You like to think
you’re never wrong
Martin aveva sempre pensato che sua madre fosse ottusa, ma
quando aveva scoperto che lui era omosessuale aveva compreso appieno il
significato di quella definizione.
La signora Petra Rose Harris era una donna piuttosto
insignificante, sia fisicamente che caratterialmente: ci teneva a essere sempre
in ordine e ben vestita nonostante fosse la moglie di un muratore e non avesse
molti soldi per comprare abiti di buona qualità; era particolarmente apprensiva
quando si trattava dell’educazione e di ciò che andava fatto per compiacere gli
altri e per fare una buona impressione sul prossimo.
Quando Martin era ancora bambino, lei lo aveva spesso
ripreso per la sua vivacità ed esuberanza, riportandolo all’ordine con frasi
dure e autoritarie; per contro, suo marito era sempre stato mite e non aveva
mai opposto grande resistenza quando si era trattato di porre dei limiti al
figlio.
Harry Harris era – come spesso la donna lo aveva definito –
un debole, uno di quegli uomini che lavoravano sodo e non pensavano mai alle
cose importanti. Questo, però, Petra glielo diceva quando erano soli, lontani
da orecchie indiscrete: non voleva assolutamente che i vicini di casa o gli
amici di famiglia intuissero che tra loro le cose non andavano.
Pretendeva che Martin la aiutasse a gestire la casa per
poterlo poi raccontare alle sue amiche e vantarsi delle prodezze di suo figlio;
voleva che tutti ammirassero la sua famiglia perfetta e che la invidiassero per
il bravo marito che aveva, oltre che per il figlio educato e composto che lei
stessa riusciva a manipolare a suo piacimento.
Quando Martin si era accorto di quanto sua madre fosse poco
interessata al suo bene quanto al parere che la gente poteva avere sulla loro
famiglia, aveva deciso di non agitare le acque e di resistere; prima o poi se
ne sarebbe andato da lì, si sarebbe costruito una vita lontano da quella sorta
di prigione e avrebbe smesso di prestare attenzione al carattere
unidimensionale e scialbo di sua madre.
E quando aveva conosciuto Joe – il suo Joe – all’età
di ventiquattro anni, aveva capito che poteva reagire.
Se Joe ce l’aveva fatta e si stava impegnando per costruirsi
un futuro nonostante tutte le difficoltà che la vita gli aveva posto di fronte,
anche lui poteva esserne in grado.
Non lo aveva mai rivelato al suo compagno, ma lo stimava e
ammirava tantissimo per la sua determinazione e il suo coraggio; Joe era forte,
sempre pronto a buttarsi a capofitto nelle situazioni e a mettersi in gioco.
Nonostante fosse cieco, nonostante avesse un sacco di paure
e una famiglia peggiore della sua.
Martin, in fondo, doveva ritenersi fortunato: suo padre era
una brava persona e gli era ancora accanto, mentre Joe aveva perso il suo
quando aveva solo dodici anni; da allora era stato costretto a condividere
l’esistenza con una madre opprimente e insopportabile, sempre pronta a
mortificarlo e a impedirgli di crescere. Cecilia Sandys era sempre stata una
donna timorosa e aveva trasmesso le sue paure al figlio, rendendolo più fragile
di quanto in realtà non fosse.
Eppure Joe ce l’aveva sempre messa tutta, aveva fatto il
possibile per vivere la sua vita senza lasciarsi influenzare da chi l’aveva
messo al mondo.
Quei pensieri infestavano la mente di Martin mentre, seduto
nel salotto del padre, ripensava a tutto ciò che era successo e che sarebbe
accaduto di lì a poco.
Harry Harris, stanco dopo una giornata di lavoro in
cantiere, lo raggiunse e si buttò sul divano accanto al figlio.
Martin intrecciò le dita e si strinse meglio le ginocchia al
petto. Si sentiva un bambino smarrito e avrebbe tanto voluto che Joe gli fosse
accanto in quel momento, eppure aveva preferito non coinvolgerlo. Sapeva
com’era fatto il suo ragazzo: si sarebbe infuriato di fronte al rifiuto di
Petra Rose, Martin ne era certo.
«Sei sicuro di volerlo dire a tua madre? Quando ha scoperto
che eri gay, per poco non ti buttava fuori di casa» disse suo padre.
Martin annuì. «Non mi importa. Non può buttarmi fuori di
casa, vivo già per conto mio e ho un lavoro. Sono stanco di questa situazione.
Ho voluto dirlo prima a te perché… beh, io e te andiamo d’accordo.»
«È giusto che tu sia felice. Joe ti rende felice, quel
ragazzo è…» Il più grande tentò di trovare le parole giuste, ma tutto ciò che
riuscì a produrre fu un sorriso intenerito. «Unico, ecco. So che sembra banale,
però è così.» Poi si voltò a guardare suo figlio negli occhi – iridi scure
immerse nelle proprie gemelle – e gli poggiò una mano sul ginocchio. «Sei
fortunato, piacerebbe anche a me trovare…»
Martin lo vide chiaramente mentre veniva sommerso dalla
consapevolezza di ciò che stava per dire; suo padre si ritrasse e distolse lo
sguardo, abbassando appena il capo.
«Papà…»
«Non dovevo dirlo, scusa. Non voglio che tu pensi che…
Martin, sono stato bene con tua madre. Per un po’ ha funzionato, poi mi sono
reso conto che non potevo più darle ciò che meritava» replicò il più grande in
tono mesto.
«Non puoi farci niente. Mi hai insegnato che non è colpa
nostra se ci piacciono gli uomini. A me piace Joe, a te magari capiterà di
incontrare uno come lui, insomma, qualcuno che sappia apprezzarti davvero.»
Fece una pausa. «Non come la mamma.»
«Non devi pensare che lei sia un mostro, Martin…»
Il ragazzo scrollò le spalle e lasciò ricadere le gambe sul
divano. «Non un mostro, ma una persona arida sì. È possibile che non provi dei
sentimenti, eh? Dimmelo tu!»
«No, beh, da giovane era… diversa» esalò Harry, passandosi
una mano tra i capelli brizzolati mentre un sorriso amaro si dipingeva sulle
sue labbra.
«Poi è cambiata e ha deciso di rovinare la vita a entrambi»
borbottò Martin.
«Non avercela così con lei. Finirà per dare la colpa a me
solo perché abbiamo un bel rapporto.»
Martin scosse il capo e si mise in piedi. «Adesso vado da
lei. Prima le parlo, meglio è.»
