Nome in codice: Hati

di Old Fashioned
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NOME IN CODICE: HATI



Capitolo 1

La mattina era serena e senza vento, l'ideale per volare. L’aria conservava il freddo della notte, ma portava già con sé un lieve profumo di fieno tagliato e fiori selvatici. Ancora basso sull’orizzonte, il sole disegnava ombre lunghe sui campi.
C’era un gran silenzio, rotto solo da un cinguettare lontano di uccelli e da un tuonare cupo, vago, che rimbombava all’orizzonte come una minaccia di temporale. In quella direzione una caligine sinistra sporcava il cielo terso.
Passò lento uno stormo di oche grigie, disposte a punta di freccia.
Il tenente von Knobelsdorff strinse appena gli occhi nella luce intensa dei primi raggi, si chiuse intorno al collo il pesante cappotto di pelliccia, poi si girò verso gli aerei della Jasta[1], otto Albatros D-III già allineati e pronti per la prima missione della giornata. Tutt'intorno ai velivoli, i meccanici erano impegnati negli ultimi controlli.
Spostò lo sguardo verso la foschia che appesantiva l’orizzonte e un lieve sorriso gli stirò le labbra.
Una voce alle sue spalle lo distrasse: “Che ne dici, Max?”
Egli si girò: stava sopraggiungendo un suo parigrado della fanteria, a sua volta vestito di un pesante pastrano. “Oggi si farà buona caccia,” si limitò a rispondergli. Tornò a fissare l’orizzonte.
L’altro gli si affiancò, emise un sospiro e disse: “Ci dev’essere un attacco in corso.”
Già.”
Pensa, essere in trincea adesso...”
Von Knobelsdorff rivolse al collega uno sguardo critico. Dopo un po’ disse: “A meno di non fare gli scritturali in qualche caserma delle retrovie, cosa che francamente troverei piuttosto umiliante, in guerra non ci sono posti sicuri.”
Parli così perché non hai mai preso parte a un assalto alla baionetta.”
L’altro alzò le spalle. “Gli ulani non se la passano poi tanto meglio dei fanti: durante una carica sei esposto al piombo nemico e se cadi finisci dilaniato dagli zoccoli dei cavalli. Nemmeno come aviatori siamo al sicuro: quando siamo colpiti, bruciamo vivi o ci schiantiamo al suolo.” Fece una pausa, poi in tono pacato soggiunse: “Un soldato non deve preoccuparsi della morte, perché essa lo accompagna costantemente. L’unica cosa cui deve pensare è servire la Patria.”
A quel punto li raggiunsero altri ufficiali, di armi e gradi diversi, tutti accomunati dall'abbigliamento pesante. Uno di essi, imbacuccato in un'enorme pelliccia fulva, indossava già la cuffia da pilota, con gli occhialoni rialzati sulla fronte.
Sarà pieno di inglesi,” considerò il nuovo arrivato, scrutando pensoso il cielo.
Faremo buona caccia,” ripeté von Knobelsdorff. Detto questo raggiunse la linea degli aerei. Si fermò accanto a un velivolo la cui fiancata era ornata dall'immagine di un'aquila che calava sulla preda con gli artigli protesi.
Fissò l'Albatros quasi con affetto, quindi si guardò intorno scrutando le varie figure in grigioverde che vi si affaccendavano intorno. A un certo punto chiamò: “Kramer!”
Un sottufficiale si mise sull'attenti. “Signore?”
Kramer, ha niente da dirmi?”
Nossignore, i ragazzi hanno revisionato il motore stanotte, le armi le ho pulite io personalmente.”
Von Knobelsdorff annuì. “Molto bene. Lo sa che mi fido solo di lei.”
Grazie, signore.”
Si prepari per la messa in moto.”
Sissignore.”
Il tenente salì sulla semiala inferiore e da lì scivolò nel cockpit. Pose i piedi sulla pedaliera, impugnò la cloche e azionò i contatti elettrici, quindi si sporse da una parte e gridò: “Contatto!”
