Torneo Tremaghi – Luna Lovegood

di Mari Lace
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Colori nel nulla

Colori nel nulla

 

Luna sa che intorno a lei, a solo pochi metri, ci sono spalti pieni di persone che l’osservano; sa che la stanza buia in cui si trova è una mera illusione, volta a immergerla meglio nella prova che l’attende. Non appena vi entra, tuttavia, dimentica l’esterno: esistono solo lei e l’armadio che ha di fronte.

Fino a un attimo prima non lo sapeva, ma ora le rimangono pochi dubbi: dovrà affrontare un Molliccio. Impugna la bacchetta, curiosa – ha studiato come affrontare i Mollicci ma non ne ha mai visto uno vero. Che forma assumerà, vedendola? Chiude gli occhi, riflettendo, ed è allora che sente uno schiocco; li riapre.

Davanti a lei non c’è alcun mostro: solo una bambina – appare così piccola – rannicchiata accanto all’armadio. Piange, ma è incrociandone lo sguardo che Luna si spaventa: non ha mai incontrato occhi così vacui, privi di qualsivoglia emozione. Piange, ma non sembra realmente triste (solo vuota). Luna rabbrividisce, ricordando d’averla già vista. Aveva nove anni, si trovava davanti a uno specchio. Sua madre era morta da giorni e lei aveva perso ogni volontà; restava chiusa nella sua stanza tutto il tempo, fissando il vuoto e talora piangendo, mentre suo padre conduceva strani esperimenti nel suo studio. La morte della moglie l’aveva devastato: Luna, pur così piccola, aveva intuito che quello fosse il suo modo per cercare di superare la perdita. Non lo incolpava per averla lasciata da sola – non voleva compagnia, comunque.

Luna inspira e respira. Sorride comprensiva verso la bambina: se potesse andrebbe lì ad abbracciarla e dirle che passerà, che non è tutto orribile come crede, che sua madre sta bene e la aspetta in un luogo più bello. Non è però davvero alla bambina che sorride, ma al passato – davanti a lei c’è il ricordo di una sfida già affrontata e vinta. Agita la bacchetta contro il Molliccio e mormora la formula.

L’abito grigio diviene colorato, il riflesso di mille creature inizia a riempire il suo sguardo. Ricorda come studiare i diari di sua madre ha riportato pian piano il colore nella sua vita, allora. Il Molliccio appare confuso, adesso, indietreggia d’un passo incalzato da un Nargillo. Luna ride, genuina – una risata allegra, non dettata dal ridicolo. La bambina tremola, pallida. S’inizia ad avvertire il rumore degli spalti.

Un ultimo schiocco secco e l’immagine sparisce in una spirale di fumo.

La stanza buia svanisce subito dopo: la luce del sole torna improvvisa a ferirle gli occhi, gli applausi degli spettatori esplodono.

Luna lascia l’arena sorridendo. Ha superato la prima prova, ma non è questa la cosa più importante: ha ricordato un tempo sepolto, rintracciato la sua paura e il suo coraggio. Ha imparato (nozioni dimenticate).

Teme il nulla negli occhi – disperazione che vuota il dolore.

Volge lo sguardo all’azzurro del cielo.

Ama i colori del mondo – spontaneità che dona la gioia.

 

 

 

 

 

 

NdA

Non si conosce la forma del Molliccio di Luna, quindi sono possibili le ipotesi più disparate.

Io non ho certezze in proposito: confrontandomi con altri sono uscite fuori riflessioni interessanti per cui il Molliccio avrebbe potuto rappresentare l’omologazione o suo padre al San Mungo o molto altro. Una delle ipotesi (grazie, Cress!) prevedeva il “dimenticare gli insegnamenti di sua madre” e di conseguenza vedersi vuota; mi ha decisamente ispirata, anche se l’ho interpretato in maniera leggermente diversa. Luna non si vede vuota in generale, qui, rivede proprio il suo momento più buio: il periodo immediatamente successivo alla morte di sua madre.

Non ho certezze su quale possa essere il Molliccio di Luna Lovegood, ma ne ho una su quale non è (ovviamente per come la interpreto io): credo che il suo Molliccio non sarebbe un cadavere, perché rispetto ad altri personaggi la vedo molto in grado di accettare la morte come fenomeno naturale. Non significa che la morte di una persona cara, tanto più se prematura, non la rattristi: ci mancherebbe!, ma secondo me non sarebbe la sua più grande paura. Soprattutto perché è convinta che dopo li rincontrerà, non vive la morte come una separazione definitiva.

Questo però ovviamente è vero per la Luna adolescente, non è certo nata con queste convinzioni. Ho immaginato il periodo successivo alla morte della madre (avvenuta davanti ai suoi occhi, ricordo) come il suo momento più fragile. La reazione del nulla che ho cercato di tratteggiare richiama la depressione, nelle mie intenzioni.

È una fase che Luna supera diventando la ragazza che conosciamo nei libri, ma non per questo meno dolorosa. Penso che la sua più grande paura a livello inconscio possa essere proprio questa: ricaderci, tornare a vedere il mondo in nero. Smettere di provare qualsiasi emozione.

È, però, il fantasma di un passato già vinto e che qui Luna, dopo un attimo di smarrimento, torna a vincere. Forse è una vittoria fin troppo facile, ma non riesco a immaginare in modo diverso un suo scontro con un Molliccio: con tutte le sue peculiarità, Luna è un personaggio che vedo ben poco vincolato alla paura.

È particolare anche il modo in cui sconfigge il Molliccio, con questa risata dettata non dal ridicolo ma dall’allegria per una nuova consapevolezza, dal sollievo per una difficoltà superata. È particolare, ma nella mia visione è da Luna.

È invece da Corvonero la conclusione: la cosa più importante non è aver vinto la sfida ma aver imparato qualcosa (a conoscere meglio sé stessa, in questo caso).

Chiudo qui le note se no diventano più lunghe della storia; chiarisco solo che questa raccolta partecipa a un contest sul Torneo Tremaghi che prevede tre storie diverse.

Se questa flash supererà la prima fase dovrò scriverne una per la seconda prova; se superassi anche quella ci sarà la finale.

Insomma, spero che questa flash vi sia piaciuta – per me è stata una sfida interessante.

Un saluto, alla prossima!

Mari





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