Ives
Bras Rain (Give You
The Best)
Lanciai l’ennesima occhiata al testo della canzone e
ripassai mentalmente gli accordi mentre mi mordicchiavo il labbro inferiore. I
fogli che stringevo tra le dita da ore erano ormai spiegazzati e assottigliati,
non avevo fatto che poggiarli sul tavolo e riprenderli in mano in
continuazione.
Non era certo da me essere così nervoso prima di un concerto,
ero sempre salito sul palco con naturalezza e senza farci troppo caso – era il
luogo in cui stavo meglio, quello in cui avrei voluto trascorrere tutta la vita
–, ma quel giorno era diverso.
Non avevo nemmeno voglia di andare a fare baldoria con i
miei amici, dovevo stare concentrato.
Mi accorsi a malapena dell’arrivo di Ethan, che prese posto
in una sedia vuota accanto a me e posò la sua birra piena per metà sul piano
del tavolino. “Non vieni a bere qualcosa? Oggi per gli artisti le consumazioni
sono gratis.”
Sobbalzai appena e gli lanciai un’occhiata in tralice. “No.
Devo ripassare la canzone.”
“Ancora? L’abbiamo provata per mesi” commentò il mio
amico, sollevando i suoi grandi occhi neri al cielo.
“Ma hai idea di quanta responsabilità ho?” gli feci
presente, sventolandogli il testo della canzone davanti agli occhi. “È la prima
volta che canto davanti a un pubblico! E se sbaglio? E se mi dimentico il
testo? Con un cantante come Oliver nella band, i nostri fan hanno un sacco di
aspettative!” Posai nuovamente la pagina sgualcita e mi accesi una sigaretta
con movimenti nervosi.
“Fino a prova contraria, sei stato tu a insistere per
cantare quel pezzo” puntualizzò Ethan, prendendo un sorso dal suo bicchiere.
Abbassai lo sguardo, senza sapere bene cosa rispondere.
Effettivamente non appena avevo composto quel testo mi ero reso conto che aveva
qualcosa di speciale, che ci avevo messo dentro tutto me stesso, tutte le
emozioni e i pensieri che mai sarei riuscito a esprimere se non in versi.
Quella era la mia canzone, e nessun’altra voce avrebbe potuto intonarla.
Così, armato di buona volontà e di qualche scarsa nozione in
materia, avevo chiesto in prestito a Ethan la chitarra classica e avevo
composto anche la musica e la melodia, dando vita al primo brano acustico nel
repertorio degli Storm It Down. L’avevo provato e riprovato infinite volte,
finché non mi ero sentito sicuro.
Ma ora che era giunto il momento di presentare la canzone a
un pubblico per la prima volta, avevo l’impressione che la catastrofe fosse
dietro l’angolo.
“E dai, che palle, sembra che ti è morto un parente!” mi
richiamò Ethan, riportandomi alla realtà. Gli lanciai uno sguardo e lo trovai
accigliato, ma con una luce fiduciosa negli occhi; era il suo modo di dirmi che
credeva in me e non aveva alcun dubbio sulla buona riuscita dello show.
“Parli così solo perché non sei tu quello che deve cantare
davanti a tutti!” replicai dopo aver sbuffato fuori una boccata di fumo.
“Infatti io sono stonato e non canterò mai.”
Presi a ridacchiare e mi allungai per mollargli uno
scherzoso pugno sul braccio. “Ma tu non canticchi proprio mai? Nemmeno quando
sei da solo? Nemmeno sotto la doccia?”
Lui incrociò le braccia al petto e mise su la sua solita
espressione dura e imperscrutabile. “Mai.”
“Che vita triste…” lo sbeffeggiai, poi tornai a percorrere i
versi del mio testo con lo sguardo e sospirai con disperazione. “Dov’è la tua
chitarra? Me la presti? Voglio ripassare la strofa.”
“E smettila di rompere il cazzo! Se sento un’altra volta
quel fottuto giro di accordi, giuro che ti vomito sulle scarpe!”
