Capitolo 8
Sulle ali di
un’Aquila
Il passo pesante
dell’Aquila
non dava tregua ai cristalli di neve che continuavano a depositarsi
in cima alla lunga torre. La bestia raschiava con vigore il terreno,
spruzzava la neve con gli artigli, staccando le rocce, una volta
bollenti del deserto, e gettandole lontano con le fauci, alla ricerca
compulsiva della sua preda.
La coda di eleganti
piume si
muoveva compulsivamente dietro il corpo massiccio e gli occhi vitrei
e affilati non lasciavano scampo a chi si nascondeva nel paesaggio
attorno.
Bulma sbucò
guardinga dal suo
rifugio sotto il piccolo cunicolo che il ghiaccio aveva formato.
Cercò di assottigliare la vista per capire quando e come
spostarsi,
ma una mano la colse di sorpresa, bloccandole il respiro e la
possibilità di urlare.
« Ssst!
»
La
zittì con poco calore una
voce,
assicurandosi
che non facesse rumore e che non attirasse l’udito sensibile
dell’Aquila. Bulma si ritrovò improvvisamente
a
fissare gli occhi scuri del capitano che, sotto il pesante berretto
nero e la sciarpa zuppa di neve, bruciavano come due stelle ardenti.
« Sei venuto
a salvarmi? »
Sussurrò,
aspettandosi di tutto,
tranne che la presenza di Vegeta. Il capitano sorrise, facendo
spallucce. « Sì… se è
così che vuoi metterla... »
Bulma, malgrado la
situazione di
pericolo e le urla del rapace che superavano la forza del vento,
trovò la forza per corrispondere il sorriso.
« Ma questo
ti costerà un altro
diamante, non era previsto nel pacchetto turistico... »
Fece caustico Vegeta,
mentre si
abbassavano velocemente sulla neve per evitare di farsi scorgere
dall’Aquila che, inconsapevole, guardava ora nella loro
direzione.
Strisciarono guardinghi verso il lato più spesso di neve e
ghiaccio
che occludeva la vista dell’Aquila nella loro direzione.
Bulma si
voltò ancora ad
osservare i movimenti dell’animale. Un’enorme
zampata schiacciò,
inclemente, il piccolo cunicolo che li aveva ospitati pochi secondi
prima. Cercò di reprimere il brivido di paura che la
percorse.
«
Allora… » si affannò Bulma
nel chiedere, « come facciamo a scendere? »
« Ecco
io… »
L’Aquila di
Ghiaccio aveva
ripreso a cercare un po’ più in là e
Vegeta non si accorse di
aver trattenuto il respiro.
« Non lo
so… »
« Cosa?!
» urlò a bruciapelo
Bulma.
« Non lo so
ancora! » si
affrettò a correggersi l’altro, « Ci sto
pensando, va bene?
»
Bulma si
scaldò in fretta: «
Scali una torre di ghiaccio di trecento metri e non sai come
scendere?! »
Il capitano si
trattenne
dall’imprecare.
« Di tutte
le ingrate, tu sei
proprio – senti! Se vuoi affrontare i rischi da sola, si
può
organizzare – »
« Ssst!
» si affrettò a
zittirlo Bulma, portandogli le mani sulla bocca ed ascoltando il
passo pesante dell’Aquila che ancora scavava nella direzione
sbagliata, fortunatamente per loro. Ogni secondo che sprecavano a
litigare era una possibilità in meno di salvarsi,
così cercò di
porsi nel modo più collaborativo.
«
D’accordo, d’accordo! »
L’Aquila
cambiò direzione e i
due si appiattirono silenziosi contro la parete che ancora, grazie
agli Dei, reggeva.
«
Che cosa
possiamo usare? » iniziò Bulma con spirito
collaborativo. « Corde?
» sussurrò,
speranzosa.
«
Ehm… » il capitano non fu
convinto. « No »
« Rampini?
»
«
Ehm… no »
La donna
sospirò, cercando di
calmare il suo panico crescente.
« Le tue
spade? »
Supplicò,
infine, chiedendo a
Zeno la grazia di poter sopravvivere un altro giorno.
« Ehi! Ho
questo! »
Brillò la
voce del capitano,
quando si portò una mano dietro la schiena, tirando fuori,
da sotto
lo scudo a Forza
Solare H uno
dei pugnali che aveva usato ad arrampicarsi lungo la parete.
