L'acre odore del riscatto

di Chiara PuroLuce
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                                                                L’ACRE ODORE DEL RISCATTO
                                                           
                                                              pumpNIGHT 2020 Prompt 12 – Acre
 
 
Amanda non amava tutto ciò che era acre, ma in special modo non amava quell’odore pungente e rivoltante – a suo dire – che emanavano le arance e i mandarini.
E a casa sua, tutti, dalla madre, alla nonna, alla sua tenace nonna bis, lo amavano a tal punto da mettere le loro bucce sulla stufa a pellet o sul calorifero o, perché no, nel forno acceso per l’occasione e non la smettevano mai di comprare fragranze con le quali “profumare” la casa.
Doveva proprio andarsene da lì o presto o tardi sarebbe sbottata.
Un giorno era tornata a casa dal lavoro – dopo otto ore in piedi a confezionare salumi alla catena di montaggio nel salumificio dove lavorava – e pensava di potersi distendere per qualche minuto sul suo letto, quando… l’aveva sentito e aveva aperto gli occhi di scatto, prima di guardarsi intorno e vedere cosa diamine generava quella puzza. Un deodorante a spruzzo, nientemeno. Appeso all’anta del suo armadio. Aveva fatto una scenata tale che in famiglia ancora la ricordavano, ridendo. Peccato che a lei non venisse affatto da ridere.
Un altro giorno era salita in auto ancora mezza addormentata per affrontare il primo turno in ditta – il più pesante tra tutti – e di nuovo quella puzza. Qualcuno le aveva messo un arbre magique attaccato allo specchietto retrovisore. Di notte. Perché la sera prima, era sicura non ci fosse quando aveva parcheggiato in garage.
Ma la volta che ricordava con più nervosismo, era stata quando si era ritrovata il suo bucato personale – che in genere si gestiva da sola – profumato all’arancia e poi, non contenta, sua madre si era spinta a metterle dei profumatori al mandarino nei cassetti dell’armadio e nel reparto giacche.
E ora… ora… questo!
 
«Senti, mamma, posso dirti una cosa in tutta sincerità?»
 
«Certo, cara, dimmi tutto.»
 
«Ma ti sei bevuta il cervello?»
 
«Cosa? Ma che modo di parlarmi è questo.»
 
«Non ho nessuna intenzione di scusarmi o ritrattare» l’informò prima di continuare «tu sai che io odio l’odore che sprigionano gli agrumi, lo sai – per non parlare di quel suo sapore acre che ti si incolla al palato e non ti lascia più per diverso tempo – ma ora hai davvero esagerato!»
 
«Perché? Che cosa ho fatto?»
 
«Ho sopportato tutti questi anni di menefreghismo da parte vostra – sì, parlo anche delle altre due donne di casa – nonostante sapeste questa mia avversione, ma ora basta. Basta!» urlò, esasperata «Ti sei intromessa un po’ troppo nell’organizzazione del mio matrimonio con Francesco. Ne ho piene le scatole e se non la smetti subito e annulli tutto quello che hai ordito alle mie spalle, giuro che nessuno dei due si presenterà alla cerimonia.»
 
«Non esagerare adesso. In fondo che ho fatto di male, se non aggiungere un po’ di colore e profumo qua e là.»
 
«Qua e là? Mamma! Hai chiamato il fiorista per fare sostituire tutti i centro tavola con foglie di agrumi e piccoli mandarini nascosti da enormi fiori arancioni. Hai chiamato il ristorante e hai modificato il menù in vece mia. E queste sono le cose peggiori che hai combinato. Perché diamine non la smetti e non accetti che io non sono come te. Non sono la tua fotocopia, non ho i tuoi gusti e non voglio che il matrimonio sia rovinato da quello che più detesto al mondo. Quando mi hanno chiamato per chiedermi se confermavo tali cambiamenti mi è preso un coccolone! Ho urlato così forte che due tizi sul tram mi hanno guardata malissimo e hanno cambiato posto.»
 
Generalmente Amanda era un tipo tranquillo e adorava sua madre, ma questa volta aveva passato il segno.
 
«Non vuoi che il matrimonio sia indimenticabile per gli invitati? È un’idea geniale, pensaci. Nessuno lo fa mai.»
 
«Perché un matrimonio è per festeggiare gli sposi, non gli invitati!» le ricordò «E poi, è una cerimonia intima, solo per i familiari stretti. Non ha senso.»
 
«Io volevo solo farti un piacere… sei la mia unica figlia» piagnucolò la madre.
 
«Be’, astieniti. Se vorrai vederci in chiesa, ti conviene fare la parte dell’invitata e niente di più, intese?» la guardò fino a che lei, riluttante, annuì «Bene, grazie. Ora faccio quella che va. Sai, oggi ero finalmente libera e potevo passare la giornata a rilassarmi, ma devo andare a rimediare ai guai che hai causato, sperando non mi mandino a quel paese, e visto che c’è già tanta gente che ci va… sarei in buona compagnia, nel caso.»
 
«Solo una domanda e poi ti lascio andare» la bloccò sua madre «non ho mai capito e non ci hai mai detto, che cosa ti ha scatenato questa avversione per gli agrumi.»
 
