treno
A Carmaux.
Dieci anni su EFP sono tanti
e io sono infinitamente grata per il fatto
che le nostre strade si siano incrociate,
che le nostre penne si siano scontrate
e che questo meraviglioso sito ci abbia unite.
Buon compleanno efpiano
e mille di queste storie *-*
Il treno delle 7:29
7:29, binario 2.
Col viso all’insù e il respiro che si scontrava col freddo
del mattino, John osservava con fare annoiato il cartellone di partenze e
arrivi che ormai conosceva a memoria.
Ogni mattina era sempre uguale: 7:29, binario 2.
Non poteva fare a meno di rifletterci: che orario stupido,
le sette e ventinove. Tutti lo chiamavano il treno delle sette e
mezza.
Per lui, che arrivava sempre con almeno cinque minuti di
anticipo, non era mai stato un problema, ma tante volte gli era capitato di
vedere qualche ritardatario arrancare sulla banchina per tentare di infilarsi
tra le porte quasi del tutto chiuse. Qualcuno addirittura, per quel misero
minuto di differenza, non riusciva a salire affatto.
John si infilò le mani nelle tasche del pesante giubbotto e
osservò il suo respiro trasformarsi in fumo nel gelo del mattino, mentre
sentiva in lontananza il treno che sferragliava sui binari e rompeva il
silenzio.
Si sistemò meglio lo zaino in spalla e fece un passo avanti.
Il tragitto fino alla città durava esattamente trentotto
minuti.
John non ci faceva tanto caso, era diventato un viaggio di
routine: solitamente trascorreva quel lasso di tempo col naso immerso in
qualche libro e gli auricolari alle orecchie. Non si guardava mai attorno:
prendeva posto sempre sulla stessa carrozza, l’ultima – aveva l’impressione che
fosse leggermente più riscaldata delle altre –, da anni ormai e conosceva già i
volti che gli stavano attorno.
Non gli importava granché fare conoscenza, in realtà; non aveva
nulla contro le altre persone, ma si sentiva tremendamente impacciato quando
doveva interagire con qualche sconosciuto, e così cercava di rendersi il più
discreto possibile: si sedeva accanto al finestrino, si immergeva nella musica
e teneva lo sguardo basso.
Sembrava non accorgersi affatto di ciò che gli capitava
attorno, ma in realtà era molto più attento e presente di quanto si potesse
pensare.
La prima volta che lo vide pensò che fosse un tipo piuttosto
bizzarro.
Era una gelida mattina come le altre, i finestrini del treno
erano ancora incrostati dal ghiaccio della notte e John, una matita stretta tra
le dita bianche per il freddo, era intento a ripassare un paragrafo di biologia
per il compito che avrebbe dovuto affrontare quella mattina. Solita routine,
niente di nuovo.
Finché, dopo l’ennesima fermata, il ragazzo non notò una
figura irrompere nella carrozza come un uragano: aveva una chioma bionda,
talmente chiara e lucente che brillava pure nel grigiore dell’inverno,
indossava una giacca in jeans e un paio di occhiali da sole, come se fosse
davvero necessario. A quell’ora del mattino il sole si intravedeva appena
dietro la foschia.
Quel ragazzo mai visto prima sembrava un frammento d’estate
che aveva resistito allo scorrere delle stagioni, con quel viso luminoso e i
vestiti leggeri.
John gli rivolse solo qualche occhiata sfuggente, troppo
timido per scrutarlo con maggior sfacciataggine, e si ritrovò a pensare che era
davvero paradossale: lui moriva di freddo nel suo giubbotto pesante, mentre
quel tizio sembrava perfettamente a suo agio.
Davvero bizzarro.
Mentre il biondo prendeva posto qualche fila più avanti a
lui, John tornò a concentrarsi sulle pagine del suo libro di biologia, in cui
l’immagine della rappresentazione di una cellula animale sembrava osservarlo e
richiamarlo all’attenzione.
Non ci fece più caso per quel giorno.
La seconda volta che lo vide, John cominciò a domandarsi se quel
ragazzo dai lunghi capelli biondi fosse diventato un passeggero abituale. Indossava
sempre i soliti occhiali da sole e la giacca in jeans, e quando entrava nella
carrozza in fondo al treno era impossibile non accorgersene.
