Salve a tutti.
Prima di passare al capitolo,
volevo semplicemente appellarmi alle persone che
seguono la storia. Mi sento un po' insicura arrivata a questo punto; la
mancanza dei vostri pareri, per quanto le letture persistano, mi
scoraggiano.
Arrivati ad una fase clou della narrazione mi piacerebbe sapere cosa ne
pensiate, se
quella cosa vi è piaciuta, se, al contrario, non siete stati
proprio d'accordo.
Non chiedo niente di così particolare, semplicemente la
vostra sincera opinione
in poche righe. Continuare a pubblicare come
archivio personale mi va bene, io alla fin fine scrivo principalmente
per me
stessa, anzi; scrivere questa storia dopo tanto tempo che ero ferma mi
ha
davvero fatto star bene. Però pensare che questo non arrivi
mi rende davvero
insicura se continuare, penso di star sbagliando qualcosa se non vale
la pena
spendere un solo secondo per lasciare una piccola recensione. In
mancanza di
sostegno mi sento un po' scoraggiata e temo di avere
difficoltà a continuare a
postare. O perlomeno, potrei prendere ancora più tempo di
adesso proprio perché
non trovo qualcuno che sente la storia veramente. Confido che qualche
lettore
si faccia vivo. Ne avrei davvero bisogno.
Buona lettura!
Il
silenzio della notte.
Notte
che invadeva le strade, le vie, i
palazzi, il cuore.
Notte
che copriva tutto con il suo mantello
di oscurità.
Notte
fredda, crudele, solitaria,
silenziosa.
Taichi
alzò appena lo sguardo e lo volse verso l’altro.
Erano
sdraiati entrambi sul letto del biondo, a casa sua. Avevano percorso la
strada
senza dire niente, troppo sconvolti, disperati, dannati.
Le loro
certezze erano crollate d’un tratto, in un modo brusco,
violento, sotterrandoli
entrambi con le macerie.
Non
sarebbero risaliti mai più.
Non
avrebbero mai più rivisto la luce.
Sentì
Yamato muoversi accanto a lui. Era voltato dall’altro lato,
rannicchiato come
un fardello.
Chiuse
gli occhi per qualche secondo, udendo il silenzio regnare nella stanza.
Si
era chiuso in sé stesso.
Tanti
anni di fatica per farlo aprire, per
farlo parlare, e adesso si era ammutolito, si era serrato
all’interno del suo
essere, non lasciando trapelare nemmeno uno spiraglio.
Tai
sospirò, angosciato, triste.
Come
avrebbe fatto a rimettere insieme i
pezzi di Yamato?
Poteva
vederli lì, sparsi per terra, inermi...
Si
sentì in colpa per come si era comportato con lui. Lo aveva
rimproverato, lo
aveva giudicato senza dargli prima la possibilità di replica.
Forse
non lo avrebbe capito mai Yamato...
Forse
era colpa sua che voleva
assoggettarlo, voleva imporgli il suo modo di fare ignorando la sua
vera
natura.
Lo
sentì tirare su con il naso e lo guardò ancora.
Allungò un braccio e gli toccò
la spalla, sentendolo irrigidirsi non appena percepì quel
contatto.
«Matt...»
sussurrò nell’oscurità.
L’unica
luce che intravedeva era quella che filtrava attraverso le tapparelle
abbassate
a metà.
Era
tutto oscurità.
L’oscurità
di una notte che non avrebbero
mai dimenticato.
Lo
strinse più forte.
«Ti va
di parlare?» gli chiese con voce roca, sperando che si
girasse in sua
direzione.
Il
silenzio lo aveva inglobato.
Lo
aveva sotterrato, facendolo suo, in una sorta di tunnel angustiante.
Il
biondo negò impercettibilmente con la testa.
Ormai
faceva parte di lui.
Tai
sospirò.
Come
avrebbero fatto?
Sarebbe
stata una lotta contro il vuoto. Lo avrebbe risucchiati, non avevano
possibilità di salvezza.
Strinse
le labbra.
Forse
se solo lo avesse capito di più... se
solo fosse stato più presente in quegli anni...
Lo
avrebbe aiutato a non sprofondare.
Sentì
i
sensi di colpa attanagliare il suo petto.
Non
lo aveva mai capito realmente.
Lo
aveva lasciato lì, vittima del suo
destino...
Avevano
sempre avuto quel temperamento,
loro due. Andavano d’accordo, erano amici, ma talvolta le
loro idee entravano
così in contrasto e i loro caratteri prendevano subito fuoco.
Si
mischiavano così tanto da generare una
tempesta talmente fitta da coinvolgere chiunque era intorno.
«Non
puoi pretendere di avere sempre
ragione!» aveva urlato il castano, stringendo i pugni contro
l’amico.
Lo
guardava come volesse fulminarlo, mentre
l’altro aveva fatto una faccia disgustata, di sufficienza.
«Quello
che vuole avere sempre ragione sei
tu, Taichi» lo aveva rimbeccato «Io dico solo le
cose come stanno» soffiò
gelido.
Non
riuscivano a capirsi. Erano un continuo
scontro, una continua lotta a chi avrebbe prevalso.
«Guarda
che il presuntuoso sei tu!» sbottò
Tai con un tono ovvio «Non accetti opinioni diverse dalla
tua»
Un
continuo rinfacciarsi gli errori, un
continuo puntare il dito su chi, secondo l’altro, sbagliava.
Erano
fatti così.
Matt
aveva incrociato le braccia e gli
aveva rivolto uno sguardo cinico.
«Tu
dici cazzate, non opinioni» sputò in
tono sferzante.
Tai
si sentì offeso.
«Ah,
scusa, abbiamo di fronte il
paroliere!» esclamò sarcastico.
«Sicuramente
sono più equilibrato di te»
affermò l’altro senza far trasparire nessuna
emozione.
Il
castano strinse di più i pugni.
Lo
odiava quando faceva in quel modo!
«Ma
dai, con questa faccia di cazzo...» sibilò
provocandolo volutamente.
Matt
non se lo fece ripetere due volte.
Cedeva facilmente alle provocazioni, lo conosceva a memoria. Si
avvicinò pronto
a tirargli un pugno in viso.
Vennero
interrotti dall’arrivo improvviso di
Sora, che li fissava con in volto uno sguardo preoccupato ed esasperato.
«Che
state facendo?!» urlò loro contro,
afferrando entrambi dalle braccia «Siete sempre i soliti!
Smettetela! Sono stufa
delle vostre liti!» li redarguì.
Si
voltarono a guardarla automaticamente.
Aveva il potere di fermarli, di calmarli, li assoggettava con un solo
cenno o
parola.
Dopo
qualche secondo in cui non dissero
nulla, Matt le rivolse uno sguardo infervorato.
«Non
prendertela solo con me!» esclamò
duro, mentre Tai alzò la testa interrogativo
«E’ Taichi che provoca, lo sai»
continuò in tono ovvio.