«
Fantastico! Ci si pulisce i
denti quando finisce di mangiarci! »
Vegeta scosse la testa
all’espressione poco fiduciosa della donna.
«
Sì... vedi, nelle mani di un
esperto, un buon coltello ha mille e uno usi... »
Iniziò a
dire, con fare
mellifluo ed ironico, e mosse velocemente il coltello tra le dita,
facendolo roteare con grazia e osservando Bulma con sguardo
compiaciuto, fino a che… « Ops…
»
Bulma
non riuscì a trattenere un gemito
di puro terrore, mentre la piccola calotta di ghiaccio che li aveva
protetti fino a quel momento, si spezzò, perché
solleticata dalla punta affilata del coltello che, guarda caso, ci
era finito incastrato.
Il ghiaccio si
staccò e scivolò
a terra come i petali di un fiore e la bestia si girò nella
loro
direzione.
L’ambasciatrice,
che aveva iniziato a gelarsi dal forte vento attorno, fulminò
il
capitano con
lo
sguardo e Vegeta si lasciò scappare un risolino di nervoso.
L’Aquila
cacciò allora un
grido acuto, abbassandosi in fretta per finalmente afferrare le sue
prede.
Il capitano si mosse
più in
fretta del vento.
« Scappa!
»
Urlò,
afferrando Bulma per il braccio e iniziando a correre verso la
direzione opposta dove stava la bestia, trascinando
e spronando la donna a non inciampare nelle lastre di ghiaccio
attorno.
Il
rapace li inseguì immediato, aggredendo
ogni metro di terreno con le sue lunghe zampe e artigli, pronto
per afferrare e smembrare la carne. Ogni
secondo divenne più veloce del precedente, mentre correvano
per
salvarsi la vita.
«
Più svelta! » Incitò
ancora
il
capitano,
correndo
più veloce,
quando Bulma si rese conto verso cosa stavano correndo: un burrone
profondo più
di
cinquanta
metri che terminava in una lunga discesa scoscesa verso
per
il basso, sempre più ripida
e sempre più in pendenza.
«
Aspetta,
no! »
Si
strangolò
tra
gli affanni,
tentando
di fermarlo,
ma Vegeta prendendo
un balzo più disperato che coraggioso la trascinò
giù
nel
burrone ed insieme si lasciarono cadere nel vuoto, le
loro grida confuse con quelle dell’enorme animale
che li inseguiva.
La potenza e il
fischio del vento
si insinuarono nelle loro divise da pirata e la sciarpa del capitano
perse tutta la neve, mentre si trovava sbatacchiata al rimo del vento
che urlava forte nella bufera di neve.
Il terreno intanto si
faceva
sempre più vicino sotto di loro, ogni istante che passava.
Vegeta, sforzando di
tenere
aperti gli occhi contro i mostri che la neve creava
nell’aria,
afferrò la donna stringendola a sé e, quando vide
la discesa farsi
meno in pendenza, perché addolcita dal cadere della neve,
afferrò
lo scudo sulla schiena, sedendovisi impacciatamente sopra,
perché
entrambi potessero scivolare via sedutici sopra, veloci come delle
perle lanciate nei sentieri di sabbia in riva al mare.
Due balzi
più tardi, seduti
l’una in braccio all’altro, ancora scivolavano
ancora
inaspettatamente vivi lungo la discesa della torre di ghiaccio,
schivando al meglio i massi appuntiti che si ergevano dal terreno e
ruzzolando verso il basso, come una scheggia fuori controllo.
Vegeta
maledì ancora una volta
la sua fortuna e il maledetto uccellaccio che li seguiva
maestosamente dall’alto dei suoi dieci metri di apertura
alare.
L’indomani
non avrebbe sentito
il fondoschiena per un bel po’. Anche se, al momento, la
questione
era arrivarci, all’indomani.
Bulma si stringeva
sempre più ad
ogni balzo al collo del capitano che, cercando di non soffocare nella
presa della donna, si guardava attorno alla ricerca del rapace, che
fino a poco fa volava scattante sopra di loro.
« Sembra che
l’abbiamo
seminato! » urlò per farsi sentire contro la forza
del vento che
pareva sospingere ancora di più la loro corsa verso il basso
e
mangiarsi le sue parole.
Un altro masso che
sbucava dal
terreno e che lo colpì nella discesa lo fece urlare di
dolore e
Bulma sbarrò gli occhi.