Il sottufficiale, che si era portato davanti al muso del velivolo, diede un colpo all'elica e si fece indietro. Il motore tossì due o tre volte, quindi prese a girare regolarmente, mentre il suo rumore si faceva man mano più pieno e corposo.
Von Knobelsdorff eseguì i controlli dei comandi, quindi alzò il pollice per segnalare ai meccanici di togliere i tacchi alle ruote. Con un sussulto lieve, l'aereo cominciò a rullare sull'erba, prendendo man mano velocità.
Il tenente scambiò un cenno del capo con gli altri piloti, quindi si portò verso la pista e si fermò in posizione di decollo. Aumentò i giri del motore, fece gli ultimi controlli. La barra vibrava fra le sue dita, segno che l’involucro di legno e tela in cui sedeva stava per trasformarsi in una meravigliosa macchina volante.
Diede tutto motore, l’aereo si lanciò in avanti. Le lancette degli strumenti presero vita, la cloche cominciò a opporre resistenza alla mano. L’Albatros sobbalzò su una cunetta, rullò ancora per qualche metro, poi s’involò. Di colpo ogni vibrazione venne meno, mentre la terra si allontanava sempre più velocemente.
Von Knobelsdorff emise un sospiro di puro piacere. Piegò appena la testa all’indietro, lasciò che il vento lo investisse in pieno, infuriandogli sul volto, minacciando di strappargli dal collo la sciarpa di seta.
Ridusse i giri, livellò la quota. Si guardò intorno e localizzò immediatamente gli Albatros della Jasta. Sorrise fra sé e sé al pensiero di quanto all'inizio gli riuscisse difficile individuare altri aerei in volo. La prima volta aveva dovuto scandagliare il cielo per lunghi minuti e alla fine, con fatica, aveva scorto una specie di puntino nero che appariva e scompariva su uno sfondo di foresta.
Sapeva di colleghi piloti che non avevano imparato con altrettanta prontezza a riconoscere gli aerei in volo e non avevano fatto ritorno dalla loro prima missione di combattimento.
Si ripromise di mantenere sempre desta l'attenzione: erano necessari otto abbattimenti confermati per ottenere il Pour le Mérite[2] e non aveva nessuna intenzione di farsi ammazzare prima.

Man mano che la linea del fronte si avvicinava, la quiete del mattino primaverile lasciava il posto a un'atmosfera cupa, sinistra, greve di un'oscura minaccia. Quella che da lungi sembrava solo una vaga caligine prendeva la forma di lente colonne di fumo, che si levavano da profondi crateri. I campi e le macchie di alberi lasciarono il posto a distese brulle, cosparse di tronchi divelti.
Rami scheletriti si tendevano verso il cielo come artigli. Correvano sul terreno, seguendone le ondulazioni, lunghi sbarramenti di filo spinato, anneriti da fuoco e intemperie.
Von Knobelsdorff inclinò appena il velivolo, insinuando lo sguardo nel percorso di una trincea. Delle formiche in grigioverde si agitarono al suo passaggio, qualcuno lo salutò con ampi gesti delle braccia. Comparve addirittura una bandiera.
Egli fece oscillare le ali in risposta, e quasi gli parve che dal basso provenisse una veemente acclamazione.
Sorrise fra sé e sé, poi fece girare lo sguardo su tutta la volta celeste. I fanti delle trincee sapevano sempre esattamente dove si trovava il nemico, ma un aviatore poteva vederselo piombare addosso da ogni lato: da sopra, da sotto, dai fianchi, da dietro...
Salì appena di quota e si voltò verso il sole, sollevando una mano per schermarsi gli occhi dai raggi.
Colse immediatamente un movimento nel cielo terso.
D'istinto fece segno ai suoi, quindi cabrò e diede motore. Tolse la sicura alle mitragliatrici.
All'orizzonte, quelli che sembravano puntini scuri si animarono a loro volta e si dispersero in una formazione allargata. Anch'essi salirono di quota.
Inglesi,” disse von Knobelsdorff fra sé e sé.
