Capitolo
3
Hogwarts,
3 ottobre 2015
“Muovetevi!
Roxanne, la Pluffa! Passa la Pluffa a Dominique! Lo schema, per Godric,
ricordate lo schema!” Victoire si stava sgolando su quella scopa mentre cercava
di mettere ordine tra i componenti della squadra di Grifondoro.
Rispedì
a Baston il Bolide.
“Bel
colpo, Vic!” le urlò in rimando, “Spero che colpiremo qualche Serpeverde con
questa furia!”
“Non ti
distrarre Seb, resta concentrato! Sono le Serpi che danno fiato alla bocca, noi
Leoni andiamo a caccia!”
Tiberius
McLaggen parò il lancio di Fred e Victoire sentì il fischio di Madama Hooch:
“Tempo scaduto!”
“Va
bene, ragazzi! Complimenti a tutti! Li stracceremo anche questa volta!” Alzò lo
sguardo e incontrò quello di Teddy. Sorrise. Lui non perdeva nemmeno uno dei
suoi allenamenti.
“Vieni a
spiare, Lupin?” gli aveva detto McLaggen mentre entravano nello spogliatoio.
“Vengo
ad ammirare la vostra Capitana, McLaggen.”
Si
scambiarono un sorriso e Victoire si sentì a disagio nell’incontrare quello
sguardo innamorato mentre lei era ricoperta di acqua e sudore, con i capelli
scompigliati dal vento e il volto arrossato dall’intensità dell’allenamento.
“Ti
aspetto qui fuori, fai con calma,” le sussurrò prima che lasciarla entrare
nello spogliatoio, dritta nelle docce per rinfrescarsi e rendersi presentabile,
se mai la tuta con i colori della squadra potesse avvicinarsi al concetto di
“essere presentabile”. Sua madre avrebbe alzato gli occhi al cielo nel vederla
conciata in quel modo, ma lei non era una studentessa di Beauxbatons e Hogwarts
aveva un clima ben diverso dalla Francia, e comunque lei non era sua madre, per
quanto si assomigliassero.
Victoire
si sentiva più simile a suo padre, da cui aveva ereditato la stessa passione
per l’avventura, nonché il ruolo da Battitore nella squadra di Quidditch e la
passione per gli incantesimi. Sognava di diventare una Spezzaincantesimi
proprio come lui, un giorno. Sarebbero stati una coppia meravigliosa, lei e
Teddy, un Auror e una Spezzaincantesimi, con una vita piena di avventure.
C’era, però,
una cosa che aveva indubbiamente ereditato da sua mamma, ed era la
consapevolezza dei propri sentimenti e la stessa tenacia e determinazione nel
coltivarli. Si sentiva unita a Teddy da un filo invisibile, come se loro due
fossero nati per stare insieme, e più il tempo passava, più le prove di quella
specie di predestinazione le avvertiva tutte.
Sospirò
davanti lo specchio, mentre raccoglieva i capelli, sentì Roxanne dirle: “Almeno
tieni sciolti i capelli. Teddy si ricorderà che sei la sua fidanzata.”
“Come se
fosse una coda a farglielo dimenticare!”
“Beh, ma
così sei decisamente più carina!”
“D’accordo.”
Non le sfuggì con la coda dell’occhio l’attenzione che Dominique impiegava nel
sistemarsi l’uniforme di Grifondoro. Strizzò gli occhi in direzione della
sorella e le sembrò che stesse, addirittura, eseguendo un Incantesimo
Illuminante al volto. Scosse la testa tornando a pensare a Teddy che
l’aspettava fuori, salutò il resto della squadra e uscì.
“Albert!” esclamò non appena
uscì all’aria aperta, “è successo qualcosa?”
Albert Goldstein, nella sua
uniforme di Corvonero le sorrideva imbarazzato passandosi una mano tra i ricci
scuri, sul mantello spiccava la spilla da Prefetto, a ricordare a tutti la sua
posizione. Scosse la testa e una cascata di onde nere gli cadde sul volto. “No,
non è successo niente. Passavo di qui!” le rispose vagamente.
“Vic!” Teddy
la richiamò e Victoire lasciò Albert fuori dallo spogliatoio delle squadre con
le mani in tasca e un’espressione ansiosa sul volto.
“Fermo,
Ted,” gli disse sottovoce, mentre lui stava andando verso il castello. Lo guidò
sotto gli spalti.
Ted
l’abbracciò e le posò un bacio sulla guancia sussurrandole: “Che idee hai in
mente, Prefetto Weasley?” Victoire gli diede un colpetto sulle mani e gli
intimò di non fare rumore. Sottovoce aggiunse: “Goldstein non me la racconta
giusta. Voglio capire che cosa ha in mente. Corvonero ha gli allenamenti la
prossima settimana, cosa ci fa qua?”
Si
scambiò un’occhiata complice con Teddy e rimasero in attesa, nascosti sotto gli
spalti, mentre il vento riprendeva a soffiare e la tuta di felpa era
decisamente troppo leggera per Victoire.
Teddy
allargò le falde del suo mantello, la strinse a sé e le disse: “Vieni, almeno
non prendi freddo.” Fu piacevole sentire il tepore del corpo di Teddy, mentre
Goldstein sembrava sempre più impaziente. Poi, capirono tutto non appena videro
Dominique uscire e sorridergli. Lui le fece un galante baciamano e poi le loro
dita si intrecciarono e nessuno dei due sembrava aver intenzione di separarsi
l’uno dall’altra.
“Direi
che Goldstein aveva in mente tua sorella,” le sussurrò Teddy con una punta di
divertimento nella voce.
“Lo
vedo! Ecco perché Dodò ha impiegato un’eternità a prepararsi!”
“Andiamo
adesso? Sto congelando!” esclamò Teddy, “possiamo parlare di Dodò e Albert
anche in Sala Grande. Ti va se studiamo lì?”
Victoire
annuì. Voleva lavorare al tema di Erbologia che il professor Longbottom aveva assegnato.
Si sentì sciogliere non appena entrata tra le calde pareti della scuola. Si
sistemarono al tavolo dei Tassorosso con libri e pergamene, mentre dietro di
loro sentivano degli schiamazzi da parte di Serpeverde.
