storia
Sette anni.
Sette anni erano trascorsi da quella
nefasta notte.
Sette anni da quando
l'Enneacoda era stato liberato dalla sua
prigionia e aveva seminato morte e distruzione a Konoha, falciando
innumerevoli vite.
Sette anni da quando Minato Namikaze e
Kushina Uzumaki erano morti per la salvezza del villaggio e del loro
figlio, nato da poche ore.
Kakashi aveva smesso di tenere il
conto, ma ogni 10 ottobre una plumbea cappa di malinconia scendeva su
Konoha e la commemorazione ai caduti di quel triste giorno richiamava
sulle tombe intere famiglie in lutto che avevano perso qualcuno o,
semplicemente, intendevano onorare il sacrificio di coloro che
avevano tentato di fronteggiare il demone. E allora diventava
impossibile dimenticare quanto tempo fosse passato.
Sette anni.
Era una radiosa giornata primaverile
quella che splendeva sul Villaggio della Foglia. I quattro volti
degli Hokage scolpiti nella parete di roccia incombevano austeri su
Konoha, rischiarati dal sole del mattino che brillava fulgido nel
cielo zaffiro. Una brezza leggera soffiava tra le vie giocando con le
vesti e i capelli delle persone e portando con sé il profumo intenso
e inebriante dei fiori in boccio e dell'erba novella.
Il capitano Kakashi, di rientro
dall'ultima missione, correva saltando da un tetto all'altro con
l'agilità di un felino, puntando dritto alla magione dell'Hokage.
Aveva portato a termine un delicato incarico di spionaggio in un
villaggio confinante e si stava dirigendo dal Terzo per fare rapporto
e aggiornarlo su ciò che aveva scoperto in seguito alle sue
indagini.
Balzava rapido fra le abitazioni e le
botteghe, come se avesse avuto le ali ai piedi: un'ombra appena
percettibile agli occhi di chi si fosse trovato a guardare verso
l'alto.
Non era il caso che i guerrieri ANBU si
facessero vedere per le strade in assetto da combattimento, con tanto
di maschera. La Squadra Speciale incuteva un certo timore tra la
popolazione e la presenza dei suoi esponenti era sempre indicatore di
una qualche grave crisi. Gli ANBU non erano comuni Jonin: vegliavano
su Konoha dalle tenebre, lavorando alacremente dietro le quinte per
la sicurezza del villaggio, protetti dal silenzio e dall'anonimato.
Le loro missioni erano tutte rigorosamente top-secret. Il loro
compito precedeva il clamore dei grandi avvenimenti, poiché
consisteva nell'evitare che questi si verificassero. Agire lesti e
silenziosi nell'oscurità: questa era la legge sovrana della Squadra
Speciale ANBU. Non erano soldatini fatti per essere esposti alla luce
del sole e agli occhi curiosi dei civili.
Kakashi aveva quasi raggiunto
l'edificio sormontato dall'insegna del Paese del Fuoco quando alle
sue orecchie giunse l'inconfondibile fragore di qualcosa che si
rompeva, seguito da uno strillo acuto e dalle imprecazioni di una
donna.
L'attenzione del Jonin venne
inevitabilmente calamitata verso la fonte di quel trambusto, che egli
individuò in una via laterale non molto distante dalla sua
posizione. Attraverso le fessure della sua maschera di porcellana,
Kakashi scorse un gruppetto di persone assembrate intorno a una
tarchiata donna di mezz'età tutta impegnata a inveire contro un
bambino dai capelli biondi. A terra, tra i due, erano sparsi i resti
di quello che doveva essere stato un vaso di terracotta che, cadendo
a terra, doveva aver provocato il baccano di poco prima. Non c'era il
minimo dubbio riguardo a chi fosse il bimbo implicato nell'incidente:
il bagliore aureo dei suoi capelli che catturavano i raggi del sole e
il fatto che qualcuno lo stesse sgridando con quell'impeto erano
indizi più che sufficienti per risalire alla sua identità.