Mi passai una mano sulla fronte, scompigliando ulteriormente
il ciuffo corvino e ribelle. “Tu non capisci…”
“Andrai benissimo! E poi le ragazze impazziscono già per te,
con quel faccino da bimbo innocente che ti ritrovi.”
“Ma se corrono tutte da te e Oliver!” obiettai.
“E invece scommetto che oggi quando inizierai a cantare
voleranno decine di reggiseni sul palco!” Ethan fece schioccare la lingua e
sorrise appena.
Distolsi lo sguardo e sentii le guance farsi calde. “Non
dire stronzate.”
La sola idea in realtà mi metteva parecchio in imbarazzo.
Non tanto perché non mi avrebbe fatto piacere avere gli occhi di qualche bella
ragazza puntati addosso, ma perché non ero affatto abituato a ricevere quel
tipo di attenzioni – in quanto bassista della band, passavo sempre in secondo
piano.
“Non sono stronzate, ho ragione! Vuoi scommettere?”
Quelle ultime due parole catturarono la mia attenzione; abbandonai
il mozzicone della mia sigaretta nel posacenere, poggiai i gomiti sul tavolo e
mi sporsi verso il mio amico con un sorrisetto beffardo stampato sulle labbra.
“Cosa si vince?”
“Cosa si perde, vorrai dire” mi corresse lui,
ricambiando il mio sguardo complice. “Se durante la tua canzone cadranno sul
palco almeno due reggiseni, dovrai farti la permanente e tenere i
capelli ricci per una settimana. Se invece non succede, sta a te stabilire la
pena.”
Mi portai istintivamente una mano ai capelli lisci che mi
incorniciavano il viso e mi sfioravano il collo, poi la spostai sul mio adorato
ciuffo che mi copriva la fronte. Non riuscivo nemmeno a immaginare quanto sarei
stato brutto con i boccoli, mi veniva da rabbrividire al sol pensiero; Ethan era
stato decisamente cattivo con me, dovevo trovare una punizione equa per lui.
Senza scompormi, sostenni il suo sguardo con aria di sfida.
“Se perdi, dovrai tingerti i capelli di viola.”
Ma lui non parve affatto turbato dalle mie parole e si
limitò a tendermi una mano. “Affare fatto. E comincia a prenotare dal tuo
parrucchiere di fiducia: io non perdo mai una scommessa.”
Gliela strinsi per suggellare il patto ma, anche se non lo
diedi a vedere, in quel momento cominciai a preoccuparmi: in effetti, da quando
lo conoscevo, Ethan aveva vinto ogni singola scommessa che avevamo fatto e io
non ero stato tanto furbo a cascarci di nuovo.
Però stavolta avevamo puntato su qualcosa che non dipendeva
da noi.
“Ehilà! Che fate qui soli soletti?” La voce di Oliver mi
colse di sorpresa, facendomi sobbalzare; mi voltai e vidi il nostro cantante
accomodarsi accanto a Ethan. “Aspettate… non ditemi che avete una relazione
clandestina e siete qui per avere un po’ di privacy mentre amoreggiate!” ci
prese in giro col suo solito fare ironico.
“Vaffanculo” lo liquidò Ethan in tono piatto. “Comunque
stavamo scommettendo.”
“Uh, e cosa c’è in gioco, soldi? Nel caso partecipo
anch’io!”
“Meno male che sei arrivato, ti devo chiedere dei consigli!”
mi rivolsi al cantante, ignorando il loro discorso e prendendo in mano i fogli
con testo e partiture. “Se sei sul palco e ti dimentichi qualche parola del
testo, tu che fai?”
“Che palle, adesso cominciano quei tipici discorsi da
cantanti… io me la filo” affermò Ethan, mettendosi in piedi e prendendo in mano
il suo bicchiere quasi vuoto. “Sapete dov’è Alick?” aggiunse poi, cercando il
batterista con lo sguardo.