«Potresti sempre fingere di vivere da solo, non sei
obbligato a farglielo sapere. Figliolo, senti…» Suo padre si alzò a sua volta e
gli posò le mani sulle spalle. «Non devi giustificarti con lei. Non deve per
forza accettare qualcosa che non può comprendere.»
Martin gli regalò un breve abbraccio e gli picchiettò sulla
schiena. «Grazie, papà. Ti farò sapere come andrà.»
E, mentre lasciava l’abitazione, Martin già cominciava a
pentirsi di aver preso quella decisione.
Ormai però aveva fatto la sua scelta: prima di trasferirsi
nel nuovo appartamento con il suo fidanzato, l’avrebbe comunicato a sua madre.
Sorrise amaramente, rendendosi conto che prima avrebbe
dovuto dirle che aveva un ragazzo.
La casa in cui abitava era come la ricordava, la stessa dove
lui era nato e cresciuto e nella quale aveva visto la sua famiglia sgretolarsi.
Riconobbe il piccolo giardino sul davanti, il vialetto
fiancheggiato da aiuole fiorite e ordinate, il portico pulito e la siepe che
delimitava il confine con la proprietà dei Turner.
Si accostò velocemente alla porta d’ingresso e suonò il
campanello, lanciando un’occhiata al giardino dei Turner e ricordandosi del
giorno in cui aveva conosciuto uno dei suoi migliori amici; Ben, in effetti,
era una delle persone più care che avesse e aveva rappresentato anche la sua
prima vera cotta nei confronti di un ragazzo.
Sorrise appena, ma venne strappato a quei ricordi quando
l’uscio si aprì e sua madre mise fuori la testa. Le bastò incrociare i suoi
occhi scuri per impallidire e stringere più forte la maniglia.
«Ciao» salutò Martin, rendendosi conto che non si vedevano
da parecchi mesi.
«Entra, prima che qualcuno ti veda! Ci manca solo che
pensino male di me perché ho un figlio strano.» Detto questo, Petra si
ritrasse e gli fece cenno di avanzare.
Il ragazzo sbatté le palpebre e rimase stranito per un
attimo, infine fece il suo ingresso e spinse la porta per richiudersela alle
spalle. Anche l’arredamento e l’atmosfera dell’abitazione erano rimasti
invariati da quando se n’era andato quattro mesi prima: tutto era triste,
ordinato, perfetto.
Nauseante e claustrofobico.
A Martin mancò quasi l’aria ed ebbe voglia di uscire di lì –
forse era colpa anche della calura estiva che si abbatteva impietosa sulla
città.
«Cosa vuoi? Ho da fare e sai che non mi va di perdere tempo»
disse sua madre, dirigendosi in cucina come se lui non fosse neanche presente.
Martin avrebbe voluto dirle che era ridicolo che si
preoccupasse dell’opinione dei vicini di casa o di chi la conosceva e che
questo le impedisse di avere un rapporto con suo figlio; eppure tacque e
affondò le mani nelle tasche dei jeans, seguendo la donna e frugando nella sua
mente alla ricerca delle parole da usare. Voleva parlarle al più presto e
fuggire da lì, almeno sarebbe andato a vivere con Joe con la coscienza a posto.
«Parli o hai perso la lingua?» lo incitò Petra, lanciandogli
un’occhiata in tralice mentre finiva di spolverare la credenza.
Martin la fissò e la trovò patetica: i capelli a caschetto
erano crespi per via delle tante tinte ed erano di un nero spento e finto, gli
occhi color caffè non erano luminosi e amorevoli, il corpo dalle forme generose
non era accogliente come quello di qualunque altra madre.
Gli si strinse la gola e deglutì a fatica, passandosi una
mano tra le ciocche umide di sudore.
Poi sospirò e si avvicinò alla finestra. «C’è una mosca»
osservò, notando che l’insetto sbatacchiava contro il vetro.
Petra fece una smorfia. «Mi fai perdere tempo e ho da fare.»
Lui tornò a fissarla e si fece determinato. «Vado a vivere
con il mio uomo» affermò in tono piatto.
Petra Rose si portò le mani di fronte alla bocca e si
abbandonò con la schiena contro il frigorifero. «Perché me lo dici? Non mi
interessano le cose che fai con quelli come te. Compreso quel traditore di
tuo padre» sibilò tra i denti.
«Papà non ti ha mai tradito» replicò Martin, mentre una
furia sempre crescente si faceva strada nel suo petto. Non sopportava che si
parlasse male di Harry, soprattutto perché era un brav’uomo ed era l’unico
famigliare che lo appoggiasse nelle sue scelte di vita e nelle sue
inclinazioni.
«Almeno dovresti avere la decenza di non farlo sapere in
giro. Non ti vergogni?» lo apostrofò ancora sua madre, raddrizzandosi e
incrociando le braccia sul petto.
«Stai parlando sul serio?» Martin fece un passo indietro e
la mosca, spaventata da quel movimento brusco, volò via.
«Certo. Cosa penserà la gente di quello che stai facendo
alla tua famiglia?»
«A me non interessa che tu lo accetti. Volevo solo che lo
sapessi» tagliò corto il ragazzo, scuotendo la testa.
«Avrei preferito non saperlo. Ma almeno mi hai dato la
conferma che non ho più un figlio» disse aspramente la donna, serrando le
labbra e indurendo i lineamenti del viso. «Esci da casa mia» aggiunse
perentoria.
«Mamma…»
«Io non sono più tua madre. Mi hai tradito, hai deciso di
stare dalla parte di tuo padre. Quando ti accorgerai di aver sbagliato, sarà
troppo tardi e io non ti perdonerò» sputò, facendo un ampio gesto con il
braccio sinistro. «Vattene, ho detto!»
«Perché mi tratti così? Non vuoi che io sia felice?» mormorò
Martin. Aveva improvvisamente perso tutta la sua determinazione, gli restava
solamente un enorme vuoto nel petto, riempito solo da impetuose ondate di
delusione.
«Non così. La nostra famiglia era perfetta e voi
l’avete rovinata! Sparisci dalla mia vista, Martin Harris!» sbraitò, la voce
incrinata dalla rabbia.
Il giovane chinò il capo e si diresse lentamente verso
l’uscita; non si guardò indietro, nonostante sperasse che la madre ci
ripensasse e lo richiamasse.
Ignorò l’ambiente circostante – voleva dimenticare al più
presto quella casa e quel momento – e se ne andò, mentre nella sua mente si
faceva spazio un ironico pensiero: aveva raggiunto l’obiettivo, aveva detto
a Petra ciò che doveva.
Quando passò a prendere Joe per portarlo nel loro nuovo
appartamento, il riccio era entusiasta e non stava più nella pelle.