Colto di sorpresa da un impulso
irrazionale, il Jonin interruppe la sua corsa e deviò verso un tetto
che si affacciava proprio su quella stradina, dopodiché si accucciò
dietro l'insegna di un locale per seguire più da vicino la scena.
- Non fai che combinare guai! - stava
gridando la donna, paonazza in volto e gesticolando come un'ossessa.
- Quel vaso che hai rotto valeva una fortuna. E adesso chi mi ripaga,
eh?! -
Il bambino si guardava la punta delle
scarpe e Kakashi riuscì a sentirlo mormorare qualche parola di
giustificazione.
- Sai che me ne faccio delle tue scuse!
E non sono neanche convinta che tu non l'abbia fatto apposta: lo
sanno tutti che ti piace fare dispetti e creare disordine. -
Punto sul vivo, il bambino serrò i
piccoli pugni tremanti e sollevò lo sguardo verso la negoziante.
Kakashi rimase colpito dal fuoco che ardeva in quelle iridi celesti,
nonostante due grossi lacrimoni avessero preso a scorrergli lungo le
guance. Anche la donna dovette subire l'effetto a onda d'urto di
quell'occhiata e indietreggiò istintivamente, portando una mano in
avanti come a volersi proteggere da una minaccia invisibile.
- Un giorno vi farò vedere io! - gridò
il piccolo prima di voltarsi e correre via.
Kakashi seguì la figura del bambino
finché egli non girò l'angolo, svanendo alla sua vista. Aveva
sentito parlare della diffidenza e del sospetto che gli abitanti di
Konoha nutrivano verso il figlio orfano del Quarto Hokage, ma non gli
era mai capitato di assistere di persona alla manifestazione pubblica
di quei sentimenti.
Naruto Uzumaki si era guadagnato la
fama di bambino pestifero, impetuoso, sempre intento a fare scherzi e
marachelle che portavano all'esasperazione la gente del villaggio, ma
la fierezza mista a rabbia che aveva letto nello sguardo
fiammeggiante che il piccolo aveva rivolto alla sua accusatrice lo
aveva davvero impressionato. Era come osservare due pezzi di cielo
durante una pioggia di scintille. Eppure in esso non vi era traccia
di odio, né di quella rancorosa, naturale volontà di fare del male
a chi ne arreca gratuitamente a noi. C'era la voglia di riscatto,
certo; c'era il senso di profonda ingiustizia avvertito dal bambino;
frustrazione,orgoglio ferito... ma odio, no. Neanche una singola
particella. E questo era senz'altro un segnale positivo.
Kakashi si alzò e riprese il tragitto
verso l'ufficio dell'Hokage, senza però riuscire a togliersi dalla
mente quei dardeggianti occhi azzurri. Gli stessi del suo vecchio
maestro.
- Molto bene, Kakashi. Hai svolto un
lavoro esemplare, come al solito. -
Inginocchiato di fronte alla scrivania
dell'Hokage, Kakashi chinò rispettosamente il capo.
Hiruzen Sarutobi diede un'ultima scorsa
al rotolo che teneva tra le mani. - Le tue informazioni ci saranno
molto utili per preservare la pace nel villaggio. Per il momento non
ho altre missioni da assegnarti. Puoi andare. -
- Sissignore. -
Il Jonin si alzò e fece un inchino ma
si trattenne un secondo di troppo che non passò inosservato
all'Hokage. - C'è qualcosa che ti preoccupa? - domandò, sollevando
un sopracciglio brizzolato.
Kakashi si diede dello stupido per
quell'esitazione ma alla fine decise che, a quel punto, tanto valeva
essere sincero e vuotare il sacco.
- Mentre venivo qui, ho visto il figlio
del Quarto Hokage. - confessò, cercando di usare un tono che
suonasse il più possibile neutro.
Il suo superiore congiunse le mani
davanti al volto e annuì, invitandolo tacitamente a proseguire.
