I vagoni della metropolitana fenderono l’aria al loro arrivo,
scompigliandogli un poco i capelli neri. Fece un passo un po’ cauto e si
ritrovò in un compartimento semivuoto. Si guardò attorno, sperando che non
ci fossero e invece c’erano, in fondo al vagone, sulla sinistra. I tre
ridevano fra di loro, due seduti e uno in piedi attaccato a un palo.
Parevano quasi simpatici visti così. Ichiro ebbe la tentazione di fare
marcia indietro e aspettare il prossimo treno, ma, quando udì il sibilo
alle sue spalle e il suo tallone sbattere contro le porte chiuse, capì di
essere intrappolato dentro con loro. Non gli restò dunque che cercare di
farsi notare il meno possibile, sempre che non l’avessero già visto,
mettendosi il cappuccio in testa e sedendosi accanto la porta, pronto a
infilarla nuovamente una volta aperta. La sua fermata non era la prossima,
ma farsi il tragitto restante a piedi gli pareva un’alternativa preferibile
all’imbarazzo che passava in metropolitana. Si mise gli auricolari e
scrollò un po’ di album da ascoltare sul telefono. Non fece in tempo a
selezionarne uno che si sentì il cuore sprofondare a venir chiamato per
nome da una voce familiare.
—Ohi, Ichiro!
Forse se avesse fatto finta di non sentirli lo avrebbero ignorato. Mise un
pezzo a caso e alzò il volume. Quando vide le ombre, proiettate sul
pavimento dai suoi tre compagni, avvicinarsi capì che la tattica non aveva
funzionato.
—Ichiro, ci sei?— Lo richiamò di nuovo la voce. Lui alzò un poco lo sguardo
dal pavimento, oltre il bordo del cappuccio.
—Oh— Fu tutto quello che riuscì a dire, cercando di suonare indifferente e
togliendosi gli auricolari —Ciao Norisuke, non t’avevo visto.
—Stavamo giusto parlando di te.
—Sì— Confermò Nuke, indicando l’altro ragazzo al suo fianco, di una classe
diversa —Stavamo parlando con Gou della tua sceneggiata di oggi in
educazione fisica.
—Ti sei messo a piangere quindi?— Chiese quello, con lo sguardo assonnato
ma sorridente. Gli stavano tutti e tre davanti, in piedi. Si sentiva molto
piccolo in quel momento, e avrebbe voluto alzarsi per darsi un contegno, ma
quelli gli stavano quasi con le ginocchia in faccia tanto gli erano vicini
che non avrebbe avuto spazio per alzarsi e lo costringevano a starsene
seduto.
—Beh sì— Mormorò arrossando Ichiro, massaggiandosi il naso ancora dolorante
—Stavamo giocando a dodgeball e mi è arrivata una palla in faccia, è stato
un riflesso involontario. Me l’avevi lanciata tu Norisuke— Disse il suo
nome con un tono accusatorio e guardandolo storto, ma sapeva che non
sarebbe mai riuscito a farlo sentire in colpa.
—Dai, non ti avevo colpito forte però— La buttò sul ridere lui.
—Mi è sanguinato il naso— Precisò, pizzicato da quello sminuimento. Al
momento del fatto aveva seriamente creduto di esserselo rotto e non la
smetteva più di sanguinare e piangere. Quel colpo gli aveva fatto davvero
male e continuava a farlo. Non poteva credere che una palla potesse fare
così male, ma Norisuke ci aveva impresso abbastanza forza per farcela. Il
pensiero che non sarebbe riuscito a fargli lo stesso lo mise in uno stato
maggiore soggezione di quanto già non fosse e la cosa peggiorò quando sentì
una manata di Nuke sulla spalla, che lo spinse un poco di lato, per poi
tornare nella sua postura normale, come una molla.
—Figurarsi, fragile come sei è già tanto che Norisuke non t’abbia staccato
la testa— Scherzò quello, continuando a spintonarlo sempre più forte —Se ti
servono altri fazzoletti basta chiedere comunque— Ichiro cercò di ignorare
le pessime battute, pur non riuscendoci del tutto.
—Basterebbe chiedere scusa— Si impose con la voce lui, cercando sembrare
serio e scacciando con uno schiaffo la mano di Nuke. Quelli ebbero un
attimo un espressione stranita e cominciò a credere di aver osato troppo.
Poi scoppiarono in sghignazzi. Sentì Nuke che, invece che desistere, gli
afferrò il polso con violenza. Ebbe un gemito. Ovviamente la sua mano,
nonostante fossero coetanei, si chiudeva più che abbondantemente sopra il
suo arto. Glielo tenne su per metterlo in mostra.
—Cioè, adesso Norisuke ti deve chiedere scusa perché hai il fisico di una
ragazzina— Chiese divertito Nuke.
—Piangi per una pallonata in faccia, figurati se ti avessi dato un pugno.
—Figa, lo atterri— Commentò sornione Gou. Ichiro fu pervaso dalla voglia di
prenderli a cazzotti, ma sapeva che sarebbe stato inevitabilmente in uno
svantaggio fisico insormontabile. In questo momento si sentiva molto più
debole di quanto non fosse. Gou aveva preso, fastidiosamente, a tastargli
un bicipite che non c’era, mentre Nuke imitava il moto di un pugno verso il
suo zigomo, con annessi effetti sonori farfugliati dalla sua bocca.
—La volete smettere?— Sbottò d’un tratto Ichiro, con un tono molto più
arrabbiato di quanto pensasse e, di conseguenza, rivelando la voce acuta
che cercava sempre di nascondere. Ottenne solo il risultato di farli ridere
ancora di più e presto presero a imitare la sua voce. Dio, doveva suonare
davvero come un’anatra strozzata. Provò ad alzarsi, ma, piazzandogli due
dita in fronte, Norisuke lo rimise a sedere. Il fatto di essere
notevolmente più basso e magro dei suoi compagni non era mai stato così
palese. Sentiva gli occhi inumidirsi di nuovo. No, non poteva piangere di
nuovo di fronte a loro, non adesso. Doveva aspettare di arrivare a casa,
non poteva ora o sarebbe sembrato ancora più patetico di quanto già non
fosse.
—Oh, ma l’hai preso anche oggi?— La domanda di Nuke lo spiazzò. Possibile
che lui lo sapesse?
—Che cosa?— Chiesero all’unisono Norisuke e Gou. Ichiro ingoiò un groppo di
saliva. Ecco, se non avesse pianto ora sarebbe direttamente morto di
vergogna.
—Diciamo che ha dei gusti un po’ strani in fatto di letture e secondo me si
spiegherebbero molte cose sul suo conto se ce le facesse vedere— Nuke
ammiccò a Ichiro. Lui non potè far altro che scuotere la testa, implorante.
—No, per favore, è roba mia…— Non finì di pregarli che in un attimo si
sentì preso per l’uniforme scolastica e fu rivoltato verso il finestrino
dietro di lui, con la mano di Norisuke che gli premeva sulla nuca,
schiacciandogli la guancia sul vetro. Dalla sua prospettiva, tutto quello
che poteva constatare Ichiro, era che ormai il treno era arrivato alla
stazione. Fuori, le banchine di cemento, fremevano di pendolari, solo
qualcuno che lanciava uno sguardo curioso verso il viso schiacciato contro
il vetro sporco, più come uno spettacolo insolito che un problema da
risolvere. Un gruppo di cinque studentesse in divisa da marinara, che
stavano assembrate a poco meno di due metri dalle rotaie, osservarono la
stampa della sua umiliazione passargli davanti, seguendola con sguardo
costernato. Da una parte Ichiro sperava che qualcuno avesse avuto la buona
volontà di intervenire a salvarlo, dall’altra avrebbe voluto che tutti si
voltassero dalla parte opposta. Si sentiva come messo ai ceppi. Frattanto,
mani affamate, perquisivano la sua cartella. Non ci volle molto prima che
trassero fuori quello che cercavano. Le porte si aprirono.
—Cos’è ‘sta roba?— Chiese confuso Gou.
—Tutto rosa ovviamente— Commentò la copertina glitterata Norisuke.