Teddy
alzò lo sguardo infastidito verso la fonte di quel rumore. “Per Tosca, c’è
sempre un Lestrange di mezzo quando c’è casino!”
“Puoi
dirlo forte! Ad Erbologia, Roland ha combinato un disastro: ha inzuppato metà
dei Serpeverde di Puzzalinfa! Neville era su tutte le furie, nemmeno ricordo
quanti punti ha tolto a Serpeverde. Guarda la loro clessidra.” Victoire ridacchiava
mentre ricordava le scene dell’ultima lezione.
“Bleah!
Puzzalinfa! Nauseante come lui…” commentò Teddy, mentre si alzava verso quei
ragazzini che sembravano un po’ troppo entusiasti per discutere di compiti.
“Ti dico
di no!” esclamava Rabastan, il più giovane dei Lestrange, ad alcuni studenti.
Victoire riusciva a sentirlo chiaramente fin dal tavolo dei Tassorosso. “Le
streghe nel Medioevo facevano un incantesimo Fiammafredda per resistere ai
roghi e poi si Smaterializzavano!”
“No, si
Smaterializzavano subito, per questo non le prendevano!” rispondeva l’altro
studente.
“Guarda
che su Storia della Magia c’è scritto diversamente… Pure Binns l’ha spiegato
così!”
“Ma tu
ascolti le lezioni di Binns?”
“Certo
che le ascolto. Dormo la notte, mica il giorno! Poi, sono lezioni piene di
guerre, avventure e teste di Goblin che saltano per aria! Ci potremmo scrivere
un romanzo su quelle cose!”
“Voi
tre!” Teddy li richiamò all’ordine “Volete abbassare la voce? Se volete
gridare, tornatevene nel vostro sotterraneo! In Sala Grande si rispettano anche
gli altri studenti.”
“Ma noi
stiamo studiando come gli altri!” protestò Rabastan agitando la testa con i
ricci castani. Socchiuse gli occhi verdi come due fessure. Il suo amico gli
posò una mano sulla spalla e lo portò a più miti consigli: “Lascia perdere, Rab,
è un Caposcuola! Non facciamo perdere altri punti a Serpeverde, guarda la
clessidra.” Rabastan sbuffò come un gatto e si sedette al tavolo con le braccia
conserte.
“Segui
il consiglio dei tuoi amici, Lestrange, fatti insegnare un po’ di buone maniere
o ritorna da dove vieni.”
Teddy
tornò al tavolo, si sentiva Lestrange borbottare qualcosa, mentre gli amici gli
dicevano di stare calmo.
“Ti
rendi conto che quei ragazzini non c’entrano niente con la guerra?” gli domandò
Victoire.
“Lo so,
Vic, ma se ci fosse stata giustizia, non sarebbero mai nati e i loro genitori
starebbero marcendo ad Azkaban!” Lo aveva detto sottovoce, con un tono stizzito
e pieno di rabbia. Victoire era l’unica persona al mondo a conoscenza dell’odio
che Teddy provava ed era la sola in grado di tenere a bada quella bestia che
ogni tanto si agitava in lui.
Teddy le
aveva confidato di credere che il mostro che lo riempiva di rabbia fosse un
residuo del lupo che dimorava in suo padre, un istinto animalesco, che il più
delle volte lo spingeva a proteggere il branco e gettarsi nelle avventure, ma
che finiva anche per trasformarlo in una versione più selvaggia quando vedeva
qualche minaccia. Il nome dei Lestrange, per lui, era l’apoteosi della minaccia.
Victoire
capiva quei pensieri e quello stato d’animo e avvertiva quella stessa bestia
dentro di sé, smaniosa di uscire, pronta a lanciarla in nuove imprese, che lei
aveva tentato di domare scegliendo il ruolo di Battitore, pensando che la
tensione agonistica, la violenza con le mazze e i Bolidi, potesse placarla. Si
stava accorgendo, però, che la bestia sembrava nutrirsi di quegli istinti e
lungi dal placarsi, diventava sempre più affamata di adrenalina, tensione e
violenza.
Trascorsero
tutto il pomeriggio a studiare e Victoire si trattenne al tavolo dei Tassorosso
anche per cena, l’istinto le suggeriva di non lasciare Teddy da solo.
Il
fantasma del Frate Grasso spuntò dal tavolo e le fece un inchino: “Vedo che
abbiamo ospiti!” esclamò allegro, “Tosca sarebbe felicissima di sapere che una
giovane Grifondoro siede al nostro tavolo. Mi raccomando, miei cari ragazzi,
fatela sentire a casa. Non smentiamo l’ospitalità per cui siamo famosi!”
Teddy le
accarezzò la schiena e le posò un bacio sulla guancia, mentre Amelia e Nigel, i
Prefetti di Tassorosso, le sedettero accanto per intrattenerla ogni volta che
Teddy veniva distratto da un compagno di Casa.
“Sappiamo
che non conosci molti studenti di Tassorosso, quindi ti facciamo compagnia
noi!” le aveva detto Amelia Bones, nipote della celebre consigliera del
Wizengamot, uccisa da Voldemort in persona durante la seconda guerra magica. Avevano
chiacchierato non solo sui turni di ronda, ma anche su alcuni compiti assurdi
che la Cooman aveva assegnato a Divinazione.
“Io la
seguo solo perché serve per fare domanda all’Ufficio Misteri,” le aveva
confidato Amelia.
“La
Divinazione non serve a nulla! Vorrei proprio conoscere qualcuno a cui piace
questa materia. Poi la Cooman è, francamente, fuori di testa. Assegna i voti
secondo il capriccio, dicendo che la Vista glieli ha suggeriti! È il regno
dell’arbitrarietà! Chi è in grado di smentirla?”
Nigel
ridacchiava, mentre Victoire dava libero sfogo alla sua avversione contro
quella materia. La scorsa estate ne aveva discusso con zia Hermione che le
aveva confidato che la scelta di lasciare quella materia al terzo anno era
stata la migliore della sua vita.
