secondo. Li ho accesi perché non riuscivo a sopportare
il silenzio. Ascoltavo e ascoltavo, sperando… sperando di sentirli e… Ma non
ci sono, c’era solo… Non riuscivo più a sopportarlo.” Sente un click,
due strati di kevlar che sfregano l’uno sull’altro. “E ora tu— i tuoi
figli sono a casa, salvi, e invece di stare con loro, tu vieni qui a
giudicarmi per—”
“No,” lo interrompe Bruce. Lo afferra per le spalle, lo fa girare. A
volto scoperto, lo fissa. “Non sono venuto per giudicare. Io… avevo
paura che lui mi avesse portato via anche te. Che fosse riuscito a
sporcare anche la cosa più pura che conoscessi.”
“C’è riuscito.”
“No.” Bruce se lo tira contro, lo stringe a sé.
Clark gli si aggrappa alle spalle, il viso premuto contro il suo collo
coperto dall’armatura, e può solo singhiozzare.
“Mi dispiace,” ripete Bruce, ancora e ancora. “Mi dispiace.”
È passato del tempo, quando Clark ritorna in sé. Sono entrambi
accasciati sul pavimento della Fortezza, come se Bruce avesse a un
certo punto rinunciato a sorreggere il suo peso. Si è tolto i guanti:
una delle sue mani è salda in mezzo alla schiena di Clark; l’altra gli
stringe appena la nuca.
“Non posso tornare indietro,” dice Clark. “Perché dovrebbe importarmi,
se avranno paura? Tu usi la paura.”
“Superman è un simbolo di speranza,” risponde Bruce, scuotendo la
testa. “Non puoi salvare il mondo con la paura. Hai infranto le regole
e dovrai fare ammenda.”
Clark si sente gonfiare di nuovo di rabbia, ma non dura. Non ha più
forze.
“Fare ammenda? Devo chiedere scusa, dire al mondo che l’ho deluso?”
Comincia sarcastico, ma sa che è vero. Ha fallito. Avrebbe dovuto fare
di meglio.
Raddrizza la schiena e Bruce lo lascia.
“Devi decidere se hai abbastanza fiducia nel genere umano,” dice Bruce.
“Sarebbe facile pensare che, visto che non siamo in grado di salvarci
da soli, di smettere di farci del male a vicenda, tu saresti
autorizzato a costringerci. Perché puoi.” Si guarda attorno alla
ricerca dei suoi guanti. “Sarebbe facile, con i tuoi poteri, salvare il
mondo da se stesso. Dominarlo.”
“Io non voglio—”
“È quello che accadrebbe. Ma tu non sei così. Tu sei un’ispirazione per
il futuro, per milioni di persone. Loro
salveranno il mondo. E non avranno speranza o fiducia, se tu oltrepassi
i limiti, infrangi le regole e fai finta di niente. Penseremo a cosa
dire, a cosa fare” conclude. “Un altro giorno.”
Clark sa cosa direbbe, in quel momento. Che non tollererebbe la perdita
di altre vite innocenti per un atto di follia, per avidità o politica.
Ordinerebbe al mondo di deporre le armi. Forse ha perso per sempre la
sua fiducia nel genere umano. Ma non vuole dirlo a Bruce. Non… non
ancora.
Bruce si alza in piedi e lui si riscuote. “Un altro giorno, sì. È
meglio che tu torni a Gotham. Damian e Dick avranno bisogno di te.”
“Non ho intenzione di lasciarti da solo, Clark,” risponde Bruce con
l’irritante tono di fatto con cui di solito distribuisce ordini. Gli
porge una mano, di nuovo avvolta dal guanto, per aiutarlo ad alzarsi.
“Damian e Dick sono con Alfred. Hai... già parlato con i tuoi genitori?
Sanno cos’è successo?”
Clark sussulta. Per un attimo il pensiero di Ma’ e Pa’ lo travolge: la
nostalgia, la promessa di conforto sono infiniti.
“Ti accompagno da loro,” dice Bruce dolcemente.
“Così puoi tenermi d’occhio?” ribatte Clark. “Controllare che non vada
a lanciare nel sole tutti i missili nucleari del pianeta?”
