Capitolo 5
Un lavoro da
donne
Aveva ragionato
più volte nella
mente il suo piano ed era tempo di metterlo all’opera. In
fondo,
era stufa di stare rinchiusa dentro il magazzino del cibo e iniziava
a stargli stretta la piccola stanzina sopra la stiva. Fuori dalla
porta, sentiva i marinai affaccendarsi per la tenuta della nave:
nessuno avrebbe fatto caso al rumore di una porta che si apre, per di
più nella stiva del vascello.
In pochi istanti si
udì il suono
stridente di un ingranaggio che si apriva e scattò la
serratura
della porta: il dispositivo, in sovraccarico per via
dell’eccesso
di elettricità che la donna aveva aumentato modificando le
impostazioni sul pannello di controllo, cadde al suolo e
poté
finalmente raggiungere la porta e le scalette per salire sul ponte.
Sentì
dietro di sé i passi leggeri di Broly che, per sua sorpresa,
non
l’aveva lasciata sola in magazzino ed era rimasto a farle
compagnia
tutta la notte. Lo chiamò, incoraggiandolo ad
uscire con lei.
« Oh,
andiamo, stai benissimo! »
Broly si
affacciò dalla piccola
cabina del magazzino, uscendo dal suo posticino tra gli scaffali e
guardò la donna con occhi incerti, soprattutto per il fatto
che
Bulma, nel frattempo che meditava come sarebbe uscita dalla pancia
della nave, aveva preso ad accarezzargli i capelli folti neri che si
trovava in testa ed aveva avuto l’idea di acconciargli un
ciuffo
con un nastrino sopra la fronte.
Gli occhioni tra il
supplicante e
l’arrabbiato del suo piccolo ed improbabile compagno di
cuccetta la
fecero ridere.
Finalmente aveva
capito la natura
di quel ragazzone silenzioso che a mala pena spiaccicava una parola e
che per tutto il tempo era rimasto accovacciato accanto a lei ed
aveva preteso, a modo suo, di ricevere attenzioni.
Era mezzo Earthariano
e mezzo
demone: ecco che diamine erano quelle sfumature di verde accecante
che alle volte striavano i suoi capelli, ed ecco perché,
quando si
arrabbiava, il nero dei suoi occhi diveniva di un verde spiccante,
che tendeva ad accendersi man mano che la sua rabbia e la sua
agitazione aumentavano. Per non parlare, poi, della appendice pelosa
di colore altrettanto verdastro che alle volte gli vedeva
scodinzolare dietro la schiena.
Le ricordò
vagamente i cani
terrestri, quelli che aveva studiato da giovane nei manuali
telematizzati, per imparare di più su ciò che era
esistito in quel
lato del Cosmo, dentro la Via Lattea. Ed anche, certamente, per
impressionare il suo promesso sposo Goku che, guarda caso, proveniva
proprio dal pianeta Earth24, per la composizione, molto simile alla
Terra del passato.
Sorrise, raccogliendo
da terra il
meccanismo della porta che era riuscita a far saltare: se non fosse
stato per i suoi studi giovanili su ogni tipo di materia, non si
sarebbe mai riuscita a liberare dal magazzino di stiva in cui
l’aveva
rinchiusa quel maledetto pirata.
Gettò il
dispositivo e fece le
scale in quattro e quattr’otto per uscire sul ponte. Broly le
corse
dietro, ma non prima di essersi liberato del fastidioso fiocco che
aveva in fronte.
La brezza fresca,
quasi fredda,
del Cosmo l’accolse una volta che mise piede sul ponte sul
quale si
stavano affaccendando i pirati agli ordini del capomastro. La
navigazione continuava sostenuta ed avevano abbandonato il mare
aperto, arrivando verso delle nuove Costellazioni poste più
a ovest
di quelle che aveva mai attraversato nella sua vita.
« Forza,
svegliatevi! Toma,
prendi le aste! »
Berciò
sbrigativo Nappa, che si
aggirava per il ponte controllando con premura la robustezza dei nodi
di babordo e tribordo e verificando i dati provenienti dagli scudi
protettivi che avvolgevano come un mantello invisibile la nave.
Notò
che li leggeva da un piccolo dispositivo remoto collegato al tavolo
di navigazione, che fungeva sia da solcometro e mostrarombii.
Il vento dell’Eatherium si fece lievemente più
forte e la sua
spinta, combinata alla propulsione dei motori, aumentò la
navigazione della nave Saiya a 300.000 km/h.ii
« Toma,
porta qui le aste! »
« Toma,
portale anche qui! »
Gli uomini si
sbrigarono ad
ammainare ed alzare le vele, in perfetto coordinamento con le virate
del capitano che manteneva la tenuta della nave costante e precisa ad
ogni chilometro percorso.