“Ragazzi,
però, a differenza di Artimanzia, Divinazione è una passeggiata,” aveva
commentato Teddy.
“Mi
dispiace contraddirti, Lupin,” intervenne Nigel, brandendo una forchetta con
una salsiccia infilzata a mo’ di spada, “ma Aritmanzia ha un senso, una logica,
Divinazione è semplicemente invenzione. Persino Tosca era scettica.”
La cena
trascorse allegramente, come ogni volta che cenava al tavolo dei Tassorosso, e
dopo il dolce lei e Teddy salutarono gli amici per fare una passeggiata prima
di darsi la buona notte e tornare nelle rispettive sale comuni. Avevano trovato
un corridoio deserto. Teddy si era seduto su una panca sotto una finestra,
Victoire era in piedi di fronte a lui, con le braccia intorno al suo collo,
perdendosi nei suoi occhi castani.
Fuori dalla
scuola, il mondo era immerso nell’oscurità della notte. Dalla finestra si
intravedevano le fronde degli alberi della Foresta Proibita che si agitavano
sotto il vento, mentre una pallida luna illuminava le acque del Lago Nero.
Sfiorarono
i loro nasi e Victoire inspirò il profumo di Teddy. Sapeva ancora di vaniglia e
succo di zucca, troppo invitante per resistere, sembrava un altro dessert. Si
chinò su di lui a baciarlo, sentendo le sue labbra morbide. Teddy la invitò a
sedersi sulle sue ginocchia e continuarono a scambiarsi baci, sfiorarsi i nasi.
Victoire amava giocare con i capelli di Teddy, mentre lasciava che lui
infilasse le dita sotto la sua felpa.
“Oggi
dobbiamo fare i bravi,” gli aveva sussurrato Victoire.
“Io non
resisto, Vic,” le aveva soffiato con una certa impazienza. Victoire si era chinata
sul collo di Teddy, liberandolo dalla cravatta e dal colletto della camicia per
riempirlo di baci e sentirlo fremere sotto le sue labbra. “Lo sai, oggi proprio
non posso,” aveva sbuffato. Odiava quei giorni del mese che la tenevano lontana
dal suo Teddy. Lo prese per mano, lo guidò in un’aula abbandonata e gli disse:
“Se vuoi fare il cattivo ragazzo, lascia che ci pensi io a te…” Aveva fatto
scivolare la mano nei pantaloni e si era gustata le espressioni di piacere di
Teddy e i capelli che continuavano a cambiare colore senza che lui riuscisse a
controllarlo. Era una cosa che la faceva impazzire, sapere di avere questo
potere su di lui.
Ripulì
il tutto dopo averlo sentito gemere nel suo orecchio e si augurarono la buona
notte. Teddy la stringeva a sé e Victoire sentiva il corpo surriscaldarsi per
quel contatto e per quell’eccitazione che era costretta a reprimere. Avrebbe
voluto lasciarsi andare anche in quei giorni, ma era più forte di lei, e
proprio non riusciva a immaginare che Teddy potesse trovarla in certe
condizioni. Voleva essere perfetta per lui.
Si
salutarono, fermandosi diverse volte lungo il tragitto per scambiarsi baci
appassionati. Alle scale del terzo piano, Victoire prese la strada per la torre
di Grifondoro, mentre Teddy tornò verso le cucine, dove c’era la sala comune di
Tassorosso.
Lungo il
tragitto vide Lucy infilarsi circospetta in una classe con Samuel Finnigan e si
domandò se Molly sapesse che la sorella si vedeva con il Prefetto di
Grifondoro. La curiosità verso Lucy le costò cara: le scale cambiarono
posizione e fu costretta a fare un altro giro per tornare alla sala comune.
Sbuffò
mentre tornava indietro, cercando di raggiungere l’altra ala del castello.
Scese al secondo piano e attraversò un corridoio deserto, immerso nell’oscurità
e rischiarato solo da una fila di finestre bifore da cui proveniva la luce
della sera. Svoltò a sinistra, in direzione delle altre scale e vide il
corridoio stranamente buio. Le torce erano completamente spente.
“Lumos!”
La luce
della bacchetta davanti a sé illuminava il percorso, i personaggi dei ritratti
protestavano per essere stati svegliati.
Poi lo
sentì.
Sentì
una voce che si avvicinava nella sua direzione e un nome che veniva ripetuto,
come se la stessero chiamando: “Fleur, sei tu?”
Pensò ad
uno scherzo, di pessimo gusto per altro. “Avanti, fatti vedere! Se non chiedi
scusa per lo scherzo idiota tolgo cinquanta punti alla tua Casa!”
La
figura avanzò andandole incontro. Una divisa di Tassorosso fu la prima cosa che
finì sotto la luce della bacchetta, seguita da un volto giovane e decisamente
bello.
“Ma tu
sei…”
“Cedric
Diggory. Non ti ricordi di me, Fleur?”
“Non
sono Fleur, sono la figlia. Victoire Weasley, ma tu cosa ci fai qui? Non sei…”
“Morto.
Sì, sono morto. Non so perché sono qui, suppongo che qualcuno mi abbia evocato.
Puoi dire a mio padre di non preoccuparsi, che sto bene? Che ci ritroveremo un
giorno e staremo bene insieme? Puoi dirgli di perdonare Potter, che non è colpa
sua?”
Victoire
si portò una mano alla bocca nel sentire quelle parole che la precipitavano ancora
una volta in quella guerra maledetta. All’inizio dell’anno il Cappello Parlante
aveva fatto riferimento al passato che rischiava di tornare, ma Victoire non
aveva dato peso a quelle parole, non credeva che sarebbe tornato letteralmente
ad infestare i corridoi della sua scuola.
“Lo
farai?” le domandò Cedric.
Victoire
annuì. “Sì, lo farò, Cedric, se mai tuo padre vorrà ascoltarmi. Sai com’è
fatto. Zio Harry ci ha raccontato quanto sia difficile relazionarsi con lui, ma
lo farò. Te lo prometto. Hai la mia parola.”
“Grazie,
Victoire Weasley, bella, gentile e generosa come Fleur. Ora devo andare.”