« Sembra di
no! »
La grossa bestia,
infatti, era
improvvisamente sbucata dal nulla davanti a loro e, frapponendosi tra
loro e la via di fuga, si chinò famelica per fare del pasto
un sol
boccone.
La donna
urlò, ma Vegeta non si
fece trovare impreparato: afferrò lo scudo da sotto e lo
frappose
tra i loro corpi e il becco affilato che incombeva su di loro. La
bestia venne stordita dall’energia proveniente dallo scudo
sollecitato dalle sue fauci e mollò la presa. I due le
sfuggirono
ancora una volta, scivolando via veloci.
Tra il crollo delle
rovine della
torre che si sgretolava attorno a loro, proseguirono miracolosamente
la loro discesa, trovandosi a fare lo slalom tra le alte forme dei
massi che uno dopo l’altro, come l’effetto di un
letale domino,
avevano iniziato a crollare sulla discesa.
Si strinsero ed
urlarono quando
l’ultimo pezzo di roccia crollò appena sopra di
loro e li sfiorò
per un pelo. Così sfiancati e inzuppati di neve si
ritrovarono
ancora l’una nelle braccia dell’altro, sollevati
per aver
scampato da morte certa. Il loro sorriso, però,
durò solo per
qualche istante perché stavano raggiungendo a tutta
velocità un
sassolino che, sfortunatamente, era sul loro tragitto.
Volarono in aria,
leggeri come
piume, volarono sopra le ali dell’Aquila, finché
questa, ancora,
non gli si piazzò davanti a fauci spalancate.
Le iridi
dell’aquila si
confusero con il soffio della neve, il giallo innaturale degli occhi
che rompeva il silenzio del bianco, come una stella enorme pronta ad
inghiottirli: Vegeta però, prima di venire inglobato dalla
famelica
ed enorme stella, notò una frattura nella roccia,
un’increspatura
di qualche metro, ma sufficiente per scivolarci dentro e sfuggire
ancora alla morte.
Lasciò
scivolare Bulma di lato,
tenendola salda per la mano: lo scudo virò veloce a destra,
sollecitato dall’equilibrio sbilanciato, e come la bestia
aveva
rapidamente aperto la bocca per mangiarli, così rapidamente
scivolarono nell’increspatura, sparendo dentro la grotta di
ghiaccio.
Schegge di ghiaccio e
lunghe
stalagmiti scendevano lungo i bordi della caverna e la superficie
liscia permetteva allo scudo di slittare verso l’uscita,
ovunque
questa fosse.
Non poterono fermarsi
un secondo
per orientarsi nel paesaggio blu che l’Aquila, dietro di
loro,
ruppe la parete vitrea e sprofondò con loro nella grotta.
Vegeta
accelerò ancora sullo
scudo perché questo acquisisse più
velocità, ma la creatura li
stava raggiungendo, sempre più lesta e sempre più
letale, facendosi
spazio tra le vie anguste della caverna, spaccando le pareti e i
sentieri di acqua con le lunghe ali celesti.
Le file di stalattiti
e
stalagmiti scorrevano tutt’intorno e ostruivano il passaggio,
costringendoli a pattinare lungo il flebile sentiero gelato che
scorreva dentro la torre, come un sentiero verso morte certa, quando
ad un certo punto si scorse una luce di lato, in lontananza. La luce
verso l’uscita.
Il capitano non perse
tempo e agì
più scattante della volpe del Deserto: piantò il
pugnale che aveva
usato nell’arrampicata nel suolo di ghiaccio e, usandolo da
perno,
lo usò per voltare la loro fuga nella direzione della luce.
Lo scudo
vibrò pericolosamente,
ma prese la via per l’uscita, l’Aquila ancora che
avanzava ogni
metro di più verso di loro.
Tutto durò
meno di respiro.
Bulma vide
l’Aquila farsi
sempre più piccola e la luce sempre più intensa,
finché non si
trovarono ancora a volare in aria tra le ali della bufera, mentre la
grande Aquila venne bloccata, schiacciata sotto le rovine della torre
che per via del movimento delle sue grandi ali stava crollando,
intrappolandola nella sua morsa fatale.
Precipitarono verso il
basso,
verso la nave, tentando di afferrare l’uno le mani
dell’altra,
sbracciandosi nell’aria fredda e graffiante di neve.