D’improvviso
la donna si
accorse di una forte luce blu si rifletteva nei suoi occhi e davanti
a lei si mostrarono le leggendarie Stelle Pleiadiiii.
L’ammasso
infinito delle stelle
Pleiadi era nato nell’universo da circa 115 milioni di anni
prima,
quando, dopo le nozze del titano Atlante e della oceanina Pleione,
dea delle acque e dei mari, questa aveva dato alla luce nove figlie.
La leggenda narrava che le sette sorelle, circondate da una nebulosa
interstellare che rifletteva costantemente la luce blu della loro
giovane età, erano state trasformate in stelle lucenti dal
padre
degli Dei, Zeno, per acconsentire al loro desiderio di sfuggire
all’amore opprimente di Orione.
Le stelle gemelle,
legate tra di
loro da un alone di forza magnetica, si presentavano ai marinai del
Cosmo come uno spettacolo da brividi: la loro luce accecante di un
soffuso blu oceano assumeva forti toni di profondità per via
della
misteriosa nube che le contornava, nube che, come
all’ingresso di
una cupa caverna, si espandeva creando dei forti pilastriiv
di materiale cosmico e fuoco primordiale ai suoi lati.
I
meravigliosi, ma altrettanto pericolosi Pilastri della
Creazione si stagliavano contro le navi che osavano navigarci in
mezzo come uno spettacolo sublime: delle lunghe, scomposte e colorate
stalagmiti di gas solido sbarravano l’ingresso alle navi
più
intrepide, ergendosi come i denti di un mostro. Era come entrare
nella bocca di un drago e dover schivare i suoi denti aguzzi e
velenosi.
Bulma sentì
un tonfo leggero
accanto a sé e si ritrovò vicino Turles che,
sceso dalle funi, la
fissava, pensieroso.
« Spero che
sappia cosa sono
quelli là, signorina… perché solo un
capitano uscito pazzo
oserebbe navigarci in mezzo! » sibilò il marinaio
che, con i suoi
capelli, le ricordava la figura il principe ereditario di Syracysis.
Dalle sue parole intuì che sperava che il capitano sentisse
la sua
lamentela urlata a pieni polmoni. Il capitano, dal canto suo, lo
richiamò subito all’ordine non facendosi mancare
un accenno di
rabbia nella voce.
« Turles,
ripiega la vela di
trinchetto!v
»
Turles si riscosse,
beccato ad
aver temporeggiato ad applicare gli ordini e ripiegò subito
per
tornare in cima all’albero di prua.
« Mi scusi,
signorina... »
ridacchiò imbarazzato e lo vide scomparire tra le funi della
nave.
Poco sopra, Vegeta
stava ai
comandi, manovrando con attenzione il timore e urlando ordini ai
sottoposti, per riuscire ad avere la migliore conoscenza della natura
delle virate che sarebbe dovuto andare a fare. Scrutava con
attenzione i Pilastri della Creazione davanti a lui, ipnotizzanti
nella forma e nei colori, ma insidiosi più che mai per le
loro
sagome frastagliate e appuntite che celavano scogli nascosti.
Gli si
avvicinò Bulma: « Sei
sicuro di sapere- »
«
Sì, abbiamo già fatto queste
cose.. »
« Senti-
»
« No, non
c’è altro modo... »
« Ma io-
»
« E
sì, hai il mio permesso di
stare lì zitta, a prendere lezioni gratis di
vela… » le sorrise
affettato, in un sorriso tirato.
« Sai-
»
« E
poi… una nave non è
posto... per una donna... »
Il pirata
scandì lentamente
l’ultima frase, tenendo a sottolineare la linea irremovibile
del
proprio pensiero.
L’ambasciatrice
si sforzò di
non saltargli alla gola e si sforzò di calmarsi prendendo un
forte
respiro, ma il capitano aveva già saltato a piedi pari la
conversazione per ordinare a Cabba di fare attenzione a montare la
randavi.
Cautamente, ma con
velocità
sostenuta per evitare, da un lato, di essere trascinati dal campo
magnetico delle Pleiadi e, dall’altro, per riuscire a
conservare il
proprio campo magnetico, la piccola nave pirata si accinse ad
attraversare i primi pilastri di gas che erano schierati
all’ingresso
della nube spaziale.
In lontananza si
aprì
l’orizzonte delle sette Stelle.
