Fuori
dall’oblò il panorama sta cambiando. Il nero
infinito dello spazio
esterno è ora quasi completamente inghiottito
dall’abbagliante
verde-azzurro del pianeta verso il quale stanno scendendo.
Nantos-A,
ricorda Annabel, in onore di un qualche sconosciuto dio antico di cui
ignora l’origine. Distrattamente si chiede se esista anche un
Nantos-B o C, o quello che è. Il monitor posto davanti al
suo sedile
le segnala che tra meno di due ore giungeranno alla piattaforma di
atterraggio e, benché non sia una sorpresa,
quell’informazione le
genera uno strano senso di vuoto all’altezza dello stomaco.
Tra
meno di due ore inizierà la sua nuova vita e non
è certa che
quell’idea le piaccia.
Accasciato
sul sedile alla destra del suo, Seth dorme tranquillo, apparentemente
senza una preoccupazione al mondo. Annabel aggrotta le sopracciglia,
mentre qualcosa - invidia o irritazione, non saprebbe dirlo con
certezza - le stringe la gola. Il suo fidanzato è sempre
così
rilassato.
Non che sia un male, ma a volte si chiede se quella rilassatezza non
nasconda in realtà un certo grado di
superficialità.
Annabel
sta ancora fissando il giovane semisdraiato accanto a lei, quando una
figura occupa il corridoio tra le due fila di sedili, attirando la
sua attenzione. “Tè, signorina?” le
chiede la hostess,
un’incantevole giovane donna fasciata in
un’uniforme rosso
ciliegia e con i capelli ramati raccolti in uno chignon raffinato.
Annabel
scuote appena il capo, consapevole del fatto che sul suo volto si sta
disegnando un’espressione ostile. Non le piacciono le ragazze
carine. È più forte di lei.
La
hostess contrae appena le labbra a cuore in un’espressione
dispiaciuta. “Sicura?” insiste con un sorriso
gentile. “Questo
è l’ultimo giro che faccio, poi saremo troppo
vicini
all’atterraggio per potervi servire altro.“
Annabel
sa che quella ragazza sta solo facendo il proprio lavoro, ma non
riesce comunque a reprimere un moto di fastidio. “A posto
così,
grazie” mormora tra i denti, più che mai
consapevole del suo
accento dei bassi fondi, così orribilmente in contrasto con
la
dizione precisa della hostess.
La
ragazza annuisce e passa oltre, spingendo davanti a sé il
carrello
carico di cibi e bevande e riuscendo comunque a mantenere quella sua
aura di grazia ultraterrena. Annabel torna a guardare fuori dal
finestrino, lasciando che la luminosità del pianeta sotto di
lei le
si imprima nella retina e acquieti un poco i suoi pensieri. Odia
quella nave e odia quel viaggio che lei e Seth hanno iniziato da
ormai tre settimane, un susseguirsi infinito di porti e stazioni,
passando da una nave passeggeri a un’altra, separandosi man
mano
dai pochi amici che conosce da tutta una vita.
Sarah
è stata la prima ad andarsene, diretta a una base
scientifica alla
quale il suo QI sopra alla media le permette di accedere. Michael
è
stato l’ultimo: andrà a lavorare in una fabbrica
sul pianeta
industriale QZ-3, un inferno di fumo e metallo che è
però ricco di
possibilità di arricchirsi in fretta, se uno sa dove
guardare.
Anche
lei e Seth sarebbero finiti lì, se non avessero annunciato
in tutta
fretta la loro volontà di sposarsi. Quando il terremoto
aveva
colpito Yuba, danneggiando l’enorme stabilimento chimico che
sorgeva lungo il perimetro sud della città,
l’intera area era
stata evacuata. Quando gli agenti delle Forze Speciali erano venuti a
bussare alla sua porta, avvolti nelle loro tute arancioni e nascosti
dietro a dei caschi che celavano i loro lineamenti, Annabel si era
sentita morire. Non aveva mai amato particolarmente Yuba, in
verità,
né aveva mai apprezzato il pianeta su cui sorgeva,
un’immensa
distesa di pianure, campi di soia e città che esistevano
esclusivamente per garantire manodopera agli enormi stabilimenti
industriali che fornivano materie prime all’intero sistema
solare.
Però era casa sua. Lì era nata da genitori
ignoti, lì era stata
cresciuta dalla Previdenza Sociale, lì aveva conosciuto Seth
e si
era innamorata di lui.
Annabel
non ha mai avuto la pretesa di conoscere o capire le logiche che
sostengono le decisioni governative, ma quando si era trovata di
fronte quegli uomini vestiti di arancione era stata ben consapevole
di una cosa: la sua vita stava per cambiare.
Sulle
prime aveva creduto che le avrebbero semplicemente chiesto di
abbandonare la città, resa ormai inabitabile dai fumi
tossici che
l’avevano invasa, ma lo sguardo preoccupato che aveva letto
negli
occhi scuri di Seth le aveva fatto capire che le cose avrebbero
potuto essere anche peggiori di quello che si era aspettata.
Potrebbero
anche chiederci di lasciare il pianeta,
le aveva detto il giovane tra i denti, ed erano bastati un paio di
giorni per confermare i timori di Seth.