La
figura di Cedric scomparve nell’oscurità e Victoire corse fino alle scale, con
la paura di incontrare qualcun altro o, peggio, chiunque avesse evocato l’anima
di Cedric Diggory. Chi poteva disturbare il sonno della morte di un ragazzo
tanto carino quanto sfortunato?
“Dulcis
in fundo” urlò alla Signora Grassa.
“Che
modi! Passa!” le rispose il ritratto seccato per essere stato interrotto dalle
chiacchiere con la sua amica Violetta. Victoire scivolò nel buco. Trovò Molly e
Roxanne intente a consultare avidamente una serie di libri, mentre la sala
comune si era in gran parte svuotata. Molly sollevò lo sguardo, dovette leggere
i segni del terrore ancora impressi sul suo volto.
“Lo hai
visto anche tu?”
Victoire
annuì.
“Zio
Fred?” domandò Roxanne avvicinandosi e guidandola fino al divano vicino il
caminetto. Il contatto con la pelle di Roxanne le fece capire quanto stesse
gelando. Scosse la testa, mentre il calore del fuoco le ridava forza: “Cedric
Diggory.”
“Godric,
un altro!” esclamò Molly. Sorrise nervosamente alla cugina e spiegò: “Sono
tutti i libri della biblioteca sull’argomento. È da ieri che cerco di capire
cosa sia successo, cosa siano quei fantasmi e perché gli spiriti di persone
morte si aggirino per i corridoi della nostra scuola.”
“Ma chi
li ha evocati?” domandò Victoire.
“Non
riesco a venirne a capo, Vic, non trovo nemmeno un incantesimo che possa
evocare i fantasmi,” ammise Molly. Guardò l’orologio e disse: “Si è fatto
tardi. Continuiamo domani.”
Victoire
era distrutta. La stanchezza della partita, le attenzioni di Teddy, il ciclo,
l’incontro con Cedric Diggory, tutto la turbava. Si gettò sotto la doccia prima
di infilarsi tra le coperte e sprofondare in un sonno popolato da fantasmi,
morti e una guerra magica che ancora continuava a lasciare il segno.
***
“Mio
caro Roddie,
papà sta
bene (è passato solo un giorno dalla nostra ultima lettera!), spero che voi
stiate studiando e vi stiate impegnando al massimo. Non sai quanto mi renda
orgogliosa e commossa il pensiero che tu abbia deciso di voler seguire le mie
orme e fare domanda all’Ufficio Applicazione Legge Magica dopo la fine della
scuola.
Ricorda,
mio caro, la politica è fatta di contatti, quindi approfitta di questi anni per
stringere amicizie e conoscenze con quanti più studenti possibili. Sii gentile
e educato (so già che sei impeccabile, specie rispetto ai tuoi fratelli!),
ricorda il confine tra cortesia, diplomazia e vera amicizia (i veri amici sono
pochi e rari).
È un
vero peccato che il professor Lumacorno sia andato in pensione: sarebbe stato
istruttivo per te partecipare ad una delle sue famose cene. Non amareggiarti
troppo per il trattamento del professor Longbottom, anche questa è una lezione
di vita: non potrai piacere a tutti e il tuo cognome ti porterà molti nemici e
trattamenti simili. Durante la prima guerra magica io venivo trattata nello
stesso modo dai compagni di Casa, tu sei più fortunato: è solo un professore
che ti ignora! Non dargli pretesti per abbassarti i voti o togliere punti alla
tua Casa. L’appoggio dei compagni di Casa è importantissimo. Non voglio più
essere convocata dalla preside perché uno dei miei figli non si comporta bene.
L’incidente con Roland è stato illuminante sul clima che siete costretti a
tollerare, ma siete dei Lestrange e ne uscirete a testa alta.
Ti mando
un grosso bacio, un altro e un altro ancora, mio pulcino adorato!
E ne
mando altri anche ai tuoi fratelli (mi mancate tantissimo!).
Con
affetto,
la
mamma.
PS: sul
serio Roland ha mangiato il budino con la forchetta? Per Salazar, che orrore! Dì
a tuo fratello di stare attento, la prossima volta, altrimenti gli altri
penseranno che i Lestrange non sappiano mangiare i dolci al cucchiaio. Cosa
devo sentire! Quando tornerete per le vacanze faremo un ripasso.”
Rodolphus
sorrise rileggendo la lettera. Forse aveva messo nei pasticci Roland con
l’aneddoto sul budino, ma era stata una scena così buffa che pensava che la
mamma ne avrebbe riso con lui. Insomma, vedere Roland che provava a infilzare
il budino senza riuscirci era proprio uno spasso!
Ripensò
ai consigli di sua mamma: aveva ragione, ma non sapeva quanto fosse complicato
stringere amicizie o solo farsi benvolere dagli altri di quei tempi. In
Serpeverde riusciva ad avere buoni rapporti. Andava d’accordo con i suoi
compagni di dormitorio e riusciva anche a non farsi insultare da qualche
Corvonero. Si era impegnato moltissimo per aiutare alcuni Tassorosso durante le
lezioni di Incantesimi, anche se la diffidenza che percepiva gli suggeriva di
andarci cauto.
C’era
una cosa che, in modo particolare, attirava sguardi carichi di diffidenza ed
erano i rituali che lui, i suoi fratelli, e altri compagni di Serpeverde si
trovavano a fare per celebrare i sabba. Era un’iniziativa nata per gioco, dopo
alcune ricerche in biblioteca per dei temi assegnati da Binns lo scorso anno.
Avevano pensato che potesse essere utile ripetere i rituali propiziatori degli
antichi, cercare le erbe e accendere le candele. Persino il loro direttore di
Casa si era mostrato piacevolmente sorpreso quando gli avevano chiesto il
permesso di poter usare un angolo della sala comune per allestire una specie di
altare rituale.
Eppure,
quella voce si era sparsa per la scuola, trasformandosi di bocca in bocca, con
il risultato che la preside aveva convocato lui e il professor Pucey perché le
avevano riferito che “Lestrange esegue rituali di magia oscura nella sala
comune dei Serpeverde”.