Gli aerei si avvicinarono, rivelandosi due Sopwith Pup e un Triplano. Il tedesco salì ancora di quota, subito imitato da uno dei due Pup. Virò per mantenere il contatto visivo, l'altro virò a sua volta. Von Knobelsdorff strinse ancora la virata, costringendo l'Albatros a mettersi quasi a coltello, poi si raddrizzò e guizzò via con un mezzo looping. Nella parabola discendente della figura fece partire la prima raffica, che strappò pezzi di tela dalla semiala dell'inglese.
Questi scartò bruscamente da una parte, poi cabrò per tentare di sottrarsi ai proiettili, ma ormai von Knobelsdorff gli era stabilmente in coda. Sparò altre due brevi raffiche e l'inglese cominciò a lasciarsi dietro una scia di fumo nero, ma in quel momento qualcosa gli colpì una semiala, creando uno strappo nella tela che la ricopriva.
D'istinto il tedesco derapò e poi virò, solo per rendersi conto che aveva in coda il Sopwith Triplano. Ringhiò un'imprecazione mentre una nuova raffica gli faceva saltare un tirante. Si girò, aveva l'inglese ancora in coda, capì che stava per sparare di nuovo.
Tirò la barra tutta indietro, l'Albatros cabrò bruscamente, andò in stallo e prese a precipitare come un sasso, cosa che gli permise di sottrarsi alla raffica letale.
A quel punto, von Knobelsdorff spinse la barra tutta in avanti, lavorando con la pedaliera per evitare che l'aereo entrasse in vite rovescia. Nonostante il ruggito del motore, sentiva le strutture dell'Albatros vibrare e scricchiolare. Il tirante reciso sbatacchiava qua e là come un serpente decapitato.
In alto, sempre più lontano, l'inglese stava probabilmente cercando di capire se stesse precipitando oppure se la sua fosse solo una manovra evasiva.
Il tedesco rinsaldò la presa sui comandi, arrestò la caduta, di nuovo diede motore e guizzò verso l'alto, sparando dal basso contro l'avversario.
Questi incassò la prima raffica, sottrasse bersaglio, picchiò per prendere velocità, ma a quel punto von Knobelsdorff riuscì a fare un mezzo looping, poi si raddrizzò con un mezzo tonneau e si trovò esattamente di fronte all'aereo nemico. Sul muso del Sopwith scintillavano i lampi arancioni degli spari.
Il tedesco strinse i denti e si mantenne caparbiamente sulla traiettoria. Azionò a sua volta le mitragliatrici e vide brandelli di rivestimento saltare dalle ali dell'avversario.
Poi il Sopwith si inclinò da una parte, scivolò d'ala e semplicemente puntò verso il basso. Von Knobelsdorff, che rimase a seguirlo con lo sguardo fino a che non lo vide schiantarsi al suolo, e a quel punto poté fare solo supposizioni: forse aveva colpito il pilota, forse aveva danneggiato qualche comando e l'aereo non rispondeva più. Come diceva un certo von Richthofen, un altro che come lui aveva abbandonato il cavallo per l'aeroplano, compiere voli di guerra non era esattamente un'assicurazione sulla vita.
Distolse lo sguardo dalla carcassa distrutta, virò e raggiunse i suoi.
Notò subito che mancavano due Albatros all'appello, quello del collega di fanteria con cui aveva parlato prima del decollo, di un verde quasi nero con due fasce bianche sulla fusoliera, e quello del capitano von Wassenberg, l'unico della Jasta senza alcuna personalizzazione. Valutò fra sé e sé che anche quella era una personalizzazione, in fin dei conti.
Gli dispiacque per i camerati. In particolare per il secondo, al quale mancava un solo aereo per diventare Asso e ricevere il Pour le Mérite.
Fece ad ogni buon conto un largo giro scrutando il terreno, qualche volta capitava che un pilota riuscisse a compiere un atterraggio di fortuna e ad abbandonare il velivolo distrutto, ma scorse solo colonne di fumo. Uno spezzone d'ala con quel che rimaneva di una croce nera parve salutarlo mestamente.
Gli rivolse in risposta un saluto militare, quindi virò e si unì agli altri.

Raggiunsero nuovamente le trincee tedesche. Come poco prima, i soldati rivolsero loro un veemente saluto, agitando braccia e bandiere.
