A Mark On My Soul
{Angolo
Autrice in fondo alla pagina. Buona lettura!}
A
Mark
On My Soul
(a
sting in my heart)
1
Pioveva. Quella fu
la prima certezza che accompagnò il suo lento risveglio. Una
certezza imprescindibile e dalla quale non poteva sfuggire.
La pioggia
si abbatteva sul mondo esterno quasi con cattiveria e prepotenza, non
guardava in faccia nessuno e picchiava sul tetto e sui vetri delle
finestre allo stesso modo in cui il cuore gli tamburellava nella cassa
toracica
(erano entrambi vivi e freddi e insensibili e allora non erano vivi,
erano morti, erano quella parola impronunciabile, quel concetto che
negava l'esistenza e che mozzava il respiro)
e non
lasciava scampo, fagocitava ogni cosa, ogni cellula, ogni fibra, ogni
muscolo, ogni neurone.
E quando si
stancava di cibarsi della carne, delle viscere e del sangue, ecco che
si attaccava ad altro
(come un parassita
troppo ingordo)
e lacerava
ogni emozione genuina esternata con fatica, ogni pensiero positivo,
ogni briciolo di interesse nei confronti dell'esistenza e nel portarla
avanti giorno dopo giorno.
Gli automi
erano inadatti alla vita. E questo Yusaku lo sapeva, perché
le ossa scricchiolavano, le tempie pulsavano e il cuore si stringeva e
perdeva un battito, poi due, poi tre. Gli automi erano inadatti alla
vita e lui non faceva eccezione.
Con i
sentimenti atrofizzati e le labbra un poco screpolate, aprì
del tutto gli occhi, salutando il mondo nel mutismo più
assoluto.
2
Ryoken
dormiva ancora — avvertiva il suo respiro rilassato a pochi
centimetri di distanza, quello tipico di chi ancora non ha aperto gli
occhi sul mondo per iniziare una nuova giornata.
Meno male.
Non aveva intenzione alcuna di renderlo partecipe del suo
(inspiegabile)
stato
emotivo.
Magari dopo
essersi sciacquato il volto e aver bevuto un caffè, avrebbe
finalmente ritrovato la quiete. Quindi sperò che Ryoken
dormisse ancora un po', anche perché ne aveva bisogno — stava
studiando così tanto nell'ultimo periodo. L'intera casa si
era trasformata in un campo minato di penne blu mangiucchiate, tanto
che Yusaku non ne aveva più neanche una personale. E poi i
fogli, le dispense, la memoria del computer colma di file.
Yusaku si
rese conto qualche istante dopo il suo risveglio di non trovarsi in
camera da letto avvolto nelle coperte calde, bensì in
salotto, sul divano, col plaid che gli copriva solo le gambe e una mano
di Ryoken poggiata con garbo sul fianco fasciato dalla stoffa del
maglioncino nero che Ryoken gli aveva regalato l'anno addietro
— era suo, un tempo, ma gliel'aveva ceduto volentieri
poiché diceva che gli donava molto.
Yusaku
teneva il capo premuto contro il suo petto e solo dopo aver risvegliato
del tutto il senso dell'udito — i timpani erano ovattati dal
rumore incessante della pioggia — riuscì a
percepire chiaramente quanto il cuore di Ryoken gli fosse vicino. L'orecchio
era lì, poggiato proprio su quel lembo di stoffa che
nascondeva la pelle, la carne, la cassa toracica e poi il cuore. E si
sorprese di quanto un rumore così monotono potesse essere
tanto melodioso.
(Il rumore monotono di
un cuore che batte riflette la vita. Una vita che a Yusaku, in diverse
occasioni, era quasi sfuggita di mano, sciogliendosi sempre
più tra le dita).
3
Stava
andando a rilento, quella mattina. Il suo cervello stava impiegando un
po' più del dovuto a connettere, tanto che Yusaku
realizzò dopo minuti interi che la televisione era accesa e
che il canale sul quale era sintonizzata stava trasmettendo il
telegiornale delle otto del mattino.
(Quindi era già mattina. Non si era svegliato di soprassalto
durante la notte, col cuore a brandelli, gli occhi spalancati intenti a
catturare il vuoto e la fronte madida di sudore. Si era svegliato
normalmente. E quindi era questa, la mattina).
