Broken Ice
Era passato esattamente un
anno
dall’ultima volta che aveva avuto davanti agli occhi la pista
ghiacciata del
palazzetto. Elsa serrò i denti mentre le nocche della mano,
che stringeva i
lacci dei pattini, si facevano bianche. Dopo averli appoggiati su una
panca lì
a fianco, si era tolta la giacca, rivelando ciò che
indossava sotto: una tuta
intera aderente completamente nera, come il suo cuore in lutto per quel
sogno
che non avrebbe mai più potuto realizzare. Li
indossò con calma, senza fretta,
e si avviò sulla pista. Quando le lame fendettero la
superficie gelida, chiuse
gli occhi e si sentì di nuovo a casa
e improvvisamente libera ma durò solo per un piccolo
istante, quando li riaprì
la sua espressione era furiosa: cominciò a scivolare.
Aveva sacrificato
tutto della sua
adolescenza per quello sport che amava maledettamente, così
tanto che non le
importava se la teneva lontana dalle amicizie o da quelle piccole e
grandi
scoperte a cui una ragazza andava incontro a
quell’età. Per lei il pattinaggio
era tutto, considerata una stella nascente, sulla bocca di alcuni
già si
parlava di Olimpiadi e, invece, in un lampo – a soli sedici
anni - quella
realtà le era stata portata via.
D’accordo,
avrebbe potuto
continuare a mettere i pattini e osare qualcosa di più della
classica scivolata
natalizia ma gli allenamenti serrati e le gare, beh, poteva
scordarseli.
Nonostante i muscoli fossero perfettamente tornati in forma, grazie ad
una
fisioterapia accurata e alla sua determinazione, le ossa della tibia e
del
perone non l’avrebbero retta mai più come prima.
Stizzita, fece la prima
rotazione verticale sulla gamba sinistra, quella sana, e aumentò il ritmo.
Non ce
l’aveva con sua sorella,
l’incidente che le aveva coinvolte non era stata davvero
colpa sua: i cavalli
erano parte integrante della loro famiglia e se il destriero di Anna si
era
improvvisamente imbizzarrito durante quelle attività, che
facevano assieme ogni
santissimo giorno,
da biasimare
c’era solo quello stolto cacciatore che, incurante delle
leggi, si era
avvicinato troppo alla loro tenuta e aveva sparato. In un attimo era
montata su
Snowball, il suo adorato andaluso grigio, e si era messa
all’inseguimento di Chinna,
l’indomito baio purosangue inglese della sorella. Era stato
tutto veloce, troppo, erano inesorabilmente
cadute e
la sua gamba destra aveva fortemente sbattuto su una pietra del
terreno,
schiacciata dal peso di Anna. Neanche aveva urlato, il cervello aveva
semplicemente tagliato fuori il dolore. Quando i suoi occhi,
però, si erano
posati sull’arto e avevano effettivamente compreso che fosse
spezzato, un
reflusso acido le era salito alla gola e aveva perso i sensi. Si era
risvegliata in ospedale, intontita dagli antidolorifici e in preda ad
uno
strano senso d’angoscia perché, sebbene nessun
medico le avesse ancora rivolto
parola, dentro di sé già sapeva.
Ricacciò
indietro le lacrime che - come sempre, quando
ripensava a quel giorno - le erano salite agli occhi e finì
per tirare poco
finemente su col naso. Al diavolo, non c’era nessuno a
vederla, ormai c’era
solo il custode che di certo non avrebbe abbandonato il caldo della sua
stanzetta per stare lì a guardare lei. Eseguì,
leggiadra, un giro del cammello
e continuò a scivolare a ritmo di una musica che suonava
solo nella sua testa,
quella testa dura come il ghiaccio che amava a dismisura. Arrabbiata -
con se
stessa, con il mondo - eseguì una perfetta spirale Biellmann
che, ancora una
volta, caricava tutto lo sforzo sulla gamba sana e, poi, si
azzardò a
lanciarsi in un Axel… una rotazione sola: non due, non tre, una sola maledetta rotazione
ma quando,
dopo aver staccato con la
sinistra, atterrò sulla gamba destra, per forza di cose,
quella cedette e cadde.
La
verità era che qualcuno a
vederla c’era eccome. Dopo gli allenamenti di hockey, Jackson
si era attardato
a sistemare lo spogliatoio per via di una stupida scommessa persa con
il resto
della squadra. Con il suo borsone in spalla, cappello in mano e
giubbotto
semiaperto si stava dirigendo all’uscita, quando
l’occhio gli era caduto su
quel piccolo puntino nero che si muoveva sulla pista. Si era affacciato
alla
balconata e l’aveva riconosciuta subito, per via di tutte le
volte che si erano
incrociati durante i rispettivi allenamenti. Quando erano solo delle
matricole
avevano anche litigato in qualche occasione, in particolare in quei
giorni in
cui la squadra di hockey si allenava prima di quella di pattinaggio e
rendeva
la pista pressoché impraticabile, così tanto che
il
custode era costretto a
livellarla nuovamente con il macchinario apposito, rubando loro tempo
prezioso.