Von Knobelsdorff fece oscillare le ali in risposta, ma a quel punto percepì nei comandi una vibrazione, come quella che una porta sbattuta con violenza comunica al pavimento.
Fece girare lo sguardo tutt'intorno alla ricerca della causa e quando vide di cosa si trattava sentì un brivido percorrergli la schiena: dalla parte del tirante reciso, uno dei montanti era fessurato per tutta la sua lunghezza. Sarebbe bastata una manovra un po' più brusca del normale e avrebbe ceduto completamente.
L'ufficiale si chiese cosa sarebbe successo. Niente di buono, probabilmente. Sarebbero saltati altri tiranti, la semiala inferiore e quella superiore avrebbero cominciato a separarsi e tutto si sarebbe concluso con un ignominioso atterraggio fuori campo. Sempre che fosse riuscito ad atterrare indenne, ovviamente.
Si guardò intorno, calcolò quanto mancava al campo. Provò ad accennare una lieve virata e nella fessura del montante comparvero schegge di luce. Riportò l'Albatros in assetto.
Diede motore, ma l'aereo cominciò a vibrare in un modo che lo convinse senz'altro a spostare nuovamente indietro la manetta del gas.
A quel punto, von Knobelsdorff si chiese cosa sarebbe stato meglio fare. Posto che in aria non è mai rimasto nessuno, ragionò fra sé e sé, la cosa più importante era ritornare a terra in un modo che possibilmente non fosse troppo traumatico, né per lui, né per il suo Albatros D-III.
Ce la faremo,” assicurò all'aereo.
Si sporse dalla carlinga, cercò di indovinare se si fosse alzato il vento, e nel caso in che direzione spirasse.
Successivamente scrutò i dintorni, calcolando che doveva essere a circa un chilometro dalla pista di atterraggio.
Portò il motore al minimo e, mantenendo l'aereo in assetto, prese a scendere dolcemente di quota. Ogni tanto correggeva appena la direzione con la pedaliera, ma per il resto lasciava essenzialmente che l'Albatros facesse come voleva, secondo l'adagio per cui un aereo volerebbe benissimo da solo, se non ci fosse il pilota a disturbarlo continuamente.
Una seconda vibrazione lo mise in allerta. Si girò verso il montante: sembrava che qualcuno l'avesse strizzato torcendolo come uno strofinaccio. La fessura si era allargata e aveva un andamento spiraleggiante lungo il legno. Vide qualche scheggia volare via.
Merda, pensò.
Un altro tirante saltò come la corda di un violino.
Il campo era ormai a meno di settecento metri. Vedeva già il casale che si trovava a lato della pista, il familiare filare di alberi che delimitava un recinto per il bestiame, il brillio dello stagno dove si andava a pescare o a nuotare dopo l'ultima missione della giornata.
Tolse tutto il motore, si arrischiò a dare una tacca di flap. In un silenzio surreale, rotto solo dal sibilo del vento, l'aereo parve per un attimo galleggiare a mezz'aria come se fosse senza peso, poi ricominciò a scendere lentamente. Von Knobelsdorff si sporse di lato per individuare il segnale che indicava la testata pista. Si augurò di non aver sbagliato i propri calcoli, perché non ci sarebbe stato un secondo tentativo.
Ormai mancavano trecento metri, era così basso che quasi distingueva le foglie sulla cima degli alberi. Il suo strano avvicinamento aveva ovviamente destato la preoccupazione del personale di terra, e il campo era animato da un insolito fermento.
Vide passare, trainata da un paio di cavalli, la cisterna d'acqua dell'antincendio.
Alla faccia della fiducia,” ringhiò tra i denti.
A quel punto, la struttura dell'ala si aprì come una scarpa vecchia. Il montante danneggiato cedette definitivamente, i tiranti saltarono l'uno dopo l'altro e la semiala inferiore si torse come se una mano enorme la stesse tirando verso il basso. Non più coperto dal motore, lo schianto del legno che si spaccava risuonò sinistro.