Merope, risplendente
nelle sue
pulsazioni fotosferiche, accecò momentaneamente i pirati: i
suoi
raggi ghermirono le pareti protettive della nave, dando più
forza
alle vele fotoassorbenti, e Bulma si accorse di come Alcione, la
sorella più luminosa, specchiasse la sua immensa essenza
sulla vela
di bompresso facendola vibrare leggermente per l’eccesso di
energia.
L’attenzione
del capitano e dei
pirati non si staccò un secondo dal mare astrale disteso
davanti a
loro.
« Mantenete
le posizioni… »
Un silenzio spettrale
calò, poi,
sulla nave: tutti i marinai si guardarono attorno circospetti,
attenti a sondare la posizione degli scogli di materiale plasmatico
che li circondavano.
« Scogli, a
prua di tribordo! »
avvisò Turles dalla coffa, in cima all’albero
maestro. Vegeta virò
dolcemente verso destra e l’apice della nave, dove
s’intrecciavano
le cime attorno all’albero di poppa, sfiorò docile
l’ammasso
gassoso di uno dei denti velenosi. Caddero dei pezzi di plasma nel
mare, che l’inghiottì facendoli precipitare nel
vuoto.
La dolce nenia del
vento li
accompagnò sempre più all’interno alla
nube, che si aprì loro
come una crisalide perlacea: si iniziarono a distinguere nettamente
le file acuminate degli scogli di energia e, lentamente, si scorsero
tutt’intorno i relitti di vecchie navi spaziali che avevano
trovato
la loro fine tra i denti della nebulosa.
Il cimitero di navi ne
custodiva
a decine: imbarcazioni sventrate brutalmente e incastrate tra gli
scogli, con le gomene abbandonate a se stesse, a proteggere le loro
navi perse nel vuoto. I loro occhi vacui erano contornati dalla luce
bluastra delle stelle che conferiva loro un aspetto ancor
più
spettrale, come fossero state tramutate in fantasmi incatenati
nell’eterno.
Bulma non
poté fare a meno di
chiedersi come mai ci fossero delle navi completamente sventrate ed
incastrate anche tra gli scogli più alti, come se qualcuno
di
sovrannaturale le avesse afferrate e gettate brutalmente tra i denti
del drago. E i marinai, che fine avevano fatto?
Una lunga fila di
teschi di tutte
le razze dell’universo, attaccati lungo delle vecchie cime
delle
navi ormai penzolanti nel vuoto, rispose per lei alla domanda.
Rabbrividì,
sentendo nell’aria
qualcosa di insolito, e percepì una lenta e delicata
armonia.
La melodia, infatti,
echeggiò
lugubre e delicata tra le pareti della grande nebulosa interstellare.
Distinse le note di una voce femminile, dolce, ma con un qualcosa di
illusorio.
«
Cos’è questo suono? »
«
Shh… »
La zittì
Vegeta, con un gesto
flemmatico della mano. Si voltò verso di lui e si
meravigliò quando
lo vide vacillare sui piedi, non riuscendo più a stare
composto al
timone. Anche la ciurma aveva iniziato a guardarsi attorno spaesata,
e, dopo aver abbandonato le posizioni sul ponte, si sporgeva sulla
murata della nave, per capire da dove venisse la musica, come se
fosse in balia di un incantesimo.
Presto
intuì da dove arrivasse
quel suono così melodioso: le sette Stelle sorelle, guidate
dalla
stella più grande Elettra, avevano iniziato a pulsare
più forte e a
muoversi, dapprima in una lenta danza, poi intrecciandosi tra di loro
e formando dei cerchi di energia.
I loro movimenti
ipnotici presero
forma: le vide tuffarsi nel mare di stelle, scorrere
sull’acqua,
sfiorare la chiglia della nave e tuffarsi tra i cristalli creati dal
vento. Emersero come creature marine, che si arrampicarono sui
relitti abbandonati e sugli scogli spinosi.
Broly, non sottoposto
all’incantesimo delle creature per via della sua natura
metà umana
e metà animale, si affacciò lungo il parapetto
del castello e
ringhiò. Bulma non riuscì a crederci.
« Sono
sirene! »
Le Pleiadi blu,
trasformate in
sirene, sghignazzarono con uno sguardo demoniaco verso la donna e
circondarono la nave, che presto avrebbe perso il controllo. Con la
loro magia travolgente, la trascinarono verso il centro della
nebulosa e la fecero scendere tra le scogliere e le spire degli
scogli: il mare si fece d’improvviso più agitato,
la chiglia della
nave affondò maggiormente nell’oceano e i
cristalli si spezzarono
con forza, per via del ritmo della forte corrente che d’un
tratto
aveva iniziato a correre sotto di loro.
Bulma
realizzò che stavano
procedendo alla deriva e provò a riscuotere il capitano.