John non voleva posargli lo sguardo addosso, ma lui sembrava
l’unico punto di luce in mezzo a tutto quel grigio.
Ma quella volta qualcosa andò diversamente.
Nell’istante in cui il castano stava per distogliere gli
occhi, l’altro ragazzo si voltò nella sua direzione e accennò un sorriso.
John si affrettò a perdere lo sguardo fuori dal finestrino,
nella brughiera che era uguale tutte le mattine, per dissimulare l’imbarazzo;
si passò nervosamente una mano sul viso per scacciare alcune ciocche che gli
erano piovute sulla guancia, e nel compiere questo brusco movimento si strappò
via l’auricolare destro.
Non era detto che quel sorriso fosse rivolto a lui. In fondo
il biondino indossava gli occhiali scuri, era difficile indovinare la
traiettoria del suo sguardo.
E non era detto nemmeno che si trattasse di un vero e
proprio sorriso, magari era soltanto una smorfia di disappunto. John si era
voltato troppo presto per poterne avere conferma.
Decise che ci sarebbe passato sopra: non era un dettaglio
così importante. E poi sicuramente si era sbagliato; troppo abituato a essere
il ragazzino invisibile, John non credeva che qualcuno potesse notarlo e
sorridergli.
I giorni passavano con la consueta lentezza e John vedeva il
biondo con la giacca in jeans ogni mattina. Aveva iniziato a farci l’abitudine
e ormai non si chiedeva nemmeno come facesse a sopportare il freddo con gli
indumenti che indossava; sarebbe riuscito a smettere di dargli importanza, se
non fosse per il fatto che, mattina dopo mattina, si sedeva sempre più vicino a
lui.
Provava a convincersi che fosse solo una coincidenza, in
fondo un sedile valeva l’altro e non esisteva un vero motivo per cui se ne
sceglieva uno piuttosto che un altro.
John pensava a questo mentre, un mercoledì, sfogliava il suo
quaderno di fisica. Non aveva nulla da fare e da ripassare, così cercava di
ammazzare il tempo come poteva, controllando che tutto fosse in ordine. Quando
il ragazzo biondo salì sul treno alla solita fermata, cedette alla tentazione
di lanciargli uno sguardo solo con la coda dell’occhio, mentre gli passava
accanto nel corridoio tra le file di sedili.
Ma quella volta il biondo parve accorgersene e, rallentato
il passo, gli sorrise apertamente. “Buongiorno!”
John avrebbe voluto tuffare la faccia tra le pagine del
quaderno e nascondersi per sempre. Si era fatto scoprire, non era stato
abbastanza attento!
Tuttavia represse l’impulso e, malgrado le guance gli fossero
andate a fuoco, si sforzò di sorridere. “C-ciao” mormorò con voce roca.
Che gran bella figura.
John non poteva scorgere il suo sguardo, ma il ragazzo non
parve affatto turbato; con estrema naturalezza, gli sorrise nuovamente e poi si
infilò nella fila di sedili subito davanti a lui.
Il ragazzo dai capelli castani non sapeva bene come prendere
ciò che era appena accaduto. Sicuramente si era sentito un vero idiota e ora
quella sensazione di disagio gli suggeriva di fuggire via, scendere alla prima
fermata anche se non era la sua.
D’altra parte, invece, avrebbe voluto avere il coraggio di
alzarsi e avvicinarsi a quel biondino che lo incuriosiva ogni giorno di più.
I viaggi sul treno delle 7:29 si stavano trasformando in una
specie di strana e piacevole tortura.
John ormai contava le fermate e, quando il treno si fermava
alla stazione in cui il ragazzo biondo saliva a bordo, lo aspettava quasi con
ansia. Lanciava continue occhiate all’ingresso della carrozza in attesa di
vederlo entrare, e nel frattempo il cuore gli finiva in gola e le mani gli
tremavano appena, nonostante non sentisse affatto freddo.
Lo attendeva sempre nello stesso punto e ormai anche lui
l’aveva imparato.