“Qualche minuto fa l’ho visto parlare col tecnico delle
luci, poi non so. Comunque, Ives… cosa volevi sapere?” Oliver scalò di un posto
per sistemarsi sulla sedia accanto alla mia e tornò a concentrarsi su di me, le
iridi verdi colme di interesse.
Sospirai. Più il tempo passava, più mi sentivo nervoso e
l’ansia mi chiudeva la gola.
Come avrei fatto a cantare quella sera?
Sentivo le goccioline di sudore scorrermi sulla schiena e
incollarsi al tessuto sottile della maglietta mentre, col basso stretto tra le
braccia e le dita che pizzicavano, sorridevo al mio pubblico e lanciavo
occhiate entusiaste ai miei compagni di band. I faretti di bassa qualità
surriscaldavano l’aria e il palchetto su cui stavamo suonando era talmente
piccolo che dovevamo limitare i movimenti, ma a me non importava niente: con i
fan entusiasti che intonavano ogni nostro ritornello e le ragazze in delirio
che chiamavano i nostri nomi, mi pareva di essere sulla vetta del mondo.
Non avrei mai potuto fare a meno di tutto ciò. Era la mia
vita.
Mentre eseguivamo l’outro di Losing Myself, uno dei
brani più vecchi che avevano in scaletta, Oliver si voltò appena verso di me e
accennò al microfono che teneva in mano.
Un brivido mi scosse e mi mordicchiai appena il labbro: me
n’ero quasi dimenticato, talmente ero preso dal live! Ora toccava a me, era
giunto il momento di presentare la nuova canzone.
Avrei cantato per la prima volta davanti a pubblico. E non
mi sentivo affatto tranquillo.
Strinsi nervosamente le dita attorno al manico del basso e
lanciai un’occhiata agli spettatori ammassati in ogni angolo del locale: erano
tanti, troppi, superavano il centinaio e tenevano gli occhi puntati su
di noi.
Ci godemmo l’applauso e le grida di approvazione al termine
del brano, anche se io non riuscii a far altro che deglutire a vuoto e
guardarmi attorno con circospezione. Notai Ethan che, all’estremità apposta del
palchetto, si sfilava la tracolla della chitarra e mi lanciava uno sguardo di
incoraggiamento.
“Grazie ragazzi!” esordì Oliver al microfono; la sua voce
calda inondò il locale, riportando l’attenzione di tutti sul palco. “Bene, vedo
che siete carichi stasera! Allora preparatevi a far crollare il locale a furia
di applaudire, perché stasera abbiamo una sorpresa davvero speciale per voi!”
Un boato di approvazione ci raggiunse e notai i fan in prima
fila sollevare le braccia al cielo, entusiasti e carichi di aspettative.
Diedi loro le spalle con la scusa di poggiare il mio basso
in un angolo del palco e temporeggiai qualche altro istante, cercando di
calmarmi e ripassando mentalmente ciò che avrei dovuto cantare e suonare.
Potevo farcela?
“Siete pronti a sentire un nuovo brano, fresco di stesura?”
proruppe Oliver al microfono, e il frastuono crebbe ancora di più.
Mi riscossi solo quando qualcuno mi picchiettò sulla spalla;
sollevai il capo e trovai Alick a fianco a me che, abbandonata la sua
postazione dietro la batteria, aveva provveduto a recuperare la chitarra
acustica e ora me la stava porgendo.
“Spacca tutto” mormorò, prima di uscire di scena a sua volta.
Presi l’ennesimo profondo respiro, mi voltai e feci qualche
passo avanti.
“Ma non ci sarò io al microfono stavolta: date il benvenuto
alla seconda voce più bella degli Storm It Down!” concluse Oliver con
entusiasmo, facendo un ampio cenno verso di me.
Le acclamazioni del pubblico mi avvolsero e sentii il cuore
accelerare i battiti e martellarmi nel petto; tuttavia la paura aveva preso a
scivolare via, lasciando posto a un’immensa gratitudine verso i nostri
spettatori e una sconfinata voglia di renderli felici. Sorrisi con entusiasmo e
mi accostai a bordo palco, prendendo posto davanti all’asta che era già stata
posizionata e regolata per me.