Aveva saputo del suo incidente e,
sebbene la incrociasse per i corridoi e in qualche saltuaria lezione in
comune,
era passato praticamente un anno da che l’aveva vista su
quella pista, perciò
trovarla di nuovo a volteggiare con quella grazia lo aveva stupito,
talmente
tanto che non era più riuscito a staccarle gli occhi di
dosso. Che fosse
una bellissima ragazza e che,
nonostante quella tuta aderente nera, riuscisse ad essere praticamente
più nuda
che vestita erano dettagli prettamente secondari, forse.
Se solo non fosse
stata così altezzosa.
D’improvviso lei cadde, trattenne
il fiato per il timore ma lo rilasciò quasi subito non
appena la vide portarsi
a sedere. Quando i minuti cominciarono a passare e la ragazza sembrava
intenzionata a non rialzarsi più, aprì il fondo
del borsone, recuperò i propri
pattini e sparì giù per le scale.
Elsa riprese il
contatto con la realtà solo quando avvertì
il sibilo sul ghiaccio di qualcuno che si stava avvicinando, rapida
portò una
mano ad asciugarsi le lacrime e si pulì, con ben poca
grazia, il naso sulla
manica della tuta. Quando le lame si fermarono a pochi centimetri da
lei, si
accorse che erano attaccate ad un paio di pattini da giocatore di
hockey. Alzò
lo sguardo e lo riconobbe immediatamente, Jackson Overland il portiere
della
squadra della
scuola.
Da quanto era lì? Che
cosa aveva visto?
Dalle sue compagne era ritenuto un tipo carino ma un po’
sfigatello e, praticamente tutte, gli preferivano Hans Westergaard, il
capitano
e figlio di una delle più altolocate famiglie della
città. Non si era mai
trovata d’accordo, ma questa considerazione l’aveva
sempre tenuta per sé. Se solo non
avesse avuto un carattere così
tremendamente irritante.
«Fa
freddino, eh?» le disse, con
un’occhiata eloquente come a volerle dire
che sì, si era palesemente accorto che aveva il viso
arrossato dal pianto ma
avrebbe fatto finta di niente per non metterla a disagio. Gliene fu
immensamente
grata e annuì in risposta.
«Hai
bisogno di una mano?»
L’aveva vista
cadere. Strinse i
denti, stizzita, non
voleva compassione. Si rivestì di ghiaccio «No, grazie» e,
piano, si alzò. Quando cercò di appoggiare il
peso sulla gamba destra, però, il
dolore la colpì come una stilettata e con una smorfia,
impossibile da
trattenere, perse nuovamente l’equilibrio.
Una mano si strinse rapida nella sua e un’altra ne
cercò la
schiena per sostenerla: il movimento brusco, però, fece
sì che quella si posasse decisamente
più in basso. Quel contatto rischiò di farla
avvampare, incredibilmente si ritrovò a ringraziare le sue
gote già arrossate.
«Sei
gelida… e fradicia» lo
sentì dire, con voce leggermente incerta. Non appena fu
di nuovo in una posizione stabile, sentì un fruscio e si
ritrovò avvolta dal
suo giaccone, pieno del suo calore e di un buon profumo di
docciaschiuma.
Davvero era rimasto così impassibile a quel che era appena
successo?
Se solo lei avesse trovato il coraggio di alzare lo sguardo
su di lui, si sarebbe accorta che il volto di Jackson stava quasi per
prendere
fuoco poiché il ragazzo, in realtà, aveva dovuto
usare tutta la sua
concentrazione per evitare di stringere quella mano e saggiare meglio
la
morbidezza su cui si era appena posata. Doveva anche smettere di
pensarci prima
di subito, se non voleva rischiare l’insorgere di altri
imbarazzanti segni
rivelatori.
«Ce la
fai a pattinare?»
cercò di cambiare argomento.
Di nuovo la preoccupazione che avvertì nella voce
dell’altro la pungolò nell’orgoglio,
spazzando via con una folata gelida ogni
imbarazzo «Perché
mi stai aiutando?» gli chiese,
portando
improvvisamente lo sguardo tagliente nel suo.
Jackson non si lasciò investire da quella coltre di gelo «Mi
sembra il minimo, visto che è anche colpa mia se sei caduta»
ghignò.
Elsa inarcò le sopracciglia, non capendo.
«Sono un
giocatore di hockey, ho delle vanghe al posto dei pattini, no?» le
spiegò, con un’espressione di sfida.
Grattò un paio di volte la lama sulla
superficie gelida «Il manto
è tutto rovinato»
Eccola,
la faccia da schiaffi ma, inaspettatamente, ne
sorrise. Se n’era ricordato.
Decise
di mettere da parte l’orgoglio «No»
«Ah, no?» si
stupì l’altro «Vuoi forse
dirmi che non calco la pista come un tagliatore
di ghiaccio?»