«Non è molto grande, certo, però ci staremo benissimo»
spiegò Martin, rimettendo in moto l’auto.
«Martin…» Joe per un attimo si rabbuiò e intrecciò le mani
in grembo. «Sei sicuro che vuoi davvero vivere con uno come me?» domandò
mestamente, chinando il capo.
Martin avrebbe voluto fermare la macchina e prenderlo tra le
braccia per rassicurarlo, ma la verità era che in quei giorni avrebbe avuto
bisogno anche lui di sostegno e supporto; non aveva ancora raccontato a Joe
della conversazione con sua madre e non sapeva come dirglielo, non voleva che
si arrabbiasse e cominciasse a sbraitare per il modo ingiusto in cui era stato
trattato. Sapeva che il suo ragazzo lo avrebbe rimproverato per non aver
reagito e per non averla insultata, ma lui era fatto diversamente e non poteva
farci niente.
La rabbia che aveva provato in quel momento se l’era tenuta
dentro e non era riuscito a sfogarla in alcun modo, almeno finché non aveva
raggiunto la spiaggia e aveva fatto una bella nuotata rilassante. Solo il mare
riusciva a farlo sentire completo e tranquillo anche quando pareva che tutto il
mondo fosse contro di lui.
«Martin?»
SI riscosse e si schiarì appena la gola. «Sì?»
«Sei sicuro?»
«Certo» rispose in automatico.
All’interno dell’abitacolo calò il silenzio, interrotto solo
da Joe che armeggiava con l’interruttore elettrico del finestrino per
abbassarlo.
Il viaggio non fu lungo e i due presto giunsero nel
parcheggio del condominio in cui si trovava la loro futura casa.
Prima di scendere, Martin si voltò in direzione di Joe e gli
accarezzò piano i capelli, invitandolo gentilmente a lasciarsi guardare. «Certo
che sono sicuro, voglio farlo» disse in un sussurro. «È solo che in questi
giorni sono nervoso e…»
L’altro gli afferrò la mano e la strinse con apprensione.
«Cos’è successo? Perché non me ne hai parlato? Non farmi preoccupare!» lo
bersagliò, agitandosi appena sul sedile.
«Stai tranquillo, ora va meglio. Non è niente. Senti, prima
andiamo a esplorare il nuovo appartamento, poi ne parliamo.»
Joe annuì poco convinto. «Però…»
Martin ricambiò la stretta. «Per favore.»
«E va bene» acconsentì il riccio, aprendo lo sportello per
uscire e aprire il bastone bianco.
Martin lo imitò e, una volta che entrambi ebbero richiuso la
portiera, si avvicinò a lui per sfiorargli appena il braccio.
Insieme si diressero verso l’ingresso e raggiunsero
l’ascensore; Joe, con entusiasmo, volle subito accertarsi che i pulsanti
riportassero i numeri scritti in braille e storse il naso quando si accorse che
non era così.
«Parleremo con l’amministratore e li faremo aggiungere, non
preoccuparti» disse Martin, schiacciando lui il tasto per il quarto piano.
«Sarà meglio per lui» bofonchiò il riccio.
Poco dopo il box metallico si fermò e li lascio uscire.
«Bene, ci sono due appartamenti. Quello alla tua sinistra è
il nostro» dichiarò Martin, portando fuori le chiavi dalla tasca dei bermuda.
Joe annusò l’aria e saggiò con il bastone la distanza che lo
separava dall’ascensore e la porta d’ingresso; il suo compagno lo osservò
affascinato, proprio come succedeva sempre in occasioni in cui il riccio
esplorava qualcosa di nuovo a modo suo.
«Apri, dai!»
Martin ridacchiò. «Calma, calma. Ecco.» Si chinò per
infilare la chiave nella toppa e, dopo averla girata, spinse la porta e permise
a entrambi di entrare.
Joe cominciò subito a farsi largo nell’ambiente, usando il
suo bastone come aiuto per evitare di sbattere; sfiorava piano le pareti,
compiva piccoli passi e ascoltava i suoni circostanti. Era concentrato e Martin
non volle disturbarlo in quell’istante tanto importante: nonostante il suo
ragazze fosse cieco, voleva essere certo che conoscesse il luogo in cui si
trovava, in modo da poter esprimere un parere e dirgli se gli piaceva oppure
no.
Lo osservò attentamente mentre si spostava da una stanza
all’altra, saggiando con le dita i pochi mobili presenti e comprendendo con il
tatto la ruvidezza dei muri.
Joe si fermò al centro della cucina, dopo averla esplorata
in lungo in largo, e lo chiamò.
Martin lo raggiunse e gli poggiò le mani sulle spalle,
rimanendo dietro di lui. «Dimmi.»
«Non c’è il tavolo qui? Siamo in cucina, no?»
«No, ecco, il tavolo dovremo comprarlo» ammise il moro.
«Va bene.»
Martin lo prese per la mano che non stringeva il manico del
bastone e lo condusse verso la portafinestra di fronte a loro. «Questo ti
piacerà» asserì.
Joe si lasciò aiutare e guidare finché non si ritrovarono in
un piccolo terrazzo da cui si accedeva tramite la cucina. Il riccio lasciò che
il sole cocente di inizio luglio gli baciasse il viso delicato e si esaltò non
appena comprese dove si trovava.
Martin sorrise e lo guardò intenerito. «Ti piace?»
«È fantastico!» Joe gironzolò per il piccolo balcone, mentre
sul suo viso si formava un’espressione sempre più gioiosa. «È minuscolo, ma
cazzo, è nostro!»
«Sì.» Martin lo afferrò per i fianchi e se lo strinse al
petto, aggrappandosi a lui in una stretta che nascondeva – oltre alla felicità
per quella nuova vita insieme – anche tutto il bisogno di sentirlo accanto.
Joe ricambiò con trasporto e scoppiò a ridere. «Cazzo,
Martin! Stiamo veramente facendo questa stronzata?»
«A quanto pare, sì.»
Il riccio lo lasciò andare e riprese a esplorare
l’appartamento, spostandosi verso la camera da letto. Urtò il bordo del
materasso con il bastone e si ritrovò accanto alla finestra; girò la maniglia e
la aprì, facendo scorrere l’anta verso destra. Allungò la mano e storse il
naso, voltandosi per richiamare l’attenzione di Martin.
«Che c’è?» domandò il moro, facendo qualche passo avanti.
«Dove sono le zanzariere?»
Martin aggrottò la fronte e si accostò a lui, osservando
meglio la finestra. «Beh… mi sa che non ci sono, Joe» ammise.
L’altro scosse la testa. «Stai scherzando, vero?!»
