natsu
Gai riemerse dalle profondità del
sonno indotto dalla flebo. Sollevò le palpebre sentendole pesanti
come macigni e l'odore chimico del disinfettante, ormai divenutogli
sgradevolmente famigliare, gli punse le narici.
Tentò qualche cauto movimento e notò
con soddisfazione che stava riacquistando il controllo della maggior
parte del suo corpo e poteva azzardarsi a cambiare posizione nel
letto senza che il cervello gli si friggesse a causa della scarica di
dolore.
Non che avesse grandi motivi per
lamentarsi: l'apertura dell'Ottava Porta del Chakra avrebbe dovuto
comportare la sua morte, invece, grazie all'intervento di Naruto,
poteva ancora occupare un posto tra i vivi, a godere delle allettanti
prerogative dell'esistenza terrena.
Era grato per l'opportunità che gli
era stata offerta. Avrebbe visto con i suoi occhi compiersi il futuro
di pace per il quale molti, meno fortunati di lui, avevano
sacrificato la propria vita nell'ultima terribile guerra. Era più di
quanto potesse sperare e forse più di quanto meritasse.
La stanza era immersa in una penombra
deprimente che concorreva ad accentuare il sentore penetrante di
sanificanti e medicinali. Gai vide con la coda dell'occhio che la
finestra era stata chiusa e nascosta da una spessa tenda che impediva
alla luce del sole di riversarsi all'interno. Tentò di contrastare
l'effetto stordente della massiccia dose di antidolorifici e provò a
tirarsi su a sedere sul materasso, ma ossa e muscoli parevano essersi
trasformati in piombo e alla fine dovette desistere, lasciandosi
ricadere indietro sulla soffice pila di cuscini, ansimando per lo
sforzo.
Erano già trascorse parecchie
settimane da quando era scampato alla morte ma i miglioramenti nel
suo stato fisico si facevano attendere un po' troppo per i suoi
gusti; del resto, non si poteva dire che la pazienza fosse una delle
sue virtù distintive. Ma ogni volta che la frustrazione minacciava
di sopraffarlo, Gai ricordava a se stesso come un'adamantina forza di
volontà, la tenacia e il duro allenamento ricompensassero sempre
colui che si manteneva saldo nei propri propositi. Era uno degli
insegnamenti cardine che gli erano stati tramandati da suo padre e
che, in qualità di Sensei, aveva voluto a sua volta trasmettere al
suo allievo prediletto. Ogni progresso, seppur minimo, era un passo
verso la meta.
Solo qualche giorno prima, i medici gli
avevano confermato che le lesioni alla gamba destra erano risultate
troppo gravi per poter essere guarite del tutto, e che non sarebbe
più stato in grado di muoverla e camminare. Rock Lee era scoppiato
in un pianto a dirotto a quella notizia, ma Gai si sentiva
straordinariamente sereno. Nell'istante in cui aveva preso la
decisione di fare ricorso alla sua tattica definitiva e più
micidiale, era stato pronto a morire in battaglia. Aveva ormai
accettato l'idea che la sua vita avrebbe avuto fine quel giorno. Se
ne sarebbe andato consumandosi nella fiammata del suo stesso chakra
nell'atto di proteggere i suoi amici e tutto ciò che gli era più
caro: non avrebbe potuto immaginare una morte più onorevole né un
epilogo più in accordo con il suo temperamento appassionato.
Alla luce di tutto ciò e di come poi
si erano svolti i fatti, rinunciare all'uso di un arto gli sembrava
un'inezia rispetto alla grazia inaspettata che gli era stata concessa
dalla sorte, mostratasi eccezionalmente benevola nei suoi confronti.
Qualche piano di sotto, Kakashi
percorreva i corridoi labirintici della struttura ospedaliera,
rispondendo con un impacciato cenno del capo ad ogni inchino che
pazienti, visitatori e personale gli rivolgevano al suo passaggio.
Dubitava che sarebbe mai riuscito ad
abituarsi a quel trattamento. Ma, in quanto Hokage, non aveva alcun
modo di sottrarvisi.
Quel giorno, tuttavia, il fastidio e
l'imbarazzo legati alla sua nuova notorietà erano oscurati
dall'ombra di una preoccupazione ben più grande.
Il giorno precedente, Rock Lee si era
presentato nel suo ufficio per consegnargli alcuni documenti
riguardanti la missione della quale si stava occupando. Come di
consueto, Kakashi aveva domandato al ragazzo notizie riguardo allo
stato di salute del suo Sensei.
Lee si era sforzato di mantenere un
contegno dignitoso ma il suo volto era sbiancato e gli occhi gli si
erano riempiti di lacrime. Kakashi si era sentito mancare il terreno
sotto i pedi. Possibile che Gai...?