“Se non corrispondesse a un’intrusione nelle basi militari delle
superpotenze più instabili del pianeta, nonché del nostro paese, te lo
lascerei fare,” risponde Bruce.
“Me lo lasceresti
fare?” ripete Clark. “Pensi di potermi fermare?” La rabbia torna di
colpo, insieme alla sensazione di tradimento. “Sei venuto qui preparato
a fermarmi?”
“Sono sempre preparato. Lo sai,” risponde Bruce.
Clark si aspetta che si irrigidisca per combattere, come lui. Ma Bruce
abbassa gli occhi, gli dà le spalle per raccogliere la sua maschera.
“Intendevo che non lascerò che tu prenda decisioni affrettate.
Decisioni che potrebbero compromettere il tuo futuro.” Indossa la
maschera con cautela.
“Quale futuro, Bruce? Non ho nessun—”
“Vuoi ancora salvare il mondo, no?” chiede Bruce fronteggiandolo.
“Sì.” Sì, sì, sì. Mille volte sì, nonostante tutta la rabbia e il
dolore. ‘Voi salvate il mondo’, è l’ultima cosa che Lois gli ha detto.
“Allora, ti prego, non fare nient’altro di avventato. So—” Bruce si
interrompe e deglutisce. “So che l’ultima volta che ti sei fidato di
me… Non sono stato in grado di aiutarti. Ma voglio farlo. Ci proverò
sempre se… se tu me lo permetti.”
Clark scuote appena la testa. “Riesci a dirmelo solo da dietro il
cappuccio.”
“Non sono bravo in queste cose.”
“Lo so.”
“Ed è stata Diana a… spingermi a venire.”
Clark sbuffa, quasi sorride. Poi si ricorda di Diana che accetta il
corpo di Lois e di loro figlio per tenerli al sicuro.
Guarda Bruce. “Voglio andare a casa.”
Bruce annuisce. “Andiamo.”
---
Convince Clark a lavarsi il sangue di dosso, ma non si preoccupa
dell’uniforme di Superman. A Martha e Jonathan non importerà. Bruce si
preoccupa di indossare abiti civili solo perché non dispone di
super-velocità per sparire, nel caso i Kent siano in compagnia di
qualcuno.
Clark resta in silenzio durante il volo e lui lo lascia in pace. Non
gli offre un comunicatore per sostituire quello bruciato dalle
radiazioni di Metropolis e non fa commenti quando accende la radio del
Bat-Wing per ascoltare le notizie.
Arrivano in Kansas col buio e atterrano discretamente sul terreno dei
Kent. Martha e Jonathan li aspettano alla porta sul retro.
“Clark!”
Clark vola da Martha, si fa piccolo sotto le sue braccia delicate.
Bruce li guarda entrare in casa mentre Jonathan tiene aperta la porta.
“Vieni, Bruce, ragazzo,” lo chiama Jonathan. L’uomo gli stringe la
spalla con un sorriso triste quando lui entra, poi raggiunge moglie e
figlio.
Martha ha guidato Clark fino al divano. Si stringono e piangono
entrambi, il tocco di Martha consolatorio in modi che quello di Bruce
non avrebbe mai potuto essere. Jonathan si unisce a loro. Tiene una
mano sulla spalla del figlio e annuisce alle parole spezzate che Clark
pronuncia tra uno scoppio di singhiozzi e l’altro.
Bruce pensa a Lois durante una delle sue interviste, la sera che ha
ritirato il premio Pulitzer, mentre mangia hamburger e patatine a notte
fonda seduta sulla sua scrivania al Planet. Lois, che una volta ha
rubato una delle macchine di Bruce Wayne per seguire una pista.
Serra gli occhi. Lois era anche sua amica, ma non ha diritto di
piangerla davanti alla sua famiglia.
Si ritira in cucina.
È quasi l’alba. Bruce è sulla veranda sul retro.
“Resta. Ha bisogno di te,” gli dice Jonathan proprio mentre Bruce sta
contemplando l’idea di andarsene discretamente.
L’uomo gli porge una tazza di caffè.
Bruce ha ascoltato i Kent muoversi per la casa. Martha è riuscita a
convincere Clark a salire e a indossare degli abiti puliti, ma non a
mangiare qualcosa; forse spera che riesca a dormire.