« Vegeta!
» urlò angosciata,
ma il capitano aveva gli occhi sognanti, come addormentato, e a
malapena si reggeva in piedi, costringendosi a stare afflosciato sul
timone comandi.
Lo sentì
farfugliare qualcosa
riguardo le sue capacità a letto e si domandò
come gli uomini
potessero essere così arrendevoli al canto di una donna.
« Radish!
»
« Toma!
»
« Nappa!
»
Tutti i marinai,
però, erano in
balia della melodia delle stelle e, ammaliati, si sporgevano dagli
argini della nave per raggiungere e sfiorare le veloci sirene che
sguazzavano attorno a loro, quali sinuose creature magiche vestite
dei colori della nebulosa di fumo.
La nave, sobbalzante
sulle onde
sempre più trascinanti del mare, puntò
d’improvviso verso degli
scogli più sporgenti, sui quali, belle e luminose, sedevano
Taigete
e Celeno, due stelle originarie dallo stesso punto astrale e
geografico, che attendevano i marinai a braccia apertevii.
Bulma, allora, temendo
il peggio,
trascinò Vegeta lontano dal timone, lasciandolo stramazzare
a terra,
e virò brutalmente la nave verso sinistra.
La forte virata,
però, per via
del flusso dell’acqua, fece sbandare ancora la nave e Bulma
vide
con orrore un’onda di oceano salire improvvisamente e
spaccarsi sul
ponte, portando con sé alcune sirene che si precipitarono
per andare
a braccare i marinai dispersi sul ponte.
Broly
guardò preoccupato la
donna ed entrambi portarono gli occhi su Vegeta che, steso a terra,
ancora camminava sul filo dell’incoscienza e della coscienza.
Porse
lesta a Broly una cima dell’imbarcazione che era caduta nel
trambusto della discesa.
« Presto,
fermali! »
Ordinò al
demone che, scese di
corsa sul ponte e, veloce come una freccia, intercettò il
passo dei
marinai, li circondò con la corda e li costrinse a
retrocedere al
centro del ponte. Li legò attorno all’albero
maestro che, per
fortuna, resisteva ancora ai colpi del mare in tempesta.
Le sirene,
però, si insidiarono
ancora tra la nube elettromagnetica ed assunsero
un’evanescenza più
accecante. Attirarono ancora a sé la nave e cavalcarono le
onde in
fermento: la piccola Saiya sbatté nuovamente contro gli
scogli di
plasma, disperdendo nello spazio l’energia degli scudi
protettivi.
Vibrarono le vele e si tagliarono le cime, rovinando al suolo.
« Turles!
»
Gridò Bulma
all’improvviso,
non accortasi della presenza del mozzo che, scendendo dalle corde,
era scivolato lungo il ponte e dal parapetto a prua ascoltava
meravigliato la voce di Maia. La stella lo avvicinò e lo
strinse a
sé, cingendolo tra le braccia esili, poi si tuffò
con lui nel mare
spaziale sparendo tra i diamanti di ghiaccio.
La donna non si fece
trovare
impreparata: trascinò Vegeta al posto comandi
perché col suo peso
morto potesse bilanciare il timone della nave e afferrò una
corda.
Con una forza che non pensava di possedere, lanciò la corda
verso la
sommità dell’albero di poppa lasciando scorrere a
gran velocità
la bittaviii.
Si lanciò nel vuoto: la cima la portò fuori dalla
nave, facendola
esporre al vento gelido dello spazio e facendola volare nel vuoto,
mantenendo ben salda la presa sull’albero maestro.
Dentro il mare
astrale, Turles e
la stella stavano scendendo dolcemente a picco: la sirena aveva
intrecciato le mani setose sul viso del pirata e lo stava portando
con sé in un bacio trascinante. Presto, però, il
marinaio si
accorse di faticare a respirare e poco dopo l’aria gli
mancò del
tutto dai polmoni, succhiata dal bacio mortale della stella. Fu il
tempo di qualche secondo e si sentì velocemente trascinato
fuori
dall’acqua: la cima fissata da Bulma gli circondò
la vita,
portandolo con sé verso gli alberi della nave. La donna
appoggiò
nuovamente i piedi sul ponte, assicurando la cima alla base
dell’albero e lasciando penzolare il pirata
nell’aria mentre
questo perdeva coscienza.
Nemmeno il tempo di un
respiro,
che la bella Asterope, cinta nella sua corona di guerra,ix
si avvicinò a Vegeta, trascinandolo via del timone e
lasciando la
nave in balia delle onde.