In un primo
momento non comprese, poi un lieve sbuffo uscì dalle sue
labbra e, silente, si liberò dalla stretta di Ryoken
cercando di non svegliarlo, con l'intento di recuperare il telecomando
che il ragazzo teneva nell'altra mano. Si erano entrambi addormentati
sul divano letto — lo avevano sistemato la sera prima per
avere più comodità — mentre guardavano
la TV e nel sonno Ryoken aveva premuto sul tasto muto del telecomando,
annullando qualsiasi suono artificiale in casa.
Ecco
perché le immagini sfrecciavano davanti agli occhi di Yusaku
nel più completo silenzio. In quel momento stavano
trasmettendo le previsioni
(prevedibili)
del tempo.
Yusaku non poteva udire la voce del meteorologo, ma dal labiale
comprese che stava intimando i cittadini di restare a casa, quel giorno,
(gita nel bosco saltata, a quanto pareva)
a causa del
violento acquazzone ancora in atto.
Un
acquazzone che sarebbe durato anche nel primo pomeriggio.
(Un acquazzone?)
Yusaku
scosse la testa, sfilando poi a Ryoken il telecomando di mano. Spense
la televisione, si alzò dal divano letto e poggiò
il telecomando sul tavolino, avanzando verso la finestra della cucina.
I vetri vibravano, parevano quasi sul punto di spezzarsi in mille cocci
taglienti. Il vento ululava come un lupo affamato sulle tracce di una
grossa preda e le gocce d'acqua erano grandi tanto quanto le lacrime di
una divinità malinconica.
No, quello
non era un acquazzone. Era una vera e propria tempesta.
Tremò,
stringendosi le braccia al petto. E in quel momento si sentì
come il niente. Il nulla più assoluto.
4
Era intento
a osservare la tempesta con una tazza di caffè caldo tra le
mani quando realizzò che la Bestia Senza Volto aveva ripreso
a grattare le pareti con gli artigli e che con le zanne aveva
ricominciato a masticare le sbarre che la tenevano imprigionata in un
angolo remoto della sua coscienza. L'aroma del caffè si
mescolava con il profumo di ammorbidente della camicia bianca che aveva
indossato dopo essersi cambiato, ma erano effluvi che non potevano
nulla contro la potenza mefitica della Bestia Senza Volto.
(Perché
proprio ora?)
(Perché? Perché? Perché?)
(Stava andando tutto così bene. E tu sei una maledetta che
non ha nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia).
Yusaku
avvertì qualcosa spezzarsi dentro di sé. Il non sapere quale
fosse il suo stato d'animo lo turbava sempre allo stesso modo, mai una
sfumatura diversa, mai un cambio di direzione.
La Bestia
Senza Volto lo coglieva perennemente impreparato. E allora
capì che il problema non era la tempesta, il freddo o la
malinconia di quel sabato mattina. Il vero problema erano i suoi
pensieri, quelli fugaci come un sussurro, quelli che nascevano e
morivano solo nella sua mente, ma che avevano tutto il tempo di
destabilizzarlo e lacerargli le pareti del cuore.
(Sono un disastro).
(La mia vita non ha senso).
(Perché Ryoken continua a stare al mio fianco?)
(Come fa a non essersi ancora stancato di me?)
(Perché devo essere sempre un peso, per lui?)
(No, no, no, non va bene, così non va bene. Devo pensare a
tre cose, tre cose e tutto si sistemerà).
(Che cosa sto—)
«Buongiorno, Yusaku».
Sussultò.
5
Quando il
respiro di Ryoken gli si infranse sul collo, Yusaku trattenne un
fremito. Lo aveva colto alla sprovvista senza neanche volerlo
(ma in
realtà, e lo sapeva fin troppo bene, era talmente rinchiuso
in se stesso che aveva completamente perso la cognizione del mondo
esterno)
e ora le
labbra saggiavano dolcemente quel lembo di pelle ipersensibile.
Si muovevano
calde e sapienti sul suo collo e Yusaku poté giurare che in
confronto il caffè pareva quasi freddo e annacquato.
Poggiò
la tazza fumante — ma per lui comunque troppo fredda e
annacquata — per concentrarsi esclusivamente sulle attenzioni
che Ryoken gli stava riservando, sperando, dentro di sé, che
ciò bastasse ad allontanarlo completamente dalla Bestia
Senza Volto e che tutto finisse lì sul nascere, senza dover
dare spiegazione alcuna in un secondo momento.
Perché
era conscio del fatto che se si fosse tradito in qualche modo, Ryoken
avrebbe preteso delle spiegazioni. E non voleva rovinare tutto a causa
dei suoi torbidi pensieri. Non di nuovo.