«Calmati, dai, possiamo…»
Ormai l’altro era partito in quarta e non lo ascoltava più. «Ma
è possibile che in questo cazzo di posto sia tutto fatto male? Non ci sono i
numeri in braille nell’ascensore, non c’è il tavolo e ora questo!»
sbraitò, lasciando cadere il bastone e spingendo via Martin.
«Joe…»
«No, senti, ma che cazzo di casa è questa? Mi sembra di
vivere nel terzo mondo!»
Martin si trattenne per non portarsi le mani alle orecchie,
infastidito dal tono stridulo e fin troppo alto che il suo compagno stava utilizzando.
«Cos’è, nemmeno mi rispondi adesso? Io non ci vivo in un
posto senza le zanzariere, quelle bestie mi mangeranno e mi sveglieranno ogni
notte!» proseguì, gesticolando animatamente e andando a sbattere con la mano sul
bordo del davanzale. «Cazzo, che male!»
«Joe! La smetti di urlare?»
Calò il silenzio: alla fine Martin aveva ceduto e alzato la
voce anche se non avrebbe voluto – anche se avrebbe dovuto sbottare in quel
modo con qualcun altro.
E Joe, stranito da quell’atteggiamento, tacque e parve
fissarlo preoccupato, anche se non poteva assolutamente vederlo.
Martin portò gli occhi sulle proprie mani che tremavano
appena, inspirò ed espirò un paio di volte per calmarsi e si accorse di un
fastidioso nodo che gli serrava la gola.
«Martin, i-io…»
«Scusa.» Il moro avrebbe voluto usare un tono più fermo e
tranquillo, ma la sua voce era fuoriuscita incrinata e spezzata.
L’altro fece un paio di passi in avanti e cercò a tentoni il
suo corpo. Gli portò le mani sulle braccia e i suoi lineamenti delicati si
distorsero in una smorfia preoccupata. «Stai tremando, cosa…»
«Non è niente, okay?»
«Non ti credo! Che succede?»
Martin sbuffò e fece per scrollarselo di dosso, senza però
riuscirci. «Sono nervoso, te l’ho detto. E tu non facevi che strillare senza
motivo…»
«Senza motivo proprio non direi» puntualizzò Joe.
«Sì, ma lo vuoi capire che possiamo montare le fottute
zanzariere quando vogliamo? Non fare sempre un dramma per ogni singola cosa!»
proseguì Martin, ormai sempre più seccato e desideroso di allontanarsi da lui
per evitare di litigare ancora.
«Okay, okay! Ma vuoi dirmi che cosa ti è successo e perché
sei nervoso?» insistette Joe.
«No, non voglio, okay? Basta!»
Joe sbatté le palpebre e chinò il capo verso sinistra, senza
però lasciar andare le braccia del compagno. «Martin… va bene, ho gridato. Hai
ragione. Ma non trattarmi così.»
«Io…» Fu in quel momento che il nodo che serrava la sua gola
si sciolse e Martin non riuscì a trattenere le lacrime: le lasciò scivolare
silenziose e sperò con tutto se stesso che Joe non se ne accorgesse.
Ma ancora una volta stava sottovalutando il suo ragazzo, il
quale cercò di scuoterlo appena per incitarlo a parlare. Non ottenendo alcuna
reazione, portò lentamente le mani al suo viso e impallidì quando si rese conto
che era bagnato.
«Martin…» Senza perdere tempo, lo attirò a sé e lo abbracciò
forte, cominciando ad accarezzargli la schiena scossa dai singhiozzi. «Ti ho
fatto piangere? Cazzo…»
«No, non…»
«Lo sai che urlo e faccio l’isterico, ma non ce l’avevo con
te! Ti prego, Martin…»
Il moro tirò su col naso e lo prese tra le braccia, lasciandosi
cadere sul letto poco distante e tenendolo il più vicino possibile.
«Abbracciami» lo implorò, avvertendo tutta la tensione di quei giorni
abbandonarlo pian piano.
«Lo sto già facendo» sussurrò Joe, intensificando
maggiormente la stretta. «Se hai bisogno di sfogarti, fallo. Io sono qui» lo
rassicurò Joe, facendogli appoggiare il viso sul suo petto e baciandolo tra i
capelli.
Martin non replicò e continuò a piangere per un po’, mentre il
suo compagno lo cullava e gli asciugava delicatamente le lacrime che gli
rigavano le guance punteggiate di barba. Si sentiva smarrito, ma allo stesso
tempo era come se finalmente avesse trovato il suo posto nel mondo: poteva
superare qualsiasi cosa tra le braccia di quell’uomo splendido.
Era vero che spesso litigavano o battibeccavano per
stupidaggini, ma Joe era la persona più buona che conoscesse e aveva una forza
d’animo capace di contagiare chiunque lo conoscesse.
Quando riuscì a calmarsi, sollevò il viso e baciò il suo
ragazzo sulle labbra. Lo assaporò lentamente, dolcemente, percependo le proprie
lacrime nella bocca di entrambi. Era rassicurante poter condividere tutto con
lui e in quel momento si chiese perché non gli avesse ancora confidato quanto accaduto
con sua madre.
Joe poteva capirlo più di chiunque altro.
«Ho detto a mia madre che andremo a vivere insieme» ammise,
dopo aver lasciato a malincuore le labbra morbide dell’altro.
«È per questo che stai così? Io le do un cazzotto, giuro»
replicò Joe con veemenza, tenendo il suo viso tra le mani e carezzandolo
lievemente.
«Sì. Mi ha trattato malissimo, mi ha detto che non sono più
suo figlio e che dovrei vergognarmi di far sapere certe cose in giro.
C’era da aspettarselo» raccontò il moro.
«Che donna di merda» disse Joe senza mezzi termini.
«È fatta così. Ho sbagliato a illudermi che potesse capire,
mio padre aveva ragione…» esalò Martin, sistemandosi supino sul materasso.
Attirò il compagno a sé e sospirò. «Non fa niente, passerà anche questa.»
«Ti ha ferito. Vorrei che provasse quello che provi tu, non
sopporto che…»
Martin allungò le dita ad accarezzargli le labbra. «Non
importa, davvero. Tu sei con me, stiamo per cominciare una nuova vita insieme e
anche mio padre ci supporterà.»
Joe si sollevò e si stese sopra di lui, facendogli schiudere
le cosce per potersi sistemare meglio contro il suo corpo. Martin si godette il
suo bellissimo viso delicato incorniciato dai boccoli castano chiaro e le sue
iridi azzurre che sembravano leggergli dentro nonostante la cecità.
Fece scorrere i polpastrelli sulla guancia magra di Joe e si
ritrovò a sorridere.