« Broly,
fermalo! »
Dopo aver stretto
forte la corda
attorno all’albero maestro, il demone corse verso il capitano
che
si stava avvicinando pericolosamente alla murata della nave, ma non
sapendo come afferrarlo per via delle mani occupate a cingere la
corda, optò per la soluzione più semplice.
Il capitano
urlò dal dolore
quando sentì le fauci affilate del demone solcargli le
natiche e si
sentì trascinato verso il centro del ponte, lontano dalle
mani
snelle della stella.
La sirena non
desistette dal
cacciare nuovamente la preda e si tuffò subito nel mare, per
poi
risalire sul ponte a prua, intercettando il passo incerto del
capitano che fu sommerso dalla luce calda della stella e dai suoi
baci seduttori.
La nave, senza il
controllo del
timone, precipitò giù dalle rapide: gli scogli si
fecero più
letali e si spezzarono lungo le murate della nave; gli squarci nello
scafo divennero più profondi e i danni più
pesanti. La donna fu
scaraventata in avanti, precipitò dolorosamente
giù dalle scalette
che conducevano al castello e venne scagliata in avanti, finendo tra
le braccia del pirata, facendo svanire in una nuvola di polvere
stellare la stella.
Si accorse con orrore
che il
capitano, in balia della musica, aveva poggiato vergognosamente la
faccia sul suo seno, affondandola tra le curve e stringendosi a lei
come se fosse la sirena, ormai svanita. Le mollò un cazzotto
sul
viso, indignata, pensando che gliele avrebbe fatte pagare tutte,
questa compresa.
Ma un blu
più persistente le
fece stringere gli occhi, quasi accecandola: davanti a loro, una
massa informe e piena di scogli taglienti li attendeva alla fine
della rapida e Bulma si accorse di come la nave, che solcava la
corrente controllata dalle Stelle Pleiadi, si stesse dirigendo a
tutta velocità contro la montagna di scogli sulla quale si
sarebbe
orribilmente spezzata e distrutta.
Corse veloce ai
comandi della
nave, cercò di afferrare al meglio il timone scosso dai
colpi alla
nave e si guardò attorno, trafelata.
Per via della forte
corrente che
attraversava le onde del mare astrale, facendole increspare in chiare
spume di ghiaccio, i relitti di altre navi venivano anche loro
trascinati dalla corrente e si distruggevano appena arrivavano a
contatto con gli scogli di energia. Con il cuore in gola, si
sentì
perduta e pensò che non ce l’avrebbero fatta a
salvarsi.
Poi, a lato della
forma sagomata
degli scogli, dietro lo scheletro accatastato di una nave sulla quale
giacevano le graziose sirene, scorse il mare aperto dello spazio ed,
irrimediabilmente, l’unica via di uscita sulla quale avrebbe
potuto
scommettere.
La nave, intanto, si
stava
avvicinando sempre più alle rocce e le dita lunghe e fredde
dita
della morte si stavano ormai incombendo su di loro.
« Broly,
attiva i rostri! »
Urlò a
pieni polmoni al
mezzodemone. Broly scattante come prima, corse verso la prua della
nave e, digitando un codice sul pannello dei secondi comandi,
attivò
ai lati della nave, lungo le murate, gli arpioni taglienti e
magnetici i quali, grazie allo loro lame affilate, così come
erano
in grado di tagliare i campi protettivi delle navi più
grandi e
permettere l’arrembaggio, erano altrettanto in grado di fare
breccia contro il relitto della nave che oscurava loro il passaggio
verso la salvezza. Almeno così sperava Bulma.
La donna,
così, diede una forte
virata a destra e la nave, sospinta dalla forza letale del mare,
avanzò in direzione del relitto, pronta per trafiggerlo con
i suoi
forti rostri: il relitto venne completamente sventrato grazie alla
forza e alla velocità che la corrente aveva dato alla
piccola Saiya
che, a sua volta, si stava danneggiando sempre più, ma Bulma
non si
perse d’animo.
Finché,
così com’era iniziata
d’improvviso la corrente astrale, trascinando i pirati tra le
braccia delle sirene, altrettanto celermente svanì e la nave
ripiombò tra le onde pacifiche dell’oceano,
infrangendo la
consistenza dei cristalli di ghiaccio sulla superficie ed
assestandosi di nuovo sulla corrente calma dell’Universo.
Bulma si
guardò indietro e tirò
un sospiro di sollievo, realizzando di aver finalmente abbandonato il
terreno insidioso della nebulosa interstellare che cingeva le Stelle
Pleiadi. Delle sirene, travolte brutalmente dalla nave, non
sentì
più la voce né vide la loro forma di fiamma.
La luce blu si spense
con loro.
Erano salvi.
