PREMESSA
Awn, le wok.
Seriamente, mi ero ripromessa di scrivere qualche cosa di
meno angst su questi due, viste le mie più recenti produzioni. Come si sia
passati da questo buon intento al fluff più pasticcioso, non è lecito sapere,
ma la wok mi sembrava un ottimo punto di partenza, per la trattazione
dell’argomento.
Troppo spesso la gente tende a dimenticare che Doko è
CINESE.
WOK
Doko di Libra ne
aveva visti di combattimenti, in vita sua. Aveva visto corpi schiacciati contro
soffitti e colonne, corpi volare come se non avessero peso, corpi esplodere,
corpi consumati dal Cosmo, corpi oscurati in mondi di luce.
Ma non aveva mai
creduto che un corpo potesse rotolare.
Non nel senso
letterale del termine. Semmai, precipitare in un dirupo, o finire sbalzato giù
da una scala, o trascinato da un’onda d’urto. Ma rotolare, rotolare come un
involtino nell’olio di cottura, questo no.
Finché non l’aveva
visto fare al suo amico di un tempo, amante, e diretto superiore.
Essere l’amante del
capo aveva i suoi pro. Uno era l’innegabile avvenenza del capo, appunto. Un
altro era la sua sapienza nell’arte di deliziarlo. Un altro era il suo
fondoschiena. All’anima.
Ma c’era anche aspetto
negativo.
Ed il più rilevante
riguardava i momenti di debolezza di Sion, quando si barricava in sé stesso e nessuno,
nessuno al mondo poteva avvicinarlo – tranne Dokoyo.
E conseguentemente,
nessuno doveva sopportarlo – tranne Dokoyo.
Lo rinvenne sul suo
letto completamente stravolto che non si dava pace, e passava continuamente da
un fianco all’altro, come se fosse stato in balia del mare. La servitù era
tanto preoccupata per lo stato del Pontefice, tanto che non una, ma addirittura
quattro fanciulle erano scese in gran fretta a chiamare Libra il Temperante,
affinché potesse aiutare il loro povero signore.
Ma Doko era
talmente sereno che si era persino concesso un sorriso, per l’abbigliamento
sgargiante delle giovinette, opera di Sion senza alcun dubbio.
- Oh Dokoyo.
Dokoyo, perché mi hai abbandonato. – stava rantolando, aggrappato al suo
guanciale preferito, e con ogni probabilità deciso a portarselo fin
nell’oltretomba.
La stanza profumava
di pulito e di aria fresca, segno che Sion aveva intenzione di lasciare questo
mondo in maniera decorosa, stavolta che era stato graziato di un discreto
preavviso. Doko, però, non aveva troppa voglia di assecondarlo, e glielo fece
sapere andando ad aprire nuovamente le ampie finestre che già dovevano essere
state spalancate fino a poco prima. Il calore del pieno pomeriggio gli bagnò la
faccia, mentre un gemito da levare l’anima lo raggiunse da sotto un cuscino
premuto con forza sui capelli.
- Sion. – lo
richiamò, vagamente severo. – Sono qui. Adesso calmati. –
- Calmarmi? Ma non
vedi? Non vedi che muoio? –
- Non che non
muori. È una brutta indigestione, la supererai come hai superato mille
battaglie. –
Eh, il vecchio Doko
lo sapeva bene. Le mille battaglie erano sempre una buona carta da giocare, con
Aries. Lo vide fare capolino prudentemente, i capelli scomposti che grondavano
fin sugli occhi.
Stava prendendo le
misure. Stava valutando fin dove poteva spingersi nel pungolare il suo senso di
pietà, onde evitare di essere messo con le spalle al muro dalle sue stesse
armi.
Era un gioco che a
Libra piaceva ancora, perché sapeva di anni trascorsi e di infinita conoscenza.
Come erano uniti e telepatici, così erano anche bravi a valutarsi come
avversari. E se si eccettuava un’occasione, una sola, in cui Doko aveva trovato
quel gioco tutt’altro che divertente, per il resto era sempre stato tremendamente
spassoso.
- Non sono mai
stato così male in vita mia. – brontolò alla fine Sion, guardandolo da sotto in
su affinché lui potesse vedere le occhiaie rimarcate dall’ombra. – Mai, mai,
mai stato così male. –
- Nemmeno quando la
mano nemica ti feriva? –
- Nemmeno. –
- Nemmeno quando
l’ira di un dio si è abbattuta su di te? –
- Nemmeno. Erano
carezze, quelle, a confronto! –
Doko alzò gli occhi
al soffitto, divertito. – Nemmeno… - insinuò, accucciandosi accanto al letto
con le braccia incrociate, il viso di Sion ad un niente dal suo. – Nemmeno
quando ti ho fatto mio per la prima volta? –
Il gioco, il gioco,
sì. Per quanto Sion avesse calcolato attentamente le sue mosse, il turno se
l’era aggiudicato lui, senza ombra di dubbio.
– Doko! – lo riprese,
oltraggiato.
Scostò una ciocca
di capelli dalla fronte aggrottata fermamente, mentre Doko gli si sedeva
accanto. Con l’indice e il medio, lo analizzò passeggiando lentamente lungo
tutto il suo corpo, fino al busto protetto da un’ampia veste da notte di morbidissima
mussola di seta, proprio il genere di vezzo che Sion concedeva volentieri alla
sua pelle.