—“Mahou Shoujo Magazine”— Lesse ad alta voce il nome della rivista Nuke. E
nel momento stesso in cui quelle tre parole furono pronunciate, che le
risate ricominciarono fra i tre e che le porte del vagone andavano
nuovamente a sigillarsi sibilando, una forza cieca prese possesso del corpo
di Ichiro. Scattando come un vitello impazzito riuscì a sgusciare via da
sotto la mano di Norisuke, che aveva allentato la presa per il riso e,
senza neppure bisogno di guardarsi attorno, si girò di centoottanta gradi
per assestare un testata allo stomaco di Nuke, che reggeva il magazine.
Riuscì a sfilarglielo dalle mani irrigidite e prese senza pensare a
scendere giù dal vagone. Era stato così improvviso il suo agire che, quando
Norisuke provò a seguirlo subito dopo, mano in avanti pronto ad afferrarlo
per il colletto rigido del gakuran e ritirarlo dentro il vagone,
si ritrovò invece con le porte della metro richiudersi sul suo braccio.
Gou, con sguardo perso, si ritrovò davanti, senza sapere come, Nuke che si
reggeva a un palo quasi stesse per vomitare l’anima e Norisuke che
annaspava nel tirare l’apertura di emergenza sopra la sua testa con il
braccio libero. Quando infine scesero cinque secondi dopo giù dal treno
Ichiro era sparito.
***
—Se ne sono andati?— Chiese titubante.
—No amore, stanno girando attorno— Gli rispose quella più alta del gruppo.
—Ti possiamo accompagnare fino all’uscita della stazione se vuoi— Si offrì
quella con la coda di cavallo.
—Non vorrei essere di disturbo.
—Ma figurati, per un patato come te— Gli carezzò la testa quella coi
capelli corti, come fosse un cagnolino.
—Ma ti hanno fatto male?— Si chinò su di lui quella con gli occhiali, mano
sulla guancia.
—No, non troppo almeno— Farfugliò lui guardando a terra.
—Bah, con certa gente per le strade non è più sicuro andare in giro da
sole— Commentò quella abbronzata.
Ichiro doveva ringraziare la sua fortuna, per quanto si vergognasse. Appena
uscito dal treno si era reso conto della cazzata che aveva fatto. Norisuke
e gli altri due lo avrebbero saccagnato di botte una volta raggiunto e lui,
di sicuro, non era abbastanza allenato per lasciarseli alle spalle. Ma
fortunatamente il suo appello all’aiuto del prossimo che aveva espresso,
premuto contro il vetro, aveva funzionato. Quello stesso gruppo di
studentesse in sailor fuku, che lo avevano visto malmenato
precedentemente, lo avevano istintivamente raggiunto e fattogli uno scudo
umano attorno, nascondendolo alla vista dei suoi inseguitori, che erano
scesi poco dopo. Provava un miscuglio di sensazioni strane tutte in un
colpo: Era sicuramente contento di essere sfuggito a un pestaggio bello e
buono, ma non poteva fare a meno che provare la sensazione di voler
sotterrarsi, dovendosi far proteggere da un gruppo di studentesse neanche
fosse un bambino che si nascondeva, letteralmente, dietro la gonna di
propria madre. E invece era lì, al centro di quella formazione così
compatta che poteva sentire il profumo di ognuna di loro. Probabilmente
poi, a causa della sua altezza, dovevano aver pensato che non avesse più di
dodici anni, perché decisamente lo trattavano come tale. Ma non ce la
faceva a lamentarsi, contraddirle o provare a infrangere il cerchio, aveva
troppa paura. E poi un calore strano gli bruciava dentro, una sensazione di
affetto disinteressato che gli mancava.
—Uh!— Esclamò quella con la coda di cavallo, indicando la rivista che aveva
in mano —È il nuovo numero quello?
—S-sì— Biascicò lui, sudando più per l’imbarazzo della situazione attuale
che il pericolo di quella precedente. Provò a guardarla negli occhi, due
centimetri più in alto dei suoi —Mia sorella mi ha mandato a prenderlo— Ma
sapeva che non era credibile.
—Dai, non fare lo scemo— Gli strinse la testa sottobraccio quella
abbronzata, grattandogli il capo con le nocche —Quei coglioni non ci sono
più in giro, non ti vergognare.
Provò a negare ancora ma non ci riuscì. Continuarono a scortarlo, parlando
del più e del meno per consolarlo e continuando a carezzarlo. Forse avrebbe
dovuto dire loro di smetterla ma non lo volle fare. Presto raggiunsero
l’entrata della stazione e, nel parcheggio lì fuori, dovettero congedarsi.
—Non ci sono in giro loro vero?— Chiese timoroso, sbirciando in mezzo le
loro spalle.
—No, nessun pericolo in vista— Proclamò quella coi capelli corti. Il
cerchio di ragazze si sciolse, lasciandolo libero di andarsene. Fece un
paio di passi avanti prima di voltarsi e cercare di fare un inchino il più
composto possibile. Ma aveva il volto in lacrime, non poteva farne a meno.
Il che gli pareva assurdo, perché non aveva alcun motivo per essere triste.
Forse era per il motivo opposto. Quella più alta si chinò e gli asciugò il
viso con un fazzoletto. Alla fine Nuke aveva avuto ragione: ne aveva
bisogno.
—Ascolta— Disse lei, rizzandosi —Io sono Sayaka. Credo che tu abbia bisogno
di aiuto e, beh, se vuoi noi ci troviamo all’”Haru Zei” stasera. Lo
conosci?
Sì, ne aveva sentito parlare. Era un bar karaoke molto in voga ultimamente
fra i suoi coetanei. Si era promesso di frequentarlo una volta, ma non si
era mai, per dire, presentata l’occasione. Si limitò a fare un cenno di
assenso con il capo. Sayaka sorrise.
—D’accordo. Allora stammi bene, ci vediamo stasera— E con questo Ichiro le
vide andare via, giù per il marciapiede opposto al suo verso. Rimase un
attimo interdetto, poi prese anche lui a camminare, già provando nostalgia
di quei momenti di tenerezza. Avrebbe ucciso perché fosse già sera.
***
—Ciao, sono a casa.
—Ichiro, hai fatto un po’ tardi mi sembra— Sua madre lo stava già
aspettando in cucina, la tavola pronta. Non aveva toccato cibo.
—Scusa— Disse togliendosi le scarpe —La prossima volta sarò puntuale.
—E la prossima volta cucinerai tu— Aggiunse lei secca, prendendo finalmente
a consumare il pasto freddo —Vorrei sapere cosa ti abbia trattenuto tanto.
—Io…— Misurò bene alle parole che stava per dire, mentre prendeva posto
accanto a lei a tavola. Non aveva voglia di coinvolgerla nei suoi drammi
personali —Mi sono attardato a parlare con delle amiche.
—Amiche?— Sobbalzò lei.
—Sì, una certa Sayaka e delle altre. Mi hanno invitato a uscire stasera con
loro all’”Haru Zei”.
—Oh— Esclamò lei sorpresa, con le bacchette ferme a mezz’aria. Poi ammiccò
un sorriso —Perché non l’hai detto subito?
—Sarebbe un problema se ci andassi?— Chiese, rigirandosi il cibo nella
ciotola.
—Affatto— Disse lei giuliva —Assicurati solo di essere pronto per la
verifica di domani.
—Sì, giusto, quella— Rimuginò lui, faticando a mandare giù quel che aveva
messo in bocca. Dopo tutto quello che gli era capitato gli pareva di essere
uscito dalla sua vita normale. E invece si trovava ancora lì, con sua
madre, a discutere della verifica di storia, come se la testata a Nuke e
l’incontro con quello stormo di angeli non fossero mai avvenuti. —Papà
quando torna?
—Lo studio gli sta facendo fare anche i pomeriggi ultimamente. Sembra che
il produttore abbia anticipato la data della messa in onda e l’animazione
non è ancora finita. Temo che per un po’ vi vedrete con il binocolo voi
due. Lo sai come trattano gli intercalatori alla Toei.
—Capisco— Guardò fuori dal balcone, le nuvole grigie coprire il cielo come
cumuli di polvere —Bella giornata, non trovi?
—Se lo dici tu.