Il mare calmo accolse
i pirati,
ridestandoli dall’ipnosi estraniante che li aveva avvolti. La
ciurma si riscosse e si guardò attorno, come risvegliata da
un
profondo sonno.
Si accorsero di essere
usciti
dalla grande nebulosa e il complesso delle Pleiadi ormai lasciate
alle spalle rappresentava un vago ricordo. O quasi.
La ciurma si
alzò in piedi e il
capitano fece altrettanto, cercando di ritrovare l’equilibrio
per
via dell’incredibile sensazione di nausea che
l’aveva colto.
Vide davanti a
sé la profondità
e la calma del mare aperto e portò gli occhi al timone,
trovandoci
sorprendentemente Bulma che reggeva la tenuta della nave.
Incatenò
il suo sguardo al colore curiosamente rassicurante del suo azzurro,
ma si degnò di scostare subito lo sguardo. Se lei era
lassù, al
comando della nave, significava solo una cosa e la sensazione non gli
piacque per niente.
« Ci ha
salvati Vegeta? »
interruppe il silenzio Toma, elettrizzato dalla possibile vincita
alla scommessa fatta con Radish ed esplicitando la domanda che tutti
i marinai si stavano ponendo in quel momento.
«
No… » fece sornione Turles,
dondolando dalle corde « Buuulma!
»
« Ci ha
salvati Bulma! » fecero
eco i marinai, guardando la donna con occhi adoranti. Toma fu
costretto a cedere il suo obolo a Radish, che ridacchiò
apertamente,
pensando che avrebbe completamente spennato l’amico, prima o
poi.
Vegeta, ancora
intontito per
quello che era successo, per poco non fu buttato a terra da Broly,
che fece il ponte e salì le scale per il castello a tutta
birra, per
mettersi accanto a Bulma vicino al timone. Il sorriso della donna lo
entusiasmò a tal punto che fu ben felice di farsi fare le
carezze
dietro le orecchie e ringraziò la donna leccandole
docilmente la
mano, mentre questa lo riempiva di complimenti su quanto fosse stato
bravo e coraggioso.
Nappa
ordinò agli uomini di
riprendersi e di tornare subito al lavoro: c’era una nave da
prendere in mano e non avevano tempo da perdere, soprattutto ora che
si riprendeva la navigazione nel mare stellare profondo.
Il capitano raggiunse
con sguardo
assente il tavolo di comando e si schiarì la voce.
Osservò la moine
di Broly verso la donna. “Dannato mezzodemone”,
pensò
corrucciato.
« Dicevi che
una nave non è
posto per una donna? »
Parlò
Bulma, tenendo ancora ben
stretto tra le mani il timone come se le fosse appartenuto da una
vita. Il capitano se ne accorse e il suo volto tramutò in
una
smorfia di rabbia.
«
Assolutamente! »
Berciò,
facendo spalancare gli
occhi alla donna. Fece a grandi falcate il castello della nave ed
indicò con insistenza verso le scale che conducevano al
ponte che
erano state, inevitabilmente, distrutte dalla traversata nelle
Pleiadi.
« Guarda
qui: la balaustra era
in titanio intagliato a mano! E queste modanature sono arrivate da
Sirio! Dico, hai idea di cosa ho passato per rubarle? »
Bulma lo
fissò con una faccia
sconvolta, incapace di spiegarsi la sua ingratitudine. Poi Vegeta
sbuffò e batté, sprezzante, una mano contro il
parapetto.
« È
per questo che le donne non dovrebbero guidare… »
La donna
boccheggiò come un
pesce fuori d’acqua. « Sei impazzito? Ti ho appena
salvato la
vita! »
« Oh, me la
sarei cavata… come
sempre » fece sprezzante il pirata ed andò ad
allontanarla dal
piano comandi, riafferrando in mano, come se fosse geloso, il timone
della nave.
Bulma retrocedette di
due passi e
lo guardò in cagnesco.
«
Certo… »
Sibilò
tetra e si precipitò giù
per le scalette, barbugliando maledizioni contro
l’inarrestabile
arroganza e il comportamento da stoccafisso dell’uomo al
quale
aveva appena salvato la pelle.
Vegeta si sporse a
destra nel
vederla scendere nella stiva e strabuzzò gli occhi quando
vide il
metallo della murata completamente divelto e i circuiti del sistema
di protezione dal vento solare rovinati e sfavillanti per
l’impatto
con gli scogli. Fece un gesto indispettito con la mano, incredulo.
« E hai
distrutto la murata!
