♪ ♫ Sinfonie
d’istanti ♫ ♪
Devo dire che seguo
molto i critici quando si occupano di me [...]
La cosa che ricordo
più di tutte fu quando Giorgio Bocca, in quel famoso "Fantastico",
disse che ero un cretino di talento [...]
Il fatto è che io
sono sicuro di aver talento, ma adesso ho anche il dubbio di essere un po'
cretino.
[Adriano Celentano]
La prima volta che Mike udì quella voce fu per puro caso.
Stava vivendo un momento di transizione creativa – uno dei
tanti – e stava imparando a destreggiarsi con una lingua che non era la sua.
Poi quella voce l’aveva attirato, e con essa i suoi timpani
avevano percepito un suono che sapeva di vecchie canzoni e di ricordi lontani.
Era una sinfonia emozionale quella che gracchiava dagli
altoparlanti dello stereo che aveva trovato nella camera dell’appartamento;
aveva dedicato i venti minuti precedenti a pulirlo e capire come accenderlo, ma
quando finalmente l’aveva messo in funzione la sua vita aveva subito uno
scossone.
Tutto era cambiato non appena quella voce l’aveva sorpreso e
rapito. Mike si era seduto sul pavimento accanto all’enorme radio e aveva
lasciato che la musica gli permeasse le orecchie, il cervello, il cuore.
Il segnale era disturbato e l’audio pessimo, tuttavia il
cantante americano ascoltava senza curarsi di quei dettagli.
Le parole non riusciva ad afferrarle del tutto, il testo era
in italiano e lui era ancora un principiante; tuttavia, bastava quel timbro
profondo e caldo a catturare completamente la sua attenzione.
Chissà chi sta cantando, pensò con un misto di
emozioni indescrivibili a gonfiargli il petto.
Poi il brano si concluse e uno speaker cominciò a parlare
con fare concitato ed entusiasta.
Mike si concentrò per comprendere il maggior numero di
parole possibile, ma fu solamente in grado di afferrare alcuni vocaboli: ragazzo,
via, Adriano.
Forse poteva bastargli per scoprire chi sarebbe divenuto il
suo nuovo idolo.
Udì per la seconda volta quella voce mentre si aggirava per
un negozio di dischi.
L’atmosfera era ermetica, pareva quasi di trovarsi in un
altro mondo, un luogo dove esisteva solamente la musica, la polvere sulle
custodie e quell’odore di antico e misterioso che tanto gli piaceva.
A quel punto Mike ebbe la prontezza d’animo di avvicinarsi
al bancone – il cuore in subbuglio per l’emozione che stava provando – e
rivolgersi al commesso.
«Chi canta?» riuscì ad articolare in un italiano stentato.
L’uomo alzò il capo e gli sorrise. «È Celentano. Ti piace?»
Mike annuì senza esitazioni. «Buono» replicò.
Il commesso gli rivolse un altro sorriso. «Sì, è bravo. Ha
fatto la storia della musica italiana!»
Il cantante americano si guardò attorno, poi tornò a fissare
il suo interlocutore. «Hai… CD?» domandò, pronunciando l’ultima parola in
inglese.
«CD di Celentano? Certo, ho diverse raccolte di successi,
qualche album…» cominciò a elencare il commesso, circumnavigando il bancone per
poi immergersi tra le corsie del negozio.
Intanto la canzone continuava a permeare l’aria,
accompagnando i movimenti dei due uomini tra ombre e luci soffuse.
«Come si chiama quella?» domandò Mike.
L’altro si fermò di fronte a uno scaffale e alzò gli occhi
scuri su di lui, mostrandosi leggermente confuso. «Quale?»
«La canzone» farfugliò l’americano, sorridendo con lieve
imbarazzo.
«Ah, scusami! Questa è Azzurro. Si chiama così.»
Mike rise. «Ho detto quella… scusa tu…»
«Ma non preoccuparti! Parli bene l’italiano, sei qui da
molto?» volle sapere il commesso, recuperando alcune custodie da un ripiano in
basso.
«Da molto?»
«In Italia. A Bologna. Quando sei arrivato?» aggiunse
l’altro, tornando verso il bancone per depositarvi i dischi.