L'aereo si inclinò bruscamente, perse ancora quota, tanto che von Knobelsdorff riuscì a distinguere chiaramente i fiori sullo scialle di una contadina che al suo passaggio corse al riparo.
L'ufficiale afferrò i comandi, tentò di riportare l'Albatros in assetto, ma già la pista si avvicinava con vertiginosa velocità.
Vide una torma di meccanici e soldati correre nella sua direzione. Trainata al galoppo, la cisterna arrancava beccheggiando.
Toccò terra una prima volta, capitombolò lasciandosi dietro pezzi di centine e brandelli di rivestimento alare, rimbalzò e ricadde, poi procedette strisciando su quel che restava della semiala danneggiata e su una ruota del carrello.
Esaurì la sua inerzia alcune decine di metri dopo. Ci fu un secondo di immobilità sospesa, poi il tenente si riscosse e subito andò alla ricerca del coltello che teneva infilato nello stivale. Armeggiò con quello sulle cinture di sicurezza, mentre la benzina sgocciolava sul motore rovente liberando vapori sempre più intensi.
Raddoppiò gli sforzi. Portava con sé un pugnale proprio perché se l'aereo avesse preso fuoco si sarebbe buttato per non bruciare vivo e non aveva la minima intenzione di morire in quel modo a terra, sulla pista della sua base.
Le cinture cedettero, sul motore cominciarono a danzare le prime lingue di fuoco, visibili solo come un lieve tremolio dell'aria.
Von Knobelsdorff si arrampicò fuori dal cockpit, vide delle uniformi avvicinarsi, si sentì afferrare per le braccia.
Le fiamme divennero più vivide, presero colore. Si udirono il crepitio del legno secco che cominciava ad ardere e lo sfrigolio della vernice.
Sto bene,” mormorò frastornato il tenente, faticando per alzarsi in piedi. “Sto bene.” Qualcuno lo trascinava.
Accorse Kramer, che si fece passare il suo braccio intorno alle spalle e lo sollevò quasi di peso. “Sto bene,” gli ripeté l'ufficiale.
Sissignore,” si limitò a rispondere il meccanico. “Ora però ce ne andiamo di qui, signore.”
Il tenente cercò di voltarsi indietro. “L'aereo...”
Venga, signore.”
Von Knobelsdorff si lasciò condurre via.

Si ritrovò seduto al tavolo della mensa, qualcuno gli mise un bicchiere in mano. Da fuori giungeva il rombo degli altri aerei della Jasta che atterravano uno dopo l'altro.
Egli si sfilò la cuffia e la posò da una parte, poi portò meccanicamente il bicchiere alle labbra, bevve un sorso e tossì. “Che cos'è?” chiese.
Entrò nel suo campo visivo il capitano medico. “Strana domanda da parte sua, tenente. Non riconosce lo Schnaps?”
Pensavo fosse una medicina.”
Infatti. Non esiste medicina migliore dello Schnaps, in certi casi,” replicò il dottore, quindi si chinò su di lui e soggiunse: “Mi faccia dare un'occhiata a quel taglio.”
Eh? Che taglio?”
Von Knobelsdorff sollevò una mano, poi si rese conto che indossava ancora il guanto da volo. Se lo sfilò tenendolo fermo tra le ginocchia, poi si passò cauto le dita sul volto. Le ritrasse sporche di sangue.
Alzò lo sguardo sull'ufficiale medico, che per tutta risposta ripeté: “Diamo un'occhiata, d'accordo?”
Va bene,” assentì il tenente.
In quel momento arrivarono a precipizio due colleghi piloti. “Dov'è von Knobelsdorff?” chiese uno di essi concitato.
Il giovane alzò una mano. “Qui.”
Behringer e Hoffmeyer si spostarono di fronte a lui. “Stai bene?” gli chiese il primo, fissandolo come se stesse vedendo un fantasma.
Von Kobelsdorff alzò le spalle. “Benissimo.”
Ma stai sanguinando.”
Un taglietto. Posso volare.”
A quel punto intervenne Hoffmeyer: “E con cosa vuoi volare? Il tuo aereo ormai è cenere.”