Poggiò
le mani sulle sue, che frattanto stavano salendo sul petto,
interrompendo il loro cammino. Le strinse un poco, avvertendo
l'epidermide andare a fuoco.
«Buongiorno a te» disse, socchiudendo gli occhi. Il
torpore causato da tutte quelle effusioni lo stava rilassando,
facendolo quasi sentire ebbro.
Poi,
però, il riflesso che catturò con gli occhi
socchiusi bastò a destarlo del tutto, facendogli montare
dentro l'inquietudine: davanti a lui si stagliava quella parte di
sé che aveva cercato in tutti i modi di sopprimere; era il
se stesso riflesso nel vetro della finestra, un'immagine quasi
introvabile in mezzo a tutte quelle gocce di pioggia. Pareva a tratti
sfocato, di difficile interpretazione, smembrato. Era torbido, proprio
come il suo stato d'animo.
«Ce n'è anche per te… di
caffè, intendo» continuò, deglutendo un
po' a fatica.
(Calma. Mantieni la calma. Non ti deve scoprire).
Ryoken
respirò a fondo prima di ringraziarlo e strusciare poi la
punta del naso sul suo collo. A Yusaku sfuggì un risolino,
un lieve suono di felicità
(prima che tutto
tornasse torbido)
che si perse
tra le mura domestiche.
«Hai mangiato?» gli chiese poi Ryoken, staccandosi
da lui.
«Sto bevendo il caffè» rispose Yusaku,
affrettandosi a recuperare la tazza che aveva ormai smesso di fumare.
«Intendo qualcosa di
solido» precisò Ryoken e Yusaku si
permise di alzare gli occhi al cielo perché tanto gli dava
le spalle e se non si fosse concentrato sul suo
(torbido)
riflesso sul
vetro della finestra non lo avrebbe mai notato.
Sapeva che
Ryoken non avrebbe mai accettato un “non ho fame”
come risposta, soprattutto se si trattava di lui. Era una premura nei
propri confronti con la quale Yusaku conviveva da più di tre
anni, eppure non vi era ancora del tutto abituato. In
realtà, qualsiasi tipo di premura che Ryoken gli dedicava
era ancora un mondo da scoprire nella sua interezza, forse
perché mai nessuno si era preoccupato tanto per lui.
E Yusaku, a
distanza di tempo, faticava ancora a capire perché proprio lui.
Non aveva nulla di speciale, eppure Ryoken lo trattava come se fosse la
cosa
(la persona)
più
preziosa al mondo.
E doveva
essere assolutamente normale, in realtà: se due persone si
amano e stanno insieme, volere il bene dell'altro rientra nelle
priorità.
Ma Yusaku
era ancora fermamente convinto di non meritare tutto ciò.
Che Ryoken fosse solo un bellissimo miraggio e che stando con lui
stesse solo perdendo il suo tempo.
Non aveva
accennato nulla circa le sue impressioni sulla tempesta in atto.
Nessuna parola spesa per la gita nel bosco saltata. Si era solo e
soltanto preoccupato per lui
(«Hai
mangiato?»)
non badando
minimamente alle disastrose condizioni atmosferiche che vessavano il
mondo esterno.
Yusaku era
la sua priorità. E per lui averlo realizzato senza
però riuscire ad accettarlo era dilaniante.
(E la Bestia Senza Volto
ghignò).
6
«Almeno un biscotto» stava insistendo Ryoken mentre
si versava il caffè. Estrasse poi una confezione mezza vuota
dalla dispensa, poggiandola sul tavolo della cucina.
«Questi al cacao e mandorle ti piacciono, prendine
uno». Dicendo ciò, bevve il suo caffè,
ormai non tanto caldo, in pochi sorsi.
Yusaku si
voltò, lo stomaco in subbuglio, un macigno opprimente
sull'anima e uno squarcio immaginario sul petto. Si sforzò
di risultare il più naturale possibile mentre gonfiava un
poco le guance e concludeva la trattativa: «Solo
uno».
«Aggiudicato» concordò Ryoken. Bevve
l'ultimo sorso di caffè e, dopo aver poggiato la tazza nel
lavello, si voltò nuovamente per guardarlo. «Vado
a cambiarmi. Quando uscirò dal bagno, mi
racconterai».
(Oh, cielo).
(Cielo, cielo, cielo, lo aveva sgamato subito, e adesso come avrebbe
fatto? Non voleva cadere nuovamente nel baratro, non voleva rendere
nuovamente reale la Bestia Senza Volto).