«No»
ripeté,
mentre anche il suo sguardo si accendeva dalla voglia di vincere quel
confronto
verbale «Voglio dire che
non riesco a pattinare»
Nonostante
avesse ammesso la sua difficoltà, l’espressione
di lui fu talmente trasparente che comprese
di
aver segnato il primo punto.
Jackson sbuffò e ricacciò indietro
quell’improvviso istinto
che aveva avuto di prenderla fra le braccia e portarla, come un
principe, in
salvo sul bordo della pista. Era tremendamente sicuro che non avrebbe
gradito.
Così si mise di fronte a lei e le porse entrambe le mani «Non
caricare il peso sulla gamba, ti trascino io»
Annuì,
improvvisamente povera di parole quando, accettando
il suo aiuto, la pelle calda di lui tornò a contatto con la
sua. Forse, non era poi così
irritante.
Quando, finalmente, entrambi si erano tolti i pattini, Elsa
gli aveva riconsegnato il giubbotto e si era messa il suo.
«Hai un
cambio?» si
informò lui, sinceramente preoccupato per la sua
salute.
«Sì...
»
«Hai
bisogno di aiuto?»
Si
stava davvero offrendo di aiutarla a spogliarsi?
Avvampò.
Notata la sua reazione, lampante su una carnagione così
pallida, Jackson la seguì a ruota «Ehi,
aspetta… io non mi stavo
offrendo di… sì, insomma, volevo sapere se avevi
bisogno che chiamassi qualcuno»
Era
davvero carino quando era in imbarazzo «Ce la
faccio» lo
rassicurò.
«Posso
aspettarti?» le chiese di
colpo, forse ancora prima di aver
effettivamente compreso quel che aveva appena detto.
«E’
una
scusa per cercare di sbirciare?»
celiò, divertita.
La regina dei ghiacci gli aveva appena rivolto una battuta maliziosa,
sul serio? Forse, non era poi così
altezzosa.
«Non
voglio rischiare di essere decapitato da una lama
di un pattino volante» le rispose,
sarcastico.
Elsa sghignazzò
appena, portando una mano semichiusa
a coprire la bocca e lui non
poté fare a
meno di pensare, nuovamente, che fosse bellissima ma, questa volta,
l’aspetto
fisico era l’ultimo dei suoi pensieri.
«Allora
ti aspetto qui»
affermò risoluto, prendendo posto su una delle panche «Ci
prendiamo una cioccolata calda?»
Lei
amava la cioccolata e, forse, non
solo quella «Sì»
Si
avviò, zoppicando leggermente, verso lo
spogliatoio ma,
arrivata davanti alla porta, si bloccò e
riportò l’attenzione sul ragazzo seduto ad
aspettarla «Grazie, Jackson»
Le labbra di lui si
distesero in un tenero sorriso
«Chiamami Jack»
Grazie per aver letto questa
nuova shot.
Per la storia in corso, purtroppo, è stato un Dicembre di
delirio per cui non sono ancora riuscita a
completare la review del prossimo capitolo (vediamo se queste ferie verranno in mio soccorso), tuttavia ci tenevo a
lasciarvi qualcosa prima della fine dell'anno perciò ecco
questa shot che,
in realtà, è pronta praticamente da un mesetto a
questa
parte ma non ho avuto neanche il tempo per pensare ad un riassunto per
lo specchietto fortuntamente, però, sono arrivati i santi Green Day in
mio
soccorso.
Ma com'è
nato questo mini-racconto?
Ebbene, come se non
ci pensassi da sola, ci si è messa anche MusicDanceRomance
a fomentare la mia fissa su questi due che, con una favolosa fan art di
Elsa pattinatrice in piena spirale Biellman - figura che non poteva
non essere presente in questa shot - ha gentilmente dato il "la" per
questo nuovo trip e ha avuto il piacere - spero - di leggerla in
anteprima. Per cui, this is
for you
<3
Non sono davvero un'esperta di pattinaggio, spero di non aver fatto
troppi casini in merito.
E' anche la prima volta che scrivo di Elsa e Jack adolescenti e
strettamente coetanei, quindi, un sacco di novità ^^
Ho voluto, inoltre,
inserire
un'altra mia grande passione: i cavalli, li amo immensamente da
quando ho scoperto cosa fossero e, nel mio cuore, il sogno nel cassetto
di averne uno un domani non si è ancora spento.
La scelta delle razze
non è
un caso. L'andaluso è un cavallo intelligente e fiero, con
un
andamento nobile ma - allo stesso tempo - è affettuoso, mi
sembrava adatto per Elsa. Il Purosangue Inglese, invece, è
un
po' nervosetto ma coraggioso e affidabile e mi sembrava adatto per Anna
che - se vogliamo rimanere in tema - sa spesso essere matta
come un cavallo.
Se volete vederli,
qui un'immagine di entrambi: Snowball, Chinna.
Al solito, spero che
vi sia piaciuta e se vorrete farmi sapere cosa ne pensate mi farete
davvero felice.
Vi auguro una buon
proseguimento di queste Feste (anche se ben strane).
Alla prossima
Cida
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