Mike lo seguì e annuì. «A Bologna da due… no, tre… mese»
spiegò un po’ a fatica.
L’altro gli sorrise e gli mostrò i compact disc che aveva
recuperato. «C’è il Superbest uscito alcuni mesi fa. Qui trovi tutti i
grandi successi.»
«E questa?» chiese Mike, mentre le ultime note di Azzurro
sfumavano in sottofondo.
«Vediamo…» L’altro girò la custodia e scorse velocemente i
titoli. «Sì, c’è.» La porse a Mike e gli sorrise cordiale.
Il cantante americano scrutò con attenzione il disco che gli
era appena stato proposto e annuì, decidendo di comprarlo senza pensarci due
volte. Quella voce gli aveva rubato l’anima e voleva risentirla, comprenderla,
assimilare le parole di quei brani che sembravano d’altri tempi ma che gli
davano l’impressione di essere attuali, capaci di intrappolare chiunque nella
loro magia.
Una voce femminile cominciò a intonare una melodia dagli
altoparlanti, ma ormai Mike non prestava più attenzione alla musica in
sottofondo. In realtà avrebbe voluto comprare tutto quello che stazionava sul
banco di fronte a sé, tuttavia decise di darsi un contegno.
Almeno per il momento.
Utilizzò un vocabolario per aiutarsi con alcuni termini – lo
aveva comprato in aeroporto non appena era sbarcato in Italia – e cominciò a
spulciare i testi presenti all’interno del libretto del disco.
Scoprì che la prima canzone che aveva sentito alla radio si
intitolava Il ragazzo della via Gluck.
Era intensa in tutta la sua interezza: il testo, l’interpretazione,
il timbro sempre caldo e profondo che carezzava i timpani e raccontava storie
di tutti i giorni.
Presto Mike comprese che in quei brani – in ognuno di essi –
si nascondevano sinfonie d’istanti che appartenevano alla quotidianità
di chiunque.
Gli era facile immaginare gli scenari descritti, come stesse
leggendo un libro o guardando un film in bianco e nero.
Ascoltava Il ragazzo della via Gluck e l’assimilava
come fosse sua; si esercitava a pronunciarne le parole, a dirle in maniera
chiara e limpida, come dovesse farle comprendere a un grande pubblico presente
di fronte a sé.
Era abituato a esibirsi davanti a folle pazzesche, aveva
appena concluso un grande tour mondiale con i Faith No More e aveva suonato
insieme a band molto famose e popolari.
Il pubblico era il suo pane quotidiano, anche se doveva
ammettere che preferiva chiudersi in una stanza e comporre, lavorare,
esercitarsi e spingere la sua voce oltre i limiti.
In quel momento stava sperimentando una lingua diversa per
intonare e articolare la musica: l’italiano aveva tantissime vocali alla fine
delle parole e le consonanti erano molto più accentuate rispetto all’inglese a
cui era avvezzo.
Era divertente, elettrizzante, emozionante. Era qualcosa che
non poteva né sapeva descrivere a parole: non riusciva a catalogare le
sensazioni che quella musica gli stava trasmettendo.
E, canzone dopo canzone, nota dopo nota, Adriano Celentano
stava prendendo sempre più spazio all’interno dei suoi pensieri.
Si concentrò sulle parole e provò a intonarle.
Questa è la storia
di uno di noi
Anche lui nato per
caso in via Gluck
In una casa fuori
città
Gente tranquilla
che lavorava
Là dove c'era
l'erba ora c'è una città
E quella casa in
mezzo al verde ormai
Dove sarà?
Ma poco dopo la sua mente già vagava e si perdeva tra le
pieghe di quella bellissima storia.
Gli sembrava di farne parte, di essere anche lui amico di
quei ragazzi di campagna che si erano visti asfaltare prati e sogni.
Quasi gli vennero le lacrime agli occhi quando avvertì
l’amarezza farsi strada nel suo petto e gonfiarlo di malinconia.
Aveva smesso di cantare e seguiva per l’ennesima volta il
dialogo tra i due giovani che si confrontavano su pregi e difetti della vita di
campagna.
E per l’ennesima volta sentì le sue radici richiamarlo, come
se improvvisamente la cittadina dov’era nato – nel Nord della California – gli
mancasse più dell’aria che respirava.