Yusaku si
limitò a ricambiare quello sguardo penetrante, deglutendo a
fatica. Quando Ryoken entrò in bagno dopo aver recuperato il
cambio dalla camera da letto, lui era ancora lì, immobile, a
pochi passi dal tavolo della cucina, intento a fissare l'inanimata
confezione dei biscotti mentre il vento all'esterno ululava e
all'interno, nella sua mente, un turbinio di pensieri neri come la pece
facevano il loro plateale ingresso, schiantandosi poi senza riguardo
alcuno contro le pareti del cervello.
E adesso?
Come avrebbe fatto a dirgli che si sentiva come se stesse morendo senza
neanche sapere il perché? Che stava lentamente e
inesorabilmente appassendo dietro le sbarre della cassa toracica, nel
punto in cui si trovava il cuore?
(Cielo, Ryoken. Non meriti tutto questo).
7
La
prima volta che lo incontrò, Yusaku aveva creduto di aver
alzato lo sguardo e di essersi perso ad ammirare il cielo per minuti
interminabili. Gli occhi di Ryoken lo avevano portato subito a pensare
al cielo primaverile, quello che preannunciava una bellissima mattinata
priva di nuvole e increspature. Solo tanta quiete e un sole che
placidamente ricominciava a scaldare le giornate.
A
quel tempo aveva da poco compiuto quindici anni e frequentava la terza
media, lavorava part-time in una caffetteria mentre Ryoken ne aveva
diciassette ed era al secondo anno delle superiori. Quel giorno
(Yusaku non lo
avrebbe mai dimenticato)
era
entrato nel locale ordinando un caffè macchiato.
La
Bestia Senza Volto annidava già nella sua coscienza, eppure
Yusaku cominciò a provare una parvenza di vibrazioni positive
dal momento in cui Ryoken entrò per caso nella sua vita. Col
tempo, piano piano, tutto sarebbe cambiato — oppure sarebbe
rimasto fermo, immobile e immutato, dipendeva dai punti di vista
— e proprio con Ryoken imparò per la prima volta
ad accettarsi un po' di più.
A
fatica, ma era già un grande passo in avanti.
8
La
prima volta che rimasero soli ed ebbero modo di parlare al di fuori
della solita richiesta
(«Cosa ti
porto?»)
(«Un caffè
macchiato, grazie».)
avvenne
due giorni dopo il loro terzo incontro.
Ryoken
aveva dimenticato la chiavetta USB sul tavolo e Yusaku si era premurato
di custodirla nella tasca dei pantaloni per potergliela restituire nei
giorni successivi, ma mai
si sarebbe aspettato di vivere, invece, uno tra i cliché
più risaputi della storia: Ryoken aveva lasciato la
chiavetta sul tavolo di proposito, per attirare la sua attenzione
(come se non lo
avesse già fatto solo guardandolo un effimero istante negli
occhi)
e
per dare a entrambi la spinta necessaria in grado di farli avvicinare
quel giorno stesso.
Forse
perché anche lui si era sentito emotivamente coinvolto nel
gioco di sguardi che li aveva accompagnati durante la settimana, forse
perché continuava a ordinare il caffè macchiato
solo e soltanto per rimanere impresso
nella mente di Yusaku. Forse perché in entrambi era scattato
qualcosa fin dal primo momento e allora che motivo
(paura)
c'era
di non farsi avanti e tentare, quantomeno presentandosi ufficialmente?
Perché
Ryoken non voleva essere solo “il ragazzo del
caffè macchiato” per Yusaku, così come
Yusaku non voleva essere solo “quello che preparava il
caffè macchiato” per Ryoken.
Bastò
poco a entrambi per comprendere, in infinite sfumature azzurre e verdi,
che il mondo aveva iniziato a girare nel verso giusto. Iniziarono a
conoscersi a piccoli passi durante il tragitto verso casa —
Ryoken si era offerto di accompagnarlo e Yusaku, senza neanche
rendersene conto, aveva acconsentito.
(E la Bestia Senza
Volto aveva ringhiato indignata).
In
un primo momento Yusaku aveva desiderato sparire, dileguarsi, correre a
casa e barricarsi sotto le coperte nel vano tentativo di frenare i
battiti cardiaci impazziti. Non era da lui condividere la
quotidianità con qualcuno, la Bestia Senza Volto glielo
impediva, gli sbarrava la strada, era come se ogni volta sbavasse sulle
sue mani per sporcarle e impedirgli di presentarsi al prossimo. E
chissà che cosa pensava la gente di lui
(Quel
ragazzo, sì, proprio quel Fujiki Yusaku, lo hai visto?