Sora
aveva aperto per un attimo la bocca,
spaesata. Poi aveva stretto le mani al petto.
«Non
lo so, Matt, tu salti subito in
quarta!» lo rimbeccò facendo un sospiro
«Lo sai che è fatto così, quindi
non...»
Non
le lasciò finire la frase che aveva
preso ad urlarle contro.
«Non
te lo difendere troppo!» aveva
gridato, spiazzando entrambi.
Tai
aggrottò le sopracciglia, invece Sora
lo guardava intimorita.
«Una
volta nella tua vita dà ragione a me!»
continuò, rosso in viso, arrabbiato.
«Io
do ragione a te, cosa stai...» la
ragazza tentò di difendersi.
Matt
non volle sentire altro.
«Taichi
di qua, Taichi di là... E’ sempre
Taichi!» si voltò a fissarla con disprezzo, mentre
nel volto di lei si
disegnava una ruga di sconforto.
«Mi
hai rotto il cazzo!» lo sentì urlare, e
lì non capì più niente.
Si
avventò su di lui prendendolo dalla
maglia. Gli occhi erano incendiati. Lo spinse contro il muro.
«Insultami,
prendimi a botte, fai quello
che vuoi con me, ma non prendertela con Sora» gli
sibilò in volto, vedendo
l’espressione spaesata dell’altro.
«Mi
hai capito?» gli intimò.
Matt
aveva lanciato un ultimo sguardo alla
ragazza che a sua volta lo fissava con le lacrime agli occhi. Incapace
di
proferire altro, si mollò dalla presa dell’amico e
andò via.
Tai
guardò la direzione in cui era sparito
con uno sguardo serio, poi si era avvicinato all’amica e le
aveva circondato le
spalle con un abbraccio.
Ed era
vero.
Aveva
sempre messo Sora al primo posto rispetto a lui. Lei era parte
integrante della
sua vita, aveva sempre fatto parte di lui, fin da quando era piccoli.
Era
la prima bambina con cui aveva parlato,
l’unica amica femmina che aveva avuto, la sua prima cotta
infantile che non
avrebbe mai dimenticato.
Sora
era un punto fermo per lui, l’avrebbe
protetta sempre, anche a costo di andare contro Yamato.
Sospirò
pesantemente, sentendo il cuore che si sgretolava.
Dopo
la discussione, aveva raggiunto il
biondo a casa sua. Matt era rimasto stupito quando lo aveva visto
entrare,
soprattutto per il fatto che sembrava aver recuperato il buon senso.
Parlarono
un po’ tra di loro, ammettendo di
essere stati troppo precipitosi nell’essersi scontrati in
quel modo. Poi il
discorso verté su Sora, e Matt aveva abbassato lo sguardo
colpevole.
Tai
lo guardava appoggiato alla soglia del balcone
con una sigaretta tra le dita.
«Non
m’importa se sei geloso» proclamò,
rilasciando il fumo dalla bocca.
Il
biondo alzò lo sguardo e lo fissò
tagliente.
«Io
non sono geloso!» sbottò, sentendosi
imbarazzato.
Tai
gli lanciò uno sguardo scettico.
«E’
solo che... mi fa male quando non mi
capisce...» lo udì rispondere con un filo di voce,
mentre si scompigliava nervosamente
i capelli.
Il
castano scosse la testa facendo l’ultimo
tiro e spegnendo la sigaretta sul posacenere.
«Per
capirti ci vorrebbe scritta
un’enciclopedia di dieci volumi» berciò.
Matt
non rispose. Lo sentì sospirare con
afflizione, lo sguardo puntato sul pavimento.
«Chiedile
scusa» affermò poi lapidario dopo
dei secondi di silenzio.
L’amico
alzò lo sguardo su di lui e vi
lesse fastidio mischiato con la frustrazione di dover essere
rimproverato.
«Certo
che lo farò, per chi mi hai preso?!»
esclamò brusco.
Sapeva
di aver sbagliato e che la ragazza,
probabilmente, stava soffrendo per i suoi modi.
Tai
chiuse gli occhi per un attimo.
«Se
facessi del male a Sora non te lo
perdonerei mai» soffiò, mentre l’altro
lo guardava duro ma colpito.
Poi
li riaprì e lo fronteggiò, seppur da
lontano.
«Sei
il mio migliore amico, Yamato, ma non
me ne frega un cazzo quando si tratta di Sora» gli
uscì dalla bocca
semplicemente, come fosse ovvio.
Il
biondo strinse le sopracciglia. Tai gli
diede le spalle e volse lo sguardo verso il tramonto.
«Non
starò mai dalla tua parte contro di
lei» mormorò statuario.
Matt
sentì come uno schiaffo raggelante in
pieno viso. Lo vide voltarsi a guardarlo nuovamente.
«E’
bene che tu lo sappia» concluse.
Si
guardarono per un altro po’ di tempo,
poi il biondo annuì, consapevole che il posto che Sora
occupava nel cuore di
Taichi e viceversa era qualcosa che non avrebbe mai potuto spezzare e,
da
alcuni punti di vista, nemmeno equiparare.
Credeva
che il bene che provava per lei non avrebbe mai potuto mettersi a
paragone con
quello che provava per Yamato.
Ne
era così convinto, fino alla sera prima
ne era convinto, quando le si era avvicinato a parlarle per assicurarsi
che
tutto andasse bene...
Gli
aveva mentito.
Sora
aveva mentito a lui.
Tutte
le sue certezze crollarono.
Credeva
che quel rapporto platonico che
avessero fosse talmente forte da non ammettere le bugie, da non
ammettere frasi
non dette o dette a metà; lui si fidava così
tanto di lei, lei era la sua
certezza, una delle poche che aveva insieme alla sua famiglia.
Come
aveva potuto condannare Matt in quel
modo?
Dirgli
tutte quelle cose, spingerlo verso
di Sora, quando era lei ad essere marcia...
Sentì
gli occhi lucidi e si arrabbiò con sé stesso.
Lei
lo aveva sempre accecato in tutti
quegli anni.
Non
ci aveva capito niente quando aveva
saputo che si frequentavano alle sue spalle, non ci aveva capito niente
quando
aveva scoperto che Yamato se l’era portata a letto ed era
sparito, non ci aveva
capito niente quando si era reso conto che tra di loro la storia non
andava.
Era
stato cieco.
Aveva
così talmente sperato che la loro
relazione andasse bene, quasi lo aveva imposto, solo per non doversi
staccare
da loro, solo per non doversi dividere dall’uno e
dall’altra.
E
invece quel suo egoismo lo aveva portato
con i piedi per terra.
Sora
aveva tradito Yamato e lui era rimasto
lì, come un coglione che non aveva mai voluto credere alla
realtà dei fatti.
Strinse
le labbra triste, deluso.
La mano
era ancora sul fianco di Matt e lo strinse un po’ di
più.