***
—M-ma è ridicolo! Un gatto che parla: Questa sembra una roba uscita da
un manga!
Nonostante ce l’avesse davanti Yui non poteva crederci. Possibile che
la voce giungesse da sopra quella trave, dove stava seduto il felino
glabro? Quest’ultimo spiccò un salto nel vuoto e atterrò, dopo un
piroetta, ai suoi piedi. Yui non riuscì a reggersi sulle proprie gambe
e cascò seduta sul pavimento del tempio, schiena contro una colonna
ionica.
—Non dire idiozie, il destino dell’umanità dipende da te, non è il
momento di avere paura!— La ammonì severamente il gatto senza pelo.
—A me sembra il momento eccome. Chi diavolo sei tu?
—
Vado per molti nomi, ma tu puoi riferirti a me semplicemente come la
Divina Maestà!
—Modesto lo spelacchiato—
Commentò a bassa voce Yui, che aveva quasi trovato la calma adatta per
fare battute.
—
Da anni io sono lo spirito che ha vegliato sul vaso di Pandora,
proteggendo il mondo dal signore dei demoni che contiene. Ma ora sto
invecchiando e non ho più la forza di tenerlo chiuso per sempre. I
demoni si stanno riversando nel mondo in ordine crescente di potenza.
—Quindi sei spelacchiato perché sei vecchio?
—
Basta parlare del mio pelo! È in gioco il destino del mondo e solo tu
puoi salvarlo dal signore dei demoni e il suo esercito che invierà
progressivamente sulla terra!
—
I-io! Cosa posso fare io contro un signore dei demoni? Non ho neppure
finito le medie!
—
Continuò a piagnucolare Yui, nascondendosi dietro la colonna bianca.
—Tu sei la prescelta Yui!—
Insistette l’animale, aggirando il fusto in due balzi e ipnotizzandola
con i suoi occhi dorati
—
Solo tu puoi diventare la protettrice dell’amore,”Ai no senshi
Chibi-Pan!”
—
Il terreno prese a tremare, talmente forte che la colonna stessa vicino
cui stavano crollò al suolo in uno schianto di frammenti di marmo.
Saltata via appena in tempo, Yui si levò le mani dal viso per vedere
cosa stava succedendo, e vide davanti a sé uno sciame di particelle
viola prendere forma sugli scalini dell’altare. D’improvviso un
terribile mostro insettiforme fece la sua comparsa, agitando braccia da
mantide e antenne da frusta. Si mise in una posa fotogenica e gridò
ronzando le ali e le mandibole.
—
In guardia Divina Maestà, Io sono Kamarakiri e sono qui per
distruggerti e liberare i miei compagni dalla prigionia in cui li hai
costretti!
—Presto Yui!— Il gatto saltò sulla testa dell’ancora sgomenta ragazzina —
È il tuo momento. Ripeti l’incantamento insieme a me per trasformarti!
”Ainotameni, shinu! Hentai!”.
—Non mi piace quella frase!—
Piagnucolò lei, stringendo le gambe dalla paura come a trattenersi dal
pisciarsi addosso. Ma pareva non avere scelta.
—Non ha importanza di che tipo di guardiana ti farà da scudo!— Minacciò
Kamarakiri,saltando in avanti in un affondo —Passerò volentieri anche
sul suo cadavere!
—Ainotameni, shinu! Hentai!
***
Una luce accecante aveva invaso la tavola del fumetto. Il che si traduceva
in una buona percentuale di pagina lasciata in bianco e molto lavoro in
meno per il disegnatore. In quella immediatamente successiva iniziava
un’elaborata sequenza di trasformazione piena di scintille e bolle di
sapone. Girò la pagina e si ritrovò all’ultima splashpage di Yui, ormai
trasformata ed incredula, in un elaboratissimo vestito violetto dai bottoni
dorati, nastrini rosa e fiocchi rossi, vari strati di crinolina sotto la
gonna e una bacchetta magica con una stella in cima. Era l’uniforme meno
adeguata per combattere il male, ma Ichiro non poté fare a meno che
adorarla. La storia sarebbe proseguita la settimana prossima. Non si sentì
particolarmente entusiasta di vedere dove la storia andasse a parare, visti
i preamboli, ma il design del vestito lo aveva incantato. Ammirò ancora un
poco la tavola finale, poi diede un occhiata all’orologio. Era tardi,
doveva assolutamente studiare. Nascose il “Mahou Shoujo Magazine” sotto il
proprio letto, insieme agli altri numeri, e tirò fuori il libro di storia.
Si mise alla scrivania e prese a farsi appunti sulla restaurazione Meiji. A
dire la verità finì solo con il buttare giù schizzi a penna per il costume
ideale da ragazza magica.
“La mia serie preferita è Pichi Pichi Peach Power Princess!” Aveva
esclamato la ragazza dalla coda di cavallo, Yoko gli pare si chiamasse,
mentre parlavano del magazine “Ha uno stile di disegno così tenero, è tutto
zuccheroso. E poi la storia è così allegra e spensierata, mi da ottimismo
leggerla, capisci?”
Sì, poteva capirlo benissimo. Forse il genere delle mahou shoujo
non era indicato alla sua demografica, ma aveva finito per leggerne a
palate a causa della sua infelice condizione sociale. Ovunque si girasse la
competitività lo soffocava. A scuola lo spingevano ad ammazzarsi di studio
per prendere voti sempre più altri quando a lui bastava la sufficienza; i
suoi coetanei si vantavano in continuazione delle proprie conquiste
sessuali quando lui si dimenticava alle volte di possedere un pene. E i
suoi genitori continuavano a fare progetti sul suo brillante futuro e a
intimargli di non deluderli. Era più che logico che la fantasia di potersi
trasformare nel bel mezzo della giornata e spezzare il proprio ritmo
quotidiano con un piccolo inserto di magia lo allettasse.
Completò il suo scarabocchio definitivo del vestito e lo esaminò. Non
pareva male, forse gli sarebbe pure stato bene addosso. Tutti quanti non
facevano che dargli della femminuccia in fondo, magari il suo fisico era
fatto apposta per quell’abito. Scosse la testa. No, sarebbe apparso
ridicolo. Certo, non più ridicolo di come era apparso in maglietta e
pantaloncini quel giorno in palestra. Dio, aveva frignato come un bambino
per quella pallonata. E poi aveva pianto di nuovo di fronte a quelle cinque
ragazze e chissà cosa dovevano aver pensato di lui. All’inizio era di
conforto pensare che le avrebbe riviste quella sera, ma più ci pensava e
più si rendeva conto che era un gesto mosso da pietà che altro.
Si arrotolò la manica, rivelando il braccio sinuoso e quasi privo di peli.
Era l’esatto opposto del concetto di mascolinità, dal suo fisico, la sua
altezza, la sua voce, la sua emotività ben poco sotto controllo e tutto il
resto. Si alzò dalla sedia di scatto. Non gliene poteva importare di meno
ora come ora della fine dello Shogunato. Si mise davanti lo specchio a muro
e si guardò.
—Se solo potessi…— E si mise in posa, ma non cambiò nulla. Era rimasto lo
stesso essere insignificante di prima ma in una posizione da idiota —Se
solo potessi…— Ripeté sconsolato e si buttò sul letto di pancia, premendosi
il cuscino sulla testa e uggiolando un verso di sconforto sommesso.
—Ichiro Dezaki, suppongo— Mormorò una voce profonda sopra di lui.
Spaventato, Ichiro arretrò, togliendosi il cuscino dal capo per vedere
quale razza di intruso si avesse fatto irruzione in camera sua. Ma non
c’era nessuno, solo qualcosa. Un animale, seduto sul davanzale della sua
finestra, con due grandi orecchie, un naso lungo e senza peli. Pietrificato
lo vide muovere la bocca ed esprimere parole —Ho bisogno del tuo aiuto.
Fu un urlo lancinante ad attirare sua madre in camera. Quando la signora
spalancò la porta si aspettava di trovarsi di fronte alla scena di un
omicidio, invece ci stava solo suo figlio, rannicchiato in un angolo, a
indicare la finestra.
—Ma che hai da gridare, sei diventato scemo?— Chiese gentilmente la donna.