- Lo stavano sgridando. - spiegò
Kakashi. - Pare che avesse rotto un vaso. -
Il Terzo Hokage esalò un sospiro
stanco. - Non mi sorprende. Ci sono molte persone nel villaggio che
non vedono di buon occhio quel bambino a causa di quello che è e
della sua intemperanza. Non hai la minima idea di quante lamentele io
riceva ogni giorno, e più Naruto cresce, più la situazione
precipita. -
Kakashi non disse nulla ma il lampo
ceruleo dello sguardo del bambino tornò a balenargli con prepotenza
nella mente.
- Ma dimmi, - continuò il Professore.
- per quale motivo sei interessato a quel ragazzino? Di norma, non
sei il tipo che si lascia andare ai sentimentalismi. -
Il Jonin sentì un fastidioso calore
salirgli alle gote nascoste dietro la maschera. Si strinse nelle
spalle, sperando di risultare convincente e distaccato. - Non è
niente, signore. Davvero. Solo, mi preoccupa l'idea che possano
sorgere dei disordini. - Una scusa più debole non potevi proprio
trovarla.
- Mmm. -
L'Hokage lo fissò per qualche istante,
dopodiché tornò a concentrare la propria attenzione sui documenti
che aveva davanti a sé, radunandoli con calma.
- Non darti pensiero. La gente è solo
spaventata dal fatto che lo spirito della Volpe sia stato sigillato
nel corpo di Naruto e il suo comportamento provocatorio non aiuta
certo a migliorare l'opinione negativa che molti hanno di lui. - fece
una pausa e piegò le labbra in un vago sorriso. - Ma ho avuto modo
di verificare di persona che quel bambino ha un cuore buono e gentile
e ritengo che le sue azioni da discolo non siano altro che una goffa
richiesta di attenzioni. -
Kakashi non si aspettava che l'Hokage
gli parlasse così a cuore aperto. Tuttavia, sapere che il
capovillaggio vigilava sul figlio di Minato lo rassicurò
notevolmente.
- Capisco. - rispose laconico.
Il Professore mise da parte la
documentazione e tornò a guardare il capitano della Squadra
Speciale. - Se non c'è altro, vai pure, Kakashi. Ti manderò a
chiamare quando avrò un nuovo incarico per te. -
L'ANBU si inchinò di nuovo e uscì
dall'ufficio, tornando a darsi dell'idiota per aver ceduto alla
debolezza delle emozioni che la vista del piccolo Naruto gli aveva
suscitato.
Passò qualche giorno senza che il
terzo Hokage si mettesse in contatto con lui per assegnargli nuove
missioni.
Kakashi non amava quei periodi di
inattività prolungata: la Squadra Speciale era ormai divenuta il
centro della sua esistenza e quando si ritrovava a dover fare i conti
con il flusso lento e piatto della quotidianità civile tendeva a
diventare insofferente.
Non era un bene avere tanto tempo
libero a disposizione: si creavano troppi vuoti che si tramutavano in
una breccia per ricordi dolorosi; vecchie ferite ancora aperte
riprendevano a sanguinare, infettandosi e avvelenando i suoi giorni e
le sue notti. Le missioni erano l'antidoto ideale a quella condizione
ma quando venivano a mancare, Kakashi avvertiva le dita gelide del
passato tornare a stringersi intorno alla sua gola.
Una mattina, il Jonin si recò, come di
consueto, a far visita alle tombe dei suoi vecchi compagni di
squadra. Sulla strada del ritorno intersecò la via principale che
attraversava il villaggio e una testolina bionda ferma accanto a un
chiosco di dolciumi attirò il suo sguardo.
Ma guarda un po' chi si rivede.
Il piccolo Naruto Uzumaki fissava con
occhi grandi di desiderio una teglia di fragranti mochi. L'uomo del
chiosco stava servendo un cliente che teneva per mano il figlioletto.
Quest'ultimo fece un gran sorriso quando il padre gli mise tra le
manine uno spiedino di succulenti dango dall'aspetto delizioso. La
coppia ringraziò il venditore e si allontanò ridendo
spensieratamente e gustandosi gli gnocchi di riso. Kakashi calcolò
che quel bimbo dovesse essere poco più giovane di Naruto il quale,
in disparte, osservava la scena come incantato mentre un velo di
tristezza intorpidiva il suo sguardo limpido.