«
Sì, signore, eccoli qua... »
Le urla nel cielo
fecero alzare
la testa al secondo sulla nave che si rimise in testa il berretto,
pronto per riaccogliere i due venturieri. Radish si fece, invece,
consegnare l’ennesimo soldo da parte di Toma, ormai destinato
a
perdere qualsiasi tipo di scommessa contro il mozzo, ma questa volta
fu ben felice di provvedere alla riscossione del debito.
Le urla del capitano e
dell’ambasciatrice impattarono contro le vele
dell’albero
maestro, che si allentarono contro il loro peso, attutendo la caduta
e poggiandoli delicatamente sul suolo del ponte.
Vegeta
abbracciò Bulma, per
evitare sbattesse contro il ponte e lei si strinse forte contro di
lui, con ancora in corpo l’adrenalina della caduta. La vela
attorcigliata attorno, come il bozzolo protettivo di una crisalide,
li accompagnò dolcemente sul ponte, custodendoli in un caldo
abbraccio.
Da sotto la pesante
carezza della
vela, il capitano si tirò su il cappello che gli era
scivolato sugli
occhi e guardò l’ambasciatrice.
« Fatto!
Come avevo... » si
specchiò un istante di troppo negli occhi azzurri della
donna, più
gentili rispetto a quelli dell’Aquila e più caldi,
nel guardarlo.
« ...previsto »
Bulma si sciolse in un
sorriso di
stanchezza, ma anche di gratitudine e strecciò le mani dal
collo del
capitano, lasciandole scivolare dolcemente lungo le sue spalle, come
in una lenta carezza.
Il capitano stava per
leggere
qualcosa di più negli occhi dell’ambasciatrice,
quando la vela che
li avvolgeva venne tolta dalle braccia nerborute, ma nervose della
ciurma.
Quando li videro, gli
uomini
spalancarono gli occhi.
« Bulma!
»
Subito, la accolsero a
braccia
aperte, aiutandola ad alzarsi ed assicurandosi che stesse bene,
stringendosi attorno a lei come dei cari amici che non vedevano da
tempo un compagno di avventure tanto amato.
Vegeta ovviamente
rimase lasciato
a terra, non scorto e soccorso da nessuno.
« Ti
facevamo bella che morta
per sempre! » si commosse Turles, precipitandosi ad
abbracciare la
donna, nel frattanto che la ciurma si mostrava emozionata
nell’averla
nuovamente a bordo. Broly le si accostò subito, stringendola
tra le
braccia in un abbraccio di traboccante affetto. Gli altri non furono
da meno: tra preoccupazioni e raccomandazioni sussurrate con affetto,
si premurarono di assicurarsi che non avesse un capello fuori posto.
Il capitano tiratosi
su alla
bell’e meglio, si stiracchiò, invece, la schiena.
« Oh,
» iniziò, « io... sto
bene, sul serio… »
La ciurma
continuò ad ignorarlo,
prestando attenzione a come Bulma respirasse o a come camminasse, nel
caso sfortunato si fosse slogata una caviglia, o peggio!
« Mi
commuove, vedervi
preoccupati... »
Un osso della schiena
gli
scrocchiò in modo sinistro, ma nessuno parvene curarsi.
In fin dei conti Bulma
era troppo
stanca ed infreddolita, poverina! E se non avesse avuto appetito?
Chissà quanto l’aveva spaventata quella bestiaccia!
Il capitano fu sul
punto di
lanciare qualche ordine piccato, affinché scendessero a
riprendere a
spaccare le lastre di ghiaccio che ancora bloccavano la sua Saiya,
quando il rompo di un tuono lo fece voltare verso la grande torre di
ghiaccio.
Gli uomini videro
questa
scivolare verso il basso e le enormi lastre di pietra cadere come i
fiocchi di neve verso il basso, che ora si erano via via affievoliti.
Il pianeta tremò sotto di loro e le pietre ruppero le lastre
che
avevano ricoperto il pacifico deserto di sabbia, liberando
così la
nave dalle spire feroci che l’avevano incastrata al suolo.
La ciurma esplose in
un boato di
gioia e Vegeta non poté fare a meno di sorridere, dopo aver
cercato,
ancora una volta, lo sguardo luminoso dell’ambasciatrice.
Ora potevano
finalmente ripartire
verso lo spazio, verso la Costellazione della Fornacei.