«Be’, dovrei tornare molto indietro nel tempo e oggi non ne ho. Ciao» e la lasciò sola.
 

 
In macchina ripensò alla domanda che sua madre le aveva posto. Che cosa aveva scatenato la sua avversione per tutto ciò che era acre? Era presto detto: il bullismo.
A scuola ne era stata vittima per anni durante il periodo scolastico, e quelle aggressioni verbali e fisiche erano risultate essere un vero incubo.
Lei era stata una bimba prima e una ragazzina poi, molto tranquilla. Non creava problemi a nessuno e cercava di stare nel suo piccolo, non essendo molto socievole. Ma agli altri questa cosa non andava giù e allora avevano iniziato a correre voci false su di lei e le prese in giro inventate erano fioccate.
Alle elementari si limitavano a prenderla in giro da lontano, a parlarle alle spalle anche se lei poteva sentirli benissimo.
Alle medie prima e alle superiori poi la zolfa era cambiata, in peggio. Spesso le venivano attribuiti episodi che lei non aveva mai neanche vissuto, ma che coinvolgevano i bulli della scuola ai quali, lei, avrebbe fatto dei torti volutamente. Bulli stra ricchi di famiglia, stra viziati e coccolati dalle religiose della scuola. Bulli, innocenti a prescindere.
Questi, non solo si limitavano a darle noie con le parole, ma si erano parecchio divertiti a tormentarla fisicamente con veri e proprio agguati nei corridoi o nei bagni della scuola.
Tre erano stati gli episodi peggiori.
Il primo riguardava l’averla costretta a togliersi il grembiule – essendo una scuola privata e religiosa la direzione lo esigeva – e a rovesciarle addosso un secchio di acqua sporca e puzzolente perché, a loro dire, aveva guardato un ragazzo proibito in quanto fidanzato con la reginetta della scuola. Era rimasta per le successive ore con i vestiti fradici addosso e si era presa un potente raffreddore che l’aveva costretta a casa per due settimane.
Il secondo, riguardava una volta in cui l’avevano costretta a mangiare a forza degli agrumi, conseguenza per avere messo in giro voci infamanti sul capo dei bulli, che lei, fino a quel momento, non sapeva neanche che faccia avesse. Alla fine, aveva vomitato e aveva ottenuto di farsi venire a prendere.
La terza era stata ritrovarsi della spremuta di pompelmo e arancia in faccia. Questa volta la colpa era stata quella di avere fatto sbagliare intenzionalmente una verifica importante ad alcuni della banda come vendetta per le loro malefatte. Gli occhi le erano bruciati per un’ora. Ora nella quale aveva una verifica di matematica, lasciata in bianco perché non vedeva nulla. Le era costato un 3 e una nota sul diario.
Ecco spiegata la sua avversione per tutto ciò che era acre. Era un odore che le portava alla mente un periodo oscuro della sua vita e che le dava ai nervi. Un odore che, durante quegli anni, le era entrato sottopelle e che la rivoltava.
I bulli avevano capito quanto a lei facesse ribrezzo tutto ciò che era acre e lo usavano costantemente a loro vantaggio, come arma.
Nessuno mai l’aveva capita. Tranne Francesco. Con lui e solo con lui aveva iniziato ad aprirsi, fino ad arrivare a quel punto.
Quando a lui aveva raccontato tutte quelle vessazioni, l’aveva guardata e le aveva domandato:
 
«Perché non hai mai denunciato la cosa? Avrebbero potuto aiutarti. Ti avessi conosciuta a quei tempi, ti giuro che li avrei presi a calci in culo.»
 
Ed era stato lì’ che lei, si era innamorata di lui. Ironia della sorte, lui era un… preside delle medie ed era da sempre in lotta con questi personaggi. Tolleranza minima e possibilità di redenzione. Questo succedeva prima che lei gli confidasse il suo calvario scolastico, compresa la paura di parlare per non mettersi nei guai anche con i professori che chiudevano due occhi, non uno, sul bullismo.
Da allora per Francesco, preside di una scuola media, il bullismo richiedeva tolleranza zero e repressione sul nascere, con espulsioni e immediato voto 5 in condotta.
Ne avrebbe parlato mai a sua madre di tutto questo? No, non avrebbe capito e, anzi, le avrebbe detto:
 
«Eh, ma quante storie per qualche scherzetto innocente tra ragazzi.»
 
Così come aveva taciuto ogni volta che rientrava da scuola con sguardo spento.
 
 
 
Il giorno del suo matrimonio fu perfetto. Venti invitati, tanta allegria e amore. Nulla a ricordarle spiacevoli ricordi. Sua madre aveva capito e si era guardata bene dal rifarle uno scherzetto del genere. Ogni riferimento agli agrumi era sparito, nessuno odore acre nell’aria e questo anche grazie a Francesco che aveva fatto un discorsetto alla sua genitrice, minacciando di rapire la sua innamorata e portarla a Las Vegas per essere sposati da Elvis.
 
 
 
A distanza di anni poteva dire che era stata fortunata ad avere l’amore di suo marito. Quell’uomo aveva rinunciato a uno dei suoi frutti preferiti per lei e per la sua serenità d’animo e lei non poteva amarlo di più di quello che già faceva.
 
 




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