Era vero che Eureka aveva tanti difetti, ma anche lui – come
il ragazzo della via Gluck – apparteneva a quel luogo perché vi era nato; a
Eureka erano radicati ricordi d’infanzia, momenti di follia con Trevor e Trey,
addirittura i suoi primi passi nella musica.
Anche lui ormai viveva tra San Francisco e Bologna, aveva
lasciato da tempo la sua città natale e poteva comprendere come si sentiva quel
giovane che, nella canzone, piangeva e rimpiangeva di dover rinunciare alle sue
origini: le corse a piedi nudi sui prati, il fischio di un treno, l’aria pulita
che sapeva di vita e spensieratezza.
Mike si chiese come potesse una semplice storia di vita
quotidiana colpirlo così a fondo, intrappolarlo fin quasi a togliergli il
respiro.
Se lo chiese mentre sorrideva.
Se lo chiese mentre una gemma salata scivolava sulla sua
guancia.
Non aveva bisogno di nascondere le proprie emozioni, non
quando era la musica a farlo vibrare e respirare in quel modo.
Non riusciva a dormire. Il vento turbinava fuori dalla
finestra e il suo animo era agitato.
Forse il caffè in Italia era più forte di quello che beveva
di solito – o forse si sentiva frustrato perché non era riuscito a comporre
qualcosa che lo soddisfacesse durante la giornata.
Si alzò e raggiunse lo stereo. Dentro, con molta
probabilità, era ancora inserito il disco di Celentano che aveva comprato al
negozio qualche giorno prima.
La voce di quell’uomo era capace di calmarlo, d’ispirarlo,
di dargli fiducia in se stesso.
Mise in play e si sedette al tavolo della cucina, gli
occhi scuri sgranati e affamati di qualcosa d’ignoto.
Ascoltò con interesse i brani che conosceva meglio, poi
improvvisamente il cuore sobbalzò nel suo petto quando giunse il momento di Storia
d’amore.
Era una canzone tumultuosa, intensa, che parlava di un
matrimonio sbagliato e di emozioni impetuose. Di un sentimento che scorreva
nelle vene senza controllo, di un tradimento inevitabile, di una passione
irrefrenabile.
Mike si chinò in avanti e incrociò le mani sul piano in
legno, gli occhi sgranati e i lineamenti marcati contratti per la
concentrazione.
Era notte fonda e lui avrebbe dovuto riposare, tuttavia
preferiva immergersi in quelle note e dimenticarsi tutto il resto.
Un giorno io vidi
lei
Entrar nella mia stanza
Mi guardava
Silenziosa
Aspettava un sì da
me
Dal letto io mi
alzai
E tutta la guardai
Sembrava un angelo
Mi stringeva sul
suo corpo
Mi donava la sua
bocca
Mi diceva sono tua
Ma di pietra io
restai
Poteva immaginare perfettamente i frammenti di quell’amore
travolgente, gli sembrava quasi di scorgere una donna bellissima che si rendeva
conto di aver sposato l’uomo sbagliato e cercava di porre rimedio.
Erano immagini vivide, luminose – dolorose.
Mike si portò istintivamente una mano al cuore e continuò ad
ascoltare, assimilando ogni suono e rendendolo parte di sé.
Avvertiva la sofferenza degli errori commessi dalla donna,
il peso dei suoi sbagli gravargli sulle spalle. Era una figura quasi angelica
che, però, desiderava condividere una passione carnale con l’uomo che realmente
le aveva rubato il cuore. Anche se non era ricco, anche se questo significava
tradire suo marito.
Mike non era solito commuoversi per canzoni d’amore, ma
quella non era una canzone d’amore qualsiasi.
Quella lo faceva palpitare fin nel profondo, complice la
voce di Celentano che rendeva ogni sillaba intensa e intrisa di emozione.
Giunse alla fine del brano con gli occhi che bruciavano e la
testa piena di idee che non sapeva come sviluppare.
Come al solito, quella voce aveva instillato in lui la
voglia di mettersi in gioco, ma allo stesso tempo lo stava facendo sentire
inadeguato: aveva l’impressione che lui non sarebbe mai riuscito a essere tanto
grande, tanto profondo, tanto emozionante.