«Vuoi ancora vivere con me? Anche se ho fatto un casino per
le zanzariere?» chiese il suo ragazzo in tono lievemente lamentoso.
Martin rise appena e lo strinse forte al petto. «Non senti
quanto è comodo questo letto? Non vedo l’ora di inaugurarlo con te» mormorò,
sporgendosi per baciarlo sulla tempia.
«Okay, ora basta, altrimenti ci toccherà farlo adesso e non
mi sembra il caso…» Joe si divincolò a malincuore dal suo abbraccio e tornò a
mettersi in piedi, muovendo il piede sul pavimento per cercare il bastone. «Mi
aiuti a cercare quel dannato arnese?»
Il moro si raddrizzò a fatica e si impose di ignorare il
velo di eccitazione che l’aveva avvolto nel ritrovarsi con il corpo del
compagno sul proprio.
Mentre gli porgeva il bastone bianco, si rese conto che era
veramente impaziente all’idea di cominciare quella nuova avventura con lui, non
gli importava più di ciò che sua madre gli aveva sputato in faccia.
Avrebbe continuato a fare male – un male fottuto –, però
prima o poi sarebbe stato sempre meno fastidioso. Avrebbe semplicemente
imparato a conviverci, se ne sarebbe fatto una ragione.
Petra Rose Harris – anche se ormai insisteva per essere
chiamata Plum, il suo cognome da nubile – aveva deciso di allontanarlo per
sempre da lei.
Aveva smesso di essere sua madre.
Abitavano da pochi giorni nella nuova casa – tutto era
ancora a soqquadro e Martin aveva chiesto una settimana di ferie per poter
sistemare l’appartamento insieme a Joe – quando il suo fidanzato decise di
mettere su un po’ di musica.
Non aveva idea di chi cantasse, però il brano che scorreva
in sottofondo e si espandeva dalla cassa bluetooth aveva qualcosa di ipnotico e
particolare; Martin non si intendeva di band o generi musicali, ascoltava ciò
che trovava in radio, in particolare nella sua stazione preferita: poteva
sempre trovare le novità discografiche del momento e questo gli bastava.
Martin si affacciò alla camera da letto e notò che Joe,
mentre canticchiava a bocca chiusa, sistemava alcuni vestiti nell’armadio. Si
era ambientato abbastanza in fretta, anche se questo aveva significato
procurarsi diversi lividi e andare a scontrarsi con ostacoli del tutto nuovi
per lui.
«Cosa stai ascoltando?» domandò il moro.
«Rammstein» replicò Joe senza badare troppo a lui.
«Si chiama così la canzone?»
Il riccio ridacchiò. «No, Rammstein è il nome della band.»
«Sono scandinavi o qualcosa del genere? Non è inglese
questo» chiese ancora, facendo qualche passo all’interno della stanza e
tentando invano di afferrare qualche parola del brano.
«Sono tedeschi» spiegò il suo ragazzo, appendendo con
estrema cura dei pantaloni.
«Ah. E tu sai cosa stanno dicendo?» Martin si avvicinò ed
esaminò il lavoro finora svolto da Joe, annuendo. «Che bravo, stai mettendo
tutto in ordine» lo canzonò.
«Grazie, mamma. Comunque, no che non lo so. Dovrei
cercare le traduzioni dei loro testi, però…»
Il moro si strinse nelle spalle. «Come fai ad ascoltare una
canzone senza sapere il significato del testo?»
«Sei tu quello strano, dato che non ti lasci mai trascinare
dalla musica. Dalle sensazioni.» Joe si sedette sul bordo del letto. «Vieni
qui.»
Martin obbedì e si accomodò al suo fianco, sorridendo
divertito. «Che hai in mente? Sembra che tu voglia farmi uno di questi discorsi
sulla vita, di quelli che fanno i genitori quando scoprono che i loro figli non
sono più bambini…»
«Ma tu sei ancora un bambino» lo rimbeccò il riccio,
inclinando il capo verso sinistra e assumendo un’espressione maliziosa.
«Senti chi parla. Dai, cosa vuoi dirmi?»
Joe sorrise e gli circondò la vita con un braccio,
trascinandolo ancora più vicino a sé; intrecciò le dita alle sue e si schiarì
appena la voce. «Chiudi gli occhi, vedente» lo incoraggiò.
Martin aggrottò la fronte, ma decise di dargli retta: era
curioso di sapere cosa avesse in mente.
«Ascolta soltanto, senza pensare» sussurrò ancora il suo
ragazzo.
Il moro annuì e si concentrò: la voce di quel tizio tedesco
era ipnotica e profonda, aveva un timbro particolare e duro, ma che nascondeva
anche una vena diversa: più dolce, sensuale, intensa.
Tornò alla realtà soltanto quando la canzone finì.
«Rimettila» soffiò Joe.
Martin afferrò l’iPhone del suo ragazzo e si ritrovò di
fronte alla schermata di Spotify, dove in quel momento era in riproduzione Points
Of Authority dei Linkin Park. Cliccò sul pulsante per tornare indietro e
fece ripartire la canzone dei Rammstein.
«Rosenrot? Si dice così?» chiese, pronunciando la
parola come fosse inglese.
«Ascolta e lo capirai. Lascia il telefono e chiudi gli
occhi» replicò Joe.
Martin annuì e si immerse nuovamente nel brano in
riproduzione.
Ancora una volta si sentì trascinare dalla voce ipnotica di
quell’uomo, dal modo in cui pronunciava parole che non comprendeva e che – si
accorse – non gli importava di capire in quel momento.
Prestò maggiore attenzione alle proprie sensazioni e si
scoprì a rabbrividire più volte, come se la canzone ce l’avesse sottopelle.
Avvertì l’impulso di aprire gli occhi e per un attimo lo
fece, rendendosi conto che la magia scompariva subito. Così abbassò le palpebre
e abbracciò più forte Joe: non sarebbe mai riuscito a ringraziarlo abbastanza
per il modo in cui gli insegnava a vedere il mondo con occhi diversi.
Quando la canzone terminò nuovamente, Martin si rese conto
che gli occhi gli pizzicavano un poco.
«Allora? È davvero così importante capire cosa significa il
testo?» domandò Joe mentre la canzone successiva si espandeva dalla cassa
bluetooth.
«No.» Martin scosse appena il capo. «Però sarei curioso di
scoprirlo» ammise.
«Puoi sempre cercare su Google. E dimmi, ti piace?»
Il moro si volse a guardarlo e fece scorrere le dita tra le
sue ciocche castano chiaro. «Non è male.»