Quel mattino faceva ancora più freddo degli altri giorni:
durante la notte il nevischio aveva lasciato sbuffi bianchi sul mondo e anche
il cielo pareva aver conservato un po’ di quel candore, come a voler riflettere
la luce di quel sole che non si vedeva da giorni.
John aveva un sacco di cose per la testa: quella mattina ci
sarebbe stato un compito di storia estremamente complicato e, non appena era
salito sul treno, aveva portato fuori il libro per un veloce ripasso generale.
Studiare non gli dispiaceva e per fortuna poteva fare affidamento su una buona
memoria, ma quando le pagine e le date da memorizzare erano tante diventava
un’impresa anche per lui.
Era talmente concentrato nel rileggere e tenere il segno con
la matita che si accorse a malapena dell’arrivo del ragazzo con la giacca in
jeans. Non ci fece veramente caso finché non avvertì una presenza alla sua
sinistra, in quel posto che generalmente restava vuoto.
“Ehi!”
John sobbalzò, mise in pausa la musica, sollevò il capo di
scatto e la matita gli sfuggì di mano, andando a schiantarsi sul pavimento
consunto. In un primo momento non seppe bene come reagire: quello strano
ragazzo si trovava seduto al suo fianco, gli sorrideva, e poteva percepire il
suo sguardo addosso nonostante le lenti scure che gli coprivano gli occhi.
“Ciao” buttò fuori, tentando di sembrare una persona
normale. Chissà come mai quello sconosciuto suscitava in lui reazioni così
esagerate.
Fece per chinarsi a raccogliere la matita – almeno aveva una
scusa per distogliere lo sguardo – ma l’altro lo precedette, recuperando
l’oggetto con un movimento agile e porgendogliela. “Tieni, prima che rotoli via
e si vada a cacciare chissà dove.”
“Grazie” replicò John. Mentre si riappropriava dell’oggetto,
le sue dita sfiorarono accidentalmente quelle dell’altro ragazzo.
Quest’ultimo mise su una smorfia che per un attimo affilò i
suoi lineamenti delicati. “Hai le mani ghiacciate!”
“Beh… è inverno, credo sia una cosa normale” tentò di
giustificarsi John, come se ce ne fosse bisogno.
“Comunque non mi sono mai presentato: io mi chiamo Roger”
proseguì il biondo con quel tono di voce così allegro e caldo che pareva avere
anch’esso l’estate al suo interno.
“Io sono John” replicò l’altro, giocherellando nervosamente
con la matita.
Roger si sfilò gli occhiali da sole e tornò a osservarlo con
attenzione. Per la prima volta John poté incrociare i suoi occhi e il cuore prese
a fargli le capriole nel petto quando si immerse in quelle iridi azzurre, che
sembravano un cielo senza nuvole.
“John… e basta?”
Al castano venne da ridere a quella domanda. “Beh… John
Richard Deacon. Perché, che problemi ci sono col mio nome?”
“Il problema è che nella fottutissima Inghilterra tutti
si chiamano John. Quindi tu ti chiamerai Deaky” spiegò Roger, per poi annuire
con soddisfazione della sua stessa trovata.
L’altro si strinse nelle spalle ed evitò di ribattere: non
voleva esporsi troppo e rischiare di fare qualche figuraccia o dire qualcosa di
inopportuno. Lanciò un’occhiata al libro ancora aperto sulle sue ginocchia e
gli fu subito chiaro che quella mattina non sarebbe riuscito a ripassare altro.
“Che studi?” si incuriosì Roger, sporgendosi nella sua
direzione per sbirciare il volume.
“Storia. La Rivoluzione Francese” spiegò lui, richiudendo il
libro con un sospiro.
“Che palle” commentò Roger sollevando gli occhi al cielo.
“Anche tu sei uno studente?” si arrischiò a chiedere John,
che pian piano stava cominciando a sciogliersi.
“Più o meno. Ci sto provando.”
“Non ti avevo mai visto prima da queste parti.”
Roger sorrise e si passò una mano tra i capelli dorati.
“Vengo dalla Cornovaglia, mi sono trasferito da poco.”
Curioso, si ritrovò a pensare John, io credevo
venisse da qualche zona del mondo dove c’è sempre il sole ed è estate tutto
l’anno.