La bonaccia che
fischia sui mari
di terra, quelli ricoperti di schiuma salata e di acqua profonda, si
ricordava probabilmente ancora dei primi tentativi dell'uomo di
navigare sulle acque, quando questi si erano avventurati su una
piccola nave, con il loro bagaglio di sogni e speranze a bordo.
Il pacifico mare dello
spazio,
secoli prima, aveva visto confluire migliaia di piccole navi dentro
il suo bacino: queste, come un cucciolo di falco che non sa se
volare, ma è attirato dall’aria perché
scritto nel suo destino,
avevano poi spiccato il volo. Le grandi navi e i velieri avevano
così
continuato a far sbocciare le loro vele man mano sempre più
forti e
tecnologiche, all'aria dell'Eatherium. Poi l'Universo non aveva avuto
più confini se non, forse, il desiderio dell'uomo a fare da
spinta o
da freno alla bramosia di conoscere.
Ogni stella del Cosmo
che
sgorgava di silenziosa magia aveva rappresentato un appiglio, una
speranza o un'anima che i marinai volevano ricordare e verso cui, nei
momenti di malinconia, confluivano la mente, trasmettendole i loro
ricordi.
Nello specchio
profondo dello
spazio, piatto come la superficie di un lago, ma movimentato nei
giorni di pioggia, i navigatori esprimevano i loro desideri e,
partendo dal cuore, lasciavano scivolare il desiderio verso il mare.
Questo s'agitava debolmente tra le onde per poi alzarsi lento verso
l'alto e, come una lanterna di carta, salire verso le lanterne
dell'Infinito. Il loro desiderio s’incastonava, poi,
nell'intreccio
delle sorelle luminose. Le stelle, custodi dei ricordi e delle
preghiere, non erano venute mai meno ad un voto e anche nei momenti
più bui avevano accompagnato i marinai verso la via di casa.
Le lanterne di carta
ora
illuminavano a migliaia, grandi e piccole, blu e rosse, il loro
viaggio; facevano risuonare la loro luce nello scivolare lento e
costante della nave Saiya nello spazio e nel tempo. Campane di luce
risuonavano al vento, investendo di piena potenza le ali della nave
ed incoraggiando il moto dei motori a propulsione.
La nave sfrecciava
così veloce
sulle scie di ghiaccio e lasciava disegni di polvere al suo
passaggio. Bulma si lasciò cullare ancora una volta dal moto
costante del vento tra le corde attorno all’albero maestro e
ai
contorni della bolla di energia che avvolgeva come un panno la nave:
l’atmosfera nello spazio aperto variava ad ogni parsec
attraversato, variando di grandezza e profondità come una
bolla di
sapone.
Le risate della ciurma
in
sottocoperta si sentivano ovattate dai passi sul ponte, gli
schiamazzi dei marinai che di solito saturavano la nave avevano
lasciato lo spazio al fischio silenzioso, ma potente
dell’Eatherium.
Il capitano reggeva
tra mani
sicure il timore e s’inondava di polvere solare, le dita di
luce a
tingergli le vesti e i capelli.
Gli
si
avvicinò a passo lento, quasi
timidamente, mentre questo pareva intento a godersi il
soffuso silenzio non interrotto dai continui chiacchiericci della
ciurma.
Dopo
l’ennesimo shot di rum era
uscito, un po’ barcollante, un po’ stanco, da
sottocoperta e
aveva dato il cambio a Nappa, che si era quasi tuffato in stiva per
bere con i compagni. L’ambasciatrice dopo essersi resa conto
di
aver bevuto anche lei qualche bicchiere di troppo si era mossa in
punta di piedi per andare a lavarsi all’aria astrale del
Cosmo.
Seguì
anche lei lo sguardo di Vegeta e trascorse con lui qualche istante di
eternità nel mezzo delle costellazioni attorno. Qualche
lontana
creatura celeste faceva capolino all’orizzonte, per poi
rituffarsi
sotto la superficie e spruzzare nel cielo i cristalli di luce:
svanivano e comparivano nel tramonto delle stelle, svanendo tra le
nuvole di
specchio.
La donna sorrise, dopo
aver preso
un respiro di pacifica tranquillità.
«
Vegeta… »
Il capitano la
scrutò con la
coda dell’occhio e con un sorrisetto anticipatore sul volto.