«Lo
sai
che sono qui...» mormorò, mentre il tono di voce
gli si incrinò.
Non
riusciva a sopportarlo.
Gli
dava pena, sconforto...
Rabbia...
Il
biondo non rispose. Si limitò ad annuire piano con la testa
dopo un po’ di
tempo, tanto che Tai pensò se non lo avesse immaginato.
Con un gesto
spontaneo, avvicinò ancora di più il suo corpo
contro quello dell’amico in
maniera tale da averlo più vicino.
Voleva
solo che sapesse che c’era davvero.
Voleva
solo che sapesse che se per tutto
quel tempo lo aveva messo in dubbio, se non aveva creduto ai suoi buoni
sentimenti, se lo aveva posto in secondo piano da quel momento in poi
avrebbe
fatto tutto il contrario.
Dopo un
po’ di tempo, Taichi chiuse gli occhi, stanco e con la testa
che gli doleva.
Fece un
sonno agitato, popolato da strane presenze che si alternavano e gli
facevano
rivivere le scene che aveva vissuto poche ore prima.
Quando
le prime luci del sole entrarono dalla finestra, aprì di
nuovo gli occhi,
incapace di continuare a tenerli chiusi.
Constatò
se l’amico si fosse addormentato e, sentendo il suo respiro
regolare, tirò un
respiro di sollievo.
Dormendo
avrebbe lenito un po’ della sua
pena.
Tolse
il braccio da sopra di lui e si spostò di posizione con la
faccia rivolta al
soffitto.
Lui
però non riusciva a dormire.
Gli
ronzava in testa tutto quello che era
successo, e sentiva di dover fare qualcosa.
Doveva
parlare.
Doveva
capire.
Si
alzò
lentamente dal letto, stando ben attento a non svegliare il biondo. Si
mise le
scarpe e gli gettò un ultimo sguardo, prima di aprire la
porta di casa e
chiudersela dietro le spalle.
Silenzio.
La casa
era dominata dal silenzio.
I resti
della sera prima non erano stati ripuliti. Il tavolino era ancora
rivolto per
terra. Le carte, i bicchieri, le cicche di sigarette erano sparsi per
le
stanze.
Per
terra c’era del sangue, aveva lasciato dei segni anche sul
muro. Le sedie erano
in disordine, la luce della kappa della cucina era stata lasciata
aperta.
Silenzio.
Joe
dormiva sopra il divano, le gambe divaricate, le braccia incrociate al
petto.
Aveva la bocca aperta e gli occhiali spostati di traverso.
Il suo
russare squarciò il
silenzio.
Sora
aprì gli occhi a fatica. Il sole filtrava attraverso le
tende, gli uccelli
avevano preso a cantare, il rumore delle automobili si riversava in
strada.
Si
portò una mano alla testa che le doleva, spostando
apaticamente lo sguardo
accanto a sé, dove Mimi dormiva placidamente, un suo braccio
che la stringeva
dai fianchi come se potesse scappare via.
Sospirò
pesantemente, sentendo i primi spasmi di dolore coglierla. I ricordi
delle ore
precedenti la pervasero, e si sentì morire.
Cosa
aveva combinato?
Tirò
su
con il naso.
Come
aveva potuto pensare che non
succedesse?
Aveva
paura, aveva un senso di ansia sullo
stomaco che non le permetteva di respirare.
Si
sentì vuota, disperata, angosciata.
Le
lacrime cominciarono a invadere i suoi occhi.
Era
successo l’irreparabile... niente
sarebbe stato più come prima... adesso avrebbe dovuto
imparare a convivere con
il peso di quello sbaglio sulle spalle...
Come
avrebbe fatto?
Il solo
pensiero le provocò una disperazione tale che le lacrime
sgorgarono come un
fiume in piena.
Singhiozzò
senza riuscire a contenersi, mentre Mimi apriva gli occhi, disturbata
dal
rumore. La vide piangere e le si strinse il cuore.
Non
voleva vederla soffrire...
Non
voleva stesse male in quel modo... non
riusciva a vederla persa in quell’oblio... lei che era sempre
stata così forte,
così genuina...
Le
accarezzò i capelli.
«Sora...»
mormorò dolcemente.
La
ragazza scoppiò in un lamento ancora più forte,
lasciando l’amica con gli occhi
sbarrati per l’imponenza di quel pianto.
La
strinse in un abbraccio, ma Sora tentò di staccarsi,
disperata, i sensi di
colpa che le suggerivano che non aveva bisogno di essere consolata.
Doveva
soffrire, doveva pagare per il male
che aveva inferto ad una persona che l’amava...
Doveva
crogiolarsi nella più cupa delle
disperazioni, nella più cruda delle colpe fino a quando di
lei non sarebbe
rimasto meno che niente.
Passarono
alcuni minuti in cui Mimi la lasciò sfogare senza dire
nulla.
Aveva
bisogno di farlo, aveva bisogno di
buttare fuori tutto quello che sentiva.
Pian
piano, la ramata cominciò a calmarsi, asciugandosi gli occhi
con il palmo delle
mani. Lo sguardo si perse nella stanza, sentendo distrattamente il
ticchettio
dell’orologio che scandiva i minuti.
Con un
gesto repentino si mise a sedere sul letto.
La
castana le gettò uno sguardo preoccupata e, spontaneamente,
le strinse
delicatamente il braccio con una mano.
«Aspetta,
dove vai?» le chiese, mentre l’altra si metteva le
ciabatte ai piedi.
Non si
voltò a guardarla, ma poté sentire il tono
martoriato con cui le rispose.
«Devo
andare in bagno» e si staccò dalla sua presa per
poi trascinarsi a tentoni
verso la porta ed aprirla.
Appena
andò via, Mimi si lasciò andare in un sospiro
triste.
Era
successo un casino.
Non
sapeva neanche come descrivere ciò che era accaduto poche
ore prima. Era stato
tutto così improvviso e inaspettato che ancora stentava a
crederci.
Alzò
le
braccia sul cuscino.
Era
stato un duro colpo per lei vedere la
sua migliore amica accasciata in quel modo. Vederla crollare era stato
bruttissimo, era come se le si fosse frantumato un enorme scoglio
proprio sotto
i piedi.
Non
riusciva nemmeno a parlare, tanto era scioccata, aveva dovuto scuoterla
più
volte per incitarla a raccontarle l’accaduto.
Subito
dopo era subentrato il pianto disperato, isterico, e Mimi non sapeva
come fare.
L’aveva portata in bagno, le aveva sciacquato il volto, e
dopo del tempo che le
era sembrato un’eternità, finalmente si era decisa
a confessarle ciò che era
successo.
Sora
aveva tradito Yamato.
Si
chiese come avesse fatto a non accorgersene, a non aver sospettato di
nulla.
Eppure pensava di conoscerla bene. Avrebbe dovuto cogliere dei segnali
contrastanti.