Von Knobelsdorff fece una breve risata e rispose: “Allora vorrà dire che prenderò il tuo, Herbert, così almeno quelle mitragliatrici abbatteranno finalmente qualcosa.”
L'altro si finse offeso. “Ma senti questo,” protestò mettendosi i pugni sui fianchi, “non è nemmeno capace di portare a terra come si deve il suo aereo e vuole quello degli altri.” Scosse la testa. “Non se ne parla, Max. Poi me lo rovini.”
Almeno proverebbe l'ebbrezza del combattimento.”
A quel punto intervenne il capitano medico, che per tutta la conversazione aveva continuato a esaminare il volto del giovane ufficiale. “Venga in infermeria,” gli disse, “sarà necessario applicare qualche punto di sutura. Se la sente di camminare da solo?”
Anche sulle mani, se vuole.”
Mi basta che riesca a stare sulle sue gambe senza svenire. Non sarebbe il primo che fa lo spavaldo finché ha il deretano su una sedia e poi crolla come un abete tagliato appena si alza in piedi.”
Suvvia, signor capitano medico, non è che un piccolo taglio.” Von Knobelsdorff si guardò intorno alla ricerca del collega che proveniva dalla fanteria, ricordandosi solo all'ultimo momento che l'aveva visto cadere poco prima. Di nuovo alzò le spalle e soggiunse: “Se il povero Scheidel fosse ancora fra noi, le potrebbe confermare che si tratta di ben poca cosa, rispetto a quello che potrebbe accadere in trincea.” Fece una breve pausa, quindi rivolto ai colleghi chiese: “Vogliamo ricordare lui e von Wassenberg come si conviene, questa sera? Ho ancora qualche bottiglia di vino del Reno.”
Gli altri assentirono.

Una volta che il tenente si fu allontanato in compagnia del capitano medico, Hoffmeyer disse: “Da non crederci.”
L'altro scosse la testa. “Atterrato mentre l'aereo gli si stava sfasciando sotto.”
Per me non si è neanche reso conto del rischio che ha corso.”
Behringer si voltò nella direzione in cui il giovane collega era scomparso e disse: “Io invece credo che l'abbia capito benissimo. Hai visto come faceva il galletto?”
Fa sempre così.”
L'altro scosse la testa. “Sai quanto sono euforici gli uomini, in trincea, quando finisce l'assalto e realizzano di essere ancora vivi? Tra un po' gli passa e si sentirà più esausto che se avesse fatto dieci giorni consecutivi di esercitazioni sul campo.”
No, scommetto che appena il medico lo molla andrà a rompere le scatole al Vecchio per farsi assegnare un altro aereo.”
Così parlando, i due si spostarono all'esterno. Le fiamme ormai erano state estinte e dalla carcassa annerita dell'Albatros si levava solo uno stentato filo di fumo. Essi fissarono pensosi il relitto. “Oggi qua, domani chissà...” recitò Behringer.
Parli dell'aereo?”
Parlo di noi. Von Wassenberg stava per diventare un Asso, e guarda che fine ha fatto.”
È brutto quando ti capita a sette abbattimenti. Quando ne hai uno o due magari te ne fai anche una ragione, ma così, a sette? Scommetto che se lo sentiva già al collo, il Pour le Mérite.”
Non si può mai essere sicuri di niente.”
Stasera berremo alla salute sua e di Scheidel, che possano trovare la via del Walhalla e da lassù assistere alle nostre vittorie.”
L’altro stava per rispondere quando individuò alcune persone che passeggiavano lente ai margini del campo, accompagnate dal comandante della base in persona. “Che ci fa il Vecchio con dei civili?” chiese.
Hoffmeyer osservò a sua volta il gruppetto, quindi ipotizzò: “Saranno i soliti mangiarane frignoni che vengono a protestare perché il rumore degli aerei spaventa il bestiame.” Fece una pausa, quindi soggiunse: “Dovrebbero sentire un po’ di cannoni sparare, vedrai come comincerebbero ad apprezzare un innocente Mercedes D IIIa.”
Behringer aggrottò le sopracciglia, quindi rispose: “Per me non sono francesi, e non sono nemmeno contadini o fattori.”