—Un coso… un animale… una bestia mi è entrata in camera e… mi ha parlato—
Balbettò lui, con una mano alla gola —Era lì, te lo giuro, un coniglio fuso
a un formichiere. Poi ho chiuso gli occhi e quello è sparito.
—Ichiro— Gli disse mentre lo aiutava a rialzarsi —Te non ti droghi, vero?
—Ma che razza di domande sono, mamma?— Sbottò lui, doppiamente scioccato.
—Non ti giudico mica, dopotutto, alla tua età, anche io…
—No mamma, ti giuro che c’era sul serio, devi credermi.
—Allora, anche se ci fosse— Gli disse, porgendogli una scopa —Io gli
animali strani non li sopporto. Se appare di nuovo non chiamare me, pensaci
tu, che ormai sei grande.
Ichiro vide sua madre lasciarlo solo nella stanza, richiudendo la porta,
con una scopa a fargli da compagnia. Che razza di serata. Forse avrebbe
dovuto ricominciare a studiare, la sua mente viaggiava troppo.
—Ichiro, non spaventarti, sono solo io— Disse nuovamente la voce profonda.
Si voltò di scatto e vide che l’animale era riapparso, a quattro sul
proprio letto. Era grosso come una pantegana, il corpo ingrassato e la
pelle grinzosa. Senza troppi ripensamenti, Ichiro trattenne un grido e alzò
la scopa al cielo, menando un fendente. Ma fu come colpire il vento, perché
l’animale non c’era già più —Ti prego, devi ascoltarmi, è importante!
La voce proveniva da dietro di lui ora. Si voltò e lo vide sulla propria
scrivania, seduto aggraziatamente sopra il libro di storia.
—Chi sei?— Riuscì a bisbigliare appena verso quella visione assurda. Forse
la stanchezza gli stava giocando brutti scherzi.
—Io sono Poro Poro— Esclamò, vibrando le grandi orecchie —Sono qui per
conto del ministero della difesa.
—Il ministro della difesa?— Ripeté, allentando la presa dal manico della
scopa dalla confusione.
—Il ministero della difesa magica— Puntualizzò l’animale, facendo avanti e
indietro sul mobile —Non sono di questo mondo, ma mi è stato dato il
compito di proteggerlo, arruolando le persone giuste.
—Frena, frena, spiegati meglio— Intimò Ichiro con la voce rotta
dall’emozione, puntando la scopa come una lancia —Cosa sei tu, da dove
vieni e cosa vuoi da me, razza di porcospino calvo?
Poro Poro arricciò il naso offeso da quella parlata, sbuffando e chiudendo
gli occhi in atteggiamento solenne, zampa sul petto.
—Si dia il caso che io sia un oritteropo, signorino Ichiro. Vengo da una
dimensione diversa da questa, quello che voi potreste chiamare paradiso. Mi
è stato affidato il compito di scegliere il protettore di questa zona di
mondo e tu sei il soggetto più idoneo per diventarlo.
—Io? E da cosa dovrei proteggere il mondo?
—Quella è una radiosveglia, no?— Adocchiò l’oggetto Poro Poro, facendogli
cenno —Accendila e ascolta.
Ichiro fu titubante a dargli le spalle, ma infine vinse la sua paura e,
tremando, si avvicinò all’apparecchio, che segnava ormai le sette di sera.
Si sintonizzò su un notiziario e ascoltò una trasmissione allarmata dalla
metà in poi.
—
Immagini di dolore, di morte, di distruzione costellano il centro
cittadino. Pochi minuti sono passati dall’apparizione improvvisa
dell’ignoto gruppo criminale che sta seminando il panico per la città e
ignoriamo le sue motivazioni. Le forze dell’ordine non sono ancora
riuscite ad organizzare una risposta sufficiente contro la minaccia. I
terroristi sembrano essere resistenti alle armi convenzionali. Solo
ora, dei piani di evacuazione disorganizzati, stanno venendo messi in
pratica. Non sono ancora arrivati comunicati del governo, ma la nostra
stazione si sente in dovere di chiedervi di abbandonare il prima
possibile la città prima che essa sia trasformata in un teatro di
guerriglia urbana da parte di questi misteriosi assalitori. Molti
cittadini sono rimasti intrappolati nella zona occupata dai criminali e
non sembrano esserci speranze di recupero al momento. Possiamo solo
pregare che l’intervento dell’esercito sia tempestivo e capace di
contrastare le forze terroristiche
.
Ichiro si ritrasse, con la faccia congelata dal panico. Possibile che
stesse accadendo a lui, alla sua città? Che una minaccia così fantastica si
fosse abbattuta a pochi chilometri da lui? Certo, non si trovava in
pericolo, il suo appartamento di periferia era distante dalla zona
dell’incidente, ma guardando fuori dalla finestra poteva vedere bagliori di
fiamma e fumo nero che si alzava in mezzo ai palazzi, oltre che il rumore
distante di sirene. Gli cadde la scopa dalle mani.
—Ichiro!— Sua madre era entrata senza bussare dalla fretta. PPer un attimo
lui ebbe paura che vedesse Poro Poro, ma quest’ultimo si era già
smaterializzato un’altra volta. Lei non ebbe bisogno di chiedergli se
sapesse, glielo poteva leggere in faccia e dalla radio accesa che sputava
notizie sempre più nere —Io… non voglio che tu esca stasera. Aspetteremo
tuo padre, non ti muovere di casa. Quando arriverà, se la situazione fosse
peggiore, potremmo dovere andare a vivere da mia sorella per un po’. Spero
tu capisca la situazione.
Lo abbracciò, ma lui rimase rigido e freddo, senza ricambiare. Aspettò che
lei uscisse per mettersi le mani sui capelli e sedersi sul bordo del letto.
—Che cosa posso fare?— Biascicò —Sayaka, Yoko e le altre potrebbero essere…
Ma non riuscì a terminare la frase. Poro Poro, intanto, era apparso di
fianco a lui, come a fargli le fusa per calmarlo.
—C’è qualcosa che puoi fare— Puntualizzò l’oritteropo —Lottare per
difendere chi ti sta a cuore.
—Non prendermi in giro— Mormorò con tono arrendevole ichiro, strofinandosi
un occhio —Hai scelto la persona sbagliata. Io non posso proteggere
nessuno, sono solo un adolescente insicuro, debole e sempre pronto a
piangere.
—Ma tu hai un buon cuore— Poro Poro gli saltò sulle gambe e gli poggiò le
zampe anteriori al petto —A cosa serve la forza senza la volontà di usarla
per il bene? Fra tutti i poteri che ti posso dare neppure io avrei potuto
regalarti la tua bontà.
—Poteri?— Chiese sorpreso Ichiro —Che poteri?
—Se tu accetti la mia proposta diventerai un membro degli Angel Corp
otterrai un’uniforme e dei poteri unici con cui combattere i nemici della
pace.
—Sembra tutto così ridicolo— Si mise una mano in fronte il ragazzo.
—Non lo è affatto, ascolta— Saltò con un balzo solo nuovamente sul
davanzale della finestra, osservando le fiammate lontane all’orizzonte —In
questo momento molte vite dipendono da te. Solo tu puoi combattere i
Nekuroid.
—E cosa vogliono questi nekuroid?
—Conquistare il mondo ovviamente e non si fermeranno di fronte a nulla.
Devi venire con me e sconfiggerli.
—E perché nessun altro? Perché non qualcuno di più capace?
—È una questione di genetica— Spiegò Poro Poro —Solo tu hai i geni
predisposti per poter diventare un guerriero angelico. Questo tuo dono ti
da anche la responsabilità di poter farne uso per aiutare chi ne ha
bisogno. Pensa a Sayaka, Yoko e tutti gli altri.
Ichiro scrutò l’oritteropo con sguardo cupo.
—Immagino che non possa tirarmi indietro.
***
—Eccoci qua, Ichiro— Scodinzolò Poro Poro, adagiato sopra i suoi capelli.
Il ragazzo non aveva ancora il coraggio di aprire gli occhi e vedere dove
lo aveva portato. Sapeva solo che faceva freddissimo e tirava un vento
fatto di folate e pause interrotte. Si strinse nel suo pigiama azzurro che
indossava perennemente quando era a casa e saltellò sui piedi scalzi.