Per
fortuna, il professor Pucey era scoppiato a ridere di fronte la preside e le
aveva spiegato il genere di rituali che venivano eseguiti e le volte successive
avevano persino invitato la Preside, di modo che potesse appurare di persona.
Tuttavia, continuavano a guardarlo con sospetto e i Grifondoro continuavano ad
alimentare le voci e i sospetti sulla plausibilità che la celebrazione dei
sabba fosse solo la facciata presentabile di rituali oscuri sconosciuti.
Aveva
sentito con le sue orecchie Tiberius McLaggen mormorare: “Una volta che le
candele sono accese e il rituale è iniziato, cosa ne sappiamo se non lo
ripetono al contrario per evocare le forze oscure?” Rodolphus lo aveva persino
invitato ad assistere e gli aveva domandato se secondo lui la Preside avrebbe
acconsentito a qualcosa del genere, ma lui gli aveva urlato di stargli alla
larga e che non era interessato a quelle cose oscure.
La
mamma, poi, gli aveva spiegato che il nonno, che pure si chiamava Tiberius, in
realtà, durante la prima guerra magica, non si era mai fatto molti scrupoli a
usare le Maledizioni Senza Perdono quando era un Auror e che i McLaggen le Arti
Oscure le conoscevano e le avevano anche praticate. Tiberius junior cercava
solo di smarcarsi da un passato ingombrante.
“Sono
solo dei pavidi, dei vigliacchi che avrebbero dovuto morire…”
La voce arrivò
dal fondo del corridoio. Roddie strizzò gli occhi per vederci meglio. Afferrò
la bacchetta.
“Non sei
sufficientemente veloce, Lestrange!”
Sembrava
che lo stesse prendendo in giro.
“Chi
sei? Fatti vedere!”
Una
figura spettrale emerse dalle tenebre. Il suo volto era deformato e sembrava appannato,
come se stesse evaporando. La sua immagine non era nitida come quella dei
fantasmi di Hogwarts. Roddie non aveva idea di chi fosse, e dire che pensava di
aver conosciuto tutti i fantasmi della scuola.
“Sei un
nuovo fantasma?” domandò incuriosito. Forse gli avrebbe raccontato qualche
storia interessante sulla sua morte. Sembrava che le difficoltà che Roddie
incontrava nello stringere amicizia con i vivi, non le avesse con i morti. Ogni
anno frequentava la festa di complemorte del Barone Sanguinario e durante il
suo primo anno si era impegnato moltissimo per aiutare il fantasma dei
Serpeverde a convincere gli altri fantasmi a partecipare alla sua festa. I
fantasmi erano sempre interessanti da ascoltare e nessuno si impressionava o lo
guardava male per il cognome che portava.
“Qualcosa
del genere,” rispose la voce.
“Perché
sei così sfumato?”
“Perché
questo è ciò che rimane dopo che l’anima è stata divorata da un Dissennatore,”
disse annoiato, come se quell’argomento lo irritasse ancora profondamente. Roddie
pensò di aver fatto una gaffe toccando un tasto dolente. Eppure, era ancora
molto curioso.
“È così
che sei morto?” gli domandò.
La
figura sorrise triste. “No, sono morto tra le braccia di tua madre ed è stata
una delle decisioni più difficili della mia vita: lasciar andare lei e Orion, e
andare avanti.”
“Tu sei
il papà di Orion, quindi?”
“E tu
non hai preso niente della perspicacia della mia Alex e nemmeno di Rodolphus,
devo dire… Come pensi di onorare il nome che porti se non sei nemmeno in grado
di riconoscermi? Come potrai essere un mago oscuro all’altezza di tuo padre?
Sai che Orion alla tua età era molto più sveglio?”
“Orion è
sempre stato il migliore! Vorrei che fosse qui, così potreste incontrarvi!” gli
rispose.
“Potrò
tornare, forse. C’è una profezia, ma richiede un costo. Sei disposto a pagarlo,
Rodolphus Lestrange?”
Rodolphus
scosse la testa e balbettò: “No. Non voglio scomparire. Io voglio la mamma e
anche il papà e i miei fratelli! Non potete farci svanire!”
“Preparati,
Lestrange, il tempo sarà girato e tutti noi torneremo! Ci prenderemo la nostra
vendetta su questi sporchi traditori e sulla feccia che sta distruggendo il
nostro mondo. Io, poi, mi riprenderò mia moglie e mio figlio, anche a costo di
farvi sparire. Mi spiace per te, ma preparati a dire addio alla tua cara
mammina…”
Il
fantasma di Barty Crouch Jr, il residuo della sua anima, scoppiò a ridere e si
dissolse davanti gli occhi sbarrati di Rodolphus. Sbatté le palpebre più volte
e poi vide il fantasma del Barone Sanguinario andargli incontro. “Barone!”
esclamò, “Lo ha visto, vero?”
“Chi,
mio giovane e mortale amico?”
“Il
fantasma di Barty Crouch Jr!” esclamò Rodolphus.
“Per
Salazar! No, ma i sensi mi avvertono che una minaccia oscura incombe su questa
scuola. Avverto strane presenze, spiriti sconosciuti che si aggirano tra queste
mura…”
“Quindi
non è l’unico?” domandò spaventato.
“Temo
proprio di no!”
“Ma
com’è possibile che siano tornati? Sono andati oltre! Lei mi aveva raccontato
che non era possibile tornare indietro.”
“È così.
Ci vuole qualcosa di molto forte e di molto oscuro per riaprire il confine tra
il mondo dei vivi e quello dei morti. Forse l’avvicinarsi di Samhain aiuta questi
riti.”
“Per
Salazar! Barone, le confesso di essere molto preoccupato! Temo che io e i miei
fratelli finiremo per essere accusati di essere gli autori se non scopriamo chi
esegue questi rituali!”
“Corri
ad avvertire i tuoi fratelli, mio amico mortale, non indugiare in paure. Concordate
una strategia e rendetevi inattaccabili! Ricorda: vi serve un alibi. Sempre!”
“Grazie,
Barone, per i suoi preziosi consigli. Buona notte!”