Mi schiarii appena la gola. “Ciao a tutti, io sono Ives!
Ehm… okay, è la prima volta che canto in pubblico, e in realtà non ho neanche
mai suonato la chitarra prima d’ora… ma spero che la mia canzone possa
piacervi! È un po’ insolita, visto che è acustica, ma ehi, siamo qui anche per
provare cose nuove!”
Ecco, come al solito stavo straparlando. Fortunatamente non
ero il frontman della band, altrimenti avrei annoiato il pubblico a ogni
singolo concerto; Oliver era senza dubbio più bravo di me in questo.
Contrariamente alle mie aspettative, tutti accolsero
calorosamente le mie parole e alcuni dei nostri amici gridarono il mio nome.
Sorrisi. “Grazie! Grazie a tutti! Ma prima di applaudire
ascoltate la canzone, magari fa cagare!”
Un coro di risatine si diffuse nel locale.
“Non dire stronzate, spacca tutto!” sentii urlare da Oliver,
che si era posizionato su un lato del palco insieme agli altri due musicisti.
Ricevetti un altro applauso mentre tornavo a concentrarmi
sullo strumento e sistemavo le dita sulle corde. Con mia sorpresa, mi resi
conto che quel gesto mi veniva naturale, quasi automatico: mi ero esercitato
talmente tanto che ormai il mio corpo aveva imparato gli accordi, i movimenti,
le posizioni.
E quasi non mi accorsi di aver già suonato il primo giro
della strofa.
Sollevai lo sguardo e con una breve occhiata mi resi conto
che molti dei presenti si erano messi all’ascolto; qualcuno bisbigliava
all’orecchio del suo vicino, qualcun altro già annuiva con un sorrisetto
soddisfatto sulle labbra.
Si aspettavano tanto da me. Sarei stato in grado di
darglielo?
Cominciai a cantare e la voce mi tremava appena, la sentivo
così incerta, tremendamente sottile e debole, e per un istante mi venne voglia
di mollare tutto e correre di nuovo nel mio angolino del palco, dove il basso mi
faceva da scudo insieme alla penombra…
Ma quelle preoccupazioni presero a dissolversi qualche
istante più tardi: mi lasciai assorbire da quelle parole che io stesso avevo
scritto e in cui avevo fatto fluire le mie più profonde emozioni. Permisi a
queste ultime di inghiottirmi, di riempire la mia voce e venir fuori senza
vergogna, e quando giunsi al ritornello la mia voce non tremava più.
All’improvviso non avevo più paura di sbagliare il testo.
E non mi importava di mettermi a nudo davanti a tutti.
So lay your head
on my chest,
listen to my heart
beatin’ with yours.
Oh, let me give
you the best
as I keep inside
me the worst
Un boato mi investì e udii il mio nome rimbalzare in tutte
le direzioni: a quanto pareva il ritornello era piaciuto! Non sapevo dire se avessi
cantato bene o meno, non ci avevo fatto caso, ma in quel momento ero la persona
più felice al mondo e sentivo di amare ogni singola persona che si trovava
davanti a me.
Ma non potevo permettermi di fermarmi a pensare, dovevo
rimanere concentrato sulla seconda strofa e arrivare in fondo alla canzone
senza lasciarmi distrarre.
Proprio mentre cominciavo a intonare il secondo verso, un
oggetto bianco non meglio identificato entrò nel mio campo visivo, andando a
posarsi sul palco a qualche centimetro dai miei piedi. Dalle prime file si
levarono grida, risate e fischi d’approvazione.
Senza smettere di cantare, esaminai l’oggetto con lo sguardo
e, una volta appresa la sua natura, per poco non mi si mozzò la voce: era un
reggiseno!
Sentii il viso andarmi in fiamme e sbagliai un accordo.