È troppo strano, troppo apatico, troppo silenzioso. Se ne
sta sempre per i fatti suoi e ho sentito dire che dorme durante le
lezioni, non ne seguirà neanche mezza. Certo che chi lo
capisce è proprio bravo)
e
chissà che cosa Ryoken
pensava di lui. Molto probabilmente doveva avere una visione alquanto distorta
della sua persona, poiché si approcciò a lui
nella normalità più assoluta. Non lo guardava
come se fosse un fenomeno fuori dal comune da studiare e analizzare, il
suo interesse pareva genuino e privo di qualsiasi secondo fine
altamente discutibile.
E
Yusaku continuava a non capire anche se, al contempo, qualcosa aveva
iniziato a smuoversi dentro di lui. Qualcosa che ancora non comprendeva
appieno ma che lo faceva stare inspiegabilmente bene.
Per
pochi sprazzi durante la giornata, ma era pur sempre qualcosa.
9
La
prima volta che ricevette un messaggio da parte sua, non
riuscì nemmeno a leggerlo in tempo. Si era svegliato di
soprassalto a causa di un incubo e quel “Buonanotte,
Yusaku”
gli si era palesato davanti agli occhi lucidi in maniera sfocata, a
tratti illeggibile.
Si
era sentito maledettamente in colpa per non avergli risposto
nell'immediato, circa due ore prima. Forse non aveva senso augurargli
la buonanotte a quell'ora — erano circa le tre —,
ma in quel momento aveva avvertito la necessità spasmodica
di farlo, come se il non rispondergli avesse inesorabilmente lasciato
tutto in sospeso. Come se il non rispondere equivalesse a essere una
persona orribile, da evitare e
(Oh cielo, io non
voglio perderti)
rendesse
reali
tutte le dicerie sul suo conto.
“Buonanotte,
Ryoken”.
Subito dopo aveva iniziato a piangere e singhiozzare senza nemmeno
capire il perché. Tutto ciò che sapeva era che
l'incubo fatto di oscurità e solitudine non c'entrava
assolutamente nulla, lo aveva già dimenticato.
Il
pensiero di Ryoken, invece, ancora no.
10
La
prima volta che si masturbò pensando a lui aveva sedici
anni, aveva iniziato a frequentare le superiori ed era entrato in
quella fase in cui aveva cominciato ad assecondare maggiormente le
pulsioni del proprio corpo. Il suo stesso seme gli si era appiccicato
sul palmo della mano e forse era anche colato un poco sulla coperta e
(oh, cielo)
si
era sentito così impudico, così lascivo,
così indecente… così eccitato
che il desiderio di essere suo in tutti i sensi
divenne il chiodo fisso di quella notte — almeno non si era
svegliato di soprassalto dopo aver avuto un incubo. Almeno non aveva
chiuso occhio per altri motivi, per l'imbarazzo di essere un normale
sedicenne che si era masturbato pensando alla persona per la quale
aveva una cotta,
(era davvero solo
una cotta?)
nulla
di più, nulla di meno.
Era
una cosa innocente nella sua immensa mole erotica — e
impudica e lasciva e indecente —, ma era pur sempre un
tabù che i ragazzi della sua età prima o poi
affrontavano.
Aveva
immaginato Ryoken tra le sue gambe. Aveva immaginato Ryoken mentre lo
baciava, mentre lo toccava, mentre entrava in lui e lo faceva suo. E
per un attimo aveva temuto di accartocciarsi su se stesso e implodere,
talmente rosso in viso che pareva essersi scottato col sole e il
formicolio al basso ventre che persisteva, persisteva e persisteva.
Che
disastro.
11
La
prima volta che si baciarono fu come se la primavera fosse arrivata in
anticipo. Era come se il cielo azzurro fosse cascato sul mondo solo per
poter abbracciare il suo prato verde.
Gli
occhi di Ryoken brillavano di riflessi mai visti prima ed era come se
un miliardo di farfalle si fossero staccate dalle costellazioni alle
quali appartenevano per battere le ali e creare dei meravigliosi giochi
di luce.
Le
farfalle di Yusaku invece erano tutte concentrate nello stomaco, un
miliardo di crisalidi pronte per uscire dal bozzolo di seta e volare
impazzite, senza dargli tregua.
Ryoken
aveva capito già da diverso tempo che qualcosa non andava.
Che Yusaku era alla perenne ricerca di risposte, che vagava nel buio e
che provare emozioni lo spaventava. Che duellava contro una Bestia
Senza Volto di dimensioni colossali e che giorno dopo giorno quella
maledetta lo stava fagocitando sempre più nel baratro della
sua testa.