Era
così talmente egoista, concentrata su
lei stessa da non rendersi più conto di quello che le
succedeva intorno?
Sentì
l’acqua del rubinetto aprirsi e sospirò ancora.
Era
una situazione delicata. Non se la
sentiva nemmeno di aggiungere niente di più alle parole di
conforto che aveva
cercato di sussurrarle la sera prima.
Spostò
lo sguardo verso le tende.
Non
poteva crederci che tutto quello era
successo proprio nel momento in cui lei e Taichi si erano finalmente
riuniti.
Una
fitta percorse il suo cuore.
Avevano
fatto l’amore.
Lei
e Tai erano stati insieme dopo tanto
tempo, ed era stata così felice, così talmente
felice da non vederci più.
Gli
aveva detto di amarlo...
Chiuse
gli occhi, sentendosi imbarazzata.
Aveva
fatto bene a farlo?
Lui non
gli aveva neanche risposto, e capiva che la situazione aveva preso dei
risvolti
negativi tutt’ad un tratto, ma non riusciva a non sentirsi
sporca, pessimista.
Si era
aperta di nuovo a lui dopo tanto tempo, forse si era esposta
più del
necessario.
Tai era
corso via da Matt, e ne apprezzava la lealtà, la solida
amicizia che lo univa a
lui come era solida quella che legava lei a Sora.
Però
si aspettava un suo cenno, un qualcosa
che le potesse fare capire che non si era dimenticato di quello che era
successo, che non aveva sorvolato quello che lei gli aveva detto.
Per
quanto tentasse di smetterla di fare quei pensieri che al contempo le
sembravano inopportuni dato ciò che era successo, non
riusciva a non pensare di
essere la sola.
L’unica
e sola che prova quell’amore
malcelato e per troppo tempo contenuto.
Le
palpebre si fecero sempre più pesanti e piombò in
un sonno profondo.
Sora si chiuse
la porta dietro le spalle.
Rimase per
qualche secondo appoggiata su di essa, lo sguardo
perso nel vuoto.
Non
aveva la forza...
Non
aveva nemmeno la
forza di muoversi.
Si
sentiva come
svuotata, letteralmente vuota da ogni singola emozione se non la
disperazione.
Strinse gli
occhi umidi.
Piano,
arrancò fino al lavandino, strisciando per terra le
ciabatte. Sentì come un mancamento coglierla
all’improvviso, tanto che fu
costretta a tenersi per evitare di cadere.
Alzò
lo sguardo sullo specchio e vide la sua immagine
riflessa.
I capelli
aggrovigliati, il trucco sbavato, il volto
tumefatto e gli occhi pieni di lacrime.
Come
si era ridotta?
Cominciò
a piangere silenziosamente, mentre continuava a
guardarsi non riconoscendo nulla della ragazza che era.
Era
il fantasma di sé
stessa.
Qualcuno
che aveva
occupato il suo posto da un po’ di tempo a quella parte.
Si
faceva schifo, si
faceva letteralmente pena...
Strinse le dita
ai bordi del lavandino e il pianto
s’intensificò. Sentiva le gambe cedere, la testa
scoppiare.
Aveva
rovinato tutto...
Con
un gesto aveva
distrutto la sua relazione, l’aveva buttata nel cesso senza
riguardi, aveva
mancato di rispetto all’unica persona che probabilmente non
lo meritava...
Non
sapeva amare.
Era questa la
più rude delle verità.
Non
aveva mai saputo
amare, non aveva mai donato amore a chi le stava intorno... non era
riuscita a
trasmetterlo a Yamato, non era riuscita a portare rispetto a quello che
lui
provava...
Proprio
lei...
Sembrava uno
scherzo di cattivo gusto.
Lei
aveva tradito, era
stata infedele..
Proprio
lei, la Digiprescelta
dell’Amore...
Si
accasciò piegandosi in avanti, le mani sul viso. Le
lacrime la inondarono, mentre stringeva i denti e urlava dal dolore.
Il campanello
suonò.
Il suono
rimbombò per tutto il soggiorno. Joe aprì appena
un
occhio, disturbato da quel rumore molesto, una smorfia irritata dipinta
sul
viso.
Il sonno lo
colse nuovamente e continuò a russare.
Dopo pochi
secondi, il campanello suonò ancora. Joe aggrottò
le sopracciglia.
Chi
diamine era che
rompeva le palle?
Pensò
ad uno scherzo da parte del vicino di sopra con il
quale non scorreva affatto buon sangue. Quell’idiota era
fastidioso e petulante,
quel Martin il pagliaccio, come era
abituato a chiamarlo lui... se lo prendeva era fritto...
I suoni si
fecero continui ed insistenti, e saltò sul divano
impaurito, il cuore che gli batteva forte.
Santo
cielo, gli sarebbe
preso un infarto!
Si mise in piedi
con un’espressione arrabbiata, gli occhiali
ancora di traverso. Non si premurò neanche di mettersi le
ciabatte, tanto
camminò scalzo fino alla porta, calpestando i detriti sparsi
per il pavimento.
Imprecò
per aver messo il piede su qualcosa di appuntito.
Il campanello
suonò ancora. Fece un’espressione assatanata e
urlò. A gran passi si avvicinò alla porta e la
spalancò con gli occhi fuori
dalle orbite.
Lo
avrebbe ucciso a quel
farabutto che...
La sua
espressione mutò e si trasformò in interrogativa.
Taichi si
trovava ritto davanti a lui, in viso uno sguardo
stanco di chi non aveva dormito affatto.
Doveva
rompere i
coglioni a lui che stava dormendo, allora?
Aveva indosso i
vestiti della sera prima e sembrava fosse di
fretta.
Aggrottò
le sopracciglia con irritazione. Non aveva
intenzione di far mettere piede in casa a quel tizio, assolutamente no,
non
dopo come la situazione si era rivoltata, non dopo come avevano
sabotato la sua
laurea.
«Cosa
ci fai tu qui?!» sbottò, guardandolo
dall’alto in
basso come fosse un insetto altamente pericoloso.
Tai
sospirò e fece un passo in avanti.
«Lasciami
entrare» gli disse solo, tentando di liquidarlo.
Joe,
però, fu più lesto. Lo afferrò da un
braccio e lo
costrinse ad indietreggiare. In volto aveva uno sguardo truce, come
potesse
ucciderlo da un momento all’altro.
«Non
vi è bastato lo schifo di ieri sera?!»
esclamò, mentre
la sua voce acuta rimbombava sul pianerottolo.
Si
preparò a ricoprirlo di insulti e rinfacciamenti, lo
avrebbe cacciato fuori a calci nel deretano. Non sarebbero mai
più entrati
quegli stolti distruttori di case, li avrebbe spediti a casa loro in
men che
non si dica!
Aprì
la bocca per parlare, ma il castano gli diede uno
spintone facendolo barcollare all’indietro.
«Lasciami
entrare, Joe!» gli urlò, riuscendo ad infiltrarsi.