Lo vide aprirsi in un bellissimo sorriso. «I Rammstein
devono piacere a tutti, non può esistere qualcuno che li odia! Anche un
ignorante come te non può niente contro la loro genialità» lo prese in giro.
Martin aggrottò la fronte e gli tirò i capelli. «Come mi hai
chiamato? Ripeti se hai il coraggio!»
«Ignorante. Sei ignorante come una sedia.» Joe scoppiò a
ridere e lo spinse scherzosamente.
«Che dici? Le sedie non possono avere una psiche.»
«Appunto» ribatté Joe, trattenendo un’altra risata.
«Che coglione» bofonchiò Martin.
Il suo ragazzo cercò con le mani il suo viso e si sporse per
baciarlo piano. «Sono contento che ti sia piaciuta. È una canzone bellissima.»
«Non è male» ripeté il moro, soffiandogli un altro bacio a
fior di labbra.
Si scambiarono dolci attenzioni per un po’, poi Martin si
scostò a malincuore dal suo compagno.
«Che c’è?» sussurrò Joe.
«Ti rendi conto che noi due guardiamo lo stesso mondo, ma
lo vediamo con occhi diversi?»
Joe ghignò. «Io veramente non vedo un cazzo» ironizzò.
Martin gli pizzicò la guancia. «Stupido, sono serio! Tu mi
insegni sempre modi nuovi di vedere le cose. E io, beh, spero di fare lo
stesso.»
«Certo che lo fai. Da quando ti conosco mi sento più… normale.»
Stavolta fu Martin a ghignare. «Ne siamo sicuri? Normale,
tu?»
«Ecco, lo sapevo!» Joe sospirò e si mise nuovamente in
piedi. «Dai, continuiamo a sistemare, altrimenti non ti basterà una settimana
di ferie.»
«Che hai capito?» Martin lo prese per i fianchi e lo
trascinò a sedere sulle proprie ginocchia, schiacciando le labbra sul suo
collo. «Ho chiesto dei giorni di riposo solo per stare con te» mormorò.
Il riccio inclinò il capo all’indietro e sospirò, lasciando
che gli scostasse le ciocche chiare per poter marchiare meglio la sua pelle.
Intanto la musica continuava a fare da sottofondo alla loro
nuova vita, ma ormai nessuno dei due vi prestava particolare attenzione, presi
com’erano l’uno dall’altro.
Erano appena usciti dal supermercato quando Martin la vide:
l’inconfondibile caschetto rovinato dalle tinture, le forme generose e l’andatura
impettita, sua madre camminava sul marciapiede accanto a una donna che non
aveva mai visto prima.
Si dirigevano nella loro direzione, forse stavano per
entrare a fare la spesa.
Nonostante lei cercasse di dissimularlo, Martin notò il suo
viso impallidire non appena lo riconobbe.
Si irrigidì al fianco di Joe e si fermò a pochi passi
dall’uscita del market.
«Che succede?» domandò il suo ragazzo, rendendosi conto del
repentino cambiamento del suo atteggiamento – era incredibile quanto Joe riuscisse
ad accorgersi di un sacco di cose, nonostante non potesse affatto scorgere le
sue espressioni o i suoi movimenti.
«C’è mia madre» borbottò il moro.
«Allora? Che vuoi fare?»
Ci rifletté per un attimo: in un primo momento pensò di
ignorarla e dirigersi in fretta verso l’auto, poi cambiò idea; forse poteva
sembrare stupido, ma sperava che in fondo al cuore di Petra Rose ci fosse ancora
un po’ d’affetto per il suo unico figlio.
«Provo a parlarci. È con una tizia che non ho mai visto»
sussurrò, poi si voltò in direzione di lei e sorrise appena. «Ciao, mamma»
esordì non appena furono a pochi passi di distanza.
La donna si fermò e lo scrutò da capo a piedi, dipingendosi
in viso un’espressione confusa. «Dici a me?» chiese.
«Petra, tesoro, non mi avevi detto che hai un figlio! Che
bel ragazzo!» cinguettò la signora che era con lei, una tipa tozza e
grassottella con il viso rotondetto e simpatico.
«Infatti non ho un figlio» affermò l’altra, fulminando
Martin con un’occhiata truce. «Questo ragazzo dev’essersi confuso. Fa caldo, il
caldo fa venire le allucinazioni» proseguì.
«Ma lo sa che lei è proprio una stronza?»
Martin sobbalzò nell’udire la voce del suo ragazzo fare
capolino alle sue spalle. Joe si affiancò a lui e strinse con forza il manico
del bastone, le labbra serrate in una smorfia rabbiosa.
«Joe, lascia stare…» lo implorò.
«Petra, tesoro, non capisco cosa sta succedendo» borbottò l’amica
di sua madre con aria confusa.
«Ah, nemmeno io. Andiamo a fare la spesa, i giovani non
hanno più rispetto e credono di avere il diritto di disturbare le persone più
grandi di loro» sibilò tra i denti, riprendendo a camminare verso l’ingresso
del supermercato.
«Perché mi fai questo?» esalò Martin, allungando una mano
per fermarla.
Lei, tuttavia, continuò a ignorarlo e a borbottare tra sé e
sé, sproloquiando su quanto fossero maleducati e inopportuni quei due ragazzini
insolenti.
«Se ne pentirà, glielo assicuro! E allora sarà troppo tardi!»
sbraitò Joe, tremando per la furia che stava divampando nel suo petto.
Martin lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e dovette
far leva su se stesso per non farsi scivolare i sacchetti della spesa dalle
dita sudate. «Andiamocene di qui» affermò.
«Ma Martin, non puoi lasciare che ti tratti così! Portami da
lei, giuro che la prendo a cazzotti!»
«Joe, basta. Andiamo a casa e non pensiamoci più.»
L’altro comprese che non era il caso di replicare oltre e si
limitò a seguirlo, utilizzando il suo bastone per schivare gli ostacoli e farsi
strada verso il parcheggio.
Una volta saliti in auto, Martin abbandonò la testa contro
il volante e non gli importò che fosse rovente per via delle temperature
mostruose di fine luglio. «Non può averlo fatto davvero…»
Joe subito si sporse verso di lui e gli passò le dita tra i
capelli, tirandoli indietro. «Non sa cosa si perde. Tua madre è proprio come la
mia: un’idiota» commentò stizzito.
«Forse ha ragione, forse ho sbagliato tutto, io…»
Ma Joe non gli permise di continuare e lo strattonò per i
capelli. «Non dire stronzate. Ci manchi solo tu a farmi incazzare, porca
puttana!» Spostò le mani ad artigliargli il braccio e lo scosse. «Non hai fatto
niente di male, niente! È lei che non vuole vedere oltre il suo naso. Ti rendi
conto che una madre non rinnegherebbe mai suo figlio di fronte a qualcun altro?