L'uomo si concesse qualche secondo per
osservare da vicino il figlio del suo maestro: insieme all'azzurro
profondo, quasi blu, delle iridi, Naruto aveva ereditato dal padre
anche la stessa capigliatura dorata e ribelle. Kakashi riconobbe
qualcosa di Minato anche nel modo in cui il piccolo si guardava
intorno: attento, completamente assorbito da ciò che catturava il
suo interesse.
Un moto di nostalgia assalì il Jonin
che, almeno per una volta, non oppose resistenza. Rivedere il proprio
maestro nei tratti di quel bambino era una sensazione agrodolce, di
natura differente dalla tristezza vera e propria, come se una parte
di Minato fosse ancora viva e gli stesse facendo l'occhiolino.
Nel frattempo altri clienti si erano
radunati intorno alla bancarella, vociando allegramente e indicando
al venditore i prodotti che intendevano comprare.
Naruto venne travolto dagli aromi
squisiti dei dolci che sfilavano davanti a lui e sentì l'acquolina
affacciarsi al palato. Affondò una mano nella tasca dei pantaloni e
contò i pochi spiccioli in suo possesso con un'espressione
concentrata. Ma quando controllò il cartellino del prezzo posto
accanto al vassoio dei mochi scoprì di non avere denaro a
sufficienza per poterseli permettere. Una rassegnata delusione gli si
dipinse sul visetto.
Kakashi continuava a studiarlo con
curiosità, in attesa di scoprire quale sarebbe stata la sua prossima
mossa. Avrebbe cercato di persuadere il venditore ad abbassare il
prezzo?
Tuttavia, il bimbo non sembrava
intenzionato a tentare la sorte. Invece girò sui tacchi, in procinto
di andarsene. Ma non aveva mosso che pochi passi quando un parlottio
inquieto lo raggiunse alle spalle, gelandolo sul posto come una
statua di ghiaccio.
- Ehi, ma quello non è... ? -
- Sì, è proprio lui. -
- Ho sentito che l'altro giorno ha
rotto uno dei vasi del negozio qui accanto. -
- Non capisco per quale motivo l'Hokage
gli permetta di andarsene in giro liberamente. -
- Sono d'accordo. Con quello che si
porta dentro, è un pericolo per tutti noi. -
- Dovrebbe stare in prigione, o
comunque sotto stretta sorveglianza. -
Naruto serrò la mascella, fece
dietrofront e si parò dinanzi al gruppetto.
- Adesso basta! State tutti zitti! -
gridò con quanto fiato aveva in corpo. La piccola folla ammutolì
all'istante, percorsa da una scarica di timore. Una pioggia di
occhiate guardinghe si riversò sul bimbo. Un paio di genitori
arrivarono perfino a spingere i figli dietro di sé, quasi temessero
un'aggressione.
- Io mi chiamo Naruto Uzumaki. Cercate
di ricordarvelo bene perché quando sarò grande diventerò Hokage e
voi dovrete portarmi rispetto! -
Il bambino se ne andò via correndo,
lasciando il gruppo attonito e turbato da quella veemenza. Dopo
qualche altro commento indignato, il capannello si disperse.
Kakashi era rimasto dall'altro lato
della strada e non si era perso un solo attimo della scena.
Quella stessa sera, una sottile falce
di luna adornava un cielo trapuntato di stelle. Solo qualche nube
passeggera in arrivo da ovest si interponeva tra lo scintillio
d'argento degli astri che vegliavano silenti su Konoha.
Nella quiete notturna, una figura
incappucciata avvolta in un mantello se ne stava accovacciata sul
ramo di un grande albero, celata tra le fronde, e teneva lo sguardo
puntato su una coppia di finestre illuminate.
Kakashi sospirò. Ma che accidenti
ci faccio qui? Fare da balia al figlio del Maestro Minato. Cosa mi è
saltato in mente?