Nessuno sarebbe mai stato come quell’uomo che nemmeno
conosceva.
Inizialmente non riuscì a cogliere l’importanza di un brano
come Il tempo se ne va.
Si domandava quale fosse il suo significato e cosa volesse
comunicare quel brano così bello.
Si sistemò meglio sulla poltrona e seguì il testo con gli
occhi, mentre la voce di quell’uomo lo emozionava e gli accarezzava i timpani.
Infine l’aveva compresa, aveva afferrato la sua profondità e
le sue radici.
I pensieri gli si erano annebbiati quando aveva capito che
era il canto di un padre nei confronti della figlia, un padre che si era
accorto che la sua bambina era cresciuta troppo in fretta.
Mike non era padre e non sapeva se lo sarebbe mai stato,
però – come sempre accadeva – quella voce riuscì a fargli immaginare emozioni,
sensazioni e momenti di una vita che non gli apparteneva affatto.
Gli sembrava quasi di percepire le preoccupazioni di quel
padre che osservava con occhi nuovi i gesti della figlia quattordicenne; gli
pareva di essere lui quell’uomo pieno d’ansia e orgoglio, colmo di gioia e
apprensione per una creatura che aveva il suo stesso sangue nelle vene.
Si ritrovò ancora una volta immerso, avviluppato, avvinto da
un istante che non era suo.
Quella voce creava melodie e grovigli di emozioni che lo intrappolavano,
sinfonie capaci di raccontare storie in cui chiunque poteva rivedersi e farle
conoscere a chi non ci era mai passato.
Farsi donna è più
che normale
Ma una figlia è
una cosa speciale
Il ragazzo magari
ce l'hai
Qualche volta hai
già pianto per lui
La gonna un po'
più corta e poi
Malizia in certi
gesti tuoi
E tra poco la sera
uscirai
Quelle sere non
dormirò mai
Davanti ai suoi occhi scuri e ardenti, Mike vedeva sfilare
una giovane ragazza dalle forme un po’ acerbe. Se la figurava compiere gesti
apparentemente casuali che nascondevano malizia e voglia di libertà, indossare
abiti che ne risaltavano le rotondità appena accennate e stendere trucco su un
viso fresco e imperfetto.
Era una bambina, certo, ma era anche una donna.
Riusciva a percepire sulla propria pelle il dualismo di
quella creatura – in quell’istante le sue iridi erano quelle del padre di lei,
così come il suo cuore traboccante d’apprensione e le mani che sudavano appena
al pensiero di cosa le sarebbe potuto succedere se si fosse affacciata al mondo
senza che lui potesse proteggerla.
Mike si sentiva genitore anche se non lo era, e – ancora – il
merito era di quella voce.
Non bastavano soltanto i testi a commuoverlo – nonostante
accadesse, non poteva negarlo; no, era quel timbro ormai familiare a
sconvolgerlo e stravolgerlo.
Ogni nota era un sussulto, ogni sillaba un battito perduto,
ogni suono un dolce pugno nello stomaco.
Era raro che qualcuno fosse in grado di toccare in quel modo
le corde più profonde del suo animo.
In poco tempo, Mike si procurò altri dischi di Celentano e
scoprì che possedeva un’etichetta discografica.
Perfino il Superbest che aveva acquistato in
quell’ermetico negozio di Bologna – pur trattandosi di una raccolta – risultava
prodotto dal Clan Celentano.
Era stata una bella notizia, perché questo significava che
quell’uomo – quella voce – si era cercato un suo spazio e forse l’aveva
trovato.
Aveva seguito se stesso e ciò che voleva, proprio come stava
tentando di fare lo stesso Mike.
Un pomeriggio si sentiva particolarmente allegro e decise di
ascoltare Azzurro.
Pensare che quella canzone fosse stata un tormentone di
enorme successo lo faceva sorridere. Non che a lui importasse quanti anni
avesse un brano o se per qualcun altro poteva risultare vecchio, ma il
sound era decisamente datato e se ne percepiva l’essenza d’altri tempi.
Eppure, Mike percepiva anche il suo essere intramontabile e
radicata nei cuori di chiunque – così come nel suo.
Tutti ne conoscevano il ritornello a memoria e, in molti
casi, anche qualche strofa.