Non poteva essere, Ethan aveva avuto ragione! Ma chi diavolo
poteva essere la ragazza che aveva compiuto quel gesto? Non ero certo il membro
più interessante della band.
Istintivamente presi a guardarmi attorno, ma non riuscii a
individuare la proprietaria dell’indumento da nessuna parte.
Era una situazione surreale, mi veniva voglia di ridere ma
non potevo, mi trovavo nel bel mezzo di un’esibizione – si stava rivelando
un’impresa più ardua del previsto.
Ma quando un secondo oggetto – stavolta si trattava di un
reggiseno nero in pizzo – piovve alle mie spalle, sfiorandomi quasi un braccio,
il mio sguardo era ben attento e riuscii a seguirne la traiettoria: mi voltai
appena verso sinistra, sulla parte laterale del palco, e quando riconobbi la
figura che era immersa nella penombra per poco non lanciai un grido.
Ethan mi strizzava l’occhio, sorridendo sornione, e faceva
roteare in aria un indumento come se fosse un lazzo.
Brutto bastardo…
Allora mi ricordai di quella maledetta scommessa che avevamo
fatto qualche ora prima, di cui mi ero totalmente dimenticato nell’agitazione
generale.
Avevo soltanto voglia di scendere dal palco e urlare in
faccia a quel decerebrato del mio migliore amico che era un coglione, che così
era giocare sporco, che non aveva vinto un bel niente e che aveva rischiato di
mandare a rotoli la mia performance con il suo scherzo, ma ancora una volta mi
dovetti trattenere: stavo per giungere allo special, che era la parte
più impegnativa del brano dal punto di vista canoro.
Fu tremendamente difficile mantenere la concentrazione mentre
un terzo reggiseno, stavolta azzurro con dei coniglietti stampati sopra – ma da
dove diamine l’aveva pescato Ethan?! – mi colpì su un fianco, per poi ricadere
sulle mie scarpe.
E così stavo cantando una canzone dolcissima e dalla carica
emotiva non indifferente con un fottuto reggiseno celeste incastrato tra i
lacci delle sneakers. Non era proprio il massimo per il mio esordio da solista.
L’avrei fatta pagare a Ethan.
Nonostante tutto, giunsi al termine della canzone senza
commettere altri errori e ricevetti uno scroscio di applausi che mi lasciò
senza fiato.
Tutti gridavano, scalpitavano e mi lanciavano occhiate colme
d’emozione, e stavolta era tutto per me e per la mia canzone. Avrei voluto
piangere e ringraziare tutti, invece non facevo che sorridere come un ebete.
Non potevo crederci.
Mi accorsi a malapena che Oliver, Alick e Ethan erano
nuovamente saliti sul palco; il cantante mi raggiunse, staccò il microfono
dall’asta e annunciò a gran voce: “E questo era Ives con la sua Bras Rain!”
Scoppiai a ridere e gli diedi di gomito, abbassando lo
sguardo per nascondere l’imbarazzo. “Ma che stronzo!”
“Ah, no, scusate: Give You The Best!” si corresse il
cantante con un sorrisetto fintamente innocente.
Ormai tutti gli spettatori ridevano ed era impossibile non
farsi contagiare dall’atmosfera. Ancora con la chitarra acustica appesa
addosso, scalciai via il reggiseno azzurro dai miei piedi e tornai alla mia
postazione, il viso ancora paonazzo – un po’ per il caldo opprimente, un po’
per le risate e un po’ per l’imbarazzo.
Mentre riprendevo tra le braccia il mio solito strumento,
incrociai lo sguardo di Ethan – che si stava sistemando al suo posto – e lo
fulminai con un’occhiata.
Lui, col suo solito fare noncurante, si strinse nelle
spalle.
“Questa me la paghi” scandii in modo che potesse leggere il
labiale.
Ma non feci in tempo ad aggiungere altro: Oliver stava già
annunciando la prossima canzone. Avevamo un concerto da concludere.