Ben presto – troppo presto – il treno giunse alla stazione
in cui John scendeva di solito, quindi lui fu costretto a radunare tutte le sue
cose e prepararsi a lasciare il mezzo.
“Ci vediamo domani, Deaky” lo salutò Roger, seguendolo con
lo sguardo mentre si dirigeva verso l’uscita.
“Buona giornata, Roger” ribatté lui, rivolgendogli un ultimo
cenno di saluto e abbozzando un sorriso.
Quando si ritrovò all’aria aperta, col nevischio a
incrostargli le suole delle scarpe, si rese conto che non sentiva più freddo.
Due oggetti non meglio identificati si depositarono sulla
pagina del suo quaderno, invadendo in maniera inaspettata il suo campo visivo.
John, sfilatosi un auricolare, sollevò lo sguardo e i suoi
occhi si scontrarono subito con quelli di Roger, così luminosi da sembrare
frammenti di cielo in una mattina d’estate.
“Studi sempre così tanto, tu?” esordì, mentre prendeva posto
al suo fianco come era successo nei giorni precedenti.
John lanciò un’occhiata agli esercizi di matematica che
stava risolvendo; il pomeriggio precedente non era proprio riuscito a
concentrarsi sui compiti, il che era strano, vista la facilità con cui
generalmente affrontava quella materia.
“Studio il tanto necessario per prendere dei voti
accettabili” replicò quindi.
“Studi troppo.”
John si strinse nelle spalle e prese in mano i due indumenti
di lana morbida che Roger gli aveva lasciato sul quaderno, ispezionandoli con
attenzione. “E questi?”
“Sono dei guanti” ribatté il biondo con ovvietà.
L’altro aggrottò le sopracciglia; lo vedeva pure lui, che
erano due guanti. Due soffici guantini blu notte.
“Sì, ma come mai li hai dati a me?”
“Perché tu hai le mani ghiacciate e non porti mai i guanti.
Così, dato che io non li uso, ho pensato che potessero farti comodo” spiegò
Roger con una semplicità disarmante e un sorrisetto sulle labbra, poi perse lo
sguardo fuori dal finestrino.
John piegò appena la testa di lato e rimase per qualche
istante in silenzio. Quel ragazzo era davvero bizzarro: lo aveva appena
conosciuto e gli aveva regalato un paio di guanti, come se fosse la cosa più
naturale del mondo.
“Non posso accettarli” dichiarò mentre continuava a
soppesarli.
Roger aggrottò le sopracciglia. “Perché?”
“Perché sono tuoi.”
“Appunto, sono miei e ne faccio ciò che voglio!”
John frugò nella sua mente alla ricerca di qualche altra
scusa. Non voleva sembrare scortese, ma si sentiva in colpa a rubargli i
guanti.
“Ma nemmeno io li userei” disse quindi.
“Dovresti.” Detto questo, Roger gli afferrò una mano e la
strinse tra le sue. “Vedi? Ho ragione! Le hai sempre fredde!”
Il cuore di John accelerò bruscamente; era la prima volta
che entrava in contatto con Roger in quel modo, e mentre il biondo gli
stringeva la mano desiderò che non la lasciasse più andare.
Tuttavia cercò di non mostrare troppo palesemente le sue
emozioni. “Non è così grave, mica mi si staccano le dita.”
“E chi lo dice? Sai che nei campi di concentramento, in
Siberia, ai deportati si staccavano le parti del corpo per via del gelo?”
John rise. “Ma non avevi detto che la storia è noiosa? Come
fai a sapere queste cose?”
Roger mise su un’espressione offesa. “Mi stai forse dando
dell’ignorante?”
John si passò la mano libera sul viso, in imbarazzo. “No,
non intendevo questo… è che…”
Roger scoppiò a ridere. “Sto scherzando!”
“A proposito, toglimi una curiosità” cambiò discorso il
castano, sperando di uscire dall’intricata situazione in cui si era cacciato.
“Come fai a non morire di freddo con quella giacca in jeans così leggera? La
temperatura di primo mattino scende anche sotto lo zero.”
“Eh… c’è un trucco, ma non te lo posso svelare, altrimenti
perdo tutto il mio fascino” ammiccò Roger.