Quell’insieme di melodie e parole leggere era la prova che quella voce aveva raggiunto ancora una volta il suo obiettivo; si era insinuata
nell’anima degli ascoltatori senza abbandonarla mai più, scorrendo perfino
nelle orecchie e tra le labbra di chi non voleva saperne di musica.
Mike sorrideva e
pensava che soltanto un grande uomo potesse rendere speciale qualcosa di tanto
banale.
Senza mai risultare
scontato e perdere il suo fascino.
Cerco l'estate tutto l'anno e all'improvviso eccola qua
Lei è partita per le spiagge e sono solo quassù in città
Sento fischiare sopra i tetti un aeroplano che se ne va
Azzurro il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me
Mi accorgo di non avere più risorse senza di te
E allora io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te
Ma il treno dei desideri nei miei pensieri all'incontrario va
Gli piaceva
esercitarsi su quella sorta di scioglilingua emozionale, lo faceva sentire
sempre stimolato. Ed era grato alla natura che gli aveva concesso un’estensione
vocale che gli permetteva di avvicinarsi, almeno un po’, a quel mondo fatto di
sinfonie ed emozioni, di vita vissuta e sete d’amore.
Ogni canzone di
quell’uomo sapeva ascoltarlo, era capace di prenderlo e portarlo con sé.
Esattamente nel momento in cui ne aveva bisogno e con le emozioni di cui necessitava.
Era incredibile il
potere che quella musica stava – giorno dopo giorno – esercitando su di lui,
risucchiandolo in un baratro tutt’altro che spaventoso.
Un amore tanto
struggente Mike non era certo di averlo mai provato, eppure le parole di quel
brano lo colpivano sempre quando carezzavano i suoi timpani.
Si sentiva smarrito
e quella sensazione non gli dispiaceva, perché fluiva da quella voce capace di riempire i vuoti delle sue giornate.
La sentiva
raccontargli quegli istanti quotidiani con sinfonie che facevano fremere il suo
cuore in un modo nuovo.
Non era un tipo
particolarmente emotivo, non nel senso classico del termine; si esaltava per
cose che di solito gli altri trovavano disgustose o ripugnanti, gli piaceva
musica che ad altre persone risultava insensata e piatta, trovava argomenti
come l’amore scontati e tremendamente noiosi.
Eppure quella voce sapeva fargli cambiare idea e sussurrargli dolcemente al cuore, aiutandolo
ad assimilare con naturalezza qualsiasi tipo di argomento – anche quelli che di
solito ripudiava.
Quando le parole di
Una carezza in un pugno lo coglievano impreparato, Mike era
costretto a fermarsi e a prestarvi attenzione; un po’ perché aveva ancora
bisogno di concentrazione per capire i vocaboli in lingua italiana, un po’
perché non riusciva a fare altrimenti.
Era un racconto
intenso, di un amore lontano e capace di scaldare il cuore.
Poi c’erano quei
versi, alcuni nello specifico, che nella mente di Mike donavano un tono
drammatico al brano, cambiandone completamente il senso per alcuni istanti.
Ed erano gli stessi
che non faceva che aspettare e ricercare, secondo dopo secondo, mentre la
canzone scivolava nelle sue orecchie.
Cattivo come adesso non lo sono stato mai
E quando mezzanotte viene
Se davvero mi vuoi bene
Pensami mezz'ora almeno
E dal pugno chiuso una carezza nascerà
Anche solo il
titolo di quel brano lo faceva rabbrividire.
C’erano parole
importanti, parole che volevano comunicare tanto – le stesse parole per cui lui
non si impegnava poi molto, quando buttava giù i propri testi.
Era pur vero che le
liriche di Celentano erano state spesso scritte da altri, ma in fondo il punto
non era neanche quello.
Era
l’interpretazione ad affondare nella sua carne e nel suo petto come un pugnale
affilato.
Si sentiva sempre
trafitto in ogni istante, trascinato laddove di solito temeva di spingersi e
addentrarsi.
Gli pareva surreale
potersi emozionare tanto per frasi come quella: cattivo come adesso non lo sono stato mai aveva una potenza disarmante.