“Non hai imparato niente, bimbo? Non si scommette mai contro
Ethan AraÚjo” affermò il mio amico in tono solenne mentre sorseggiava la sua
birra.
“Ma veramente i patti non erano questi!” sbottai offeso –
sotto sotto ero divertito da quella situazione, anche se non l’avrei mai ammesso.
“Eh no, i patti invece parlavano chiaro. Quando abbiamo
scommesso, io ho pronunciato queste parole: se durante la tua canzone
cadranno sul palco almeno due reggiseni, dovrai farti la permanente e tenere i
capelli ricci per una settimana. Non ho mai parlato di chi te li avrebbe
lanciati.”
Sbuffai e mi battei una mano sulla fronte. “È una
fregatura!”
“Non avresti accettato!”
“Ma poi da dove li hai pescati tutti quei reggiseni?”
indagai, curioso.
Ethan si strinse nelle spalle, poi accennò brevemente ad
alcune ragazze che, in piedi davanti al bancone, stavano palesemente aspettando
il mio amico. “Ho i miei contatti. E ho ben imparato l’arte della persuasione.”
“Sì, vabbè…” borbottai, incrociando le braccia al petto.
“Allora, hai già pensato al parrucchiere da cui vorresti
andare? Se non ne hai uno di fiducia, posso consigliarti io.” C’era una
scintilla di divertimento nelle iridi nere del mio amico. Che bastardo.
Sollevai gli occhi al cielo, esasperato. “Ma sei serio?”
“Serissimo.”
“Col cazzo! Io non mi farò mai la permanente!” obiettai
disgustato, passandomi una mano tra le ciocche lisce e leggermente umide. Non
potevo rovinare in quel modo i miei poveri capelli e soprattutto la mia
dignità.
“Hai accettato una scommessa, e adesso sono cazzi tuoi!” ribatté
Ethan con una risatina.
Sbuffai e distolsi lo sguardo.
“Ma veramente i patti non erano questi” mi scimmiottò
allora lui.
Tornai a guardarlo negli occhi e li trovai estremamente
seri. “Non mi lascerai in pace finché non lo farò, vero?”
“Esattamente.”
Mi morsi il labbro. “Sei un amico di merda, lo sai?” Poi mi
voltai, afferrai i tre indumenti che avevamo raccolto dal palco prima di
lasciarlo, e glieli ficcai in mano. “E rendi questi alle tue amiche!”
Lui sorrise con fare soddisfatto.
“Questa me la paghi, Ethan AraÚjo!”
Il dettaglio più preoccupante di quella faccenda non era
tanto il fatto di essermi sottoposto a quella tortura di tendenza che tutti
chiamavano permanente, ma la reazione di Ethan non appena ero uscito dal
salone del parrucchiere: era scoppiato a ridere senza ritegno e si era
addirittura dovuto appoggiare alla parete per non piegarsi in due. Dal canto
mio, mi ero rifiutato di guardarmi allo specchio, troppo terrorizzato da ciò
che avrei potuto scorgervi.
“Te la sei cercata! Lo sai che non conviene scommettere
contro di me!” replicò tra una risata e l’altra.
Era talmente sadico che aveva deciso di aspettarmi là fuori:
voleva essere il primo a vedere quel raccapricciante spettacolo.
Sì, forse qualche volta era il caso di mettere da parte
l’orgoglio ed evitare di scommettere contro di lui.
Mi accostai di qualche passo con fare minaccioso e mi puntai
le mani sui fianchi. “Ridi, ridi… mi vendicherò prima o poi!”
“Farai subito colpo con questo nuovo look” mi prese in giro,
riprendendo fiato e passandosi una mano sugli occhi.
“Farò prendere un colpo a qualcuno, semmai…”
Un fischio d’approvazione alle mie spalle mi fece
sobbalzare; quando mi voltai, mi resi conto con orrore che alcuni ragazzi e
ragazze del nostro solito gruppo di amici – tra cui Oliver – stavano passando
proprio di lì.