Non potresti perderlo nemmeno se ti presentassi sul treno
in pigiama, pensò John, ma si astenne dall’esprimere questa riflessione.
Invece mise su un sorrisetto furbo. “Eh no, ora però sono
curioso!”
Roger affilò lo sguardo. “Contrattiamo: io ti svelo il
segreto della mia giacca in jeans e in cambio tu accetti i miei guanti!”
John sospirò, arreso. “E va bene, affare fatto…”
L’altro sollevò il pollice in alto con fare vittorioso, poi
gli si accostò come se dovesse rivelargli un’informazione segreta di vitale
importanza. “La giacca… è foderata all’interno, è ricoperta di pile. Per quello
non soffro il freddo” sussurrò al suo orecchio.
Un brivido scorse lungo la schiena di John quando il respiro
dell’altro ragazzo gli accarezzò la pelle.
“Ah… tutto qui?” commentò, per poi prendere a ridacchiare.
La sua ilarità non fece che aumentare quando Roger gli rivolse un’occhiata storta
e presumibilmente minacciosa.
Solo in quel momento si rese conto che le sue dita erano
ancora intrecciate a quelle di Roger, e che la sua pelle non era più così
fredda.
Non gli sarebbero bastati mille guanti per rimpiazzare il
calore che quel ragazzo fatto d’estate era in grado di trasmettergli.
Le nubi cominciavano a dissiparsi, segno che il rigido
inverno presto avrebbe lasciato posto alla dolcezza della primavera. Già di
prima mattina il sole faceva capolino oltre la nebbia biancastra e intiepidiva
l’aria.
John aveva preso il solito treno delle 7:29 ed era di
buonumore. Da quando aveva conosciuto Roger, la sua quotidianità era stata
totalmente stravolta; certo, lo incontrava solo per qualche minuto, ma quegli
istanti erano talmente preziosi che lo portavano a svegliarsi ogni giorno col
sorriso.
Come al solito, il suo amico biondo l’aveva raggiunto a metà
del viaggio, si era seduto accanto a lui e gli aveva rubato un auricolare, come
ormai faceva sempre.
John non aveva portato fuori nessun libro e nessun quaderno
dallo zaino, si era limitato a perdere lo sguardo fuori dal finestrino.
“A che pensi, Deaky?” gli domandò Roger, vedendolo così
sovrappensiero.
Lui cadde dalle nuvole. “No, niente… è che oggi
probabilmente sarà una bella giornata di sole ed è un peccato doversi
rinchiudere a scuola.”
Calò il silenzio per alcuni istanti, il castano sentì Roger
farsi leggermente più vicino e il suo cuore prese a martellare con forza nel
petto.
“E chi ci obbliga a entrare a scuola?”
John si voltò con lentezza, finché non incrociò lo sguardo
di Roger; i suoi occhi erano così seri, così tremendamente belli, e il suo viso
era così vicino…
“Stai scherzando, vero?” gli chiese.
“Assolutamente no. Ti va di scappare con me, Deaky?”
Era una domanda apparentemente semplice, ma John rimase
totalmente spiazzato. Non se l’aspettava, e come si sarebbe dovuto comportare
ora? Aveva un sacco di cose da fare a scuola, doveva seguire delle spiegazioni
importanti e forse il professore di biologia avrebbe chiamato qualcuno
all’interrogazione.
Poi si immerse nelle iridi azzurre di Roger, che brillavano
della sua stessa voglia di andar via e lasciare fuori tutti e tutto. Scrutò
quei capelli chiarissimi che gli incorniciavano il viso e le labbra sottili
pronte a incresparsi in un sorriso.
E decise che con quel ragazzo bizzarro, allegro e impulsivo
sarebbe andato pure in capo al mondo.
Non ebbe bisogno di dire niente, a Roger bastò guardarlo
negli occhi per capire che aveva tacitamente accettato la sua proposta.
Non scesero alla stazione in cui in genere terminava il
viaggio di John, non scesero nemmeno alla fermata di Roger, e poco importava
che il loro biglietto non bastasse a coprire il tragitto che stavano
percorrendo. Corsero via, stipati in due sedili dell’ultima carrozza del treno,
finché il sole non esplose fuori dal finestrino.