Tastò
con una mano il sacchetto di carta che aveva riposto in una tasca
interna del mantello e una volta di più si ritrovò a scuotere la
testa e a rievocare le parole che l'Hokage gli aveva rivolto in
occasione del loro ultimo colloquio: Di norma, non sei il
tipo che si lascia andare ai sentimentalismi.
Era vero. Kakashi
era un maestro nell'arte del dominio delle emozioni. Si trattava di
un'abilità temprata da anni di esperienza sul campo, acquisita ad un
costo spesso molto elevato. Il suo posto di capitano all'interno
della divisione ANBU si accordava alla perfezione con quel tratto del
suo carattere e l'emotività era ormai stata relegata a un ruolo
marginale nella vita del Jonin: per lo più un ostacolo al successo
delle missioni, nonché una fonte inesauribile di tormento.
Eppure quella sera
Kakashi era lì: appostato davanti alla casa di Naruto, con un
pacchetto di mochi appena comprati.
Stava considerando
l'idea di tornare sui suoi passi e andarsene a casa quando il bambino
entrò nel suo campo visivo. Naruto oltrepassò il lavandino ingombro
di piatti da lavare e raggiunse il frigorifero dal quale prese alcuni
avanzi e un cartone di latte che dispose sul tavolo; fece scaldare le
pietanze in un fornetto elettrico e si arrampicò sulla sedia, pronto
a consumare la sua cena solitaria. Aprì la confezione del latte e se
ne versò un bicchiere prima di iniziare a mangiare con lo sguardo
perso nel vuoto.
In quel momento,
un'altra immagine si presentò senza invito alla coscienza di
Kakashi, sovrapponendosi come una lente a quella che si stava
svolgendo davanti a sé: l'immagine di un ragazzino dai capelli
d'argento poco più grande di Naruto, intento a sfilettare e cuocere
un pesce pescato con le sue mani sui fornelli di una cucina
silenziosa. Troppo silenziosa.
Era un mondo duro,
quello in cui vivevano. Gli orfani dovevano imparare a cavarsela da
soli e a provvedere a se stessi alla svelta. I giochi e gli svaghi
trovavano poco spazio nelle vite di quei bambini che ogni giorno
dovevano lottare per non essere lasciati indietro, per emergere
dall'oblio ed essere riconosciuti degni della propria stessa
esistenza in un sistema in cui il lignaggio e le gesta dei genitori,
specie se defunti, pesavano non poco sulla definizione dell'identità
dei figli.
Kakashi ci era
riuscito grazie alle sue straordinarie abilità nelle arti ninja e
all'intelligenza che lo aveva contraddistinto fin dalla più tenera
età. Non avrebbe mai potuto cancellare l'onta del gesto di Sakumo,
ma le sue doti l'avevano portato a riscattarsi dalla colpa del padre
e a lasciarsi alle spalle la vergogna di Zanna Bianca. Il figlio
dell'eroe disonorato e rinnegato aveva raggiunto la vetta nonostante
l'ombra del genitore.
La situazione di
Naruto era, in un certo senso, speculare: figlio di due eroi la cui
fama oltrepassava i confini del villaggio, non appariva
particolarmente versato in nessun campo che esulasse dal mettersi nei
guai e attirarsi le ire degli abitanti di Konoha. Aveva eletto gli
scherzi e i dispetti a mezzo privilegiato tramite il quale affermare
il proprio diritto all'esistenza. Perché essere additato come un
monello, essere guardato storto, era comunque meglio che essere
invisibile.
Ma al calare della
sera, quando il piccolo si ritrovava da solo in quella specie di tana
disordinata, a mettere insieme una misera cena fatta di avanzi che
avrebbe sorbito in compagnia di assenze incolmabili, allora sì che
la tremenda sensazione dell'invisibilità, dell'inesistenza prendeva
corpo.
Kakashi si sentì
invadere da una pena infinita per quell'esserino che, nel breve corso
della sua vita fino a quel momento, non aveva conosciuto altro che
solitudine e rifiuto. Si sorprese a distogliere lo sguardo, incapace
di sostenere oltre quella visione che riportava a galla relitti di
una vita passata che, anche dopo tutti quegli anni, conservavano
intatta la capacità di infliggergli brucianti stilettate allo
sterno.