I nuovi arrivati, fra cui c’era anche una donna all’apparenza giovane, vestivano dignitosi abiti da città di colore scuro, decisamente inusuali in quella zona di campagna.
Uno di essi stava parlando con il maggiore von Stade. L’ufficiale, le mani allacciate dietro la schiena, annuiva di tanto in tanto sobriamente.
A un certo punto volse lo sguardo verso il campo e parve alla ricerca di qualcosa. Subito dopo tornò a dedicare la sua attenzione all’uomo in stiffelius che gli camminava accanto. Annuì altre due o tre volte, cosa che suscitò nell’altro un analogo movimento, poi tutto il gruppo scomparve dietro la baracca delle segnalazioni.
I due piloti si scambiarono uno sguardo, poi Behringer chiese: “Come ti è sembrata la ragazza?”
Ragazza?” chiese Hoffmeyer.
Quella con la sottana lunga era una ragazza,” rispose ironico il collega. “Sei stato così tanto lontano dai civili che non riconosci più le ragazze?”
L’altro rimase in silenzio per un po’, mentre il suo sguardo correva alla baracca dietro cui il gruppetto era scomparso. “Sai che non ci ho fatto caso?” ammise alla fine. “Se dovessi descriverla, o se dovessi descrivere uno qualsiasi di quei tizi, non ne sarei in grado.”
Behringer guardò a sua volta in quella direzione, poi concluse: “Nemmeno io.” Infine, dopo una pausa: “È strano, di solito sono molto fisionomista.”

§

Seduto alla scrivania della stanza che gli fungeva da ufficio, il maggiore von Stade scorse per l'ennesima volta il foglio che il misterioso gruppetto gli aveva lasciato. Si trattava di una carta sottilissima, quasi impalpabile, coperta di una grafia così minuta che per leggerla ci voleva la lente di ingrandimento.
Aggrottò le sopracciglia cercando nonostante tutto di distinguere qualche parola, quindi si voltò verso il camino. Era lì dentro che il foglio sarebbe dovuto andare a finire, una volta letto e imparato a memoria. I signori erano stati molto chiari in proposito.
Di nuovo guardò il leggerissimo messaggio. Era più lieve di un velo, eppure robusto. Uno di quegli uomini lo aveva estratto arrotolato da un cilindro di metallo che non era più grande di un ditale, e poi l'aveva dispiegato sul sottomano della scrivania, coprendolo quasi completamente.
Vi erano rappresentati una mappa muta, dati e disposizioni.
Sovrapposta a una normale mappa militare, la misteriosa cartina si era rivelata quella di una zona parecchi chilometri dietro le linee francesi. Con un tenue tratto rosso vi era segnata quella che avrebbe potuto fungere da pista d'atterraggio per un aereo, su un pascolo ai margini di una foresta.
Era stata la giovane donna, secondo quanto gli avevano riferito, a identificare quel posto. Si era travestita da infermiera francese, aveva trovato un impiego presso un ospedale da campo e vi era rimasta per settimane, raccogliendo ogni genere di informazioni sulla zona.
Con un sospiro, von Stade rivolse lo sguardo alla finestra. Sullo spiazzo davanti agli hangar i meccanici si stavano occupando degli aerei. Ne vide uno – dalla testa color stoppa doveva trattarsi di Piefke – arrampicato su un'ala, che rammendava con impegno. Altri stavano estraendo un motore, forse per revisionarlo. Ne individuò anche un paio si erano rintanati in un angolino nascosto a fumare.
E poi vide von Knobelsdorff – inconfondibile anche lui – che parlava con un sottufficiale. Poteva scommettere che il giovanotto stesse chiedendo al capo-meccanico di trovargli un nuovo aereo. L'uomo scuoteva la testa e allargava le braccia in un gesto di sconsolato diniego.
Il maggiore sorrise fra sé e sé. Tipico di von Knobelsdorff andare dritto all'obiettivo ignorando qualsiasi altra cosa: voleva un nuovo aereo e dove andava a cercarlo? Nell’hangar. Fogli d’ordini, disposizioni e catena degli approvvigionamenti non erano questioni che suscitassero il suo interesse: lui voleva volare, possibilmente abbattendo nemici, e basta.