Lei non voleva che la sua amica sapesse chi sei per non essere giudicata una
con il figlio strano! Che intelligente!»
Martin sapeva che Joe aveva ragione, tuttavia non riusciva
proprio ad accettare quella situazione; sentiva le forze abbandonarlo e la
speranza dissolversi sempre più in fretta: si era illuso e ancora una volta era
rimasto deluso.
«Voglio parlare con mio padre» riuscì a esalare, raddrizzandosi
sul sedile. Allungò la mano destra e strinse quella di Joe, voltandosi
lentamente a guardarlo. «Grazie per esserci sempre» aggiunse.
«Posso capire come ti senti, vivo le stesse cose con mia
madre.»
Martin annuì: lo sapeva, il suo ragazzo era più o meno nella
medesima situazione, con la differenza che non poteva neanche contare sulla
presenza rassicurante di suo padre. Comprese di essere fortunato perché poteva
sempre rivolgersi a qualcuno che lo accettava davvero, qualcuno che aveva il
suo stesso sangue e che lo amava incondizionatamente.
Sorrise lievemente. «Sei stato coraggioso a dire quelle cose
a mia madre.»
«Petra Rose non è più tua madre, okay? Lei ti ha cancellato,
bene: fallo anche tu!» affermò Joe perentorio, sbuffando infastidito.
«Non sarà facile.»
«Ma non hai altra scelta. O vuoi forse continuare a soffrire
così? Vuoi ancora permetterle di trattarti male? No, perché io sinceramente ho
soltanto voglia di mollarle un pugno in bocca!»
Martin si sporse verso di lui e lo baciò sulla tempia.
«Grazie, davvero.»
«Adesso smettila di fare lo sdolcinato e andiamo a casa,
così puoi chiamare Harry e chiedergli di venire a cena da noi dopo il lavoro»
disse il suo ragazzo, sciogliendo la stretta tra le loro dita.
«Ma non abbiamo il tavolo!» protestò Martin.
«In questi giorni lo compriamo, tranquillo. Ma se ordiniamo
una pizza, il tavolo non servirà.» Joe si strinse nelle spalle e si sventolò la
mano di fronte al viso. «C’è un caldo fottuto. Andiamo o no?»
Martin mise in moto e abbassò i finestrini, rendendosi conto
ancora una volta di quanto fosse fondamentale per lui la presenza di quel
ragazzo così forte e determinato.
Avrebbe tanto voluto essere come lui.
Suo padre, seduto sul divano, prese un altro boccone di
pizza. «Non mi hai ancora detto com’è andata con Petra» farfugliò.
Martin alzò gli occhi al cielo. «Perché tutti avete il vizio
di parlare mentre masticate?»
«Tutti chi?»
Joe ridacchiò, stravaccato sulla sua poltrona preferita – era
in velluto rosso e Martin si domandava spesso come potesse sopportare quel
tessuto sulla pelle durante l’estate.
«Joe è come te. Non è che è lui tuo figlio e non lo so?
Tanto ormai ho perso la madre, tanto vale perdere anche il padre…» commentò,
rendendosi conto troppo tardi di essere risultato più aspro di quanto
desiderasse.
«Figliolo, non dire così» tentò di rassicurarlo Harry,
rivolgendogli un’occhiata colma di preoccupazione.
«È vero, non sai cosa ha fatto quella stronza quando ci ha
incontrato fuori dal supermercato e tuo figlio l’ha salutata!» intervenne Joe,
per poi mandare giù l’ultimo boccone della sua pizza.
«Non voglio parlarne, vi prego…»
«Raccontami cos’è successo.»
Martin sospirò, capendo di non poter più sviare l’argomento;
forse gli avrebbe fatto bene sfogarsi con suo padre, anche perché ancora non
gli aveva riferito la conversazione avvenuta con Petra Rose più di una
settimana prima.
Così cominciò a vuotare il sacco, riversando sull’unico
genitore che gli era rimasto tutta la frustrazione, tutto il dolore e il male
che quella donna gli aveva fatto. Aveva sempre cercato di essere un bravo
figlio, un ragazzo educato e rispettoso, sempre e solo per compiacerla e per
farla felice; eppure non era servito a niente, lei lo aveva rinnegato senza
pensarci due volte solo perché non poteva sopportare che in giro si spargesse
la voce che avesse un figlio come lui.
Si ritrovò a pensare – tristemente – che almeno la madre di
Joe non si vergognava di lui, non cercava di nascondere al mondo il loro
legame; certo, era bigotta e convinta di poter guarire suo figlio
dall’omosessualità presentandogli delle ragazze, però almeno non aveva smesso
di parlarci, di cercarlo, di amarlo – non del tutto, Martin era certo
che lo facesse a modo suo.
Non poteva giustificare il comportamento di Cecilia Sandys,
però ciò che sua madre aveva fatto era decisamente peggio.
«Petra è sempre stata così» disse suo padre non appena
Martin concluse il suo racconto.
«Dovrebbe conoscere mia madre: andrebbero d’accordo»
ironizzò Joe, stringendo appena i pugni.
«Sapevo che avrebbe reagito così. Ha fatto lo stesso con me
quando le ho detto che volevo lasciarla.»
Martin guardò suo padre negli occhi. «Non mi hai mai
raccontato tutta la storia.»
«C’è poco da dire: le ho chiesto il divorzio perché non la
amavo più come meritava e lei ha fatto una tragedia. Ha cominciato a disperarsi
perché tutti avrebbero detto di lei che era una povera incapace, che non sapeva
neanche tenersi un marito. Quando le ho spiegato che il problema ero io e che
mi ero accorto di essere attratto dagli uomini, non ha battuto ciglio. Mi ha
detto: l’importante è che non si sappia in giro e mi ha buttato fuori di
casa.»
Joe sbuffò rumorosamente e incrociò le braccia al petto. «Il
parere della gente prima di tutto, certo! Harry, non dovevi dirmelo: ho ancora
più voglia di spaccarle la faccia.»
Martin era scosso: non poteva credere che la mente di Petra
Rose arrivasse a tanto.
«Figliolo, vedi… devi capire che tu non hai fatto niente di
male. Lei non sopporta che si parli male della famiglia perfetta che si
è creata, tutto qui. Preferisce rinnegarci, piuttosto che ammettere la realtà
dei fatti. Non è che Petra non accetti le persone omosessuali, il discorso è
leggermente diverso.»