Dopotutto, sembra che io non sia
ancora riuscito a liberarmi del tuo fantasma, padre.
Ecco a cosa portavano gli stop alle
missioni: l'irriducibile Capitano degli ANBU si faceva indietro per
lasciar riapparire Kakashi Hatake, l'orfano del suicida caduto in
disgrazia; il leader che, alla sua prima missione ufficiale, aveva
lasciato morire il suo migliore amico; lo shinobi che aveva ucciso la
propria compagna.
Era troppo. Doveva andarsene. Doveva
mettere quanta più distanza possibile da quel bambino così simile
al padre che non avrebbe mai conosciuto e che stava involontariamente
spalancando un varco che non poteva, non doveva, riaprirsi per
nessuna ragione. Venire fin lì era stato un grosso errore e Kakashi
giurò a se stesso che non si sarebbe più avvicinato all'orfano del
Maestro Minato. Ma prima, aveva ancora una cosa da fare...
Con uno scatto fulmineo, il Jonin balzò
fuori dal proprio nascondiglio e atterrò di fronte alla porta della
casa, abbandonò sullo zerbino il sacchetto di carta e premette il
tasto del campanello prima di scomparire di nuovo nell'ombra.
Non sarebbe rimasto a godersi il premio
della reazione del bambino: per quel giorno, aveva già concesso
abbastanza margine alla pericolosa anarchia delle emozioni e dei
ricordi.
Naruto sentì trillare il campanello e
abbandonò le bacchette sul piatto quasi vuoto, indirizzando
un'occhiata perplessa all'ingresso. Chi poteva essere? Nessuno veniva
mai a trovarlo a parte quel vecchietto un po' strambo che ogni mese
gli lasciava i soldi per la spesa.
Un brivido freddo gli percorse la
schiena. E se fossero venuti a prenderlo per arrestarlo? Quel
pomeriggio non aveva forse sentito dire che sarebbe dovuto stare in
prigione?
Il bambino deglutì la saliva e si alzò
dalla sedia. Raggiunse l'uscio e allungò una mano verso il pomello
scrostato con il cuore in gola.
Quando aprì, non trovò nessuno sulla
soglia e una parte di lui si rilassò: allora non erano venuti per
portarlo in prigione. Tuttavia, insieme al sollievo, non poté non
percepire anche una punta di delusione per quel falso allarme,
sensazioni che mutarono di colpo in un genuino stupore quando abbassò
gli occhi e si accorse del pacchetto che giaceva a terra.
Di primo acchito, Naruto aggrottò la
fronte e studiò l'oggetto con circospezione. Si affacciò alla porta
guardando a destra e a sinistra per capire se qualcuno potesse averlo
perso mentre passava di lì, ma non c'era anima viva nei dintorni,
inoltre chiunque avesse abbandonato quell'involto davanti alla sua
porta, doveva essere la stessa persona che aveva suonato il
campanello.
Il bambino si accucciò e si mise a
trafficare con la carta quando lo investì una nuvola di profumo
zuccheroso. Sull'onda dell'eccitazione, le piccole dita di Naruto
presero a lavorare più in fretta con i lembi del sacchetto e la sua
sorpresa fu indescrivibile quando si ritrovò tra le mani una scatola
di mochi color pastello tondi e bombati.
Un sorriso incredulo si allargò sul
suo viso mentre una gioia inaspettata e traboccante gli si schiudeva
nel petto come un fiore di maggio.
Naruto rimase qualche istante a cullare
con gli occhi il dono misterioso, poi, prima di rientrare in casa
pregustandone il sapore, alzò lo sguardo verso la volta stellata del
cielo, inspirò a pieni polmoni e lanciò un sonoro “Grazie!”.
A chi? Non ne aveva la più pallida
idea, ma sperava davvero che il suo ringraziamento fosse giunto a
destinazione.
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