Jonathan ha chiamato il padre di Lois. Avrebbe dovuto pensarci Bruce,
ma non è escluso che lui debba prima o poi approcciare il colonnello
Lane nei panni di Batman, quindi forse è meglio così. Tranne per il
fatto che Bruce non ha nemmeno potuto risparmiare quella sgradevole
incombenza a un uomo che ha appena perso la nuora e un nipote di cui
non sapeva ancora nulla.
Jonathan Kent si sbaglia: non c’è nessuno che abbia bisogno di Bruce,
in quella casa.
“Sono solo qui fuori,” risponde. “Non preoccupatevi per me.”
Clark lo raggiunge un’ora dopo. Martha deve aver ceduto al sonno.
Clark non ha l’aria di vedere davvero il sole del Kansas che sorge
davanti a loro. Ha la fronte contratta e non si è ancora rasato. Bruce
sospetta di non essere in condizioni migliori.
“Ero arrabbiato. Ho detto alcune cose che non pensavo. Di te.”
“Clark, non serve—”
“Sono ancora arrabbiato. Non sono sicuro che tu mi abbia convinto.”
“Che cosa vuoi fare?”
Clark esala un sospiro e si passa le mani tra i capelli. “Voglio…
rompere qualcosa. Voglio giustizia. Voglio gridare al mondo che così
non può andare avanti.”
“Vuoi parlare al mondo? Ufficialmente?” chiede Bruce. Non è una vera
domanda: Superman deve
rivolgersi al mondo. È questione di quando, in che modo. A quali
termini.
Clark annuisce.
“Ok. D’accordo. Dammi ancora un giorno.”
Clark lo guarda con la coda dell’occhio. “Va bene,” accetta, dopo
qualche secondo. “Ti concedo un giorno. Io sarò alla Fortezza.”
Bruce lo fissa. “Non rimani qui?”
“Io… io non so se posso restare. Siamo stati qui così tante volte… Sono
stato troppo felice qui. Ho immaginato un milione di volte come sarebbe
stato venirci una volta che…” Lascia sfumare la frase, serra la
mandibola.
“Vieni a Gotham,” dice Bruce.
“Uh?”
“Vieni a Gotham. Da me.” Stringe le mani sul legno del parapetto della
veranda. “Non voglio lasciarti solo, te l’ho già detto.”
Le labbra di Clark tremano appena. Dopo un minuto annuisce.
Bruce si permette di stringere il suo braccio, ora. Non serve dire
altro.
---
“… Le attività di
bonifica dell’area metropolitana e circostante sono iniziate a tempo di
record, grazie agli sforzi della Lega della Giustizia…”
“… Né Lanterna Verde, né
Wonder Woman hanno rilasciato dichiarazioni sulle azioni di Superman
immediatamente successive alla tragedia. Wonder Woman, che ha convocato
una conferenza stampa alle Nazioni Unite per questo pomeriggio…”
“… credo che nessuno di
noi possa, in cuor suo, biasimare davvero Superman per quello che ha
fatto. Stando alla ricostruzione del GCPD, il Joker non ha solo colpito
la sua casa d’elezione, Metropolis, ma lo ha fatto servendosi della
giornalista Lois Lane, legata a Superman da uno stretto rapporto
professionale e di amicizia…”
“… ‘Superman ha
attraversato lo stato, ha fatto irruzione in una stazione di Polizia
abbattendo un muro, con la ferma intenzione di uccidere. Non c’è altro
modo di vederla.’
‘È successo in pochi
minuti: l’equivalente per un essere umano di attraversare la strada,
salire un piano di scale di corsa, sull’onda dell’emozione! A un uomo
che avesse subito un tale choc concederemmo almeno le attenuanti
comuni, se non la scusante del vizio parziale di mente, la temporanea
infermità mentale.’
‘Scusate se interrompo
entrambi, ma non sta proprio qui il paradosso? Vogliamo giudicare
Superman come un uomo, ma allo stesso tempo dobbiamo tenere in
considerazione che lui non è umano. Come possiamo…’”
---
Clark atterra a pochi metri dal podio. Accompagnato dai flash delle
macchine fotografiche e dal mormorio della folla, si avvicina al
microfono preparato per lui.