Proprio qui, guarda! Questo non è un graffietto! »
Bulma
spalancò la porta del
magazzino, lanciando uno sguardo di fulmine al capitano, e richiuse
l’uscio dietro di sé, sbattendolo sonoramente
contro i cardini in
un urlo di sdegno. Due collegamenti elettronici, finemente saldati
tra la porta e il muro, sfavillarono un istante e si spensero con un
accenno di fumo.
Fu solo allora, quando
tornò il
silenzio, che il capitano si accorse di avere addosso gli occhi
accusatori di tutta la ciurma che ancora al centro del ponte aveva
assistito alla disputa tra lui e la donna.
Sentì il
mugolio scontento di
Broly che, accanto a lui, lo guardava corrucciato e con le orecchie
basse.
Si sforzò
di rilassarsi,
stringendo i cardini del timone tra le mani e facendolo scorrere tra
le dita, come una placida onda di vento.
All’ennesimo
mugolio di
disapprovazione del mezzodemone, Vegeta sentì la pressione
arteriosa
alle stelle.
« Grr…
il demone… la
ciurma…. e quella donna! »
Suo malgrado, si
ritrovò a
bussare a gran colpi contro il metallo dell’ingresso al
magazzino.
Si voltò irritato verso la ciurma, che gli fece di rimando
uno
sguardo altrettanto arrabbiato. Si disse di essere gentile e
finalmente, all’ennesimo bussare, la donna
spalancò la porta.
« Cosa
c’è? »
Chiese la donna,
sull’orlo di
una crisi isterica.
« Grazie.
»
Pronunciò
fuori dai denti
Vegeta, stringendosi le braccia al petto. La donna non ci vide
più.
«
Non
c’è
di che! »
« Ma
figurati! »
« Non ti
preoccupare! »
« Stai
tranquilla! »
« Bene!
»
« Addio!
»
« Addio a
te! »
La porta nuovamente
sbattuta in
faccia fu la conclusione della loro discussione.
La ciurma,
soddisfatta, tornò al
suo posto per riprendere il controllo della nave e Vegeta
posò gli
occhi, per qualche secondo, sulla porta chiusa facendosi sfuggire una
leggera risata, che soffocò immediatamente passandosi una
mano sul
viso.
Broly, accanto a lui,
gli fece un
sorriso a trentasei denti, da cui ne sbucarono quattro, canini,
particolarmente affilati per la sua natura mezzademone. Lo vide
agitare contento la coda verdastra che si trascinava dietro e lo
guardò con aria di sufficienza.
« Sei
contento adesso? »
All’ennesimo
sorriso canino del
demone, Vegeta sbuffò e alzò i tacchi per tornare
ai comandi. Non
s’avvide di Broly che, imbarazzato, si nascose la testa tra
le
spalle: chissà quando avrebbe scoperto di avere mezzo sedere
al
vento e una bella impronta di un paio di denti sulla natica destra.
Nel buio del Palazzo,
il
governatore procedeva a passo sostenuto verso la prigione del figlio.
Dopo cinque giorni di agonia e di pesanti riflessioni sulla sorte non
solo del figlio, ma dell’intero pianeta di Earth24, Bardack
era
giunto ad una sola conclusione che si sarebbe attuata quella stessa
notte, con il favore delle tenebre.
Non si era
meravigliato, quando i
suoi consiglieri, lo avevano informato degli improvvisi tumulti che
la scomparsa del Libro aveva suscitato tra le popolazioni del pianeta
e di quelle di metà della Galassia. La vita delle Dodici
Grandi
Galassie era nuovamente in pericolo e non per la spada affilata di
uno spietato pirata, ma per mano di una Dea sovrannaturale che con
uno schiocco di dita poteva manovrare a suo piacere le stelle
più
lontane e i mondi più inesplorati.
I tumulti e le
richieste dei
cittadini per ora avevano trovato conforto nelle parole artefatte ed
aleatorie dei prefetti delle diverse regioni, ma presto le richieste
si sarebbero trasformate in proteste per chiedere verità e
sicurezza, mettendo a rischio la stabilità della democrazia.
Sarebbero sorti uomini che si sarebbero appellati al popolo,
promettendo loro azioni risolutive per riportare l’ordine e
la
disciplina con mosse semplici ma inefficaci. Il controllo del pianeta
sarebbe stato in mano a chi, tra i forti, si faceva forte con gli
ultimi per il proprio guadagno personale e la pace, che tanto
faticosamente avevano ricercato e intessuto nel tempo, sarebbe
sfumata veloce, così com’era sfumato il Libro
della Pace dalla
torre del suo palazzo.
Lo scatto metallico
della
serratura e il trapestio fuori la cella, strapparono il figlio del
governatore dai suoi pensieri e si stupì di vedere il padre
rivelarsi dalle tenebre.