“Buona
notte a te, Lestrange, io continuo il mio eterno peregrinare…”
Rodolphus
corse in direzione della sala comune, sentì il Barone raccomandarsi di non
correre e rallentò l’andatura continuando a camminare a passo svelto. Puntò la
bacchetta verso i mattoni.
“Nido di
vipera.”
L’accesso
alla sala comune si rivelò lasciandogli vedere Rabastan seduto su una poltrona
accanto il camino che si mangiava le unghie e Roland che camminava nervosamente
avanti e indietro.
“Sei in
ritardo,” gli disse Rabastan non appena lo vide comparire.
“Lo so,
ma non avete idea di chi ho appena incontrato!” esclamò Rodolphus.
“Chi?”
Roland si avvicinò al fratello ed entrambi si guardarono intorno nervosamente.
“Troviamo
un posto riservato dove poterne parlare? Qui c’è troppa gente,” sussurrò
Rodolphus al fratello. Roland annuì. “Andiamo nel dormitorio, gli altri saranno
ancora in giro.”
Si
infilarono nel dormitorio di Roland. Decisero di cambiarsi e indossare i
pigiami, in modo da poter rimanere a lungo a parlare. Si sarebbero nascosti
dietro le tende del baldacchino opportunamente silenziate. Chiunque sarebbe
entrato in quel dormitorio avrebbe pensato che Roland fosse andato a dormire.
Al
momento, i compagni di dormitorio di Roland erano impegnati con le rispettive
fidanzate, mentre i compagni di Roddie giocavano a Sparaschiocco e quelli di
Rabastan avevano il loro campionato di Quidditch dei modellini e c’erano
commenti e discussioni infinite sul Fanta-Quidditch.
“Muffliato!”
esclamò Roland.
Rodolphus
agitò la bacchetta ed evocò delle pallide luci azzurrine perché non aveva
voglia di parlare di quelle cose nella più totale oscurità. Rabastan e Roland
erano seduti sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini e le ginocchia
raccolte e abbracciate, il mento poggiato sulle ginocchia. Lui era seduto di
fronte, ai piedi del letto, con le gambe incrociate e cercava di impedirsi di
agitarle nervosamente.
“Allora,
che cosa hai visto?” gli domandò Roland.
“Ho
appena incontrato Barty, il papà di Orion!” disse, “mi ha detto che vuole
tornare, realizzare la profezia e farci sparire tutti per riprendersi la mamma
e Orion!”
“Cosa?”
esclamò Rabastan, “ma Barty è morto!”
Rodolphus
annuì: “Era una specie di fantasma, un po’ diverso rispetto al Barone
Sanguinario. Era sfocato, mi ha detto che era quello che finiva nell’Aldilà
dopo che l’anima veniva divorata dal Dissennatore.”
“Io ho
incontrato Bellatrix e mi ha detto che siamo dei tonti come papà e che non
saremmo mai dovuti nascere, che Delphini e Orion sono meglio di noi,” confessò
Roland.
“Anche
Barty mi ha detto che Orion è meglio di noi! Però mi ha detto che non abbiamo
preso né da mamma né da papà!”
“Era
questo che volevi raccontarci?” domandò Rabastan guardando Roland. Lo videro
annuire e passarsi una mano tra i capelli scuri. Gli occhi marroni di Roland
erano inquieti e si spostavano continuamente tra lui e Rabastan, aggiunse:
“Oggi sono arrivato tardi a colazione perché sono andato in biblioteca a
cercare dei libri sui fantasmi, gli spiriti e le creature spettrali, ma sono
tutti scomparsi! Tutti!”
Rodolphus
non fu sorpreso dalla notizia: “Il Barone Sanguinario mi ha detto che ha
sentito altre presenze, che qualcosa di oscuro si sta aggirando tra le mura di
questa scuola.”
“Roddie,
sei un genio!” esclamò Roland, “come ho fatto a non pensarci? Avrei potuto
chiedere ai fantasmi!”
“L’ho
visto venirmi incontro dopo che Barty è svanito e mi sono fermato a parlarne
con lui, lo sai che è molto esperto di queste faccende ed è sempre disponibile
a parlarne.”
“Ehm…
no, Roddie, veramente sei tu l’unico strambo che si ferma a parlare con i
fantasmi,” disse Rabastan prendendolo in giro.
“Beh, si
dia il caso che adesso questo strambo vi torna utile! Il Barone mi ha detto che
serve qualcosa di molto oscuro e molto potente per aprire il confine tra il
mondo dei morti e quello dei vivi. Mi ha suggerito di fare attenzione e di
avere sempre degli alibi pronti, perché potrebbero accusarci di essere gli
autori di questi rituali oscuri.”
Roland
si portò una mano sul viso annuendo. Scosse la testa con un’espressione
colpevole: “Temo di aver fatto un guaio, allora! Oggi a lezione ho chiesto al
professor Pucey delle informazioni sui fantasmi e gli spiriti. Insomma, gli ho
chiesto se fosse possibile che gli spiriti di persone morte andassero in giro
per il mondo. Mi ha detto che l’apertura del confine tra i mondi richiede
rituali di magia oscura così avanzata che io non dovrei nemmeno sognarmi di
fare quelle domande.”
“Gli hai
fatto questa domanda dopo la lezione?” domandò Rabastan.
“No,
l’ho fatta subito dopo che ci ha detto che la prossima lezione avremmo iniziato
gli spiriti…” Roland si morse il labbro. Rabastan sospirò: “Prepariamoci al
peggio, allora.”
“Con chi
facevi lezione?” domandò Rodolphus.
“Corvonero.”
“Dai,
tra tutti sono la Casa che forse sospetterà di meno, magari riescono a
immaginare che sia una domanda accademica.”
“Beh, io
gli ho detto che mi stavo solo domandando se i fantasmi potessero vedere i loro
cari che erano andati oltre. Pucey mi ha guardato come se fossi un po’ matto,
ma era la prima cosa che mi era venuta in mente.”
“Dici
che dovremmo parlarne con i professori?” domandò Rodolphus.