Diana è già lì. Non dice nulla, ma gli resta vicina.
Lui prende posizione. Osserva i giornalisti, le telecamere. Loro
osservano lui, il suo volto rasato. L’uniforme perfetta.
Vorrebbe sputare fuori ogni cosa. Tutta la sua sofferenza, il suo nome,
chi era Lois per lui, la vita che gli è stata portata via. Non gli
importa di lasciarsi vedere spezzato.
Ma né Bruce, né Diana sono d’accordo: “Devi pensare ai tuoi genitori:
non puoi dare il nome di Clark Kent in pasto al mondo. Devi
proteggerli.”
“Mi dispiace. Io… vi ho deluso,” dice Clark al mondo. “Non ho potuto
impedire questa tragedia. E nella mia rabbia per quello che era
successo, ho tradito tutti i valori a cui ho dedicato la mia vita sulla
Terra.”
La folla è immobile, in attesa della sua confessione.
“Ho ucciso il Joker. Ho ignorato i miei compagni che hanno provato a
fermarmi.” Chiude gli occhi. “Prego che nessuno di loro debba mai
trovarsi dove mi sono trovato io. Ma dato lo stato in cui si trova il
mondo, non ho molta speranza.”
Si blocca, si sforza di respirare. Sarebbe il momento. Il momento per
dire che non tollererà più atti di violenza, che non guarderà più in
faccia nessuno per salvare gli innocenti. Che porterà Giustizia, che il
mondo sia pronto o meno.
“Vi ho deluso. E voi deludete me.” I bordi del leggio scricchiolano
sotto le sue mani.
Né Bruce, né Diana sono d’accordo. Diana gli ha detto che sarà al suo
fianco in ogni caso. Bruce non ha detto niente.
Alla Fortezza, ha detto che avrebbe sempre cercato di aiutarlo, se lui
glielo avesse permesso. Ma Clark sa che ci sono cose che Bruce non può
perdonare. Continuare a oltrepassare i suoi limiti sarebbe come alzare
un muro tra loro, equivarrebbe a dirgli che non vuole il suo aiuto. E
Clark non sa se sarebbe in grado di salvare il mondo, senza Bruce.
“Non posso essere Superman, non ho diritto di chiamarmi difensore
dell’umanità, dopo essermi macchiato di un crimine. Intendo farmi da
parte, fare ammenda per quello che ho fatto.”
Le voci cominciano a sussurrare, i flash ritornano a brillare.
“Ma neppure posso consegnarmi alla giustizia, essere giudicato come un
essere umano. Se fossi giudicato colpevole, non potreste rinchiudermi,
a meno che non sia io a permettervelo. Sarebbe una mia scelta.”
Le voci salgono di tono, arrivano domande. Lui le ignora.
“E visto che sta a me, io scelgo di allontanarmi, per tutto il tempo
che riterremo… equo,” conclude dopo un’occhiata a Diana. “Non
interferirò più nelle faccende umane.”
Si allontana dal podio, mentre tutti si mettono a vociare.
Il respiro gli si affanna. Non sa se ha fatto la scelta giusta. Guarda
Diana. “Ho bisogno di…”
Lei gli rivolge un piccolo cenno del capo. “Vai pure, non preoccuparti.
Li terrò al sicuro per te.”
Clark vola via, mentre Diana prende il suo posto sul podio.
---
“Trovatemi qualcosa su di lui. Qualunque cosa. Trovate chiunque con cui
la Lane abbia mai parlato che sia ancora vivo. Dobbiamo avere delle
garanzie: qualcosa o qualcuno a cui tenga, che possiamo usare.”
“Sì, signor Presidente.”
“E poi organizzate un piano, un modo per sfruttarlo.”
“Sì, signore.”
L’uomo si rinchiude nel suo ufficio, si copre gli occhi con una mano.
“Non si toccano le famiglie.”
L’uomo fa per urlare, ma è immobilizzato e una mano guantata di nero
gli copre la bocca prima che abbia il tempo di prendere un respiro.
“Non gridi, signor Presidente. Voglio solo parlare.”
“Batman?!”