Yusaku
era intrappolato nei suoi stessi, torbidi pensieri. In quegli stessi
pensieri che gli impedivano di godersi la vita come un normale ragazzo
della sua età avrebbe dovuto fare.
E
allora forse, un po' egoisticamente, Ryoken desiderò essere
la sua risposta, quella che cercava quando brancolava nel buio e nel
silenzio, la certezza alla quale Yusaku si aggrappava per restare in
piedi. Una persona sulla quale poteva sempre contare. Qualcuno che non
lo avrebbe mai abbandonato.
Quello
che non sapeva era il fatto che anche Yusaku si sentiva egoista nei
suoi confronti. Perché Ryoken era già la sua
risposta da tanto tempo. Quegli occhi verdi tanto distrutti si erano
appropriati di un guizzo di vita, di speranza, di amore talmente
intenso che la Bestia Senza Volto, per la prima volta, si
ustionò.
E
urlò incollerita.
12
La
prima volta che fecero l'amore, Yusaku aveva sedici anni e Ryoken
diciotto. Consumarono la loro prima volta a casa di Yusaku, su quello
stesso letto che lo aveva visto trasalire, urlare per gli incubi,
vergognarsi per essersi masturbato pensando alla stessa persona che
quella sera piovosa stava entrando lentamente in lui. In quel letto che
lo aveva sempre accolto da solo, intorpidito dai pensieri e con gli
occhi distrutti.
La
loro prima volta la consumarono in un mare di lacrime, tra parole
sussurrate a fatica e promesse di un futuro insieme nel quale credevano
entrambi. Perché anche Yusaku aveva iniziato a credere in
qualcosa, a trovare tante risposte in un'unica persona. Aveva iniziato
a credere in loro, in ciò che erano e in ciò che
li univa
(un legame che
trascendeva tutto. Tutto, tutto, tutto. Era così viscerale,
così intimo e così profondo che niente e nessuno
avrebbe mai potuto distruggerlo se non loro stessi).
«Pensa a tre cose, Yusaku. A tre motivi per vivere».
(Un marchio
sull'anima...)
E
mentre gli sussurrava quelle parole, Ryoken si era portato via una
parte di lui che non gli sarebbe mai stata restituita. Con Ryoken,
Yusaku aveva perso la verginità. Eppure, tutto si sentiva
tranne che privato di qualcosa.
Era
come se un piccolo pezzo di anima si fosse staccato dal cuore e fosse
andato a posarsi tra le mani di Ryoken. Tra quelle mani calde che lo
avevano cullato una notte intera. La prima di tante.
(... e una puntura sul cuore).
13
Ryoken c'era
stato, c'era sempre stato. Si era sempre fatto in quattro per lui, gli
era stato accanto nei momenti difficili e non c'era cosa peggiore al
mondo che tradirlo lasciandosi nuovamente andare tra le braccia della
Bestia Senza Volto, che melliflua lo chiamava da neanche tanto lontano.
Come se quei
tre anni non fossero mai esistiti. Come se
(te lo avevo detto, io)
Ryoken
avesse perso solo del tempo. Frequentava l'Università e
aveva tante cose a cui pensare, Ingegneria Informatica non era certo
una passeggiata e Yusaku stava per terminare gli studi superiori senza
ancora sapere cosa fare poi.
E diamine no, non c'era più tempo.
(«Yusaku»).
Ryoken una
volta gli aveva detto che era molto più forte di quanto
immaginasse. E Yusaku non aveva saputo rispondere, non si era mai
soffermato a pensare a una ipotetica forza intrinseca poiché
la Bestia Senza Volto si cibava di lui in ogni istante, poggiandogli le
mani avvizzite sugli occhi per impedirgli di vedere, di aprirsi
completamente al mondo.
(Non sono
così forte come pensi dovrei essere).
(Come vorrei essere).
(Come tu hai bisogno che io sia).
E avrebbe
voluto dirglielo, ma non poteva. E non voleva.
(«Yusaku»).
Non voleva
continuare a essere il più grande fardello della sua vita.
(«Yusaku...
ehi, ci sei? Hai mangiato?»)
I suoi occhi
tornarono a vedere
solo in quel momento.
14
Era rimasto
talmente imbottigliato in quell'asettico traffico emotivo da non
essersi accorto che Ryoken non solo era uscito dal bagno, ma gli stava
anche sventolando un biscotto al cacao e mandorle davanti agli occhi.
