Steso
sul letto del suo appartamento, Wes, silenzioso, accarezzava una
fotografia stretta tra le sue lunghe dita.
Nella
pellicola, era impresso il ritratto di una giovane donna di statura
media e di corporatura formosa, vestita di un lungo vestito bianco,
adorno di fiori.
Il
suo volto, dai lineamenti leggeri, era circondato da una folta e
riccia chioma castana, simile ad una criniera, e i suoi occhi
cerulei, dal taglio allungato, fissavano decisi l’obiettivo.
–
Mamma…
– mormorò. Sophia Mallamo era una donna di origini
greche e, venti anni prima, aveva conosciuto suo padre durante una
vacanza in Grecia.
Lui
era un giovane uomo ambizioso, che, pur dedicandosi alla costruzione
della sua carriera, non disdegnava i viaggi nelle città più
belle del mondo.
E,
tra queste, non poteva mancare Atene.
Sophia
lavorava come guida e la sua passione per le antichità aveva
attirato suo padre, che si era innamorato di lei e aveva deciso di
sposarla.
Una
lama di luce penetrò da una finestra e si posò sulla
fotografia illuminandola d’un vivo barbaglio.
Wes
frenò un singhiozzo. Erano trascorsi tanti, troppi anni, ma
non poteva frenare il senso di colpa per la morte di sua madre.
Suo
padre non gli aveva mai detto nulla, ma non poteva impedirsi di avere
simili pensieri.
La
mamma era morta a causa sua.
– Tutto
sarebbe chiaro… – mormorò il giovane, amaro. Due
anni dopo il loro matrimonio, sua madre aveva scoperto di aspettare
un bambino.
E
quel bimbo era lui.
Lei
e suo padre erano colmi di felicità.
Pur
di dare alla sua famiglia un futuro decoroso, si era impegnato nel
lavoro, affinché a entrambi non mancasse nulla.
Ma
i loro sogni di felicità erano stati infranti.
A
causa di una emorragia cerebrale, sua madre era morta, ventiquattro
ore dopo la sua nascita.
E
un tale evento aveva inasprito il cuore di suo padre.
Il
dolore per la morte dell’amata dilaniava il suo animo e, pur di
non pensare, si era allontanato da lui.
Ne
era sicuro, suo padre, anche se non coscientemente, vedeva in lui
l’artefice della morte di sua madre.
E,
per non soffrire, aveva congelato i suoi sentimenti.
Lui
si era chiuso nel suo lavoro e aveva cercato di controllare la sua
vita.
Voleva
fare di lui una sua copia.
Solo
con la sua attività di Ranger, era riuscito a creare tra lui e
suo padre una connessione, che aveva portato ad una riconciliazione.
Chiuse
gli occhi e si strinse la foto contro il petto. Era felice di un tale
evento, ma la ferita del suo cuore non era svanita.
Per
lui, il giorno del compleanno era portatore di angoscia e pena.
Eppure,
pur di non fare preoccupare gli altri, festeggiava e simulava
un’allegria ben lontana dalla realtà.
Un
picchiettio secco interruppe le riflessioni di Wes.
Il
giovane, d’istinto, sussultò, si alzò dal letto
e, percorsi alcuni metri, andò ad aprire la porta.
– Ciao,
Eric. – mormorò, sorpreso. Erano trascorsi diversi mesi
dalla partenza della TimeForce e il brusco Quantum Ranger era
diventato per lui un appoggio.
Con
la sua pur silenziosa presenza, lo aveva aiutato a non sprofondare
nelle secche dell’amarezza causata dal distacco dai suoi amici.
L’altro
gli lanciò uno sguardo indagatore, poi accennò ad un
sorriso.
– Ho
bisogno di parlarti. Posso entrare?
– chiese, monocorde.
Erano riusciti a riconciliarsi e di questo era felice, ma, in quei
mesi trascorsi insieme nei
Silver Guardian, aveva avuto
modo di notare l’insensatezza di molte sue vecchie convinzioni
su Wes.
Lui,
Eric Myers, era stato uno stupido e aveva giudicato Wes Collins senza
conoscerlo bene.
Certo,
era ricco, ma questo non lo rendeva uno stupido, senza alcuna
possibilità di redenzione.
Inoltre,
il suo cuore, alla partenza della TimeForce, aveva pianto lacrime di
sangue.
Eppure,
pur straziato, aveva avuto la forza di lasciarli andare.
Queste
sue scelte, senza alcuna possibilità di fraintendimento,
evidenziavano il limpido senso del dovere di Wes.
Aveva
anteposto la giustizia ai suoi pur forti sentimenti personali.
–
Certo.
– rispose, gentile.
Si
scostò ed Eric, a passo calmo, entrò.
Si
guardò intorno, curioso. La camera del suo amico e rivale era
libera da fronzoli e oggetti inutilmente lussuosi.