Bruce rimane nella penombra che comincia a invadere l’ufficio, ma
permette all’uomo di allontanarsi. “Cercate qualcosa con cui
controllare Superman. Forse
lo troverete. Sono venuto a dirvi che non dovete usarlo.”
L’uomo lo fissa, incredulo. “Non dovremmo usarlo? Hai visto la
conferenza stampa?”
“Certo. Immagino i sospiri di sollievo, quando ha detto che voleva
farsi da parte.”
“Aveva davvero l’aria di voler dire tutt’altro, Batman, devi essertene
accorto. E anche quello che ha
detto non è poi così rassicurante.” L’uomo si muove per
l’ufficio, raggiunge il mobile bar. “È una sua scelta. Non abbiamo
potere su di lui o la possibilità di fermarlo. Questo ci ha detto.”
“Sì.”
L’uomo si versa da bere. “Diamine, al primo disastro naturale la gente
lo invocherà come il Salvatore. Potrebbe cambiare idea in qualunque
momento.”
“Sì, potrebbe. Come ha notato, non era del tutto convinto.”
“Quindi capisci che dobbiamo avere una soluzione, un asso nella manica.”
“Lo capisco. Voglio che voi
capiate che non potreste fare mossa più sbagliata che usare le persone
a cui tiene contro di lui. Tralasciando quello che lui potrebbe fare,
se i membri della Lega vi vedessero prendere di mira le famiglie…
Diciamo solo che Superman è molto amato e i suoi amici sanno essere
privi di scrupoli. Ha scelto di non interferire: non dategli ulteriori
ragioni per cambiare idea.”
L’uomo beve d’un fiato. “È una spada di Damocle sulle nostre teste.”
“In un certo senso lo è sempre stato.”
L’uomo lo indica col bicchiere. “Tu capisci. Tu sei sempre preparato.
Potresti… fermarlo? Ucciderlo? Hai un modo?”
Bruce rimane in silenzio. “Se dovesse rendersi necessario, sì. Ma sarò
io a decidere. Non sono un vostro agente, non prendo ordini,” dice alla
fine. “Lui vuole solo proteggere i più deboli.”
“C’è una linea sottile tra proteggere e sottomettere,” dice l’uomo.
Ma lo dice alle ombre e a nessun altro.
---
“Dovrei essere con lei. A combattere al suo fianco,” dice Clark.
Uno dei monitor della Caverna trasmette immagini di Wonder Woman che
affronta due carri armati su una brulla stradina rocciosa. Il cielo al
tramonto è rosso e nero di fumo, il rumore di spari risuona secco,
quanto la voce di Diana stessa: su un altro schermo scorre il suo
discorso alle Nazioni Unite, due settimane prima, subito dopo
l’annuncio di Superman.
“Quello che io chiedo e
pretendo, dai nostri paesi, dai nostri governanti, può sembrare
difficile, impossibile da raggiungere. Ma io so che non lo è, perché
ciascuno di noi, nel profondo, lo desidera: ciascuno di noi desidera
vivere in pace.
La pace non è un valore
che possa essere imposto dall’alto e neppure cosa da poco. È un valore
cardine dell’etica comune ad ogni popolo. È un valore trasversale alle
diverse tradizioni giuridiche, uno dei nuclei del concetto essenziale
di Dignità Umana…”
Il discorso viene interrotto da una giornalista: “Con queste parole,
l’ambasciatrice Diana di Themiscyra si è rivolta alle Nazioni Unite,
proponendo una mozione per un intervento internazionale volto a fermare
le atrocità in Byalia e riaccendendo il dibattito sul disarmo nucleare
totale, cui hanno preso parte numerose personalità nel corso…”
Bruce smette di ascoltare e studia Clark, di spalle. Indossa un paio di
jeans e una delle sue ridicole camicie a quadri. Nonostante
l’incongruità del suo abbigliamento, sta diventando una vista
familiare, alla Caverna. Clark si divide tra Gotham, la Fortezza e
Smallville, dove ufficialmente si trovava al momento della distruzione
di Metropolis, per quanto concerne le autorità.