Raccontava, in
poche parole, di un uomo che riconosceva di essere malvagio nel formulare
pensieri violenti verso la donna che amava, ma che allo stesso tempo sapeva che
non avrebbe mai commesso niente che potesse ferirla perché la percepiva
brillare sul palmo della propria mano come la gemma più preziosa.
Era un testo che
sapeva di gelosia e dolce devozione, un contrasto che faceva decisamente impazzire
Mike. Si trattava di una costruzione originale, una melodia penetrante,
un’altra storia di vita vissuta.
E Mike si lasciava colpire e carezzare da tutta quell’arte, non potendo che
sorridere e trovare nuova ispirazione.
Anche lui avrebbe
voluto mettere su brani come quello, versi come quelli, musiche come quelle.
Decise che ci
avrebbe provato, che forse i suoi Mr. Bungle erano pronti per esperimenti del
genere. Con loro si sentiva più libero, pienamente se stesso, niente a che
vedere con il lavoro più inquadrato che aveva svolto fino a quel momento con i
Faith No More.
In fondo nei Mr.
Bungle c’erano i ragazzi con cui era nato e cresciuto a Eureka, in quella band poteva
ritrovare le sue radici e la sua essenza. Poteva proporre tutto ciò che voleva
ed era certo che Trevor e Trey avrebbero capito e approvato.
Cattivo come adesso
non lo sono stato mai: quello
sarebbe stato il verso – il tributo – da cui partire.
Poi l’atmosfera
sarebbe totalmente cambiata e niente nella sua canzone avrebbe parlato di amore
e dolcezza.
Solo di dolore e
violenza.
Divideva la sua
esistenza tra San Francisco e Bologna ormai da qualche anno quando vide per la
prima volta Il bisbetico domato.
Era notte fonda e
come spesso accadeva non riusciva a prendere sonno. Gli capitava soprattutto
quando era costretto a viaggiare per andare in tour o per raggiungere sua
moglie in Italia.
Il fuso orario lo
annientava e nemmeno i numerosi caffè che beveva durante la giornata lo
aiutavano a stare meglio. A volte pensava che tutta quella caffeina non era
l’ideale per combattere l’insonnia, ma d’altro canto se ne faceva a meno veniva
assalito da tremende emicranie che non si placavano finché non poneva rimedio
con una nuova dose.
Quella notte,
tuttavia, decise di rinunciare al caffè e di compiere un gesto che non era
solito fare: accese il televisore e cominciò a fare zapping con fare annoiato
tra i pochissimi canali presenti.
A un certo punto i
suoi occhi vennero attirati da un viso familiare e il suo dito si fermò a
mezz’aria prima che potesse premere ancora il tasto per cambiare canale.
Lo riconobbe quasi
subito – il volto lo aveva intravisto in alcune copertine di suoi album e il
timbro profondo e caldo era lo stesso che ormai gli era entrato nelle ossa.
Adriano Celentano.
Era lui, in carne e
ossa, un’ascia in mano e tutta l’intenzione di calarla per tagliare un cumulo
di legna.
Mike si ritrovò a
sorridere e alzò appena il volume, mettendosi più comodo e godendosi quello
spettacolo inaspettato quanto esaltante.
Il cuore già gli
martellava nel petto al solo pensiero che potesse ascoltare le sue parole,
riconoscere il suo modo di articolarle anche in un vecchio film che doveva
risalire alla fine degli anni Settanta – gli fece piacere rendersi conto che
non c’era differenza nella sua voce quando cantava e quando invece parlava
normalmente.
Osservò affascinato
il susseguirsi delle scene e si ritrovò a ridere a più riprese: i dialoghi
erano esilaranti, le espressioni di lui – Elia, nel film – impagabili, le
musiche divertenti e la storia bellissima.
Riconobbe quel sapore
di verità che ormai aveva imparato a conoscere nei suoi brani e se ne
compiacque.
Si scoprì contento mentre
la trama si srotolava sullo schermo e riuscì perfino a riagganciarne i fili
nonostante si fosse perso l’inizio del lungometraggio.
Si ritrovò
completamente rapito dalla storia d’amore tra quell’uomo campagnolo e quella
donna tanto ricca e attraente, che tuttavia aveva scelto di adattarsi alle
abitudini di lui pur di stargli accanto e dimostrargli che lo amava.