Il maggiore lo
fissò allarmato.
Che
intenzione aveva?
Voleva
creare scompiglio
un’altra volta?
Quando
avrebbe meritato
un po’ di pace nella sua vita?
«Stupido
calciatore bislacco!» gli gridò dietro,
insultandolo «Che diamine vuoi dalla mia vita?!» lo
raggiunse e tentò di
afferrarlo nuovamente da un braccio.
«Esci
subito! Sei all’interno di una proprietà
privata!»
tentò di spaventarlo mettendo di mezzo la legge.
L’altro
non si fece intimorire. Strinse un pugno e lo guardò
sprizzando scintille dagli occhi.
«Dov’è
Sora?» chiese tenendo fisso lo sguardo, uno sguardo
che fece raggelare il sangue nelle vene del burino.
Cosa
voleva da lei?
Non
avrebbe permesso che
succedessero altre dispute, né tantomeno che
quell’idiota le dicesse qualcosa
di sconveniente...
Doveva
passare sul suo
corpo se solo pensava di poter raggiungere la camera della ramata.
Si
avvicinò e lo tirò con forza, tentando di
portarlo via da
dove stava andando. Spinse più che potette, notando,
però, che Taichi non si
muoveva di un centimetro.
«Lascia
stare quella paperella, non è il momento!»
urlò inviperito,
gli occhi sbarrati, una smorfia allarmata sul viso.
«Mi
hai sentito, cespuglio di bacche?!» gridò
infervorato,
senza lasciare la presa dal suo braccio «Non è il
momento!» ripeté allusivo.
Insospettita da
quel rumore, Sora si trascinò fino al soggiorno.
Guardò i due amici con uno sguardo apatico e vagamente
interrogativo.
I due si
voltarono a guardarla di rimando. Notò
l’espressione sul volto di Taichi mutare improvvisamente, poi
diede una brusca spinta
a Joe che, preso alla sprovvista, quasi fece un capitombolo
all’indietro.
Lo vide avanzare
verso di lei, afferrarla saldamente dalle
spalle e bloccarla contro il muro. Il cuore le salì fino
alla gola, aprì la
bocca spiazzata per quel gesto.
Udì
distrattamente Joe urlare gravemente, le mani sul viso, forse
spaventato.
Tai la fissava
con uno sguardo serio, risoluto, uno sguardo
che le mise soggezione.
Non
l’aveva mai visto
utilizzare quell’atteggiamento con lei.
Era
sempre delicato,
gentile, mentre adesso l’aveva spinta con forza e la guardava
duro.
Un brivido le
percorse la schiena.
Il ragazzo non
smise di fissarla. La guardava negli occhi
nocciola e sentiva lentamente il cuore sprofondare adesso che ce
l’aveva
davanti.
Come
aveva potuto fare
quello?
Lei
che era così buona,
così generosa... era un esempio per tutti loro... era
cascata nella tela del
ragno, aveva fatto del male a Matt...
La strinse
più forte dalle spalle.
Aveva
voglia di urlarle
quanto era stata stupida, quanto adesso che la guardava in viso le
sembrava di
vedere un’altra.
Qualcuno
che non era
lei, non era Sora.
«Che
cosa hai fatto?» soffiò in un tono basso ma che
trapelava una punta di disperazione.
La ramata
sentì i battiti accelerati e percepì subito le
lacrime invadere nuovamente il bordo degli occhi.
Il
modo in cui l’aveva
detto le aveva toccato il cuore.
Era
stato come una lama
infilzata nello stomaco, una lama appuntita che la stava facendo
sanguinare
copiosamente.
Tai non aveva
smesso di guardarla. Non riusciva a toglierle
gli occhi di dosso. La guardava con pena, rammarico, rabbia.
Era
come se la stesse
vedendo per la prima volta.
Come
se si fosse
improvvisamente svegliato e si fosse reso conto solo in quel momento di
chi
avesse di fronte.
«Mi
fidavo di te...» lo udì sussurrare e
sentì un altro
pezzo di cuore rompersi «eri l’unica persona di cui
mi sarei fidato fino alla
morte...» piano la voce gli si incrinò, e Sora
chiuse gli occhi, angosciata.
Cercò
con urgenza la sua mano, in una sorta di premonizione
di qualcosa di irrimediabile.
«Tai,
io...» provò a dire, ma l’altro
scostò la presa. L’osservava
con una smorfia
dipinta sul viso e lei
si bloccò.
Era
arrabbiato, era
deluso, era così talmente serio in quel momento che aveva
veramente timore.
Timore
di avergli fatto
del male.
Come
aveva potuto fare
del male a così tante persone?
«Mi
avevi detto che andava tutto bene... che tu stavi
bene... mi hai mentito, Sora!» esclamò
scuotendola, guardandola con degli occhi
che sembravano bruciare
«Hai
mentito a me, a Matt, a te stessa» continuò con un
tono
fermo, struggente, così tanto che la ramata sentì
gli occhi inumidirsi di
lacrime.
Aveva
mentito, era
vero...
Era
vero, gli aveva
mentito... aveva mentito a Taichi, il suo migliore amico, una delle
persone più
importanti della sua vita...
Gli
aveva detto che
stava bene, che era tutto apposto, quando in realtà avrebbe
voluto scappare via
dalla disperazione.
Se
solo glielo avesse
detto lui l’avrebbe aiutata, forse l’avrebbe
capita, mentre adesso... adesso la
guardava con quel fuoco che bruciava dentro i suoi occhi e la lasciava
spiazzata, incapace di fare nulla, assoggettata a lui.
Tai si
passò una mano tra i capelli, gettandole un altro
sguardo. Notò che aveva gli occhi rossi e colmi di lacrime.
Adesso
piangeva?
Avrebbe
dovuto pensarci
prima... avrebbe dovuto pensare prima alle conseguenze delle sue
azioni, a
quanto male aveva inferto a Yamato...
Dio,
non lo poteva
sopportare...
Non
poteva sopportare
niente di tutto quello.
«Perché
gli hai fatto una cosa del genere?!» sbottò, e
voleva saperlo veramente.
Voleva
essere a
conoscenza dei motivi, del perché fosse andato insieme ad un
altro, del perché
avesse dovuto rompere in quel modo la loro relazione.
Il
loro rapporto era
così solido... loro erano diversi dagli altri, si amavano
così tanto, si
compensavano in tutto e per tutto...
Lui
si era fatto da
parte per loro, perché aveva dovuto causare quello?
Perché
era stata così
stupida?
«Taichi!»
sentì Joe che lo chiamava arrabbiato, in un tono
che significava che doveva darci un taglio.
Lui non lo
ascoltò, e Sora nemmeno gli prestò attenzione.
Guardava il suo
migliore amico negli occhi e
non riusciva a distogliere lo sguardo.
Non
doveva guardarlo
così... non doveva rivolgergli quello sguardo supplice...
lui non riusciva a
volerle male...