« Grazie...
per avermi salvata »
L’altro
ridacchiò, sfoderando
un sorrisetto ancora più famelico, ma si soffermò
davanti
all'infinito della sua anima.
« Non
c’è di che… »
sussurrò quasi mesto, lasciandola avvicinare alla posizione
di
comando, accanto al timone. Trascorse qualche goccia di silenzio,
finché lei non parlò ancora.
« Questa
vita è giusta per
te... »
L’altro rise
di un sorriso
sincero questa volta, che gli colorò leggermente le guance e
pronunciò le sue fossette ai lati del volto liscio e
giovane.
«
Già… non sono fatto per la
terra ferma. E tu? Sei fatta per la terra o per il mare? »
Bulma
sospirò come se la domanda risvegliasse una dolce sinfonia
celata,
che se fatta risuonare avrebbe
portato alla
mente memorie velate
e malinconiche.
« Ho sempre
amato il mare. Ho
anche sognato di passarci la vita, ma non era nel mio destino
»
E nei suoi occhi si
spense la
sinfonia che si era improvvisamente creata.
« Ho delle
responsabilità a
Syracysis, su Earth24 e nelle Regioni del Sud… »
Il capitano trattenne
quasi il
respiro a vedere la sua luce farsi improvvisamente soffusa e non
riuscì a trattenersi. Scosse la testa: « Devi
proprio lasciar
perdere? »
«
Sì... »
Bulma
sospirò e fece per
allontanarsi dal timone, probabilmente per andare ad ammirare le
stelle a prua, accanto alla polena riempita di acqua e cristalli.
Vegeta però, fu più lesto e le afferrò
la mano, invitandola a
restare. Posò poi la sua mano sul timone, lasciando che
fosse lei
per qualche istante e per qualche momento del loro sogno a guidare la
Saiya.
La donna lo
guardò stupita e
l’uomo rispose al suo sguardo con un pizzico di quella che si
rivelò essere fiducia. Una fiducia appena sgorgata tra di
loro, che
condusse la donna a stringere con più determinazione i
comandi della
nave e a guardare verso la Fornace con aria sicura.
Il silenzio riprese lo
spazio tra
di loro, interrotto solo dal fruscio dei raggi di stelle, che
facevano vibrare le vele in un basso ronzio. Lo specchio dei mille
soli a scaldare le loro vesti di un caldo e forte colore di stelle.
« Ho girato
tante galassie. Ho
visto cose che nessun altro ha visto… ma nulla, nulla
è
paragonabile allo spazio aperto… »
Leggere onde di
schiuma
ghiacciata sfumarono e volarono via lungo la murata e Bulma
virò
leggera verso destra, mantenendo costante la via in direzione della
stella che li guidava.
« Ed
è questo quello che hai
sempre voluto? »
Vegeta sorrise ancora
di un
pacifico e calmo sorriso.
« Non
proprio… qualche anno fa
io e Goku parlavamo di arruolarci nella Marina Reale e servire
Earth24 fianco a fianco. Ma diventando più grandi, la nostra
vita ha
iniziato a cambiare… lui è il principe. E
io… »
« Sei
diventato il principe dei
pirati... »
Le stelle dei suoi
occhi zaffiro
rispecchiarono quelle del cielo e i due ridacchiarono per
quell’attimo di complicità.
«
Però non sono mai stato
invidioso di lui, ho sempre desiderato il mare. Finché una
mattina
non è arrivata in porto una nave… »
Le pieghe del mare del
Cosmo
parvero assumere una piega più lunga, quasi misurata alle
parole del
capitano, che abbandonò l’aria di certezza e
sicurezza del suo
titolo e gli occhi tinti del nero più profondo si
rabbuiarono.
« A bordo
della nave c’era il
futuro di Goku... »
La donna lo vide
alzare lo
sguardo verso le Costellazioni attorno, per poi riabbassarsi al
suolo, quasi colto da timidezza.
« Era la
cosa più bella che
avessi mai visto... »
Le vennero i brividi
per il tono
reverenziale con cui pronunciò le parole e un sussurro si
spense
sulle sue labbra: « Cosa c’era su quella nave,
Vegeta? »
Le milioni di stelle
che li
circondavano in quel momento si condensarono tutte nei suoi occhi e
Bulma sentì il fuoco dell’anima del capitano
iniziare, lentamente,
a bruciare la sua. « C’eri tu…
»
« Lui ti ha
aspettato sulla
banchina, con una delegazione di benvenuto. Presto ci sarebbe stata
la festa per il vostro fidanzamento ufficiale... »
Un velo di dolore e
malinconia
colorò i suoi occhi, mentre raccontava.