Aveva
ripercorso i momenti più importanti della loro vita insieme
nel giro di pochi minuti e questo lo aveva scombussolato, portandolo a
chiudersi ancora di più in se stesso.
«Su, mangia» lo esortò Ryoken,
avvicinando il biscotto alle sue labbra. Yusaku si sforzò di
schiuderle, di assimilare almeno quelle poche calorie, ma non ci
riuscì. Annullò qualsiasi tipo di distanza e
quasi cadde di peso tra le braccia di Ryoken, tremando e piangendo, il
volto nascosto contro il suo petto. E di riflesso, senza pensarci due
volte, Ryoken lo strinse forte a sé. E il biscotto cadde a
terra.
«Sta tornando, vero?» gli domandò, pur
conoscendo già la risposta.
Yusaku
singhiozzò ancora più forte, stringendogli
convulsamente la maglietta e stropicciandola.
Ryoken
sospirò, chiudendo gli occhi, portando le mani a passeggiare
sulla sua schiena.
«Respira, Yusaku. Dei respiri lenti e profondi.
Inspira...»
(Inspirò).
«... ed espira».
(Espirò).
E poi
ancora, ancora e ancora, fino a quando si quietò un poco,
mentre la pioggia continuava a urlare.
15
Ryoken gli
asciugò le lacrime
(Fermati...)
e poi gli
sistemò la camicia
(Non andare oltre...)
e poi ancora
si concentrò sui capelli che gli erano ricaduti sulla fronte
(Ryoken, basta...)
e avrebbe
continuato a prendersi cura di lui se Yusaku non lo avesse fermato.
Teneva lo sguardo basso e la mano che aveva bloccato il polso tremava
un poco.
«Non voglio... non voglio più farti vivere tutto
questo» sussurrò. Subito dopo, il suo cuore
scricchiolò. La Bestia Senza Volto lo aveva preso tra le
mani, stringendolo appena. Eppure faceva già tanto male.
«Ma io non voglio vivere senza di te. Come la
mettiamo?»
Ryoken
poggiò con garbo la mano libera sulla sua gota ancora un po'
umida di lacrime.
«Ryoken, ti prego... non è possibile che tu ogni
volta debba fare tutto questo per me. Non lo—»
«Yusaku, giuro su tutto l'amore che provo per te che se stavi
per dire “non
lo merito” mi arrabbio. Per davvero».
Sussultò.
Ryoken lo aveva fermato in tempo. E in quel momento lo guardava con
fermezza, mentre il tocco della sua mano persisteva nella sua
gentilezza.
«Ascoltami» riprese Ryoken, liberandosi senza
cattiveria dalla presa sul polso, per poggiare poi la mano sull'altra
guancia. «E guardami. Che i tuoi occhi sono meravigliosi e ho
bisogno di sentirli su di me. Punto primo: ho scelto io di starti
accanto. Perché ti amo e perché non mi
pentirò mai di aver dimenticato “per
sbaglio” la chiavetta sul tavolo della caffetteria, quel
giorno di tre anni fa. Punto secondo: tu sei molto più
forte di quanto si possa immaginare. Solo, fatichi a
rendertene conto. E se dovrò ripetertelo altre mille volte,
lo farò. E se questo non basterà, mi
inventerò dell'altro. Punto terzo: la tua vita è
preziosa. Per me, poi, ha un valore inestimabile. E non è
mai troppo tardi per riscattarsi. Hai solo bisogno del tuo tempo.
Chiaro?»
Yusaku
schiuse le labbra diverse volte, senza però emettere alcun
suono. Ricominciò a piangere silenziosamente, cercando
però di mantenere la calma. Senza interrompere il contatto
visivo, prese la mano di Ryoken e dalla gota la spostò sul
petto, toccandosi quel punto che la Bestia Senza Volto aveva violato,
ma che non aveva distrutto. Non ancora. Ma neanche mai.
(Voglio solo che tu
tocchi la mia vita in quel posto dove dovrebbe essere il mio cuore).
Gli rispose
così. Senza dirgli nulla, ma sussurrandogli, al contempo,
tutte le parole del mondo.
A fare
rumore ci pensava già la tempesta.
16
(Un marchio
sull'anima...)
Fecero
l'amore, quella mattina. Tra le coperte calde, tra sospiri e tante
lacrime. Fecero l'amore e allora si sentirono più vivi,
più umani, un po' più forti.
Yusaku
avrebbe temuto altre mille volte ancora di perdere Ryoken, di non
meritare il suo amore e di essere solo un peso per lui. E Ryoken gli
avrebbe dato il doppio dei motivi per continuare a stare insieme, per
continuare ad amarsi e per continuare a vivere.