Sgambettò sulle sue
spalle, stando in equilibrio sulle clavicole. E rallentò l’andatura sul viso,
quando si trovò a passeggiare sul suo mento, a scalare la punta del suo nasino,
a tuffarsi fra gli occhi, e poi ad arco fino alle guance.
Era palliduccio e
piuttosto freddo. In alcuni anfratti del collo, e sulla fronte, Doko colse
alcune gocce di sudore freddo che subito scacciò via, via da quella tenera
pelle d’alabastro.
- E’ solo un mal di
pancia. – lo rassicurò. – Te ne ricorderai, la prossima volta che ti verrà
voglia di mangiare dei gamberetti crudi. –
Non era stata sua
intenzione lasciar trapelare da quell’amorevole rimbrotto l’asprezza del tradimento.
Ma, ugualmente, Sion, che lo conosceva spaventosamente bene, la colse. E per un
momento, tacque, i suoi occhi si fecero grandi, e si colmarono di pentimento
sincero.
- … Non erano
crudi! Erano marinati! – cercò di difendersi.
Ma Doko era cinese,
allenato fra i fitti bambù delle coste sud orientali, e rimasto legato per
secoli ad un monte cinese, ad una cascata cinese, ad un cielo cinese.
Un uomo di Qin, che
aveva ereditato l’arte culinaria di Qin.
- Bah. Crudi, ti
dico, crudi. –
- Doko, io… -
- Taci. Ho fritto
gamberi per te per anni ed anni, e ti è mai venuto un mal di pancia? Mh? –
addolcì un po’ le sue parole, mentre gli tendeva una mano compassionevole ed
affettuosa per accarezzargli i capelli pasticciati dal sudore e dal troppo
stare sul cuscino. – Dimmi, cuor mio, ti ho mai fatto star male? –
- No. – gemette
Sion, con gli occhi umidi.
- E perché allora
hai voluto provare queste nuove mode? Questi esotismi pericolosi, che attentano
alla tua salute. –
- Mi sembravano
innocui. –
- Come possono
esserlo, è cibo crudo. –
- Oh, via, ora
esageri. Il fatto che tu frigga sempre tutto quanto non significa che non
esistano altri modi per- –
- Sion. –
Il timbro della
voce di Doko, solenne, vibrò come un gong, e per la seconda volta in pochi minuti,
Sion tacque. Doko scrutò con aria grave le sue dita, riunite mollemente in
grembo. Dita che tante volte l’avevano stretto, e che un giorno, persino,
avevano accolto l’ultimo barlume della sua vita che si disperdeva. Ora non
stringevano niente, ma si serrarono ugualmente con determinazione.
- Sion, ascoltami.
– parlò l’uomo di Qin. – Ascolta chi ti ha amato senza riserve per tutta
l’immensità del tempo, ascolta chi non ha altro pensiero al mondo che la tua
felicità, la tua salute e il tuo benessere. –
E Sion, innamorato,
ascoltò.
- Queste sono
falsità. Falsità, bugie infami, diffuse per scopi ignobili da qualcuno che
vorrebbe avvelenarti. –
- Via, sono certo
che Death Mask non intendesse… -
- A-a-a. Il riso,
come te lo cucino? –
- Bollito. –
- Proprio così. E
ti ha mai fatto male? –
- No, mai. –
- E dimmi, il pesce
invece, come te lo cucino, con tutto l’amore di cui sono capace? –
- … Nella wok. –
- E la carne? –
- Nella wok. –
- E gli involtini?
E i ravioli ripieni che ti piacciono tanto? –
- Nella wok. –
- E i dolci? Quelli
che ti preparo per strapparti i sorrisi più belli? –
- Nella wok! –
- Esatto. –
Sion si tirò il
lenzuolo color crema fin quasi al mento. – Mi dispiace tanto! –
Fu il momento di
sciogliersi in sorrisi riconcilianti. Lo stomaco di Sion mandò un gorgoglio
straziante, che lo costrinse a rimettersi giù buono, vittima di altre scariche
di sudore freddo. Doko decise che il fato lo aveva punito abbastanza.
- Vado a farti un
buon tè verde caldo fumante. – promise, schioccandogli un bacio proprio in
mezzo alla fronte. – E ci metterò un pizzico di zenzero fresco. Ti farà bene. –
- Ti ringrazio. –
- Di nulla, mio
Aries avventato. –
Sparì con
naturalezza nella cucina degli appartamenti privati di Sion, lasciandolo solo con
il suo malessere, la sua nausea, i suoi crampi e i suoi sensi di colpa.
Pochi minuti
ancora, e sarebbe tornato con la tisana miracolosa. Pochissimi minuti di
fiduciosa attesa a cui Sion si abbandonò con tale languore da addormentarsi
senza nemmeno accorgersene.
Libra lo avrebbe
trovato accoccolato lì dove l’aveva lasciato, e ne avrebbe sorriso pieno di
tenerezza.
Non c’era alcuna
fretta: lo zenzero aveva già dato tutti i suoi succhi nell’infusione, e in
cucina c’era ancora una wok piena di acqua bollente, pronta a tenere la tazza
in caldo.
ANGOLINO!
Kyah! Ringraziamenti & Sguanciottamenti vanno agli
intrepidi recensori delle precedenti shots. Vi ringrazio infinitamente per
tutto l’entusiasmo e i complimenti – e anche per avermi odiata, quando era
legittimo farlo.
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