« Goku!
Presto vieni! »
« Cosa?
»
« Una nave
attende nel porto, i
miei più fidati ufficiali ti porteranno lontano da Earth24
»
Goku non
capì: « Le guardie
degli ambasciatori? »
« Sono
addormentate o ben
corrotte… ma dobbiamo andare subito! »
Goku però
si tirò indietro.
« Andare
dove? A vivere il resto
della mia vita in esilio? »
« A vivere,
figliolo! Non ti
farò giustiziare per un reato di Vegeta! »
« Neanche
Vegeta lo farà »
Bardack, scosse il
capo e si
avvicinò al figlio, portandogli le mani alle spalle, in un
gesto
paterno e accorato, come per infondergli del senno in testa.
« Goku, non
essere sciocco!
Vegeta non ha intenzione di andare a Tartaro! Il Vegeta che conoscevi
da bambino- »
« È
ancora in lui ora che è uomo! Io l’ho visto!
»
La
sicurezza del figlio fece vacillare il governatore. «
Goku… » arrancò, affranto il padre. Questa
volta fu Goku ad
abbracciare il padre, stringendolo forte al petto.
«
Va’, padre… so quello che
faccio »
Mentre
il figlio tornava verso la finestra ad osservare l’orizzonte,
il
vecchio governatore
si
sentì ancora più in là con gli anni di
quanto non lo fosse al
momento. Il
figlio era
cocciuto quando lui, ma sapeva che sarebbe stato inutile insistere.
Gli occhi
gli si fecero
lucidi, quando pensò che la
vita gli aveva già portato via sua moglie ed
ora, forse,
avrebbe perso anche il figlio.
Prima
di lasciare la cella, parlò ancora.
« Lo spero,
Goku… Earth24 non
ti può perdere… io non ti posso perdere...
»
Chiuse
la
pesante porta di
metallo, lasciando l’oscurità al suo posto.
Lasciato solo alle sue
riflessioni, Goku cercò di convincersi ancora una volta di
ciò che
aveva visto in Vegeta: non l’avrebbe abbandonato, lo sapeva.
Lo sperava.
Si
sedette sui freddi gradini di pietra della prigione, stringendosi la
testa tra le mani e lasciando che fosse il sibilo del vento a fargli
compagnia.
Continua...
iStrumenti per la
navigazione: il primo calcola la velocità di navigazione e
il secondo indica la velocità e la direzione della tenuta
(ossia le condizioni generali) della nave;
iiHo fatto un veloce giro
internet su quali fossero i veicoli spaziali più veloci mai
costruiti: il più veloce è stato Helios2, un
veicolo che ha raggiunto i 252.000 km/h su rotta eliocentrica. Ora,
visto che si lavora di fantasia, ho puramente inventato il conteggio
dei chilometri, come tutto il contesto cosmico, del resto.
iiiL’ammasso
stellare delle Pleiadi risiede nella Costellazione del Toro e sono un
gruppo di stelle molto vicine di un brillante colore blu; da noi dista
circa 443 anni luce. In
astronomia sono il complesso CED 19 e la nebulosa che le circonda
è la Nube d’Idrogeno
Molecolare del Toro.
ivI Pilastri della
Creazione, che fanno parte della Nebulosa dell’Aquila, la
nebulosa M16, sono probabilmente, tra le foto più
riconosciute dell’universo; i due fenomeni celesti, le
Pleiadi e la Nebulosa dell’Aquila, in realtà sono
a milioni di chilometri di anni luce.
vGli alberi della nave hanno
nomi diversi a seconda della posizione che occupano da prua a poppa. Se
prua è davanti e poppa è dietro,
nell’ordine abbiamo: albero di trinchetto, albero di maestra
o maestro, albero di mezzana; poi c’è
l’albero bompresso, che sporge quasi orizzontale verso la
prua.
viLa randa è una
vela sull’albero principale nelle imbarcazioni a vela con un
unico albero; nelle navi, è una delle vele
dell’albero maestro e a seconda del tipo di vele,
può essere quadrata o a trapezio (specie delle vele auriche,
ossia le vele a forma di trapezio).
viiÈ inesatto:
è la stella Taigete in realtà ad essere individuabile come un ammasso di
più stelle, circa 3, Taigete A, B e C che condividono la
stessa area geografica e la stessa orbita gravitazionale. Celeno
è più distante.
viiiSupporto metallico al
quale vengono fissate le cime;
ixAsterope è una
raccolta di poesie di Gabriele D’Annunzio, che contiene
componimenti dedicati alla celebrazione della Grande Guerra; nel 1933
fu ripubblicata col titolo “Canti della Guerra
Latina”.
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