Tuttavia, lo
scenario non era melodrammatico né melenso: tra battute e scambi realistici, la
vicenda risultava accattivante e in breve sortì il pieno interesse del cantante
americano – proprio come succedeva ogni volta che inseriva un disco nel lettore
e lo metteva in play.
Dopo un paio di
blocchi pubblicitari, il film giunse al termine e Mike provò la sgradevole
sensazione di vuoto che gli riempiva il petto quando qualcosa di bello si
consumava davanti ai suoi occhi.
Rimase a fissare lo
schermo con un sorriso a metà tra il divertito e il malinconico; se da un lato
aveva apprezzato il finale ironico e ben strutturato, dall’altro desiderava
vederne ancora.
In quella notte
afosa di fine estate aveva scoperto un lato nuovo – diverso – della voce che
tanto amava.
Un aspetto che
riusciva in qualche modo a completare il quadro delle emozioni che quell’uomo
sapeva fargli provare: Adriano Celentano era capace di recitare, oltre che
sussurrargli melodie nell’anima, e lo faceva in un modo semplice, che lo
rendeva se stesso anche mentre inscenava una parte ben definita.
Mike stava
impazzendo: voleva saperne di più, scoprire se aveva girato altri film,
comprendere la sua arte in tutte le sfaccettature che possedeva.
Perché Celentano
era uno dei pochi in grado di mettere a soqquadro il suo solito modo di vedere
la vita.
Quando tanta altra
musica e tanti altri artisti erano ormai passati per le sue orecchie, Mike
scoprì che c’era una cosa su cui non concordava appieno con Celentano.
Erano passati anni,
il suo italiano si era perfezionato e gli risultava più semplice comprendere il
significato di parole e testi.
Quando uscì L’emozione non ha voce, si domandò come quell’uomo avesse ancora
quello splendido timbro, come riuscisse dopo tanto tempo a emozionare così
tanto – a trafiggerlo così tanto.
Il nuovo millennio
stava per giungere e Mike era ormai pronto per far ascoltare nuova musica al
suo pubblico – California dei Mr. Bungle sarebbe uscito un po’ in
ritardo, ma ormai era tutto pronto.
Invece Celentano
aveva sfornato un nuovo album e lui era subito rimasto colpito da una traccia
in particolare.
Io non so parlar d'amore
L'emozione non ha voce
Eppure Mike non era
d’accordo con i primi due versi della canzone: non era vero che quell’uomo non sapeva
parlare d’amore.
A lui aveva sempre
saputo sussurrare a un soffio dal cuore, senza mai invaderlo o risultare
banale; gli aveva insegnato cos’era l’interpretazione di una sinfonia e il
racconto di un istante, gli aveva mostrato come rendere speciali anche i
dettagli apparentemente insignificanti.
Non era vero che
l’emozione non aveva voce: per Mike l’emozione era quella voce, la sua voce.
Il timbro caldo e
profondo – colmo di sfumature e sfaccettature – di un uomo.
L’emozione era
semplicemente Adriano Celentano.
♪ ♫ ♪
Salve a tutti!
Non so nemmeno come
commentare questa storia, dico solo che è venuta dal mio cuore e che vuole
essere un tributo a due uomini che stimo tantissimo, per quanto diversissimi
tra loro: Mike Patton e Adriano Celentano.
E come potevo
lasciarmi sfuggire la folle idea di sfruttare la stima di Mike per Celentano?
Ovviamente non ho saputo resistere ed ecco che ho partorito questo testo un po’
bizzarro, un po’ insensato… un po’ e un po’ niente.
Testo che, a dirla
tutta, ha molto di me, più di quanto si potrebbe immaginare.
Perché quasi tutti
ormai sapete quanto io apprezzi Mike Patton, ma forse nessuno immaginava che
uno dei miei più grandi idoli è Celentano, vero?
Lo adoro in musica,
in cinema, adoro anche solo sentirlo parlare. E da qui ho preso spunto per
mettere nero su bianco anche quelle che sono le mie emozioni, facendole fluire
e unendole – tramite la mia pura immaginazione – a quelle che prova Mike.
Ho cercato di
ripercorrere, a modo mio, la sua scoperta e il suo “innamoramento” nei
confronti di Celentano, grazie anche agli indizi che Mike stesso ha sempre
disseminato in varie fasi della sua creatività.