Ma
sentiva un sentimento
di rabbia nei suoi confronti, un rammarico così talmente
grande che in quel
momento avrebbe voluto fare tutto fuorché guardarla.
La prese di
nuovo dalle spalle.
«Perché
ti sei trasformata in quello che non sei?» la
strinse forte, sentendosi angosciato
«Tu
eri l’unica persona di cui ci fidavamo, avremmo fatto di
tutto per te... lui avrebbe fatto di tutto per te...» si
fermò per qualche
istante, poi prese fiato
«Io avrei fatto di
tutto per te!» aggiunse, facendola completamente crollare.
Cominciò
a piangere, portandosi una mano alla bocca. Le
lacrime scorrevano sulle sue guance e lei tentava di nasconderle, ma
erano così
evidenti, così disperate...
Tai
l’aveva colpita in
pieno.
Le
aveva fatto capire
che da quel momento in poi qualcosa era cambiato tra di loro, e
l’aveva ferita,
l’aveva fatta sentire in colpa come non lo era mai stata.
Non
voleva che lui
l’abbandonasse...
Aveva
bisogno della sua
amicizia.
Alzò
lo sguardo e incontrò di nuovo il suo. Vide i suoi
occhi velati e capì che si sentiva allo stesso modo anche
lui.
Abbandonato.
Solo.
«Da
quanto tempo va avanti questa storia?» gli chiese poi,
dopo che la ebbe mollata. Lo disse in modo brusco, come ne fosse
schifato, come
gli facesse male perfino pronunciare quella semplice frase.
Sora
tirò su con il naso, tentando di asciugarsi gli occhi.
«Io
non... ti prego, Tai...» provò a contestare.
Il castano,
però, le rivolse uno sguardo lapidario che la
fece subito ammutolire.
«Dimmelo.
Sii sincera questa volta» berciò, colpendola forse
di proposito.
La ramata
aprì la bocca, interdetta.
Aveva
paura.
Aveva
paura che se
avesse detto come stavano le cose lui l’avrebbe abbandonata
definitivamente,
nello stesso modo in cui aveva fatto Yamato...
Avrebbe
perso entrambi,
e come avrebbe fatto?
Come
avrebbe fatto a
stare senza di loro?
Lo sguardo di
Taichi era fermo e seppe che non poteva
sfuggire.
«Io...
è da un po’ di tempo che... lo conosco dal primo
anno
di università...» la voce gli tremò,
spostò gli occhi verso un’altra direzione
sentendo quelli del ragazzo troppo pesanti «ci
frequentavamo... Non è mai
successo nulla, te lo giuro... qualche giorno fa
c’è stato un bacio...»
confessò con il cuore in gola.
Ebbe paura ad
alzare la testa.
Tai non le aveva
tolto nemmeno per un secondo gli occhi di
dosso.
Adesso
sapeva tutto.
Era
una storia che andava
avanti da tempo... il bacio era stato solo l’ultimo dei
problemi...
Perché
non aveva avuto
il coraggio di lasciare Matt se non lo amava più?
«Io
non ti capisco...» soffiò interdetto, mentre lei
alzava il
capo e le lacrime prendevano di nuovo il sopravvento.
Non
la riconosceva più.
Si
era trasformata in
un’altra che non era lei.
La
Sora che conosceva
non avrebbe mai fatto in quel modo... avrebbe affrontato tutto, avrebbe
messo
fin da subito le cose in chiaro...
Chi
era adesso lei?
«Mi
sentivo sola, abbandonata...» pianse, mettendogli una
mano sul braccio, stringendolo «lui è stato sempre
distante da me in questi
anni... Avevo bisogno di qualcuno che si prendesse cura di
me...» tentò di
spiegarsi, ma che valeva giustificarsi adesso?
Taichi non
riusciva neppure a guardarla.
Non
riusciva più a
starle davanti, voleva andare via...
Via.
«Ti
prego, Tai...» lo invocò lei, trattenendolo dal
braccio.
Il ragazzo si
scansò in automatico, senza alzare gli occhi.
Non
riusciva più a
reggere.
Era
arrivato al limite.
A
che serviva più
perdere tempo in chiacchiere, stupide spiegazioni... era finita... era
finito
tutto...
«Lasciami
stare» affermò, in un tono che non sembrava voler
ammettere repliche «Non riesco neanche a
guardarti...» soffiò tra i denti con
una punta di frustrazione.
Sora
sentì una dopo l’altra le ultime sue certezze
crollare.
Era
finita...
Stava
perdendo anche
lui...
Lo strinse
forte, si attaccò alla sua schiena, mentre Tai
tentava di levarla. Lottarono per un po’ in quel modo.
La ramata
piangeva, urlava, lo incitava a non lasciarla.
Era come una
scena a rallenty.
Mimi giunse alla
soglia, destata dalle urla e il pianto
dell’amica, vedendo figurare davanti ai suoi occhi quella
scena struggente.
Aprì
la bocca e rimase confusa, chiedendosi cosa stesse
succedendo, perché lui fosse venuto a casa loro,
perché Sora stesse piangendo e
cercasse di trattenerlo.
Tai, nel
frattempo, era riuscito a staccarsi da lei. Si era
voltato e l’aveva vista disperata, le braccia strette al
petto.
Non
avrebbe mai pensato
di dover pronunciare quelle parole.
«Mi
hai così deluso, Sora» disse, e poi scosse la
testa
amaramente «Sarei andato contro di lui per te... adesso mi
sento uno stupido
per averti creduto» la voce si affievolì.
Si
sentiva uno stupido.
Si
sentiva uno stupido
per aver dipeso da lei, per non aver messo al primo posto Yamato quando
era lui
ad averne più bisogno.
Uno
stupido anche per
essere andato lì, a cercare nuovamente conferme, a cercare
una verità che gli
aveva fatto più male del previsto.
Si
sentiva uno
stupido...
Così
stupido che non
riusciva nemmeno più a guardarla negli occhi, voleva andare
via da quella
dannata casa...
Distolse lo
sguardo senza aspettare una sua risposta.
Apaticamente, spostò gli occhi verso la soglia del corridoio
e il cuore gli si
bloccò.
Deglutì,
sentendo un’ondata di caldo travolgerlo.
Mimi...
Mimi era
lì che lo osservava con in volto un’espressione
confusa, interrogativa, ma nello stesso tempo piena di luce.
Si
bloccò per qualche secondo a guardarla e la ragazza fece
lo stesso.
Si fissarono
entrambi con intensità, e per un po’ di tempo
il pianto di Sora passò in secondo piano, sentendolo
ovattato, distante anni
luce.
Lei
era lì... davanti a
lui...
Gli vennero in
mente i ricordi della sera prima, i loro
baci, i loro tocchi, il modo in cui avevano fatto l’amore.
Mimi...
Gli
aveva detto di
amarlo...
