Un
tempo avevo scritto queste parole:
“Solo
la stupenda espressione sadicosa del caro Ivan-san poteva spingermi
nei meandri della storia Russa, le battaglie combattute
dall’unione
sovietica, contro chi amava, e anche contro chi odiava.
Queste
Flashfic ci portano del primo giorno in cui lo sguardo di Ivan si
è
posato su Toris a quando quest’ultimo ha conquistato la sua
indipendenza, in passi che sono costati vite umane e lacrime.
Si
dia l’inizio alla danza della neve e dei girasoli! ^__^ Buona
lettura!!!”
Mi
sembrano parole di centinaia di anni fa! All’epoca ero
davvero
sfaticata e pigra, cercavo sempre di prendere pause e rimandare
lavoro e scrittura, senza un pensiero al mondo, mentre
adesso…
Faccio
esattamente la stessa cosa, ma stressandomi.
Note
a fine capitolo!
E
dopo tanto tempo tempo sono tornata per augurarvi: Buona Lettura!
Il
fiore al di là del confine
La
prima volta che l’aveva visto, era stato per caso. Il bambino
dai
capelli castani stava trasportando fra le braccia un carico di
ortaggi troppo pesante per il suo fisico minuto.
Eppure
quel bambino riusciva a tenere tutto come se non risentisse dello
sforzo. È più forte di me,
si rese conto Russia nel guardarlo. Il bambino che trasportava gli
ortaggi era un regno fatto e finito, nonostante la giovane
età, e a
testimoniarlo c’erano i suoi abiti scuri, puliti e caldi
nonostante
fossero evidentemente da lavoro.
Quello
che stava vedendo era un regno che, seppur separato da lui solo da un
confine, conosceva il conforto di un clima più clemente, e
di un
caldo fuoco tra le solide mura del proprio castello.
Gli
era sempre piaciuto stare vicino a quel confine, a cui accorreva ogni
volta che riusciva a sgattaiolare via. Era più caldo
lì, gli dava
l’illusione che l’autunno non stesse per finire,
che la morsa
delle neve alle sue spalle non fosse ancora così crudele.
Ma
era un confine che sapeva bene di non dover attraversare.
…
ma
come lo sapeva? A volte Russia se lo domandava.
Non
era che vedesse una linea per terra, ma c’era una sorta di
sensazione… come se fosse al contempo respinto e attratto
dall’inizio di quel ponte. Era una sensazione ancora troppo
complessa per quello che era ancora un bambino, quindi Russia si
limitava a pensarla con quella parola semplice ma vera:
“Confine”,
laddove lui terminava, ma qualcun altro sorgeva.
Qualcuno
come il bambino dai capelli castani.
Era
tornato a vederlo altre volte, ma fu solo quando l’inverno si
fece
inclemente che Russia si ritrovò immobile, aspettando che il
bambino
apparisse su quel ponte – quel confine. E lui apparve
davvero,
anche se forse per lui era Russia stesso un’apparizione.
Aveva
gli occhi blu, quel bambino, ed erano sembrati ancora più
grandi, e
ancora più blu, quando l’aveva guardato con aria
sorpresa e piena
di...timore? Curiosità? Russia non aveva ancora imparato a
decifrare
le emozioni altrui. Quel che importava, comunque, era che adesso il
bambino era fermo di fronte a lui, e pochi passi li separavano.
Una
connessione risuonò nell’aria, come passando da un
cuore
all’altro, questa volta sì, attraversando il
confine con la
propria immaterialità – e il proprio peso, un peso
che l’altro
dovette sentire, perché dopo aver zittito il cane che si era
portato
dietro (e che si era messo ad abbaiare), gli chiese:
«Emh… non è
che io e te siamo uguali?»
Sei
anche tu qualcuno che somiglia a un umano, ma che in realtà
non lo
è? Era
la domanda.
Russia
gli aveva
risposto di sì, e
aveva sorriso,
ancora
di più dal momento che aveva visto gli occhi
dell’altro spostarsi
sulle sue mani e riempirsi di preoccupazione.
La
sua gentilezza scaldò qualcosa nel suo cuore, e
l’attrazione verso
il confine si fece più forte – ma non ancora
abbastanza.
«Un
giorno o l’altro diventerò una grandissima
nazione», disse
Russia, chiudendo gli occhi nel fare quella promessa
all’altro e,
soprattutto, al proprio cuore. «E a quel punto noi
diventeremo
amici!»
«Se…
se per questo potremmo esserlo anche ora», aveva detto il
bambino
dai capelli castani, le guance arrossate dal freddo appena visibili
tra il cappotto e il cappello.
Vuole
essere mio amico adesso?
Russia
neppure contemplò l’idea.
«No,
non sono abbastanza forte», rispose, come se quello spiegasse
tutto.
I
tartari. L’inverno.
Le
mani ferite dal freddo, solo una sciarpa a proteggerlo davvero.
Non
era forte, ma un giorno lo sarebbe stato, e quel giorno avrebbe
potuto attraversare tutti i confini che voleva e scoprire il nome di
quel bambino dai capelli castani. Un giorno avrebbe potuto scoprire
le terre in cui sbocciavano distese e distese di fiori.
Un
giorno…
Per
quel momento si accontentò di sporgere le mani, prendendo
quelle
dell’altro, abbastanza a lungo perché il tepore di
lui potesse
imprimersi sulla sua pelle.
«Ci
vediamo!»