“E
raccontare che lo spirito di Bellatrix e quello di Barty se ne vanno in giro
per la scuola? No, grazie, non voglio passare per matto, più di quanto non
avvenga normalmente,” disse Roland.
“Però
abbiamo bisogno di aiuto. Dovremmo scoprire chi c’è dietro questo rituale oscuro,
così non potranno incolpare noi!”
Rabastan
aveva ragione. Si passava la mano tra i ricci castani incerto sul da farsi. A
chi potevano chiedere aiuto?
“Scriviamo
alla mamma?” propose Rodolphus, “Lei e il papà ne sanno abbastanza di queste
cose, potrebbero darci una mano.”
“Vuoi
davvero scrivere alla mamma e al papà che i fantasmi dei loro ex minacciano di
far sparire i loro figli e che qualcuno ha aperto il confine tra il mondo dei
vivi e quello dei morti con un qualche rituale oscuro? Forse per avverare la
profezia? Sei per caso impazzito?” Roland lo fissava preoccupato. “Pensi che io
non abbia pensato a quanti libri abbiamo a casa che potrebbero aiutarci a
capire cosa sta succedendo e invece siamo confinati in questa scuola bigotta?”
Si grattò la testa spazientito.
Rodolphus
biascicò: “Scusa, non ci ho pensato. Hai ragione, è una pessima idea scrivere a
mamma e papà.”
“Prometti
su Salazar Serpeverde che non farai menzione di questa cosa in nessuna lettera
con la mamma finché non l’avremo risolta. A Yule le racconteremo tutto, anche
di come avremo brillantemente risolto questo mistero, ma prima di allora
prometti di non farne parola. Anche tu Rabastan, promettilo!”
“Lo
prometto,” esclamarono in coro. Si sorrisero come ogni volta che finivano per parlare
in sincrono.
“Io ho
un’idea,” disse Rabastan, “la mamma nell’ultima lettera ha detto che Delphini è
ad Hogsmeade in attesa di partire per Durmstrang. Lei studia Arti Oscure e sta
per iniziare l’ultimo anno, magari può darci una mano a capire.”
“Sì,
però dobbiamo stare attenti. Non dobbiamo raccontarle che c’è di mezzo sua
madre o che Barty ha menzionato la profezia. Insomma, non vorrei che
attivassimo tutto il meccanismo delle profezie.”
“Ma la
mamma dice sempre che il modo per mettere in moto una profezia è cercare di
impedirne l’avverarsi. Se le nascondiamo della profezia, non rischiamo di
attivarla?”
“La
profezia non parla di fantasmi, però, non vedo perché dovremmo fare questo
collegamento…”
“Però i
fantasmi l’hanno menzionata.”
“Sì, ma
noi dobbiamo solo scoprire chi li evoca e fermarlo. Non dobbiamo raccontare
tutto! Stiamo attenti a Delphi, papà dice sempre di non fidarsi di lei.”
“Lo dice
anche Orion.”
“E se
scrivessimo ad Orion?” propose Rodolphus. Insomma, lui era il più grande. Era
persino più grande di Delphini e lavorava all’Ufficio Misteri. Lì aveva
raccontato che c’era un Arco che aveva il confine tra il mondo dei morti e
quello dei vivi. Forse lui aveva studiato quelle cose, le conosceva e poteva
dar loro una mano!
“Così
corre a dirlo alla mamma? Vuoi davvero dirgli che il papà che non ha mai
conosciuto vuole tornare indietro per stare con lui e la mamma?” Rabastan alzò
il sopracciglio scettico.
Rodolphus
sbuffò: “Hai ragione, un’altra pessima idea.”
“Invece
non è una pessima idea,” disse Roland guardando i fratelli, “Orion sta facendo
di tutto per salvare questa linea temporale. Lui queste cose le ha studiate. Io
so che ci vuole bene e so anche che non ci tradirebbe con la mamma se glielo
chiediamo. Domani scriviamo ad Orion!” Roland sbirciò fuori dalla tenda del
baldacchino e vide la stanza immersa nel buio. I suoi compagni di dormitorio
erano tornati e stavano già russando. “È tardi,” disse.
“Io non
voglio dormire da solo,” protestò Rodolphus. Se fosse stato a casa avrebbe
chiesto alla mamma di fargli compagnia finché non si fosse addormentato, anche
a costo di attirarsi gli sguardi di disappunto di suo padre e le prese in giro
dei fratelli. Non aveva nessuna intenzione di tornare nel suo dormitorio
attraversando un corridoio buio. E se avesse incontrato un altro fantasma? I
Mangiamorte si facevano scrupoli nell’invadere i dormitori o no? Non voleva
assolutamente rischiare.
“Ehm… Questa
volta devo dare ragione a Roddie,” ammise Rabastan, “se vuoi rimanere da solo,
io mi infilo nel letto di Roddie. Non voglio dormire da solo nemmeno io.”
Roland
alzò gli occhi al cielo, li guardò con un sopracciglio alzato e disse: “Siete
proprio due mocciosi! Non si direbbe che siate al terzo e al quarto anno! E
siete anche i più grandi della classe! Uno nato a Mabon, l’altro a Samhain…”
“Possiamo
dormire con te?” domandò Rodolphus per accertarsi di poter rimanere. Una mano
era già pronta ad afferrare il piumone e infilarsi sotto le coperte.
“Sì,
dai!” disse lanciandogli un cuscino mentre si sistemava ai piedi del letto.
Rabastan
sorrise. Roland si girò di schiena e disse: “Mi raccomando, non vi muovete
troppo! Voglio dormire!”
Rodolphus
lo vide sorridere e si disse che, anche se Roland non l’avrebbe mai ammesso,
sembrava proprio sollevato dal pensiero che loro due si fossero fermati a
dormire nel suo letto. Ne era certo.
Note:
Ciao a
tutti!
Sono
veramente sorpresa per l’accoglienza riservata a questa storia! Grazie di
cuore!
In
questo capitolo abbiamo scoperto chi ha preso i libri dalla biblioteca,
qualcuno lo aveva intuito nelle recensioni e ci ha visto giusto.