Scesero senza sapere dove si trovassero, le loro risate e i
loro battibecchi riempivano l’aria. Non sapevano cos’avrebbero fatto e dove
sarebbero andati, ma non vedevano l’ora di scoprirlo.
Ancora all’interno della piccola stazione quasi deserta,
John si sistemò meglio lo zaino in spalla e stava per riprendere a camminare,
quando si accorse di avere lo sguardo insistente di Roger addosso. Il suo primo
istinto fu quello di abbassare il capo e sfuggirgli; non era abituato a essere
squadrato in quel modo, e quando era Roger a farlo si sentiva ancora più in
subbuglio.
“Che c’è?” gli chiese, cercando di non sembrare troppo
impacciato.
Roger non rispose: gli afferrò le mani – che, come sempre, erano
fredde, e anche quel giorno aveva scordato di mettere i guanti! –, poi lo
spinse leggermente indietro, fino a fargli sfiorare la parete alle sue spalle.
Erano occhi dentro occhi, quelli di Roger erano così intensi, e il cuore di
John batteva così forte.
“Toglimi una curiosità” sussurrò Roger.
Poi azzerò la distanza tra i loro volti e posò le labbra
sulle sue.
Lo intrappolò in sé: i loro sguardi erano incatenati, le
loro dita erano intrecciate, le loro bocche si fondevano in un bacio delicato e
bollente insieme.
John era bloccato tra la parete e il corpo di Roger. Non
sarebbe voluto essere in nessun altro posto in quel momento.
Tremava appena, ma non per il freddo.
La sua pelle era increspata dai brividi, ma non per il
freddo.
Tutto in lui bruciava, come la più calda delle estati.
Quando Roger si staccò da lui, John aveva il fiato corto, il
viso in fiamme e voleva farlo ancora e ancora.
Il biondo sorrise sornione. “Avevo ragione: le tue labbra
sono fredde, proprio come le tue mani.”
L’altro sgranò gli occhi. “Ah, volevi verificare questo?!”
Il biondo piegò la testa di lato. “Esatto.”
John ricambiò lo sguardo complice. “Ma stavolta non ti
basterà regalarmi un paio di guanti per risolvere.”
“Oh, beh, pazienza. Ho trovato una soluzione che mi piace di
più” concluse Roger in tono malizioso, prima di sporgersi nuovamente verso di
lui e tornare a divorargli le labbra.
John liberò le mani dalla sua stretta e si aggrappò a lui,
gli insinuò le mani tra i capelli, lo attirò a sé, si lasciò ubriacare da quel
calore che era in grado di incendiare tutto intorno a loro.
E non importavano le
date, non importavano i cristalli di ghiaccio che brillavano e si scioglievano
sotto il sole pallido, non importava la brezza fresca e frizzante che
accarezzava i loro volti.
Quello era il loro primo giorno di primavera.
♥ ♥
♥
Pacchetto per la challenge “Seasons Die One After Another”:
[Inverno] Carrozza: Romantico / Mani fredde
AUGURI CARMAUUUUUUX *___________*
Che posso dire? Come prima Dealor, devo dire che ho scritto
una storia estremamente banale, scontata e per niente fantasiosa… e sembra
quasi uno scherzo, visto che la sto regalando alla regina dei colpi di scena e
delle idee spiazzanti XD ma ti prego, Carmaux, perdonami per questa roba e
spero che ti abbia fatto sorridere almeno un pochino!
Però devo riconoscere che ho amato scrivere di questi due
pandorini *______* e soprattutto a immaginare Rog e Deaky in versione studenti
delle superiori! In particolare il bassista, che da adolescente doveva essere
davvero timidino e impacciato, CUCCIOLO!
Per quanto riguarda la challenge di Laila, quel “carrozza” io
l’ho interpretato come carrozza del treno, spero di non aver combinato un
disastro AHAHAH altrimenti non avrei mai potuto utilizzare questo spunto, visto
che non scrivo racconti storici ^^
Grazie di cuore per aver letto e ANCORA TANTISSIMI AUGURI
ALLA MIA DOLCE CARMAUX :3
Alla prossima!!! ♥
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