“Ma che splendore! Ora sei proprio alla moda!” esclamò Bogdan
trattenendo a stento una risata.
“Veramente sembra che il phon gli abbia dato la scossa”
commentò Bess, prendendo una boccata di fumo dalla sua sigaretta.
“Andate a fanculo!” ringhiai.
“Dai, non prendetelo in giro, secondo me gli stanno pure
bene: sembra Boy George!” affermò invece Oliver con un sorrisetto a metà tra il
divertito e l’intenerito.
Mi voltai nuovamente verso Ethan e lo trucidai con
un’occhiata.
“Posso fare qualcosa per farmi perdonare?” domandò lui in
tono innocente.
“Sì: vai a fanculo pure tu!”
Lui si strinse nelle spalle. “Beh, avrai imparato la lezione
almeno…”
“Questa è l’ultima volta che accetto una sfida, ci puoi
scommettere!”
“Ah, quindi vuoi scommettere di nuovo?”
Gli diedi una leggera e scherzosa spinta, poi mi avvicinai
agli altri tre.
“Guarda il lato positivo: questi riccioli sono talmente
vaporosi e fitti che ci puoi nascondere la roba e gli sbirri non la troveranno
mai!” mi fece notare Bogdan con un ghigno complice.
Lo ignorai completamente e mi rivolsi alla ragazza che gli
stava accanto. “Bess, senti…”
“Dimmi.”
Sbattei un paio di volte le ciglia, supplichevole. “Non è
che magari… a casa tua hai una piastra per capelli?”
♥ ♥
♥
Eccomi di ritorno in questa serie con una storia talmente
demenziale che io non mi capacito di averla scritta AHAHAHAHA ma è stato troppo
divertente!!!
Come alcuni di voi ricorderanno, circa un mesetto fa ho
pubblicato una raccoltina di drabbles (I wanna give it to you) in cui
accennavo a questo tragicomico evento della vita di Ives, ossia il momento in
cui aveva perso una scommessa con Ethan e si era dovuto fare la permanente.
Ora, chi segue la serie sa bene che Ives ha SEMPRE avuto i capelli lisci e MAI
lo si potrebbe immaginare diversamente, quindi vi lascio l’onore di figurarvi
quanto può essere tremenda questa visione AHAHAHAHAH!
Vi avevo promesso una spiegazione per questa scommessa… ed
eccola qui! Lo so, è una cosa estremamente idiota, ma si adattava perfettamente
al contest di Spettro94 e non potevo non cogliere la palla al balzo – tra
l’altro, Spettro, spero che tutto ciò non ti abbia fatto troppo
schifo/distrutto i neuroni XD in genere sono un’autrice seria (????)
E che ve ne pare di quest’Ives cantante? Del resto Ethan gli
ha sempre detto che era intonato, quindi prima o poi una cosa del genere doveva
succedere! Me lo immagino proprio il mio bimbo che canta una canzone dolcissima
e super fluffosa accompagnato solo dalla chitarra *_____*
A proposito: il ritornello che avete trovato nella storia è
opera mia! Perché sì, sono così malata che scrivo anche i testi degli Storm It
Down AHAHAHAHAHA o almeno ci provo, visto che sono una pippa con l’inglese – e
infatti mi scuso nel caso di errori imperdonabili o frasi formulate male,
ovviamente accetto consigli e vi sarei grata se mi deste la vostra opinione al
riguardo ^^
Per il resto… non credo di aver messo nella storia nessun
particolare riferimento alla serie, quindi spero (soprattutto per te, Spettro)
che la storia sia stata chiara! Può essere utile solo sapere che la shot è
ambientata nella Los Angeles degli anni Ottanta e che la formazione ufficiale
degli Storm It Down – anche se penso si possa intuire – è: Oliver alla voce,
Ethan alla chitarra, Ives al basso e Alick alla batteria.
E niente, spero solo di avervi strappato un sorriso :3
Grazie a chiunque sia giunto in fondo e alla prossima!!! ♥
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