« Io sono
partito sulla prima
nave senza mai voltarmi indietro »
Si voltò
poi a guardarla,
intrecciò il respiro nel suo e le sue dita tra quelle
delicate
dell’ambasciatrice, tracciandone con i polpastrelli i
lineamenti
delicati, come a contemplare nei suoi tratti la bellezza delle
stelle.
« Fino ad
ora... »
Per
un istante Bulma chiuse gli occhi e si abbandonò al dolce
suono
delle onde, mentre le labbra del capitano si avvicinavano piano e
delicate
alle sue, sfiorandole
dolcemente, come si sfiora un fiore, ma all’ultimo
l’ambasciatrice
posò una mano tra di loro e l’aria attorno a loro
si fece
d’improvviso più fredda.
I suoi occhi gli
raccontarono la
tristezza di non poter compiere quel gesto per via delle
responsabilità che solcavano le sue spalle e per via
dell’amore,
sebbene fraterno e amichevole, con Goku. Vegeta vi lesse anche il
dolore per una vita che tanto aveva bramato da piccola, ma anche
aveva dovuto tralasciare come un sogno infranto e a cui nessuno,
nemmeno lei, aveva più creduto.
Il capitano le
afferrò piano le
mani cercando il suo sguardo, che si era annebbiato di lievi lacrime,
e cercò ancora un contatto minimo, un poco più
prolungato con la
sua anima, per ammirarla anche solo per un ultimo istante e poi
lasciarla andare per sempre.
Poi il cielo
scoppiò sopra di
loro.
Una bomba di luce li
travolse
improvvisamente e si dovettero reggere forti al timone e alla
balaustra, per evitare di essere trascinati a terra. La Saiya
vibrò
di violenta energia e i marinai salirono di corsa sul ponte, scossi
dall’esplosione attorno a loro.
Le stelle iniziano a
diradarsi
sempre più, come trascinate indietro e nella direzione
opposta al
loro cammino: queste, come mille meteore, infatti, tracciarono lo
spazio e cancellarono le Costellazioni, portando lontano con
sé la
scia di mille pianeti e delle migliaia creature di mare.
L’universo
divenne più nero,
spento dalla mancanza delle mille luci, finché tutte le
stelle
attorno non tornarono poi indietro: schizzarono in avanti, come
attratte da una molla che dapprima allunga e poi rilascia,
incastrandosi e perdendosi in quello che si rivelò la stella
della
Fornace, la stella di Tartaro, il regno di Lazuli.
Erano arrivati alla
meta.
Continua….
Tan tan
taaaaan!
Siamo finalmente
arrivati, il
prossimo capitolo sarà il momento clue, il momento in cui
capiremo
il perché di tutta questa bella storia.
Devo scusarmi per il
ritardo, ma
queste settimane si stanno rivelando un attimo più cariche
di robe
da fare del previsto.
Ringrazio tutti voi
che avete
recensito, passerò presto a rispondere e grazie a tutti
coloro che
leggono!
Vi state rabbuiando
pensando al
mancato bacio tra i due?
Eh, che ve devo
dì…
Al prossimo capitolo,
non vi
garantisco sia questo weekend, nel caso il prossimo!
Intanto, non mi resta
che
augurarvi buon Natale <3
Passatelo serenamente
e assieme
alla vostra famiglia!
Un abbraccio
megagigante da Zappa
iIn direzione della
Costellazione della Fornace, poco tempo fa, è stata scoperta
la galassia più distante e antica mai conosciuta, a 13,2
miliardi di anni luce di distanza;
si trova a sud di Orione e si tratta di un’autentica
“finestra” verso l’universo
extra-galattico: è costituito degli ammassi galattici tra i
più grandi nel raggio di 100 milioni di anni luce dal nostro
piccolo buco di Terra. È stata osservata da Hubble e in
mezzo a tutte queste galassie, in particolare dentro la super-galassia
NGC 1316, c’è un buco nero centrale
super-massiccio da cui prendo ispirazione per la stella morta di
Tartaro.
Adoro ‘ste cose. Ovviamente Wikipedia docet.
|