Scosse la testa con una sorta di paterna indulgenza. Poteva giurare che il capitano medico gli avesse ordinato di stare tranquillo almeno fino al giorno successivo, ma riuscire a tenere tranquillo l’ardimentoso giovanotto era un’impresa a dir poco impossibile.
Abbassò lo sguardo sull’impalpabile documento che gli era stato consegnato, quindi lo volse nuovamente verso la finestra. Infine chiamò: “Baumann!”
Si aprì la porta e la testa di uno scritturale fece capolino. “Signor maggiore?”
Baumann, mi mandi a chiamare il tenente von Knobelsdorff.”
Sissignore.”

Il giovanotto comparve poco dopo. Si mise sull’attenti e salutò battendo i tacchi, poi rimase a fissarlo con aspettativa.
Come sta, tenente?” gli chiese il maggiore, occhieggiando il bendaggio che gli copriva la fronte.
Benissimo, signore.”
Non sente dolore?” s’informò von Stade dubbioso.
Per nulla, signore. Sarei pronto a decollare anche adesso, se solo ci fosse un aereo a disposizione.”
Il maggiore annuì, quindi gli disse: “Decollerà quanto prima, tenente, ma non per combattere contro i nemici della Germania.” Fece una pausa, quindi chiarì: “Non direttamente, almeno.”
Von Knobelsdorff aggrottò le sopracciglia. “Che significa?” non poté fare a meno di chiedere. “Vuole mettermi a fare i voli di collegamento? O magari a buttare le bombe sulle trincee?”
Tenente…” tentò di interloquire von Stade, ma subito l’altro riprese: “È per l’aereo che ho distrutto? Ma non si poteva salvare, sono già stato fortunato a portarlo a terra in quel modo.”
Tenente…”
Non è per stare dietro una scrivania che ho fatto richiesta di passare agli aeroplani. Siamo in guerra, quindi voglio combattere.”
Il maggiore si ripromise di mettersi in contatto con il precedente comandante di von Knobelsdorff, giusto per chiedergli se ci fosse qualche segreto per tenere a bada il focoso ufficiale. In tono severo disse: “Per prima cosa, tenente, stia zitto. Non mi pare di averle dato il permesso di parlare.”
Il giovanotto gli rivolse uno sguardo torvo. “Mi scusi, signore,” brontolò.
La seconda cosa che le voglio ricordare è il suo principale dovere di soldato, cioè eseguire gli ordini, a prescindere dal fatto che i suddetti le risultino graditi.”
Ci fu qualche secondo di risentito silenzio, infine von Knobelsdorff rispose: “Sissignore.”
Il maggiore annuì, quindi proseguì: “Ora che ci siamo capiti, tenente, si avvicini e mi dica cosa pensa di questa mappa.” Gli mostrò il foglio che i misteriosi visitatori gli avevano lasciato.
Il giovanotto osservò attento, quindi sollevò su di lui uno sguardo brillante di aspettativa e gli chiese: “Spionaggio, signore?”
Von Stade annuì. “Precisamente.”
Von Knobelsdorff aggrottò appena le sopracciglia, quindi domandò: “Perché lo fa vedere a me, signore?” L’espressione era quella del cane che aspetta l’ordine di lanciarsi dietro la selvaggina.
Penso che in realtà l’abbia già capito,” rispose il maggiore. “Mi è stato richiesto un pilota abile e coraggioso, per compiere una missione dietro le linee. Ho pensato a lei.”
Grazie, signore!”
Sarà una missione molto pericolosa, tenente.”
Per tutta risposta, il tenente chiese: “Quando potrò partire, signore?”








[1] Sta per Jagdstaffel. Era il nome delle prime unità di velivoli da caccia tedesche.
[2] Anche detto “Blauer Max”. Si tratta di una decorazione creata da Federico il Grande. Fino alla fine della prima guerra mondiale è stata la massima onorificenza al valore.






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