Aveva esortato il giovane a vuotare il
sacco e aveva così appreso che il verdetto dei medici era
incontrovertibile: la gamba destra era apparsa troppo compromessa e
Gai non sarebbe più stato in grado di camminare.
Non ci aveva pensato due volte e aveva
ordinato a Shizune di annullare tutti gli impegni ufficiali non
urgenti previsti per quel pomeriggio.
Doveva vedere il suo amico e fare del
proprio meglio per tentare di confortarlo e stargli accanto in un
momento così difficile. Compito per il quale, oltretutto, non si era
mai reputato particolarmente idoneo.
Nel corso degli anni, Gai c'era sempre
stato per lui, anche quando non avrebbe dovuto. Anche quando Kakashi
lo respingeva e gli voltava le spalle in continuazione, deciso a
rifiutare ogni aiuto, ogni interferenza esterna in quella che
considerava la propria personalissima discesa nell'abisso. Eppure,
con la caparbietà che lo contraddistingueva, Gai aveva sempre
trovato il modo per vegliare su di lui, anche da lontano.
Kakashi si era recato a trovarlo
diverse volte da quando la guerra era terminata, ma, almeno nei primi
tempi, si era deciso di tenerlo sedato per risparmiargli i dolori
atroci conseguenti all'apertura dell'Ottava Porta e così si limitava
a sedersi accanto al letto, parlandogli, immaginando che Gai potesse
sentirlo dal limbo in cui la sua coscienza era stata temporaneamente
imprigionata per il suo bene. Lo aggiornava sugli ultimi accadimenti,
gli raccontava cosa stava succedendo a Konoha e nel mondo ninja ora
che i venti del conflitto avevano smesso di soffiare per cedere il
posto a quelli inarrestabili del cambiamento.
Successivamente Kakashi era riuscito a
sostenere con lui solo brevi conversazioni a causa dello stato di
evidente sofferenza in cui il paziente versava, per quanto provasse a
dissimularlo, e dell'eloquio reso difficoltoso e impastato
dall'effetto dei farmaci. Solo di recente, in occasione della sua
ultima visita, aveva ritrovato l'amico di sempre, forse un po'
sonnolento ma fiducioso e ottimista rispetto all'avvenire. Almeno,
fino a quel brutto colpo.
E ora aveva paura, Kakashi. Ogni passo
che lo conduceva alla stanza di Gai era un gradino in più che quel
sentimento saliva dal ventre per raggiungere il suo cuore,
rafforzandosi. Non aveva idea di come il suo vecchio amico avesse
potuto reagire a quella sentenza emessa dai dottori. Sempre così
energico, così focoso, così pronto a mordere la vita con la grinta
e l'entusiasmo che spesso portavano lui, Kakashi, vicino
all'esasperazione.
Temeva sinceramente di entrare in
quella camera e trovare ad accoglierlo un estraneo dallo sguardo
spento, sconfitto, piegato sotto il peso del responso senza appello
che aveva confinato tutte le sue prospettive per il futuro su una
sedia a rotelle. Non era certo di essere tanto forte da sopportarlo.
Gai, con tutti i suoi pregi e difetti,
rappresentava una costante incrollabile della sua vita. Non l'avrebbe
mai riconosciuto apertamente, ma le stupide sfide che si ostinava a
proporgli fin da quando erano bambini gli erano diventate care, così
come i suoi modi esuberanti ed enfatici. Per quanto fossero diversi,
Gai era, con tutta probabilità, la persona che lo conosceva meglio
di chiunque altro. Ma le cose sarebbero rimaste invariate anche ora
che quella spada era calata sul suo capo? E lui, Kakashi, cosa poteva
fare per aiutarlo? A cosa valeva essere diventato Hokage se poi non
possedeva neppure i mezzi per sollevare un amico dalla sua pena?
Trasalì quando vide un'infermiera
farglisi incontro con passo svelto. - Onorevole Hokage! -
Lasciò andare un pesante sospiro. Era
il momento di affrontare la verità, che gli piacesse o meno.
I filamenti delle riflessioni nelle
quali Gai era ancora impelagato, si disfecero quando udì un suono di
passi che si approssimava alla porta, accompagnato da un brusio
ovattato di voci proveniente dal corridoio. Tese l'orecchio e si mise
in ascolto, riconoscendo una delle infermiere.