La sua presenza alla Caverna è talvolta… problematica. Clark tende a
presentarsi quando ha bisogno di sfogarsi, di litigare. Di essere
convinto che attaccare il mondo a testa bassa e imporre un ultimatum
non sarebbe una buona idea, né lenirebbe la sua sofferenza.
Dick è sempre contento di vederlo, per quanto ombroso o collerico, e
Damian anche, a meno che Clark non appaia troppo all’improvviso,
spaventandolo.
Alfred non approva la sua presenza per diverse ragioni, non ultima che
Damian sembra idealizzare pericolosamente l’assassinio del Joker. Bruce
dovrà presto parlare seriamente con lui.
“Non mi sembra che abbia bisogno di aiuto,” risponde finalmente a Clark.
Diana rovescia uno dei carri armati come una macchinina giocattolo. Le
sue parole non sono comprensibili, ma è facile intuire che ha intimato
ai suoi avversari di arrendersi. Gli equipaggi dei due carri armati
escono lentamente dai loro mezzi e abbandonano le armi. Alle spalle di
Diana si intravedono truppe dell’ONU e associazioni umanitarie.
“No,” concorda Clark, ma ha i pugni contratti nelle tasche dei jeans.
“Vorrei solo… poter fare qualcosa. Ma grazie alle tue macchinazioni ho
le mai legate. Non ho più voce in capitolo.”
“Clark Kent ha una voce,” prova Bruce, ignorando la provocazione, ma
Clark sbuffa.
Poi si gira di tre quarti, lo guarda di sottecchi. “È meglio che vada.”
Bruce sente una piccola fitta al cuore. “Resta. Sto per uscire di
pattuglia. Puoi guardarmi le spalle.”
“Non hai bisogno di me.”
Bruce scrolla le spalle. “Due orecchie in più fanno sempre comodo.”
“Vuoi tenermi d’occhio?”
“Naturalmente. Smantellare un cartello di trafficanti di droga è
routine per me. Pensavo di aggiungere un alieno onnipotente
all’equazione per rendere la serata più interessante.”
Clark scuote la testa. Ma non sparisce nella mesosfera.
---
Cinque anni dopo
“Quindi sostanzialmente le autorità avevano la situazione sotto
controllo, a quel punto, e noi ci siamo ritirati. Lanterna Verde ha
preso in custodia i nostri avversari: sarà il corpo a occuparsi di
loro,” dice Flash sullo schermo riservato alle comunicazioni con la
Torre di Guardia.
“D’accordo. Grazie a tutti. Direi che possiamo concludere, no, Diana?”
dice Bruce, già archiviando dati e rapporti di quella specifica crisi.
Ha l’impressione di sentire uno sguardo su di sé, ma non si volta.
“Direi di sì, se tu sei soddisfatto,” replica Diana con un sorriso. Poi
il suo sguardo oltrepassa Bruce. “Clark, è bello vederti!”
“C’è Supes? Ehi, amico!”
Clark si avvicina con calma. Guarda Bruce e lo saluta con un piccolo
‘ehi’, prima di rivolgersi agli altri. “Anche per me è un piacere
vedervi.”
Tutti i membri della Lega presenti si affollano attorno allo schermo.
“È passato troppo tempo!”
“Devi fare un salto alla Torre, una volta, Superman.”
“È una vita che io e te non facciamo una sfida di velocità, Supes,
dobbiamo rimediare!” esclama Flash parlando a cento chilometri all’ora.
“Quella è la nuova uniforme? Mi piace!”
Clark abbassa gli occhi per un attimo sul tessuto kryptoniano nero che
indossa. “No, questa… è solo per quando volo. Ero stufo di bruciarmi i
vestiti,” risponde poi, non proprio con un sorriso, ma con
un’approssimazione quasi convincente, di questi tempi.
Poco meno di un anno prima ha salvato la vita a Bruce, con
quell’uniforme addosso. Bruce non ha idea di dove fosse Clark, quando
aveva sentito scattare il tamburo della pistola puntata alla sua
schiena; ma prima che lui potesse cadere a terra era lì, pronto a
prenderlo e a riportarlo alla Caverna, alle cure di Alfred.
Bruce incontra gli occhi di Clark: anche lui sta ripensando a quella
notte.
La Lega continua a parlare, a dirgli quanto è mancato a ciascuno di
loro.