Lei lo amava e
lui non aveva detto nulla, troppo preso da
quello che era successo, troppo sconvolto per darle peso.
Non
lo meritava.
Che
sciocco, stupido,
insensibile che era stato.
In
tutti quegli anni, lo
era stato...
La ragazza lo
fissava speranzosa, gli occhi castani intrisi
dal sonno, ma ben fermi sul suo volto.
Era
come se volessero
comunicargli che aveva bisogno di lui, che doveva fermarsi
lì a parlarle, che
aveva un’urgenza immane di sentirlo vicino dopo quello che
era successo tra di
loro.
Taichi
continuò a guardarla.
Voleva
dirle qualcosa,
qualsiasi cosa, sentiva l’esigenza di prenderla tra le
braccia e dirle che non
aveva dimenticato ciò che gli aveva confessato.
Voleva
dirle che lui
c’era, che era stato un cretino a non aver fatto nulla in
quei due anni, ma che
quello che avevano vissuto poche ore prima bastava per annullarli tutti.
Voleva
farlo veramente,
ma si sentiva un vigliacco, così vigliacco da non riuscire
nemmeno a
salutarla...
Perché
aveva paura, non
sapeva bene da cosa, ma non si sentiva all’altezza di
ciò che era successo,
delle aspettative che lei aveva su di lui.
Lei
probabilmente si
aspettava che lui le dicesse qualcosa, ma lui era
bloccato, un codardo, stritolato dagli eventi e da quel flusso di
emozioni
contrastanti che aveva sentito, che continuava a sentire.
Era
sconvolto, inerme,
dolorosamente perso.
Non
ce la faceva...
La gola era
secca, il cuore batteva delle dolorose
martellate, e le urla disperate di Sora gli rimbombarono nelle orecchie
costringendolo a distogliere bruscamente lo sguardo da lei.
Mimi lo
guardò voltare le spalle e raggiungere a gran passi
la porta.
Era
come se stesse fuggendo.
Fuggendo
da lei, da lui
stesso, dai ricordi della notte passata.
Il
cuore le si spezzò in
mille pezzi rassegnati.
Non
le aveva neanche
rivolto la parola, non l’aveva nemmeno salutata...
Perché
le aveva fatto
quello?
Erano
stati così bene,
erano stati in paradiso dopo tanti mesi all’inferno.
Quindi
aveva ragione,
quello che era successo tra di loro non aveva avuto significato per
lui, era
stato solo un ritorno di fiamma di una notte per sfogare gli spiriti
bollenti...
Era
stata cieca e
sciocca ad essersi lasciata andare, ad avergli detto di amarlo...
Perché
era stata così
debole?
Avrebbe
dovuto
aspettarsi il muro che si sarebbe erto la mattina dopo.
Lui
non l’amava, era
questa la verità, la più cruda e nuda
verità che adesso le stava squarciando il
petto.
Udì
Sora urlare il suo nome, chiamarlo per tentare di farlo
tornare indietro. Automaticamente, si avvicinò
all’amica e la strinse forte,
continuando a guardare distrutta il ragazzo che aveva varcato la soglia.
Era
andato via.
Era
andato di nuovo
via...
Era
andato via e
probabilmente non sarebbe tornato mai più.
La ramata si
accasciò tra le sue braccia e lei la strinse
forte, accarezzandole la nuca. Rimase a fissare a lungo la direzione in
cui Tai
era sparito, troppo sconvolta per parlare, la delusione troppo grande
per
essere contenuta.
Dopo qualche
secondo di interdizione, vide Joe stringere i
pugni e i denti. Si precipitò sul pianerottolo, la porta era
rimasta aperta.
Come
si era permesso?
Come
aveva osato entrare
con quell’irruenza a casa loro e dire tutte quelle cose
brutte a Sora?
Sentì
i lamenti della ragazza sempre più forti e vide con la
coda dell’occhio Mimi che tentava di farla riprendere.
Sentì
la rabbia esplodergli in petto.
«Figlio
delle puritane!» strillò, insultandolo, facendo
rimbombare
la voce per tutto il condominio «Fantoccio insensibile e
megalomane! Ti pesto
come i torroni se ti prendo!» sbraitò, mentre
alcuni vicini aprivano la porta
per vedere chi fosse quel pazzo che urlava
«Ti
frullo l’ego come un frappè!»
continuò, sentendo poi il
portone principale sbattere.
Imprecò
e chiuse la porta con un calcio.
Corse come un
matto fino al balcone, scontrandosi contro una
sdraio lasciata lì davanti e rischiando di cadere.
Gliel’avrebbe
detto lui!
Quell’egocentrico,
maleducato, leader dei moscerini, questo era...
Nessuno
doveva
permettersi ad insultare le sue paperelle, lui teneva tanto a loro,
nonostante
spesso si comportasse in modo molesto.
Non
avrebbe permesso a
nessuno di rovinare quei bei faccini con le lacrime.
Si
affacciò come una furia.
«Fatti
un bagno di umiltà, calciatore delle mie palle!»
riprese
ad urlare, e l’eco della sua voce risuonò tra i
palazzi.
Non riusciva a
trattenersi; quando si infervorava diventava
scurrile e violento.
Perfino i vicini
di fronte si affacciarono.
Tai, invece, non
alzò la testa, continuò a camminare con le
mani in tasca, svoltando da una strada a fianco.
Joe strinse i
denti.
«Sì,
bravo, svolta da quella via... la via per andare a fanculo!»
strepitò, alzando un dito,
gesticolando a più non posso.
Bastardo,
infame,
apocalittico presagio...
Sora era ancora
stretta a Mimi, la testa appoggiata sul suo
seno, gli occhi che piano le si chiudevano per il dolore e
l’umiliazione.
Aveva
perso tutto.
In
quella battaglia di
cicatrici, era lei ad aver avuto la peggio.
La castana la
sostenne, preoccupata nel vederla crollare.
Era
finita.
Era
finito tutto in un
baratro di oscurità... Si erano bruciate, volavano via come
cenere...
In casa
tornò a regnare il silenzio.
Vincitore
ineluttabile.
Il
silenzio regnava
attorno a lui, s’insidiava dentro il suo cuore rendendolo
ancora più arido e
vulnerabile.
Yamato
aprì gli occhi.
Li
sentì gonfi e irritati, le ciglia dure, le guance gli
pizzicavano per le lacrime che avevano lasciato delle leggere righe
sulla sua
pelle.
Silenzio,
solo silenzio
attorno a lui.
Guardò
il soffitto per un tempo che sembrò
un’eternità.
Silenzio...
non riusciva
ritrovare la sua voce, ad udire i rumori...
Era
come un involucro
vuoto.
Non
sentiva più niente
dentro di sé.
Si
passò una mano sugli occhi e li pasticciò. La
testa gli
doleva così forte che gli fece emettere un sospiro di dolore.
Non
avrebbe voluto
svegliarsi.