Il
letto e l’armadio, pur essendo di ottima qualità, erano
privi di qualsiasi orpello.
Inoltre,
la massiccia libreria di quercia era colma di libri di ogni tipo.
Wes,
malgrado la sua entrata nei Silver Guardian, aveva deciso di studiare
con serietà e i suoi sforzi gli avevano consentito di
guadagnare il rispetto di tutti.
–
E’
successo qualcosa? – domandò ad un tratto Wes.
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra dell’ex Quantum Ranger.
–
Oggi
è il ventuno dicembre. E’ il tuo compleanno, vero? –
chiese, a sua volta. In quegli anni si era accorto della falsità
dell’allegria di Wes, quando giungeva quel giorno.
Perché?
Wes, malgrado la sua maturazione, non aveva perduto l’attitudine
alla festosità.
Eppure,
sembrava odiare la sua data di nascita.
Il
compleanno, per una persona come lui, doveva essere un’occasione
di gioia.
Lo
sguardo ceruleo di Wes, a queste parole, si oscurò e,
d’istinto, reclinò la testa sulla spalla. Pareva una
domanda innocente, eppure lui riusciva a percepire il senso implicito
di quelle parole.
Il
suo compagno aveva saputo vedere la tristezza nascosta e gliene
chiedeva la ragione.
Alcune
lacrime tremarono sulle ciglia di Wes e il giovane strinse gli occhi.
Non voleva farsi vedere debole da Eric.
Il
loro legame era migliorato, ma in lui era rimasto sempre un senso di
inferiorità.
Non
poteva non ammirare la tempra rocciosa del suo carattere.
E,
per questo, lo aveva assunto a suo modello.
–
Il
mio compleanno segna anche la morte di mia madre. Lei è morta
ventiquattro ore dopo la mia nascita. – confessò, ad un
tratto, la voce leggermente incrinata.
Eric
sbatté le palpebre, meravigliato. Lui aveva sempre veduto
Wesley Collins come un figlio fortunato e amato, a causa della sua
ricchezza.
Non
avrebbe mai immaginato un aspetto tanto doloroso nella sua storia,
prima della venuta della TimeForce.
Studiò
il suo interlocutore. Il suo volto era serio, atteggiato ad una
dignitosa tristezza, ma i suoi occhi, lucidi di lacrime, esprimevano
la nostalgia di un amore troppo presto sottratto.
Forse,
Wes, a dispetto degli anni trascorsi, avvertiva il peso del senso di
colpa.
Chissà,
oltre la sua inconsapevole allegria, anche lui portava il peso di un
vuoto incolmabile.
–
In
questi anni, ho sempre vissuto col peso di averla uccisa. So che è
sbagliato questo pensiero, ma non posso fare a meno di pormi questa
domanda. – confessò, dispiaciuto.
Con
un gesto deciso, Eric appoggiò la mano destra su quella
dell’altro.
–
Continua.
– lo incoraggiò.
–
Apparentemente,
io avevo ogni cosa servita su un piatto d’argento. Ma non
potevo dire quanto lei mi mancasse. Tra me e mio padre era presente
questo tacito accordo. Io non dovevo parlare di lei. Se lo avessi
fatto, gli avrei ricordato la morte della donna da lui amata. –
continuò.
Prese
la foto, che era caduta sul pavimento, e la accarezzò con dita
tremanti.
–
Ma,
non so perché, questo anno è stato diverso. Non ho
avuto la forza di fingere un’allegria che non provo. Per questo
mi sono rinchiuso nella mia stanza. Voglio aspettare che questa
giornata si concluda, senza essere costretto a festeggiare. Non ci
riuscirei. – concluse.
Eric,
per alcuni istanti, tacque e rifletté. Sì, tutto aveva
senso.
Il
suo amico aveva cercato la calma, per abbandonarsi alle sue
riflessioni.
Lo
strappo consumato coi TimeForce Ranger aveva fatto emergere una
ferita mai rimarginata e, per questo, lui si era rinchiuso nella
solitudine.
Ma
una fissazione maniacale su simili ricordi poteva condurre a esiti
peggiori.
–
Puoi
sempre aspettarla con qualcuno. – intervenne Eric.
Wes
girò la testa verso di lui, lo sguardo confuso.
–
Cosa?
– articolò, esterefatto.
Lo
sguardo di Eric si fece serio e il giovane strinse le sue mani
attorno a quelle di Wes.
–
Per
tanti, troppi anni tu hai cercato di essermi amico e io ti rifiutavo,
perché non sapevo vedere oltre la tua ricchezza. Ora,
permettimi di aiutarti. Voglio starti accanto in questa giornata. –
gli disse.
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra di Wes. Quelle parole, unita
alla stretta forte, ma calorosa, dell’ex Quantum Ranger, gli
davano un lieve senso di sollievo.
Sentiva
in quella parole una premura sincera e questa affezione gli dava
piacere.
–
Ti
ringrazio, Eric. –
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