“Non vedo l’ora di vederti di nuovo in azione, Superman,” gli dice
Cyborg. “Non fraintendermi, ce la siamo cavata, ma non è stato lo
stesso, senza di te.”
Clark fa di nuovo quel non-sorriso e distoglie lo sguardo.
“Non c’è ovviamente fretta, ma sappi che saremmo più che felici di
riaverti con noi, Clark, quando sarai pronto. In fin dei conti, il
termine del tuo allontanamento è scaduto,” interviene Diana con
dolcezza. Non mette pressione, ma fa sapere a Clark quello che prova,
che tutta la Lega prova.
Il dibattito che è stato definito ‘Il processo di Superman’ non è mai
giunto a una fine insindacabile, ma esperti e opinione pubblica hanno
indicato una pena per le sue azioni, tenendo conto delle circostanze,
per quanto possibile, e di tutto il bene che Superman ha fatto: quattro
anni e quattro mesi.
Il mondo, quasi nella sua interezza, accoglierebbe con gioia il ritorno
di Superman. Ma se è vero che il termine è ampiamente scaduto, è anche
vero che l’anniversario della perdita della Città del Futuro è vicino,
e Bruce sa che Clark non ha ancora preso una decisione sul proprio, di
futuro.
“Il mondo non ha davvero bisogno di me, quando ha tutti voi a
proteggerlo,” risponde Clark a Diana. “Ma ci penserò.”
Bruce crede che dipenda dal fatto che Clark ha alla fine trovato un
proprio modo di aiutare che ha placato la sua ansia di salvare il mondo
da solo. In quanto stimato giornalista e sopravvissuto alla tragedia,
Clark Kent è divenuto una delle voci più forti e autorevoli nella
campagna al disarmo nucleare totale e in quella contro le armi da
fuoco. Come giornalista Clark non è mai stato più d’ispirazione. E
Bruce sospetta anche che non indossi la nuova uniforme solo per volare, di
tanto in tanto.
“Faremo sempre del nostro meglio per tenere il mondo al sicuro,” dice
Diana.
“Ma se dovessimo fronteggiare un’invasione di alieni insettoidi? Lo sai
che mi terrorizzano. O una rivolta delle macchine su scala globale?”
chiede Flash.
Hawkman ridacchia e Cyborg scuote la testa.
“Se ci trovassimo di fronte a una minaccia letale, superiore alle
nostre sole forze, combatteresti con noi?” va al punto Martian
Manhunter.
Clark incrocia le braccia, appoggia il fianco al computer, accanto a
Bruce, e finge di pensarci. “In quel caso, sì,” risponde dopo qualche
secondo.
La Lega esulta.
“Non ti sarai arrugginito, in questi anni?” chiede Aquaman, ridendo.
“Batman non mi ha lasciato impigrire,” risponde Clark e lancia un’altra
lunga occhiata a Bruce.
“Qualcuno deve tenervi tutti in riga,” dice lui.
Gli altri continuano a scherzare per qualche minuto. Clark ascolta più
che intervenire. Quando infine Diana interrompe il collegamento, rimane
per qualche secondo con gli occhi chiusi.
Bruce si alza in piedi ed esita un istante. Può dedicarsi al suo lavoro
e lasciare Clark tranquillo, lasciargli il tempo di pensare, se è
venuto per parlare.
Clark riapre gli occhi prima che lui abbia deciso cosa fare. “Dove sono
i ragazzi?”
“Damian è al cinema con Dick e Barbara. Potrebbe o non potrebbe esserci
un’altra ragazza coinvolta,” risponde lui.
Clark sorride ed è un sorriso più vero, stavolta. Poi torna serio.
Bruce si toglie il cappuccio e il mantello, lo sguardo di Clark su di
sé come accade sempre più spesso, ormai. Quando ha posato entrambi
accanto al computer, Clark gli si avvicina; si infila tra lui e il
piano del computer, lo abbraccia, la fronte appoggiata sulla sua spalla.
“Posso?” chiede piano.
Bruce annuisce, restando immobile. Non è un evento così eccezionale,
tra loro. Clark è sempre stato… cameratesco, e a volte è più facile
restare vicini che parlare. Lo ascolta respirare.