—Forse avrei fatto meglio a cambiarmi— Mormorò a denti stretti. Schiuse le
palpebre. Si trovavano sul tetto di un palazzo o qualcosa di simile.
—Oh, non ha importanza, non terrai quei vestiti addosso ancora a lungo— Fu
la risposta del guardiano, mentre gli balzava via dalla testa, direttamente
sul bordo del cornicione e guardò giù in strada. Ichiro ebbe un senso di
vertigine alla paura che potesse cadere, Poro Poro manteneva un equilibrio
perfetto sul ciglio. Gli si avvicinò e gli fu accanto, guardando anche lui
quello che capitava più sotto. Un branco di individui avanzava in delle
strade deserte e piene di carcasse di macchine, diretti verso un blocco
della polizia, che gli intimava di fermarsi al megafono. Non erano proprio
degli uomini però. Parevano più armature o macchine dal loro aspetto e, dai
loro movimenti, era chiaro che non fossero del tutto vivi. Quando gli
agenti aprirono il fuoco verso quella rossa massa ferrosa ichiro si nascose
dietro il parapetto del palazzo con un gemito di spavento. Rimbombarono
suoni di piombo frantumato ovunque, ma nessuno degli individui pareva anche
solo trasalire alle scintille che si sviluppavano sul loro corpo. Infine,
uno di loro, allungò le proprie braccia innaturalmente lunghe verso una
piccola station wagon di fianco a sé, afferrandola con delle chele. La alzò
lentamente, ma non per fatica, sopra la propria testa tonda e piena di
occhiolini neri da granchio, per poi traboccarla con violenza meccanica e
fredda addosso lo sbarramento di fronte, con uno schianto tremendo di
lamiere piegate, vetri infranti e allarmi suonanti, schiacciando una delle
volanti che bloccavano la strada. Ichiro non ebbe neppure il tempo di
vedere se qualcuno fosse rimasto sotterrato sotto quella massa ferrigna che
un secondo di quei crostacei bipedi rispose letteralmente al fuoco degli
agenti, sprigionando come un lanciafiamme a lingue azzurre da una piccola
proboscide al posto della bocca, dirigendo il getto incandescente verso
quei due cadaveri di automobile. Ichiro si mise le mani sulle orecchie e si
girò dall’altra parte, inginocchiandosi, già prevedendo la terribile
esplosione che spezzò l’aria come una frusta. Non aveva più il coraggio di
guardare giù. Aveva riconosciuto il posto, si trovavano sulla cima del
centro commerciale dove la sua famiglia andava sempre a fare la spesa.
Possibile che stesse accadendo davvero, in quel posto, in quel momento?
Possibile che non si trattasse di una fantasia eccessivamente dettagliata?
Forse stava avendo un incubo. Spesso sognava convinto di essere sveglio.
Si risvegliò dal suo stato di schock solo quando Poro Poro si teletrasportò
di fronte a lui e gli strinse le guance fra le zampe dagli artigli smussati.
—Vedi che distruzione stanno portando i Nekuroid? Devi assolutamente
fermarli, devi trasformarti!
—Non voglio— Piagnucolò, strofinandosi gli occhi e a sguardo basso,
parlando a singhiozzi —Sono solo uno studente, sono minorenne, vivo coi
miei genitori, prendo pessimi voti, leggo fumetti per ragazzine, piango
sempre, non ho mai scopato in vita mia, sono lo scherzo vivente della
classe, io… Io sono un disastro su tutta la linea, non posso difendere la
terra, ti sei sbagliato, i miei geni si sono sbagliati. Riportami a casa
per favore, voglio solo studiare per la verifica di domani.
Il suo piagnisteo fu interrotto da uno schiaffo poderoso, almeno per le sue
proporzioni, di Poro Poro. Quando Ichiro si massaggiò la guancia,
ammutolito, si vide davanti due occhi che non esprimevano rabbia ma
determinazione infuocata
—Tu…— Iniziò, correggendo il tono della sua voce perché risultasse più
profonda —Non capisci che non ci sarà alcuna verifica domani se non ti
decidi a combattere? Dov’è il tuo senso delle priorità? Ichiro, io so che
per tutta la vita tu hai voluto dimostrare di non essere un completo inetto
agli occhi di chi ti circonda. Finalmente ti si presenta la possibilità di
diventare una persona migliore, di avere l’onore di lottare per l’amore e
la giustizia. Trasformati, diventa un guerriero angelico, e scendi a
batterti con i Nekuroid! Non sarà facile, sarà doloroso, pieno di
responsabilità, questa vita ti strapperà la giovinezza di dosso per
costringerti a crescere prima del tempo, ma la strada per diventare
migliori sarà sempre in salita. Come si può raggiungere un picco se non
arrampicandosi per la la parete ripida? Se tu ora tornerai a casa perderai questa
occasione unica e vivrai di rimpianti e autocommiserazione, per non parlare
del mondo che cadrà nelle mani del male! Non sei stanco di vivere come il
buffone della tua stessa vita? E allora in piedi Ichiro Dezaki, è giunto il
momento per te di distruggere l’oscurità a mani nude!
Poro Poro gli aveva indirizzato il volto verso la stella polare, giusto per
avere più effetto scenico. Ichiro si alzò in piedi, si asciugò gli occhi
con la manica del pigiama, tirò su con il naso e annuì.
—D’accordo. Cosa devo fare?
Poro Poro saltò di gioia. Così tanto che finì sopra una parabola, che usò
come pulpito per dare istruzioni.
—Prima di tutto prendi questo!— Agitò le mani e, in un lampo di luce
istantaneo, apparve fluttante nell’aria un fermacapelli di plastica a forma
di cuore. Ichiro se lo rigirò imbarazzato. Sarebbe stato bene solo su una
bambina delle elementari —E ora infilatelo sopra la tempia.
Ichiro fece come gli fu detto, infilando quel trionfo del kitsch poco sopra
l’orecchio sinistro.
—Ora premilo con la mano destra, chinati in avanti e dì “ti amo” nella
lingua dei muti con la mano sinistra.
Dovette farsi rispiegare questo passaggio un po’ di volte, ma infine si
trovò in posizione. Si sentiva ridicolo a fare pose sul tetto di un palazzo
in pigiama, ma se significava fare qualcosa di utile nella propria
esistenza era convinto di poterlo sopportare.
—E ora grida “Ai no Henshin”!— Per completare il rito— Ma Ichiro
esitò, ancora con le braccia attorcigliate. Poro Poro zampettò d’impazienza
—E ora che ti prende?
—È solo che ho sperato così tanti anni che accadesse e ora… Mi sembra
sbagliato. Come se dovessi svegliarmi da un momento all’altro nella mia
vita di prima.
—Non è il momento delle crisi! Persone stanno morendo giù in strada,
sbrigati!
Ichiro strizzò gli occhi, tremando e sudante, coi vestiti larghi smossi dal
vento.
—Ai no Henshin!
Ci fu una luce particolare. L’avvolse piuttosto che accecarlo. Fu come
trovarsi all’interno d’una stella, tutte le ombre erano sparite. Si guardò
il proprio corpo e notò che non riusciva a muoversi. Non stava camminando,
non toccava alcun suolo, ma non stava neppure nuotando, era solo sospeso,
capace solo di agitarsi per aria inutilmente. D’improvviso i suoi vestiti
sparirono, come traslassero via dall’esistenza. Prima che potesse
afferrarlo il suo pigiama aveva perso consistenza ed era sparito. Nudo come
un neonato non poté fare a meno di strillare d’impulso quando sentì
qualcosa toccargli la gamba.
—Tranquillo!— Lo rassicurò la voce di Poro Poro —Sei già a metà
trasformazione!
Ichiro ci sperò con tutto il cuore perché ora stava avvenendo il processo
inverso. Dei nastri di tessuto apparvero tutt’intorno a lui e, come
serpenti, si gettarono sul suo corpo in posizione fetale dal timore. Dei
nuovi vestiti gli si stavano formando addosso in tempo reale, ma era molto
meno spaventoso di quanto sembrasse, per quanto lo mettesse a disagio farsi
fare il cambio d’abiti da un incantesimo. Cominciò quasi a fargli il
solletico quando passò in certe zone. Ci fu lo scoppio di una bolla di
sapone e, d’incanto, la luce era sparita, ritrovandosi di nuovo in cima al
tetto, coi piedi per terra. Si tastò il corpo: non era più nudo come prima,
senza dubbio. Poro Poro lo osservò soddisfatto, saltando giù dalla parabola
e danzandogli attorno.