Joe si sporse in avanti sulla poltrona. «Ho capito: lei
potrebbe anche non avere niente contro i gay, ma non sopporta il peso dei
giudizi degli altri. Cosa penserebbero se sapessero che suo marito e suo figlio
sono gay? Crederanno che anche lei sia una strana.»
«Proprio così. E noi, mio caro Martin, non possiamo proprio
fare niente per lei.» Harry chinò il capo e si tirò indietro i capelli
brizzolati con un gesto brusco. «Ormai ha queste convinzioni e solo lei può
decidere di cambiarle.»
«Non lo farà mai» concluse Martin, grattandosi il mento con
fare pensoso. «Avete ragione.»
«Lo diciamo per il tuo bene» aggiunse Joe.
Martin guardò prima il suo ragazzo, poi suo padre: erano due
persone meravigliose, le più importanti della sua vita insieme a Ben.
Non avrebbe saputo come fare senza di loro.
«Harry?» chiamò Joe.
L’uomo si voltò nella sua direzione e gli appoggiò una mano
sul braccio. «Sì?»
«Gli saltiamo addosso?»
«No, vi prego!» Martin sollevò le mani per tentare di
ripararsi dall’attacco, ma poco dopo si ritrovò stretto in un abbraccio
soffocante, stritolato tra i corpi familiari e rassicuranti di suo padre e del
ragazzo che amava.
Cedette e tutti e tre rovinarono sul divano, lui schiacciato
sotto gli altri due e loro a soffocarlo in una stretta di cui aveva
assolutamente bisogno nonostante l’afa che permeava l’appartamento.
Joe cominciò a fargli il solletico e a mordergli le guance
finché tutti non scoppiarono a ridere, alleggerendo finalmente l’atmosfera cupa
e malinconica che aleggiava fino a poco prima.
Harry si sollevò a fatica e continuò a sghignazzare,
lasciandosi cadere sfinito sulla poltrona rossa. «Sono vecchio, mi avete
distrutto!» esclamò.
Martin prese meglio Joe tra le braccia e lo tenne accanto a
sé, rivolgendo un’occhiata divertita al padre. «Vecchio, ora non esageriamo!»
«Guarda che tra una ventina di giorni compirò cinquantanove
anni» replicò l’uomo.
«E allora? Harry, sei un giovanotto!» scherzò Joe con una
risata.
Martin ridacchiò. «Meno male che ci siete voi…»
«Ci saremo sempre.» Joe lo baciò lievemente sulle labbra.
«Perché ti amiamo e non vogliamo che tu soffra. Vero, Harry?»
L’uomo si alzò dalla poltrona e annuì, scompigliando i
capelli a entrambi. «Certo. Adesso però me ne vado, domani mi devo svegliare
alle sei. Mi aspetta un’altra dura giornata di lavoro.»
I due fecero per alzarsi, ma lui scosse il capo e sorrise
intenerito.
«Ti accompagno, papà!»
«State tranquilli e rilassatevi. Godetevi il vostro tempo
insieme, questa nuova casa e non pensate alle cose negative.» Lasciò loro
un’ultima carezza sul capo e, recuperate le chiavi della macchina, si avviò
verso l’uscita a passo spedito. «Buonanotte.»
«Buonanotte, Harry!» gridò Joe in risposta.
«Ciao!» gli fece eco Martin.
Una volta soli, rimasero in silenzio ad accarezzarsi e
scambiarsi dolci effusioni.
Martin si sentì infinitamente grato per ciò che aveva e
comprese che doveva seguire il consiglio del suo ragazzo: ignorare sua madre,
perché non poteva fare altro. Non poteva obbligarla a volerlo, non poteva
costringerla a essere fiera di lui.
Doveva soltanto concentrarsi sulle persone che contavano
davvero e per cui lui era importante.
Come suo padre, Ben e Joe.
Joe che era la sua roccia, la sua ancora di salvezza, anche
se tutti pensavano che fosse il contrario; Martin aveva deciso fin dal primo
istante di proteggere quel ragazzo perché aveva avuto l’impressione che fosse
fragile e debole.
Gli era bastato conoscerlo meglio per accorsi di quanto si
era sbagliato.
Mentre lo cullava tra le braccia e lo baciava lentamente, si
disse che voleva essere più forte e determinato per il suo uomo.
Anche lui voleva essere la sua roccia e supportarlo quando
ne aveva bisogno.
Non avrebbe permesso a nessuno di farlo sentire sbagliato – mai
più.
Nemmeno a colei che, ormai, non era più sua madre.
♥ ♥
♥
Ed eccomi qui a presentarvi una nuova storia dal punto di
vista di Martin.
È stato difficile scriverla perché mi fa sempre male sapere
che uno dei miei personaggi soffre in questo modo, però ce l’ho fatta e sono
contentissima!
Questo testo è ambientato a luglio 2019, periodo in cui
Martin&Joe vanno a convivere e inaugurano la loro casetta – ancora non
avevano comprato il famoso tavolo rotondo XDD
Qui abbiamo conosciuto – purtroppo – quella dinosaura della
madre di Martin, un bell’esemplare giurassico che fa decisamente concorrenza
alla signora Cecilia Sandys, sua controparte nella vita di Joe.
Voi direte: com’è che questi due hanno entrambi una madre
degenere? Ebbene, lettori, nella vita tutto è possibile, ve lo posso assicurare
perché io conosco un sacco di persone legate tra loro da amore o amicizia che
hanno situazioni famigliari simili -.-
Per fortuna che c’è quel mito di Harry Harris, sempre pronto
a supportare suo figlio e a stargli accanto in ogni occasione!
Il fatto che il padre di Joe sia morto quando il figlio
aveva solo dodici anni l’ho accennato anche in altre storie, e sicuramente
questo non l’ha aiutato a tener testa alla madre… povero :/
La frase in corsivo, “Guardiamo lo stesso mondo, ma lo
vediamo con occhi diversi”, faceva parte del mio pacchetto per il contest di
Valeria, che ringrazio per avermi tanto ispirato e permesso di approfondire un
altro aspetto della vita dei miei bimbi *___*
La canzone dei Rammstein che hanno ascoltato, intitolata Rosenrot,
potete ascoltarla qui (fatelo, è bellissima):
https://www.youtube.com/watch?v=af59U2BRRAU
Se vi interessa, vi lascio anche il link di Points Of
Authority dei Linkin Park (il gruppo preferito di Joe :D) dal cui testo è
tratto anche il titolo della storia:
https://www.youtube.com/watch?v=yoCD5wZEgo4
Spero che la storia vi sia piaciuta e che tutto sia
risultato chiaro e scorrevole ^^
Vi ringrazio anche solo per aver letto, alla prossima ♥
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