Russia
salutò l’altro bambino, girando le spalle al
confine, sparendo di
nuovo nel bianco della neve. Era ad esso che apparteneva, pallido
com’era, piccolo com’era… al freddo
glaciale, al quale avrebbe
dimostrato di saper sopravvivere.
Così
da poter incontrare ancora il bambino dai capelli castani.
«Ho
vinto il gioco! Ho vinto!» si vantò Russia,
festeggiando,
praticamente illeso, al contrario delle due nazioni ai suoi piedi.
Aveva
vinto il “Gioco”, la guerra, ed ecco davanti agli
occhi il suo
premio.
“Graducato
di Lituania” non
c’era
voluto molto a scoprire il suo nome.
Lituania,
semplicemente Lituania poi.
Quando
Russia adempì la promessa che si era fatto tanto tempo
prima, era
tutto cambiato tranne che per la neve che, imperterrita, continuava a
cadere, senza però più che il suo freddo potesse
ferirlo. Aveva dei
guanti, adesso, un cappotto pesante, e un’altezza che gli
permetteva di guardare le altre due nazioni dall’altro in
basso.
Lituania
e Polonia.
Erano
stati uniti per tanti anni, e uniti lo erano anche adesso nel cadere.
Contro
l’uniforme bianco della neve, l’aspetto di Polonia
pareva
scialbo, come sempre gli era sembrato: pelle chiara, capelli biondi,
niente che volesse vedere vicino a Lituania. Li aveva visti insieme
sin troppo spesso, in quegli anni, e non aveva detto niente, vero?
Aveva solo pensato che, passo dopo passo, si stava avvicinando il
momento in cui avrebbe potuto sconfiggere entrambi.
Il
momento era arrivato, sigillato dallo sguardo di quegli occhi blu che
Lituania sollevò su di lui – quelli sì,
quelli sì che
risaltavano persino nella tormenta dell’inclemente inverno:
era un
blu macchiato di verde, quasi il ricordo di prati e fiori che
aspettavano sotto la neve.
«Mi
piaci Lituania, quindi potresti venire a stare da me», e poi
tese di
nuovo la mano, di nuovo prese quella di quello che ora non era
più
“Il bambino dai capelli castani” ma “il
ragazzo dai capelli
castani”. Tirò su dal suolo Lituania, praticamente
di forza,
ridendo nel dire che, in ogni caso, non aveva scelta.
Dopotutto
lui aveva vinto, dopotutto Lituania era il suo premio, e poteva
prenderlo e farne ciò che voleva.
E
ciò che voleva era portarlo a casa con sé.
Lo
trascinò via senza altri pensieri, il morale che saliva a
ogni passo
che lo portava di nuovo più vicino alla propria dimora. La
mano di
Lituania doveva essere calda, ma era difficile sentirne il calore
attraverso i guanti, e questo era un peccato dal momento che aveva
l’occasione di tenerla per così tanto
tempo…
Lituania
provò a divincolarsi, ma i suoi erano solo piccoli
strattoni, una
richiesta di aiuto rivolta all’amico che era troppo debole
persino
per alzarsi. Lituania avrebbe imparato a lasciarselo alle spalle,
questo decise Russia.
«Staremo
bene insieme, vedrai», canticchiò Russia.
Un
altro passo, e il confine fu superato. Lituania, un tempo
così
grande e forte, smise di divincolarsi.
Russia
lo percepì tremare, una sola volta, e si voltò
per trovare che
l’altro aveva lo sguardo abbassato, sbarrato a osservare le
orme
che si erano lasciati dietro.
Orme
nel passato, orme di ciò che era appena finito: la Abiejų
Tautų Respublika
sarebbe stata sotterrata
da un candido velo di neve, esattamente come quei segni nella coltre
bianca.
Adesso
sarebbe stato Russia a dare a Lituania una nuova storia da ricordare.
1)Note
a fine storia:
AbiejųTautų Respublika: Repubblica delle due Nazioni, Lituania e
Polonia unite (in Lituano).
Note
dell’Autrice:
Onestamente
tutto credevo tranne che sarei mai tornata su Hetalia. Dieci anni fa
ero una persona totalmente diversa! Quest’anno, quando ho
appreso che
nel 2021 sarebbe uscita una nuova stagione dell’anime ho
sorriso
con nostalgia, e mi sono detta “Che cosa buffa”.
Un
po’ per gioco sono andata a vedere qualche fanart.
Come
capirete, è stata la fine, vi prego di non fare il mio
stesso
errore.
Efp
è così cambiato! Mi sento una vecchietta che
torna in una casa
diversa per adempiere a una vecchia promessa. Ma la sto mantenendo,
non è vero?
Sappiate che la vecchia fanfiction è ancora
online, e mi prenderò qualche altra riga per spiegarvi come
mai ho
deciso di riscriverla: nella vecchia molti dei personaggi erano OOC,
si sapeva ancora poco della storia di Hetalia in generale e dei suoi
retroscena, c’erano troppe imprecisioni e ho descritto il
rapporto
tra Russia e Lituania in un modo che ora mi lascia piuttosto
perplessa.
Ma,
ehi, tutti i miei vecchi errori rimarranno online, non temete!
Questa volta vorrei cercare di mantenermi più vicina al canone, e infatti questo primo capitolo ne dovrebbe rispettare gli eventi. Riusciremo stavolta a finire la storia?
Fan di Hetalia, a rapporto!
Il 2021 ci porta qualcosa che non credevo sarebbe mai risorto.
Vostra,
Yusaki
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