—Ecco fatto, ora sei ufficialmente Pretty Angel Sigma! Ti piace l’uniforme?
Ichiro si diede un’occhiata e mancò un battito. Tanto per cominciare aveva
indosso un crop top bianco, che gli arrivava sotto il petto, ma
richiamava nel suo disegno l’uniforme scolastica alla marinara femminile,
con il collare azzurro che gli cingeva il collo, un grosso fiocco rosa che
lo legava e le spalline imbottite. Proseguendo giù aveva il busto in bella
mostra, non fosse per una maglietta semitrasparente che lasciava
intravedere l’ombelico e dai fianchi partiva una sopragonna dello stesso
materiale e colore del top più in alto, con le sue stesse venature
azzurre, tagliato sul davanti come un torta, lasciando intravedere la
minigonna plissettata sottostante, talmente corta che non giungeva neppure
a metà coscia. A completare il tutto due stivaletti rosati con alette alle
caviglie, un girocollo con campanellino, orecchini sul lobo rosa e guanti
bianchi di raso lunghi fino alla spalla, con l’orlo nascosto sotto la
manica delle spalline. Era il vestito che aveva disegnato prima invece di
fasi gli appunti. Indossato dal vivo pareva la pessima copia di un design
ben più famoso.
—No che non mi piace!— Sbottò Ichiro, stringendo i pugni di raso,
arrossendo e pestando uno stivaletto per terra —Non posso andare in giro
così, è umiliante!
—A me sembra che ti doni— Poro Poro gesticolò e trasse con un altro lampo
di luce uno specchio dal nulla. Guardandoci dentro Ichiro non vide sé
stesso, ma la rappresentazione perfetta della più adorabile ragazza magica
che si potesse ottenere dal reale. Si passò una mano sul viso, incredulo
che quello fosse lui, tremando le labbra passate al rossetto. Aveva
addirittura i capelli tinti di bianco neve. Poi si nascose il volto fra le
mani e girò intorno, nervoso.
—Dio, spero nessuno mi riconosca.
—Di che ti vergogni, dovrebbe essere un onore essere il paladino
dell’amore!— Gli balzò accanto Poro Poro.
—Ma mi spieghi perché diavolo devo indossare una gonna e tutto? Non avete
alternative maschili?
—Beh, non sono stato io a scegliere il vestito— Si scusò l’oritteropo,
grattandosi il lungo muso —L’uniforme viene fatta sulla base di come si
immagina il guerriero angelico che la indossa. Dovresti essere contento, è
letteralmente fatta come la immaginavi.
Ichiro provò ad allentarsi un po’ il girocollo. Uno scoppio di cemento
attirò la sua attenzione verso una nuvola di detriti in crollo. Un gruppo
di Nekuroid aveva sciolto, coi propri lanciafiamme, la base di un traliccio
dell’alta tensione, lasciandolo precipitare da un lato contro la facciata
di un palazzo vicino. Non c’era tempo da perdere.
***
Quando venne a mancare anche la luce non ce la poté fare più ad aspettare,
si sentiva già in una tomba.
—Io dico di uscire— Propose Kyoko.
—Io dico che sei scema— Rispose Yoko, rifacendosi la coda di cavallo. La
ragazza dal colorito abbronzato non la prese bene.
—Vuoi stare tutta la vita nascosta qui dietro?
—Mi garberebbe solo uscire quando fuori la smettono di sparare, ecco.
—Smettetela di fare rumore voi due— Intervenne Sayaka —volete attirarli
qui?
Come a risponderle, un pesante susseguirsi di passi lenti prese ad
avvicinarsi. Dietro il bancone della sala, devastata dalla fuga e il panico
dei clienti dell”Haru Zei”, tutte le ragazze trattennero il fiato. I passi
smisero di colpo. Appena il tempo di tirare un sospiro di sollievo, però,
che la porta barricata del locale esplose in uno sciame di segatura
all’impatto con una sega circolare dall’esterno. In meno di un minuto, uno
di quei grossi granchi rossi si stava prodigando per infilare tutto il
carapace metallico attraverso gli stretti battenti, gorgogliando chissà
cosa in gola. Ognuna di loro fece del suo meglio per evitare di strillare
dal terrore, specie quando quel maledetto affare prese a camminare in giro
per la stanza. Senza poterlo vedere, lo sentirono cercare in giro. Dovette
trovare un uomo, perché si udì un grido distintamente maschile, seguito da
una brevissima colluttazione e un orribile rumore di ossa rotta, che
interruppe ogni verso della persona. Era troppo. Quando quello schiocco di
ossa arrivò alle sue orecchie Yoko non poté fare a meno che emettere un
grido strozzato. Tutte la guardarono con un espressione da morte in viso.
Qualunque cosa il gamberone stava facendo la interruppe, perché prese
immediatamente a camminare verso il bancone. Yoko si trattenne
dall’abbandonare il proprio nascondiglio fino all’ultimo, ma quando sentì
l’incombente massa avvicinarsi al mobile, non poté fare altro che alzarsi e
provare a correre via. Subito un tentacolo metallico la seguì e tre dita
appuntite la presero per il colletto della camicia. Yoko fu costretta a
voltarsi e trovarsi faccia a faccia con dieci occhi elettronici che la
fissavano. La costrinse a sé da oltre il bancone, facendola passare sopra
il mobile dolorosamente e trascinandosela ai suoi piedi, alzando in aria la
sua mano libera, che prese a girare nel polso, formando, con la punta delle
dita, la stessa sega circolare che aveva infranto la porta. Yoko rimase sul
pavimento a strillare, fino a quando il mostro non sussultò e cadde su un
ginocchio, mollando la presa. Sayaka e le altre ne approfittarono subito
per trascinarla via prima che potesse riprenderla e la sollevarono,
dirigendosi all’uscita insieme ad altri clienti terrorizzati. Ma erano solo
in quattro. Si guardò indietro e vide Kyoko torreggiare la macchina
chinata, sollevando sopra la propria testa un estintore già ammaccato. Menò
un secondo colpo presa dall’adrenalina, prendendo la macchina sul muso,
voltatosi a vedere chi la disturbava, e lasciandogli una delle dieci lenti
incrinate.
—Vieni via Kyoko!— la implorò Sayaka.
—Ti è piaciuto, gran figlio di puttana?— E già si preparava a scagliare un
terzo colpo che non giunse mai. Un tentacolo nero la cinse alla gola e la
sollevò da terra, facendole mollare l’estintore dalle mani che portò alla
morsa. Le altre quattro smisero subito di correre e rimasero paralizzate
dalla loro impotenza di fare niente per aiutarla contro quel mostro
meccanico. Kyoko sarebbe morta e loro non potevano impedirlo.
—Kokorang, go!
Una sorta di proiettile di luce attraversò la stanza, descrivendo una
traiettoria che si lasciò dietro la coda di una cometa, prima di svanire
piano. Il mostro si era fermato di colpo, ancora stringendo la povera Kyoko
scalciante. Poi si ammollì come burro sciolto l’istante dopo, lasciando
cadere il corpo vivo ma incosciente della ragazza. Il gamberone cadde
all’indietro lentamente, mentre una crepa appena apparsa sul suo petto si
illuminava di fuoco. Toccò il suolo con la delicatezza di un incudine,
sfondando il pavimento in legno. Le quattro corsero ad assistere la propria
compagna svenuta, prima di voltarsi verso l’origine di quel grido. Sulla
soglia del locale ormai vuoto stava una figura bassa, dal fisico esile e
vestita in maniera eccentrica. Nella mano inguantata di bianco aveva una
spilla a forma di cuore, che procedette subito a rimettersi a posto sulla
tempia sinistra.