Il
problema era che Epona era un pianeta che poteva ospitare solo un
numero limitato di abitanti e il fatto che Yuba, una delle sue
città
più popolose, fosse improvvisamente avvolta da fumi tossici
significava che un gran numero di persone rischiava di riversarsi in
metropoli già sovraffollate.
Se
ai pochi dirigenti e ai membri delle classi più agiate della
società
era stato permesso, in virtù della loro posizione, di
stabilirsi in
altri insediamenti su Epona, la quasi totalità degli operai
era
stata reindirizzata verso altri pianeti.
Per
alcuni di loro il cambiamento era stato in meglio, ma per molti altri
no: ad Annabel era bastato uno sguardo al volto di Seth per capire
che QZ-3, il pianeta a cui erano stati destinati e di cui non aveva
mai sentito parlare, non era meglio di Epona.
Passeremo
la vita sommersi dal fumo delle ciminiere,
le aveva confidato il ragazzo, guardando con aria rassegnata fuori
dalla finestra dell’anonima camera d’albergo che
era stata loro
assegnata. Se
avessimo un bambino, potremmo evitarlo,
aveva
aggiunto lanciandole uno sguardo in tralice e rispolverando quello
che era stato un argomento di discussione per l’ultimo anno e
mezzo. Non
mandano i bambini in un posto come QZ-3.
Annabel
aveva storto il naso. Aveva ventitré anni e nessuna voglia
di
diventare madre, e a poco servivano le sempre più frequenti
frecciatine del suo ragazzo.
Immerso
nella luce giallognola delle lampade appese alla parete, Seth
l’aveva
guardata in silenzio per qualche istante e poi aveva aggiunto, quasi
sovrappensiero: probabilmente
potremmo evitarlo anche se fossimo sposati, in effetti.
Annabel
aveva riflettuto in fretta e poi si era detta: perché
no?
Del
resto vivevano sotto lo stesso tetto da tre anni e un matrimonio non
era poi diverso da una convivenza.
Dici?
Aveva
chiesto con leggerezza. Quando Seth aveva annuito, lei aveva
scrollato le spalle. E
va bene,
aveva detto. Allora
sposiamoci.
E
così avevano deciso e avevano comunicato la loro decisione
all’ufficiale che gestiva il loro piccolo gruppo di
profughi.
Ancora
una volta, l’intuizione di Seth si era rivelata corretta: la
loro
intenzione di formare una famiglia legalmente riconosciuta li aveva
trasformati da due operai qualsiasi a soggetti giovani e sani adatti
a colonizzare un territorio ancora poco abitato. Nantos-A, aveva
decretato l’ufficiale, un mondo fertile, benché
ricco di paludi,
abitato solo dai discendenti di alcuni antichi coloni che erano
atterrati lì alcuni secoli prima. Serviva del sangue nuovo e
le
giovani coppie erano le benvenute. Si sarebbero sposati una volta
arrivati in quella che sarebbe stata la loro nuova casa,
perché la
cerimonia e la festa che l’avrebbe seguita li avrebbero resi
benvoluti agli occhi degli abitanti del posto.
In
un primo momento, Annabel aveva amato l’idea di vivere tra
erba,
alberi e acqua, ma via via che la nave su cui viaggiavano si
avvicinava a Nantos-A, la ragazza aveva sentito montare in
sé
l’inquietudine.
Adesso
che sono tanto vicini da riuscire a distinguere le foreste, i fiumi e
le praterie che ricoprono la superficie del pianeta, le sue mani sono
umide di un sudore nervoso. Nata e cresciuta nei bassifondi
fuligginosi di Yuba, non ha la benché minima idea di come
sopravvivere in un mondo così poco industrializzato; e Seth
non ha
certo più esperienza di lei. Avranno l’aiuto degli
abitanti del
villaggio nel quale si stabiliranno, ma Annabel non si fida degli
estranei. Non ama i loro sguardi carichi di pietà o di
disgusto, e
ancor meno ama il modo in cui gli occhi di alcune persone scivolano
via dal suo volto, quasi incapaci di sostenere la vista
dell’enorme
macchia violacea che da sempre le copre la metà sinistra del
viso,
estendendosi dalla fronte alla gola.
Il
solo pensiero la spinge a fissare il proprio riflesso evanescente nel
finestrino, pelle chiara - dove non è rosso-viola - occhi
pallidi e
sottili capelli biondi che restano appiccicati alla testa. Labbra
fini, perennemente piegate in una curva severa. Lentiggini che si
vedono solo a destra. La ragazza distoglie lo sguardo.
Due
file più avanti, sul lato opposto del corridoio, una ragazza
che
deve avere più o meno la sua età si contorce sul
sedile. Lei e il
giovane che la accompagna sono tra i pochi passeggeri rimasti. La sua
spessa treccia nera ondeggia a ogni suo movimento e ha un vago
effetto ipnotico. Annabel si scopre a fissarla con troppa insistenza.
Sentendosi
forse osservata, la giovane si volta e la fissa a sua volta. Sul suo
volto dai lineamenti delicati si disegna l’ombra di un
sorriso
timido e nei suoi grandi occhi neri Annabel legge il tentativo di
stabilire un primo contatto, di cercare quel qualcosa in comune che
può unire due sconosciuti.
Annabel
distoglie lo sguardo e torna a studiare la terra che, al di
là del
finestrino, si fa sempre più vicina.
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