- Onorevole Hokage! È qui per fare
visita a Maito Gai? -
- Be', in effetti speravo di potergli
fare un saluto veloce. Ma non vorrei disturbarlo o rischiare di farlo
stancare troppo. -
Gai sorrise tra sé. Sapeva che Kakashi
era diventato il nuovo Hokage dopo che Tsunade si era dimessa, anche
se, per ovvi motivi, non gli era stato possibile presenziare alla
cerimonia di investitura. Era felice per l'amico e più che sicuro
che il destino di Konoha non avrebbe potuto essere affidato a mani
migliori, tuttavia era consapevole del fatto che Kakashi non amasse
ricoprire quella posizione. Era evidente dalla nota di insofferenza
mista a imbarazzo che gli incrinava la voce quando si trovava a
rispondere a chi si rivolgeva a lui con tanta formalità e deferenza.
Si era sempre trovato molto più a suo agio nel ruolo di supporto
alle autorità piuttosto che in veste ufficiale di governante. Le
cariche istituzionali non gli erano mai andate a genio, ma aveva
accettato di occupare il posto di Hokage fino a quando i tempi non
fossero stati maturi per passare il testimone a Naruto.
- Temo che in questo momento il
paziente stia riposando. - rispose l'infermiera con fare cortese ma
imprimendo alla propria voce una chiara nota di inflessibilità. -
Gli dirò che lei è passato a trovarlo non appena si sveglierà. -
Gai sbuffò: infermiere iperprotettive!
Neanche fosse stato un pivellino da accudire come un cucciolo ferito.
Era la nobile Bestia Verde di Konoha! Le aveva suonate di santa
ragione a Madara Uchiha in persona! Non meritava un po' di rispetto?!
- Non serve! - gridò, per farsi
sentire dalla donna nel corridoio. - Sono perfettamente sveglio e
vorrei davvero scambiare due parole con l'onorevole Sesto Hokage. -
Fece un sorrisetto figurandosi
l'espressione di Kakashi nel sentirsi appellare in quel modo dal suo
migliore amico.
Ci fu un attimo di silenzio, come se
l'infermiera stesse riflettendo sul da farsi, infine la porta venne
aperta e la donna entrò, seguita dalla figura alta e slanciata di
Kakashi che sollevò una mano in segno di saluto.
L'infermiera controllò alcuni
parametri sugli schermi; apparentemente soddisfatta da quella
lettura, scribacchiò qualcosa sulla cartella clinica del paziente,
regolò la flebo e uscì dalla stanza, raccomandando all'Hokage di
non trattenersi troppo a lungo prima di congedarsi chinando
rispettosamente il capo.
I due rimasero soli e Gai si stampò
sulle labbra un sogghigno divertito.
- Onorevole Hokage! La sua presenza al
mio capezzale mi lusinga. Dove ha trovato il tempo, con tutti gli
impegni che ha? Aspetti, ora cerco di inchinarmi... -
Lo sforzo di issarsi sui gomiti per
scimmiottare un inchino gli provocò una fitta di dolore, mozzandogli
il respiro e strappandogli un gemito.
Kakashi si protese verso di lui,
allarmato. - Gai! Va tutto bene? -
L'altro annuì con una smorfia
sofferente, riprendendo fiato. - Tranquillo, è tutto a posto. Ma
temo che il mio fisico non gradisca ancora i movimenti bruschi. -
Kakashi si rilassò, le mani sui
fianchi in una posa di rimprovero. - Ecco, così impari a fare lo
scemo. -
Gai gli rivolse un sorriso colpevole,
felice della presenza dell'amico accanto a sé, dopodiché indicò la
finestra con un cenno del capo. - Senti, posso chiederti il favore di
scostare quella tenda e aprire la finestra? Mi sembra di soffocare,
qui dentro. -
Quando Kakashi spalancò le ante, una
ventata di rinvigorente aria fresca invase la camera e i raggi di uno
splendente sole pomeridiano filtrarono all'interno quasi con
prepotenza, come se non aspettassero altro.
Gai sospirò e socchiuse gli occhi,
godendosi quel tepore sui pochi centimetri di pelle che non erano
coperti da bende e fasciature.
Il chiarore del giorno e un allegro
cinguettio proveniente dalle chiome degli alberi contribuirono a
diradare la cappa opprimente che si era insediata tra quelle quattro
mura e a rendere l'atmosfera un po' più accogliente, per quanto ciò
potesse essere possibile in un'asettica stanza d'ospedale.
Kakashi afferrò uno sgabello da un
angolo della camera e prese posto accanto al letto, osservando
accuratamente il volto dell'amico, con l'intenzione di iniziare a
sondarne l'umore.
- Come ti senti? - domandò piano,
quasi timoroso.
Gai si strinse nelle spalle, quel tanto
che riuscì senza finire di nuovo preda del dolore. - Il peggio è
passato. Sono vivo, sono qui con te. Direi che non posso chiedere di
più. -
Kakashi annuì ma il silenzio che
rimase sospeso tra i due uomini stava iniziando ad acquisire il
sapore sgradevole e la pesantezza del disagio. Inoltre, gli occhi
profondi di Kakashi tradivano un'apprensione che non sfuggì al suo
interlocutore.