—E tu chi saresti?— Chiese Ai, sistemandosi gli occhiali. La figura era in
controluce con i lampioni esterni e non la si vedeva definita. La figura
rimase immobile. D’improvviso girò la testa alla sua destra e saltò
all’indietro, evitando un tentacolo nero che frustò il marciapiede,
fracassandolo. Chiunque fosse, ora, era sparita nelle strade notturne,
tirandosi dietro mezza dozzina di quei granchi a inseguirla, martellando il
manto stradale come fabbri sotto il loro peso.
—Cosa succede?— Riaprì gli occhi Kyoko, una volta che l’ossigeno le tornò
al cervello e massaggiandosi il collo.
—Bella domanda— Rispose Sayaka.
***
—Kokorang, go!
Un altro lancio e un altro Nekuroid a terra, con la testa mozzata. Il kokorang era un’arma favolosa, li passava come carta e tornava
nella sua mano automaticamente. L’inconveniente era il fatto che dovesse
ogni volta aspettare quei cinque, dieci secondi, che tornasse indietro, il
che lo lasciava praticamente disarmato. Inoltre, dover ogni volta gridare
la formula per lanciarlo rivelava costantemente la sua posizione a tutti i
Nekuroid dei paraggi. Chissà poi che diavolo erano, se alieni, demoni,
umani o che altro. Ma non c’era il tempo per chiederselo. I colpi
giungevano da ogni parte. In quelle pause in cui aspettava il ritorno della
sua arma poteva solo schivare ogni singolo assalto di quelle maledette
braccia telescopiche.
—Kokoran…— ma non fece in tempo a dire la formula che, di lato,
uno di quegli affari mancò di poco il suo petto perché glielo arpionasse.
Fu costretto a compiere l’ennesimo balzo indietro, ma stavolta, quando alzò
il capo per riprendere la mira, uno di loro riuscì a cingergli il polso,
facendogli cadere a terra la spilla. Senza dargli il tempo di riprendersi,
il Nekuroid lo attirò a sé, ritirando il braccio come una canna da pesca e
costringendolo ad avvicinarsi. Il gamberone alzò al cielo l’altra mano e
l’abbassò che era diventata una lama rotante, diretta contro il suo viso.
Fu come vedersi la morte in faccia. E come quella volta in metropolitana
anche questa volta agì senza sapere cosa stava facendo. Era riuscito a
intercettare il braccio metallico che reggeva la lama e lo teneva distante
da sé, mentre questa ancora sibilava.
Come poteva fare qualcosa di simile? Evidentemente quella forza gli veniva
dai poteri dategli da Poro Poro, concluse. Non poté ragionare ancora sul
fatto, che la proboscide del Nekuroid si drizzò e emanò un’aura verdognola.
Prima che il mostro potesse fonderlo con la sua lancia termica, Ichiro ebbe
un altro scatto. Balzò in avanti, costringendo la sega verso il proprio
stesso avversario e riuscì a piantargliela in mezzo gli occhi. Non si
aspettava quella vampata di scintille e calore al contatto, ma riuscì a
impedirgli di usare il getto e aprirgli la testa in due come una noce,
lasciando visibile il suo meccanismo interno. Il Nekuroid era morto e la
sua presa si fece molliccia. Udì un sibilo alle sue spalle. Si voltò e ne
vide un altro preparare il proprio lanciafiamme contro di lui. Tanto valeva
testare fino a quanto ammontava la propria forza allora. Lanciò il Nekuroid
che aveva appena sconfitto contro l’altro che si approssimava e aveva
appena attivato la lancia termica, che investì in pieno il corpo proiettato
verso di lui. Lo scontro fu talmente forte e il calore così tanto, che i
due si fusero insieme in un’unica, strana carcassa. Incredibile, doveva
appena aver sollevato e catapultato almeno tre quintali di meccanismi.
Ansimò un momento, prima di rendersi conto che altri ancora stavano
arrivando e si erano frapposti fra lui e il suo Kokorang. La
situazione si stava mettendo male.
—Sigma!— Lo chiamò la voce di Poro Poro. Si trovava sopra il lampione sotto
cui stava —Ricordati della funzione di ritorno!
Ichiro annuì e allungò una mano verso l’arma a terra, dietro la fila di
macchine che avanzava. Come un magnete questa ritornò indietro, affettando
due Nekuroid lungo la via e il ragazzo fece subito per rilanciarlo.
—Non hai imparato niente, Sigma?— Sbraitò Poro Poro per farsi sentire —Non
ripetere gli stessi attacchi. Passa alla Kokoroken!
Ichiro annuì di nuovo, schivando un altro tentacolo.
—Kokoroken!
Chiuse le mani di raso sulla spilla e la lanciò in aria, dove subì una
metamorfosi. Dal fondo spuntò un manico, dalla cima una lama e la
superficie a forma di cuore si schiuse come una rosa a formare la guardia
per il fioretto appena apparso. Alzò le mani pronto per afferrarlo e… cadde
un metro più indietro di lui. Si chinò in imbarazzo e fretta per
recuperarlo, dando le spalle al nemico. Fortunatamente questo gli evitò un
tentacolo che saettò tagliando solo aria con le proprie dita appuntite. O
almeno così credeva Ichiro quando si rialzò da terra, fioretto in mano,
fino a quando non sentì un venticello freddo abbracciargli l’interno
coscia. Si tastò con una mano il retro della gonna e non lo sentì affatto.
Anzi, toccò la sua pelle nuda. L’artiglio si era portato via un pezzo della
minigonna e sopragonna, lasciando buona porzione delle mutandine in bella
mostra.
Forse non ci avrebbe badato troppo, concentrato com’era sulla lotta. Ma
d’improvviso si rese conto che un gruppo di civili in fuga si era fermato
ad osservare il putiferio che si stava consumando in strada, nascondendosi
a debita distanza dietro ogni tipo di copertura. Il rombo di un rotore di
coda poi si propagò nell’aria fredda della notte. Un elicottero della
stampa stava sorvolando la zona. E lì, davanti a tutte quelle persone,
stava un maschio adolescente gracilino e vestito da ragazzina, con il
culetto in bella mostra dietro un paio di mutandine. Gli crebbe dentro un
imbarazzo indescrivibile. Come mettersi a giocare con le bambole nei
corridoi di un’università, quel tipo di imbarazzo. La testa gli girava e le
gambe non lo reggevano più. Si accasciò ad un muro con il cuore che gli
batteva forte, il respiro affannato e la vista che gli si annebbiava. Un
tentacolo vibrò verso di lui e Ichiro fece appena in tempo ad evitarlo,
seppure non del tutto. Un brandello del suo collare da marinaretta era
rimasto inchiodato al muro. Un altro tentacolo si allungò e ichiro non usò
nemmeno stavolta la spada, continuando invece a correre lungo il muro.
Aveva bisogno di qualcosa alle sue spalle, per coprire lo strappo alla
gonna. Era un vero incubo, come se tutta la vergogna ignorata fino a quel
momento lo avesse annegato tutto in un colpo. Lo stavano guardando, lo
stavano riprendendo con telefoni e cineprese. E lui stava lì, con la sua
ansia sociale, a dare spettacolo in centro città con un vestito ridicolo
addosso. Domani mattina avrebbero potuto riconoscerlo e allora la sua vita
sarebbe finita del tutto, sarebbe diventato una sorta di scemo del
villaggio, ne era sicuro.
Frattanto continuava a ricevere ferite ovunque, incapace di reagire sotto
lo sguardo di tutte quelle persone. Un tentacolo gli strappò una delle
spalline, un altro gli prese il fianco di striscio, un altro squarciò il
guanto destro all’altezza dell’avambraccio e un altro ancora lo colpì
giusto nel taglio frontale della sopragonna, togliendogli via un’altra
estremità della corta plissettata. Era come se si stessero divertendo con
lui senza dar segno di riso, colpendolo poco per volta. Forse, si
immaginava, lo avrebbero ucciso solo una volta tolti tutti gli abiti di
dosso.
—Per l’amor del cielo, reagisci Sigma!— Gli gridò Poro Poro. Si era
teletrasportato davanti a lui e continuava a sparire e apparire per evitare
tutti i tentacoli che si stava attirando contro. Gli stava facendo
guadagnare tempo per riprendersi —Tu sei perfettamente in grado di
distruggerli tutti, cosa aspetti?