«Punto primo...»
(E Ryoken affondava in
lui, si perdeva in lui, lo faceva gemere e lo rendeva suo).
«... io sono
molto più forte di quanto si possa pensare.
Punto secondo...»
(E
l'intensità delle spinte frattanto aumentava, gli ansiti si
accavallavano gli uni sugli altri e Ryoken lo guardava come se fosse la
creatura più bella del mondo).
«… merito anche io il mio riscatto nella vita.
Punto terzo...»
(Erano entrambi al
limite. E allora si strinsero forte, per non perdersi mai
più).
«… io non voglio perdere tutto questo».
(E Ryoken si
riversò in lui. E lui si riversò tra i loro
addomi. E le tracce di ciò che erano stati quel giorno,
quelle dell'anima, non se ne sarebbero mai andate).
(... e una puntura sul cuore).
17
«Come
stai?»
«Non
lo so. Ancora non lo so. Ma di una cosa sono certo: ho una gran voglia
di stare bene sempre,
come ogni volta che facciamo l'amore».
18
La loro
storia profumava di fugace infinito, era dolce come le parole che si
sussurravano e delicata come una crisalide solitaria che attendeva di
toccare il cielo coi caleidoscopici colori delle proprie ali.
E forse loro
due erano solo un effimero millisecondo di vita in mezzo
all'infinità dell'universo.
Ma che
incredibile momento erano stati.
EDIT
07/11/2023
• Grazie
per aver letto questa storia che, al giorno d'oggi, reputo ancora la
più importante tra quelle che ho scritto, nonché
quella a cui sono più affezionata.
Dopo tre anni dalla sua pubblicazione e sempre in occasione del mio
compleanno, ho pensato di revisionarla e aggiustare qualcosa qua e
là, senza però stravolgere l'essenza dello
scritto.
Come sempre ringrazio A Mark On My Soul
degli Imminence per avermi ispirata ai tempi questa storia; oltre al
titolo, troverete all'interno del testo alcune frasi prese direttamente
dalla canzone.
•
Anche se non l'ho mai citata apertamente, la Bestia Senza Volto
è la depressione.
Un tempo tendevo a edulcorare questo nome, mentre ora ho imparato a
chiamare questa malattia per ciò che è.
Purtroppo so che cosa si prova. E tante cose che ho scritto e
sviscerato in questa storia, le ho provate io stessa nel corso degli
anni — se poi ci aggiungiamo anche l'ansia e gli attacchi di
panico, abbiamo il pacchetto completo.
•
Ecco, io spero che da questo scritto sia uscito sia il peggio di
ciò che la depressione comporta —
perché no, essere depressi non significa
“solo” essere tristi: significa anche perdere la
propria identità giorno dopo giorno, si vive costantemente
nell'ombra, fagocitati dai propri pensieri. La depressione fa schifo e
non la auguro manco al mio peggior nemico — ma anche il
meglio che una persona può tirare fuori quando decide seriamente di
rialzarsi e di riprendere in mano la propria vita.
Non è per niente facile convivere con il terrore costante di non sapere quale
sarà il proprio stato d'animo tra un giorno e l'altro,
soprattutto quando ci sono quelle volte in cui non si prova assolutamente
niente.
•
In questo scritto non sono andata fino in fondo, nel senso che mi sono
limitata a raccontare di quanto l'amore sia in grado di aiutare una
persona, soprattutto se si ha la fortuna di incontrare qualcuno che,
proprio come Ryoken, è disposto a fare di tutto per Yusaku,
Ma è altresì vero che oltre a ciò
è assolutamente necessario intraprendere un percorso che
possa offrire un supporto psicologico e non solo, perché
l'amore è importante, sì, ma anche chiedere aiuto
a figure professionali che conoscono bene la depressione e/o altri
problemi è una forma di amore, ovvero quello per se stessi.
Tutto questo per dire che, se oltre ad offrire una lettura piacevole
(almeno spero) questo scritto servirà anche solo in
microscopica parte a sensibilizzare qualcuno, a fargli aprire gli occhi
circa una condizione che molto spesso viene ignorata, per me
sarà già una grande vittoria.
Se poi ci aggiungiamo una bella canzone (per me lo è davvero
tanto) più l'amore sconfinato che provo per Ryoken e Yusaku,
credo che sarò soddisfatta a vita.
Ringrazio di vero cuore tutti coloro che sono arrivati fino a qui.
M a k o
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