Victoire
ha incontrato Cedric che l’ha scambiata per Fleur e ne è rimasta turbata,
mentre l’incontro di Roddie con Barty Crouch Jr. è stato ben più terrificante.
La Rowling non ci spiega cosa succede all’anima divorata da un Dissennatore, ho
immaginato che una parte andasse comunque nell’Aldilà ma che fosse appunto una
specie di scarto, un residuo e per questo appare sfocata e non riconoscibile.
La minaccia di Barty, di portare via la mamma a Roddie, è quanto di più
terrificante. Scommetto che preferirebbe il ritorno di Voldemort all’essere
separato dalla sua amata mammina.
Nella
lettera che ha ricevuto, la mamma gli dice di non voler essere più richiamata
dalla scuola. L’episodio si collega al penultimo capitolo di Kintstugi, in cui
Roland e Teddy si scontrano nei corridoi e tirano fuori le bacchette.
Vi
riporto il racconto che Roland fa ai genitori di come sono andate le cose. Il
pov è della mamma.
“La preside
non vi ha detto nulla?” domandò Roland.
“La versione
della preside fa acqua da tutte le parti e ti conosciamo troppo bene per
pensare che tu sia impazzito in quel modo. Cosa è successo?” domandò Alexandra,
“Non costringere tuo padre a usare la Legilimanzia.”
“No, non è il
caso. Mi dispiace che siate venuti fin qua. Ho perso il controllo, tutto qui.”
Si stringeva nelle spalle dispiaciuto. Sospirò e iniziò a raccontare: “Stavo
uscendo dalla biblioteca e ho visto dei primini di Grifondoro travolgere
Rabastan. Lui non li ha visti, stava camminando leggendo un tema di qualcosa
quando è stato spinto via, il tema è volato ed è stato calpestato.”
Alexandra
ricordò chiaramente alcuni episodi del genere che le erano accaduti ad
Hogwarts, erano le solite zuffe tra Grifondoro e Serpeverde, come quando Sirius
l’aveva inzuppata e Regulus era intervenuto.
Roland
aggiunse: “L’hanno fatto apposta, mamma, ho visto come quel ragazzino ha
guardato Rabastan e gli ha detto: Tornatene nelle fogne, Lestrange.”
“La preside
ci ha parlato del Caposcuola di Tassorosso,” intervenne Rodolphus.
“È arrivato
dopo,” precisò, “Rabastan stava tirando fuori la bacchetta lamentandosi del
tema rovinato e io sono intervenuto. Ho scoperto troppo tardi che i primini di
Grifondoro che hanno rovinato il tema di Rabastan erano James Potter e Louis
Weasley. Fino a quel momento, avevo detto che avrei tolto loro cinque punti a
testa, perché non si corre nei corridoi e non si spingono gli studenti.
Insomma, ho fatto il mio dovere da Prefetto.”
Alexandra
annuì e continuò ad ascoltare la ricostruzione di Roland.
“Quel James
mi ha guardato con aria di sfida e mi ha provocato domandandomi: Difendi il
fratellino, Lestrange? È in quel momento che è intervenuto Lupin, il
Caposcuola di Tassorosso, accusandomi di prendermela con i primini. Mi ha detto
di smetterla di tormentare i Potter e i Weasley, che presto o tardi i figli di
Mangiamorte come me e mio fratello sarebbero scomparsi. È qui che ho perso le
staffe e gli ho detto di fare attenzione, perché, da figlio di Mangiamorte,
potevo fargli fare la stessa fine dei suoi genitori.”
Alexandra
alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa: “Lo sai che quello è un argomento
tabù.”
“Sì, lo so,
ma sono anni che mi sento dire che finirò ad Azkaban, che sono un topo di
fogna, che i figli di Mangiamorte come me spariranno. Grazie agli esercizi di
papà riesco a controllare l’impulso di affatturarli tutti quanti, a difendermi
quando esagerano, e ad essere inattaccabile, ma sentirmi dire che io e mio
fratello spariremo, dopo quello che è successo l’estate scorsa… Ho perso le
staffe.”
L’allusione
alla profezia era fin troppo chiara.
“Tu hai
esagerato e meriterai la punizione, ma chiederemo alla McGranitt di punire
anche Lupin, che non si è rivelato migliore di te.”
“È inutile,
papà. I professori sono molto indulgenti con i figli dei vincitori della guerra
magica, mentre il nostro Direttore, il professor Pucey, non sempre riesce a
riequilibrare le cose, ma non importa. Non voglio che per questa sciocchezza se
la prendano con Roddie e Rab. È colpa mia, ho esagerato. Mamma al Ministero non
avrebbe mai detto una cosa simile mentre tu eri ad Azkaban.”
“Sappi che
sono estremamente orgogliosa di te,” gli disse Alexandra. Roland era identico a
Rodolphus sotto un’infinità di punti di vista, anche l’autocontrollo e il suo
istinto protettivo verso i fratelli erano i medesimi.
“Che
punizione ti hanno dato?” domandò Rodolphus.
“Una
settimana con il professor Pucey. Mi ha chiesto di aiutarlo a ordinare i libri
di Difesa contro le Arti Oscure.”
“Non ti è
andata male…” osservò Rodolphus sorpreso.
“Ho fatto
vedere al mio Direttore come sono andate le cose, non volevo che il nome della
Casa di Serpeverde andasse di mezzo. Ho tirato fuori il ricordo e gliel’ho
mostrato nel suo Pensatoio. Ho spiegato anche perché non avevo intenzione di
contrastare le accuse e che avrei preferito affrontare la punizione. Mamma mi
ha insegnato che spesso la punizione è meglio della negoziazione.”
Alexandra
scoppiò a ridere e abbracciò il figlio. “Ti imbarazza se ti do un bacio?” gli
domandò.
“No, mamma,
qui non c’è nessuno!”
Grazie ancora
per tutti i commenti, gli scleri su Facebook, le letture silenziose e chi ha
messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite. Mi state accompagnando in
questo viaggio in un genere e una generazione del tutto nuova per me!
Ci
rivediamo giovedì prossimo con il prossimo capitolo! Saremo già a metà storia!
Un
abbraccio,
Sev