Ma lo sguardo di Ichiro, non trasmetteva nulla se non paura, appallottolato
contro il muro in quel semicerchio di Nekuroid, con i vestiti a brandelli e
sanguinante, la Kokoroken al suolo. Pur teletrasportandosi Poro
Poro non poteva proseguire quel gioco a lungo, si stava stancando.
—Per favore Sigma, rialzati e combatti, non c’è motivo perché tu perda
adesso!— Ma anche quello fu un grido lanciato al vuoto. Ichiro poté solo
provare ancora più tristezza per aver deluso un’altra persona. Poro Poro
non ce la faceva più. Si teletrasportò un’ultima volta e riapparve sul
cornicione di un palazzo vicino a riprendere fiato. I Nekuroid si
dispersero subito per cercare quel guardiano scomparso, mentre un paio di
loro rimase indietro a finire il lavoro con Ichiro.
Non reagì neppure quando si sentì i polsi afferrati da due chele. I due
granchi lo costrinsero ad alzarsi come una marionetta, mentre i restanti
due, dei loro quattro arti, si strinsero attorno le caviglie alate del
ragazzo. Anche se fosse stato libero lui non si sarebbe mosso.
—Uccidere il soggetto?— Chiese la voce sintetizzata di uno dei due.
—No, prelevare soggetto— Rispose il secondo. Ichiro ascoltò con il minimo
interesse. L’unica cosa peggiore della morte che potessero fargli era
quella di portarlo come trofeo al loro capo o chissà cosa. Sicuramente si
sarebbe fatto delle sane risate anche lui, se avesse avuto una bocca.
Il grido di un uomo riecheggiò nella sua testa. Non se l’era immaginato,
qualcuno stava urlando. Davanti a sé, oltre i corpi dei due grossi
Nekuroid, vide un uomo avvolto dalle fiamme correre in mezzo alla strada
come una torcia umana. Lo seguì con lo sguardo, ipnotizzato da quel
bagliore spettrale in mezzo alla notte. Cadde e si rotolò per terra, fino a
estinguere ogni sua vitalità, ma non la fiamma che l’aveva spenta, che
procedette a consumarlo come legna secca. I Nekuroid avevano iniziato a
usare direttamente i lanciafiamme per liberare la zona dai civili che si
erano radunati a osservare la battaglia invece di evacuare. Da entrambi i
lati della strada, fiamme blu come il cobalto venivano vomitate dalle loro
proboscidi, saltando di corpo in corpo, accendendo chiunque toccassero e
grida distorte dal dolore salivano fino al cielo, insieme al fumo e le
ceneri.
È vero, era ridicolo, pensò. Era ridicolo il suo costume, era ridicolo lui
di aspetto fisico e avrebbe tanto voluto non trovarsi lì. E certo, domani
sarebbero circolati ovunque i video di un idiota che combatte in minigonna
dei robot. Ma sarebbe stato molto peggio se fossero circolati invece i
video di un’idiota, vestito da ragazzina, che lasciava degli innocenti
venire arsi vivi da dei mostri. Ripensò a come era stato salvato, quel
pomeriggio, da Sayaka e le sue amiche. Avrebbero potuto ignorarlo e invece
si erano prese la briga di aiutarlo, perché potevano farlo. E ora, dopo
aver passato tutta la vita in uno stato di subordinazione agli altri, aveva
finalmente la possibilità di fare qualcosa di buono per loro. E lo avrebbe
fatto perché poteva e basta.
***
—E io vi dico che anche se non fosse arrivata quella tipa strana con il suo
boomerang magico a risolvere la cosa, ci potevo pensare benissimo da sola a
sistemare quel coso.
—Da svenuta, Kyoko?— Chiese spazientita Ai.
—Non possiamo essere solo allegre che siamo riuscite a non morire, per
favore?— Le abbracciò entrambe Sayaka.
Attraversarono la strada piena di pompieri, ancora impegnati con l’incendio
dei grandi magazzini. Svoltarono l’angolo e si imbatterono in una strana
figura, sdraiata a dormire sulla panchina fredda di una fermata della
corriera.
—Ichiro!— Esclamò Yoko, correndo in avanti. Gli parve una strana figura per
varie ragioni, non ultima il fatto che fosse vestito solo di un pigiama
azzurro e fosse pieno di lividi e tagli. Ebbe la tentazione di scuoterlo,
ma gli pareva brutto disturbarlo nelle sue condizioni. Ma, come sentisse la
loro presenza, Ichiro aprì gli occhi.
—Cosa è successo Ichiro?— Fu la domanda che gli fu posta. E lui di certo
non poteva rispondere che il motivo delle ferite era che aveva passato le
ultime due ore a distruggere ogni singolo Nekuroid che aveva assaltato il
cuore della città, apparendo, chissà poi come, dal nulla. E non poteva
certo aggiungere che, il motivo per cui aveva indosso il suo pigiama, nel
bel mezzo della notte e sul luogo di un disastro nazionale, era perché si
trattava dei vestiti che aveva indosso quando si era trasformato in Pretty
Angel Sigma. E non poteva neppure spiegare che Poro Poro aveva esaurito la
sua scorta di energia per teletrasportarsi, dopo tutto l’uso che ne aveva
fatto quel giorno, ergo era bloccato lì a chilometri di distanza da casa.
—Non lo so— Fu tutto quel che poté dire con un filo di voce —Aspettavo
l’autobus per tornare a casa.
—Credo che i trasporti pubblici del centro siano stati tutti tagliati—
Spiegò una voce delle cinque, ma era tanto stanco e debole che non riusciva
a capire chi fosse di loro.
—Ho parcheggiato la mia macchina qui vicino, ti possiamo dare uno
strappo— Si offrì un’altra. Lui annuì lentamente e ripresero ad
attraversare le strade buie del centro devastato. Gli si chiudevano gli
occhi e faceva fatica a camminare.
—Mi spiace— Disse appena —Di essere un peso per voi.
—Ma che dici— Questo lo aveva detto Sayaka, ne era certo perché era lei
quella che lo reggeva sottobraccio e gli sussurrava nelle orecchie —Non
sappiamo perché ti trovi sempre in situazioni così spiacevoli, però saremmo
maleducate a non fare nulla per aiutarti.
—E poi sei così adorabile— Aggiunse un’altra, carezzandogli la testa.
A un certo punto finì in uno stato di dormiveglia, avanzando per riflesso
meccanico. Aveva salvato la città e si era nuovamente reso ridicolo di
fronte a quello stesso gruppo di ragazze. Non sapeva bene se considerarla
una bella risoluzione di giornata o meno.
Oltretutto non aveva neppure studiato per la verifica di domani. Beh, forse
sarebbe riuscito a convincere sua madre a non andare a scuola per motivi di salute.
Forse.
***
—Venga avanti Poro Poro.
—Comandi signor direttore.
—Sono proprio delle belle riprese quelle che abbiamo avuto. Con tutto
questo dramma sarà una puntata pilota d’impatto.
—Me ne compiaccio signor diretore.
—Solo una cosa turba il nostro consiglio di amministrazione però.
—Che cosa signor direttore?
—Perché un uomo come protagonista?
—Credo che aggiunga un pizzico di pepe alla vicenda. Ha molto talento,
crede davvero in quello che fa e poi è abbastanza carino per il fan service e il merchandising allegato, non trova?
—Non lo metto in dubbio. Senta, spero sia aperto a suggerimenti.
—Certo signor direttore.
—Aggiungere un rivale non sarebbe male. Complicherebbe la vicenda.
—Le farò sapere signor direttore.
—Certo, forse abbiamo esagerato con quello che abbiamo fatto al popolo di
quel pianeta.
—Il pubblico adora la violenza gratuita. I gusti sono cambiati dai nostri
primi reality show.
—Ho seriamente temuto che quell’Ichiro potesse morire già nella prima
puntata.
—Oh, i miei droni ci sono andati molto leggeri, sanno come dosare la loro
forza.
—Mi sembrate molto sicuro di sé signor Poro Poro. Vi lascio carta bianca
per girare il resto della stagione come preferite.
—Grazie, signor direttore.
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