“Credo che Alfred mi abbia perdonato,” dice Clark dopo qualche minuto.
Bruce non riesce a impedire al suo cuore di accelerare. Alfred non ha
mai apprezzato la posizione di Clark sulla morte del Joker, né
tantomeno il suo desiderio di raddrizzare il mondo con la forza. Ma ora
che Clark è più in pace con se stesso, e dopo quanto è successo l’anno
prima, quando ha salvato la vita a Bruce…
Solleva una mano per posarla sulla schiena di Clark, le dita che
sfiorano appena le sue vertebre. “Sono contento.”
“E tu, mi hai perdonato? O sei ancora arrabbiato con me?”
“Non… non ho mai avuto il diritto di essere arrabbiato con te,”
risponde Bruce.
Diana aveva avuto ragione fin dall’inizio: Bruce ha sempre idealizzato
Clark e ha dato la colpa a lui quando si è rivelato non all’altezza dei
suoi standard. Bruce pretende molto da sé a dagli altri. Ma con Clark è
stato ingiusto.
Clark sbuffa piano contro il suo collo. “Mi hai sempre creduto migliore
di quanto fossi in realtà. Hai continuato a crederlo, con la tua solita
testardaggine, e a comportarti come se fosse vero.”
“Forse è vero per me, a prescindere da tutto.”
Clark lo stringe più forte e lui ripensa a tutti i suoi sguardi rubati
alla Caverna o alla Villa, al proprio nome pronunciato in un mormorio
come una preghiera sotto la pioggia gelata, mentre l’eco di uno sparo
gli rimbomba nei timpani. Ma non può accadere niente, nemmeno dopo
cinque anni, non quando Clark sembra ancora scioccato ogni volta che
gli capita di ridere, come se si ricordasse all’improvviso che non può
essere felice.
Ma se ora Alfred lo ha perdonato… Bruce allaccia entrambe le braccia
alla sua vita.
Clark solleva il viso e lo guarda. “Sono pronto,” dice, e lo bacia.
---
Bruce è incredulo ed esitante, sotto le sue mani, sulla sua bocca, come
se Clark potesse cambiare idea all’improvviso, dopo aver aspettato e
passato così tanto tempo a pensare a quello che vuole.
Tipico di lui: nonostante tutti gli indizi e le prove, il Più Grande
Detective del Mondo è sempre in dubbio, di fronte ai sentimenti.
Ma questa vota Clark è sicuro per entrambi e a poco a poco Bruce smette
di cercare di rallentare il suo cuore, di nascondersi.
Clark lascia che quel suono gli rimbombi nelle orecchie, forte e
profondo, veloce e felice, e che cancelli tutto il resto.
Note:
Ho letto il primo volume di Injustice e, benché l’abbia trovato
estremamente coinvolgente e deliziosamente angst, con delle scene e dei
dialoghi bellissimi che riescono a trasmettere molto anche attraverso
quello che resta tra le righe, già dalla prima lettura alcune cose non
mi sono andate giù, da sciocchezze come la gestione diegetica del tempo
(cioè, scoperta e fattaccio avvengono nella stessa notte??), a veri e
propri buchi di trama (come caspita fa Clark a perdere Lois?), alle
motivazioni di molti personaggi. Perciò non potevo non apprezzare un
contest che chiedesse di correggere i canon che non ci hanno convinti!
Link “Canon
compliant? I think not!”
Ho mantenuto e cercato di dare un’impronta personale a tutti gli
elementi del canon che ho apprezzato e ho tagliato e modificato senza
pietà il resto. Alcune frasi possono suonare simili ai dialoghi
originali, ma ho cercato di riscriverle nel mio stile.
L’unica che non ho modificato è ‘È il battito di due cuori proveniente
dalla stessa persona’, che 1) è quasi impossibile da riformulare, 2) mi
sembrava perfetta per richiamare l’atmosfera della storia originale, 3)
mi fa sempre stringere il cuore.
Il titolo della storia è un frammento da 1^ Corinzi 13:4-7 (la lettura
che si sente a TUTTI i matrimoni cristiani) : La Carità non gode
dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. In Inglese però Carità è
tradotto semplicemente con Love.
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