- Che cosa c'è? Perché hai quell'aria
così seria? È successo qualcosa? -
Il Sesto Hokage esitò e per un attimo
sembrò cercare le parole in un punto imprecisato tra le proprie dita
nervose e le piastrelle del pavimento, prima di inspirare a fondo e
rilasciare la risposta tutta d'un fiato, come quando si toglie un
cerotto. - Ho sentito della tua gamba. -
Gai espirò sonoramente e alzò gli
occhi al soffitto prima di agganciarli saldamente a quelli antracite
di lui. - Kakashi, io non dovrei neanche essere vivo. - affermò con
semplicità. - Nessuno che abbia aperto tutte le Otto Porte del
Chakra è mai sopravvissuto e il fatto stesso che ora siamo qui a
parlare è un privilegio per me. Mi hanno assicurato che recupererò
l'uso almeno del 70% del mio corpo. Rimetterci una gamba mi sembra un
prezzo più che accettabile. - fece una pausa prima di aggiungere in
tono scherzoso, - E tu dicevi che allenarsi a camminare sulle mani
era un'idiozia! Be', d'ora in poi mi tornerà molto utile. -
Kakashi non rispose, continuando a
studiare con insistenza i suoi lineamenti nel tentativo di capire se
quella parvenza di serenità fosse solo una facciata costruita
appositamente a suo beneficio. Definirlo mortificato sarebbe stato
l'eufemismo dell'anno.
- E piantala di guardarmi con quella
faccia da funerale. - sbottò Gai, sorridendo di nuovo. - Cavolo, il
tuo atteggiamento ombroso finirà per deprimermi ancora più del cibo
che mi servono in questo posto! -
L'amico non rise alla battuta e Gai,
fallito il tentativo di alleggerire quel clima insopportabilmente
teso, si schiarì la voce, tornando ad assumere un'espressione grave
più in linea con quella del suo angustiato visitatore. - Dico sul
serio, Kakashi: sto bene. Devi credermi. -
- Gai, io... -
Ma l'uomo alzò una mano per fermarlo
prima che potesse proseguire. Qualunque cosa gli avesse detto, non
avrebbe cambiato la realtà dei fatti. E andava bene così.
- Non preoccuparti per me. La primavera
della mia gioventù potrà anche essere giunta al termine, - si
interruppe un istante per volgere lo sguardo al sole che brillava
fulgido nel cielo senza nubi fuori dalla finestra. - ma alla
primavera segue l'estate e credo proprio che anche per me sia giunto
il momento. È ora che la leggera brezza primaverile ceda il posto
allo sfavillante sole estivo pronto a splendere glorioso sulla mia
vita! Non senti il suo divampante calore, Kakashi?! Non ne percepisci
la sfolgorante, incomparabile luminosità?! -
Slanciò un pugno verso l'alto
infischiandosene del dolore e finalmente la tensione tra loro si
sciolse proprio come l'ultima neve d'inverno in una di quelle
giornate che preannunciano l'arrivo dell'estate, e con essa scomparve
anche il nodo che dal giorno prima ammorbava lo stomaco e la gola di
Kakashi.
L'Hokage scosse la testa, divertito
dall'incorreggibilità dell'amico e decisamente rincuorato: se era in
cerca di una conferma del fatto che Gai non si stesse arrendendo allo
sconforto, quell'impeto scoppiettante di entusiasmo gli era più che
sufficiente. Del resto, non si poteva fingere una tale, smodata
passione.
- Ah, a proposito, - continuò il moro
con un luccichio di furbizia negli occhi onice. - non credere che non
disputeremo più le nostre sfide a causa di questo. - indicò
la gamba destra immobilizzata dal gesso come se si trattasse di un
dettaglio insignificante. - Oh no, amico mio. Non te la caverai così
facilmente. Sarai sempre il mio eterno rivale, qualunque cosa accada.
-
Alzò il pollice e gli strizzò
l'occhio, indirizzandogli uno di quei sorrisi candidi e smaglianti
che avrebbero potuto abbagliare come un faro nella notte, e allora
Kakashi ne ebbe la certezza: Gai era il solito, incontenibile,
dirompente, esplosivo Gai. Il Maito Gai di sempre. Né più, né
meno.
Il tessuto della maschera tirata sul
suo viso si increspò verso l'alto intorno agli angoli delle labbra.
Dopotutto, l'estate non era poi tanto male! Forse, a volte, solo un
po' troppo bollente...
Nota:
Per
quanto riguarda tempi e ambientazione, questa OS non tiene conto del
libro Kakashi
Hiden. Fulmini in un cielo gelido,
ma solo di quanto visibile nell'anime, episodio 479.
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