Ho citato, infatti,
il verso di Una carezza in un
pugno che lui ha inserito
all’inizio del brano Violenza Domestica; canzone con un testo in italiano e con
un’atmosfera molto particolare, estratta dall’album Disco Volante dei Mr.
Bungle uscito nel 1995.
Inoltre, nel suo
progetto Mondo Cane – dove Mike esegue, insieme a un’orchestra e a musicisti di
alto livello, cover di brani italiani degli anni Cinquanta e Sessanta – non è
certo mancato un tributo a Celentano.
Quando sono stata a
Milano a sentirlo nel 2019, ho pianto durante l’esecuzione di Storia d’amore, perché è una delle mie canzoni preferite e Mike ha saputo renderle
giustizia in un modo per cui non gli sarò mai abbastanza grata.
Il bisbetico domato è un film del 1980 di cui Celentano è
protagonista, oltre che co-scrittore. È una sorta di rivisitazione in chiave
comica della commedia La bisbetica
domata di Shakespeare. Non farò
ulteriori spoiler perché ne ho lasciato fin troppi anche durante la storia, ma
vi consiglio caldamente di andarvelo a recuperare perché è MERAVIGLIOSO!
L’album Superbest che ho nominato nel testo è appunto una raccolta di successi di
Celentano uscita nel 1992 sotto l’etichetta Clan Celentano di
proprietà dello stesso.
California è il terzo album in studio dei Mr. Bungle,
uscito nel 1999; nello stesso anno, anche se un paio di mesi prima, usciva
anche l’album Io non so parlar
d’amore di Celentano, di cui fa
parte L’emozione non ha voce.
La storia è
ambientata negli anni Novanta e la maggior parte si svolge nella prima metà del
decennio ^^
Ho raccontato di
Mike che si divide tra California e Italia perché negli anni Novanta ha sposato
una donna italiana e ha vissuto qui da noi per un bel periodo, imparando per
bene la nostra lingua e appassionandosi ad arte, musica e cultura del nostro
paese.
I Faith No More
sono il gruppo più famoso in cui Mike abbia militato (e in cui ancora milita,
nonostante i tanti anni di separazione della band); la sua prima band
importante, tuttavia, furono i Mr. Bungle, di cui fanno parte anche Trevor Dunn
e Trey Spruance, amici di vecchia data del cantante, con i quali ha mosso i
suoi primi passi anche in campo musicale quando ancora si trovavano tutti a
Eureka.
Credo che non ci
sia bisogno di spiegare che gli “strafalcioni” grammaticali presenti nel
dialogo con il commesso, nel negozio di dischi, siano stati da me inseriti
apposta per rendere più realistico lo scambio tra i due, visto che ho
immaginato un Mike alle prime armi con l’italiano XD
Credo di aver detto
tutto, voglio solamente lasciarvi i link per ascoltare le canzoni che ho citato
– i testi al centro sono tutti estratti da questi brani, appunto.
- Il ragazzo della via Gluck
- Storia d’amore
- Il tempo se ne va
- Azzurro
- Una carezza in un pugno
- L’emozione non ha voce
Poi:
- Storia d’amore
(interpretata da Mike)
- Violenza Domestica dei
Mr. Bungle, il cui primo verso è appunto un tributo a Celentano.
Spero davvero di
aver espresso tutto ciò che volevo, ho cercato di mettere cuore e anima in
questa storia e mi sono semplicemente lasciata trasportare dalle emozioni che
questi due uomini sanno farmi provare con la loro arte.
Ringrazio tantissimo
Freya_Melyor per il contest e matiscrivo per il titolo che mi ha suggerito,
dandomi il definitivo input per buttare fuori questo progetto che mi ronzava in
testa da ormai un paio di mesi ^^
Grazie a chiunque
leggerà e/o deciderà di lasciare un commento :)
Prima di lasciarvi,
ne approfitto per fare tantissimi auguri di compleanno al grandissimo Adriano
Celentano, che oggi esiste su questa Terra da ben 83 anni! Ci tenevo a
pubblicare oggi anche per questo motivo :3
Un abbraccio e alla
prossima ♥
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