Non
avrebbe voluto
vivere con quella sofferenza che sentiva addosso sulle spalle.
Voleva
chiudere di nuovo
gli occhi e non risvegliarsi mai più.
Li chiuse di
nuovo.
Sarebbe
morto...
Ecco,
era la soluzione
migliore. Evadere via da tutto quello che gli era successo, scappare
lontano da
quel male che gli si era infiltrato sulla pelle, dentro le ossa.
Perché
non era morto?
Automaticamente,
aprì di nuovo gli occhi cerulei, rossi e
irritati.
Sarebbe stato fin troppo
facile...
Voltò
la testa alla sua destra e notò che Taichi non
c’era.
Non
riuscì a pensare ad altro, solo sentì
l’esigenza di
mettersi in piedi. Scese dal letto in maniera meccanica, alzandosi di
peso,
sentendo una stanchezza cronica prendere il sopravvento.
La testa gli
girò e chiuse gli occhi.
Credeva
di aver toccato
l’apice del dolore quella notte appena passata, invece
l’alba del giorno dopo
era devastante.
Arrancò
fino al bagno. Si tenne con le mani dal lavandino
senza avere il coraggio di guardarsi allo specchio.
Si
sarebbe fatto pena.
Non
voleva compiangersi,
non voleva farsi pena.
Voleva
svuotare la mente
più di quanto già non lo fosse, voleva lasciarla
libera da ogni dolore, ogni
tipo di sentimento contrastante.
Aprì
il rubinetto sentendo la mano che tremava leggermente.
Avvicinò entrambe all’acqua corrente e si
sciacquò il viso.
Doveva
resistere.
Per
quanto dentro il suo
petto sentiva una sensazione che lo logorava, doveva tentare di
isolarsi,
perdersi nel silenzio, chiudere ogni cosa fuori.
Si
asciugò il volto.
Era
difficile... sentiva
un dolore atroce sprigionarsi dal cuore, lo stava asfissiando, aveva
bisogno di
liberarsene.
Strinse la
tovaglia sul viso.
Non
doveva lasciarsi
andare.
Era
tutto finito...
sebbene sentiva di voler morire, sapeva che era tutto finito...
Ogni
cosa.
Le sue gambe si
mossero e lo fecero arrivare in cucina. La
luce filtrava poco dalle finestre oscurate dai palazzi.
L’oscurità
incombeva.
Come un automa,
si avvicinò al frigorifero e guardò
apaticamente cosa c’era dentro.
Non
avrebbe ceduto.
Non
avrebbe lasciato
sprigionare niente.
Senza nemmeno
pensarci, prese due, tre cose, le mise sulla
cucina. Afferrò dei piatti, le bacchette,
cominciò a preparare qualcosa della
quale non sapeva nemmeno lui.
Doveva
evadere, non
doveva pensarci...
Era
in bilico, così in
bilico che un solo soffio di vento l’avrebbe fatto cadere
giù.
Prese un uovo e
lo ruppe involontariamente facendo troppa
pressione. Il liquido appiccicoso gli scolò tra le dita e
mise una mano sotto
l’acqua per pulirsi.
Doveva
trattenersi...
Doveva
farlo.
Ruppe un altro
uovo dentro una ciotola e prese le bacchette
per amalgamarlo.
Quel
pensiero insidioso
tornava a tormentarlo, non riusciva a bloccarlo, a tenerlo fuori dalla
sua
testa.
Era
così difficile liberarsi da quel senso di nausea che lo
pervadeva.
Non
riusciva a chiudere
tutto fuori, non riusciva a negare a sé stesso quella
realtà, era incapace di
non pensare a quello che aveva fatto Sora...
Sora...
Strinse un pugno
tenendo forte le bacchette tra le dita. I
suoi pensieri vennero interrotti dal campanello che suonò.
Voltò
la testa in direzione della porta e le sue gambe si
mossero lentamente per andare ad aprire.
Il viso di
Taichi gli figurò davanti.
Era
trafelato, stanco,
segnato da un dolore che vagamente gli ricordava il suo.
Distolse lo
sguardo per evitare quello del suo migliore
amico. Lo scrutava con apprensione, lo fissava quasi volesse spogliarlo
da ogni
sorta di difesa.
I suoi occhi
erano fermi, attenti, e Matt li sentì addosso
per tutto il tempo. Continuò a trafficare con il cibo senza
saper bene quello
che stava facendo, evitandolo volutamente.
Non
riusciva a
guardarlo, non voleva guardarlo...
Lo
avrebbe spogliato, lo
sapeva, lo avrebbe reso meno che niente.
Il castano
continuava ad osservarlo e per un po’ non osò
dire una parola.
Il biondo si era
limitato a guardarlo di sfuggita e aveva
subito eluso il suo sguardo.
Non smetteva di
preparare la colazione come se realmente
fosse interessato a farlo, come se se lo stesse imponendo forzatamente.
Tai diede un
lungo sospiro. Aspettava una reazione che
tardava ad arrivare. Sapeva che lo stava evitando di proposito e, per
quanto
cercasse di nasconderlo, poteva percepire quanto la sua psiche fosse
sul filo
di un rasoio.
«Matt...»
lo chiamò in un sussurro.
Era appoggiato
contro il frigorifero e continuava a
guardarlo. Il biondo sentì il suo sguardo insistente
perforarlo da corpo a
corpo e strinse forte le bacchette tra le dita.
La gola era
secca, arida, non riusciva neanche ad emettere
suono.
Non
voleva quel
compianto, voleva solo sorvolare ogni tipo di discorso, voleva chiudere
fuori
da lui quella situazione, voleva evadere via da
quell’incubo...
Taichi
sembrò udire quei pensieri. Notò come si fosse
apprestato a tagliare il cibo, segno di evidente nervosismo e tensione.
Socchiuse gli
occhi, stanco.
Era
dalla sera prima che
non parlava, non aveva emesso più alcun suono per tutta la
notte. Non lo
guardava in faccia, lo evitava per non crollare di fronte al suo
sguardo, ma
lui lo sapeva che era in procinto di scoppiare.
Voleva
che reagisse, voleva
che dicesse qualcosa, seppur un pianto, un urlo, una parolaccia...
Yamato non
doveva chiudersi in sé stesso, era troppo
deleterio per lui.
Sarebbe
morto
lentamente.
«Parliamone»
sbottò secco, tenendo gli occhi fissi su di
lui.
Sembrava
volessero incendiarlo.
Il biondo
percepì dal suo tono di voce
l’impossibilità di
sfuggirgli, ma era proprio quello che intendeva fare.
Non
avrebbe parlato.
Non
avrebbe detto
nulla... perché non riusciva a dire nulla... si sentiva
disarmato, svuotato,
devastato...
Non
riusciva a guardare
Taichi in faccia.
Gli
occhi del suo
migliore amico bruciavano, lui lo sapeva, lo sapeva che lo avrebbe
fatto
cedere, perché aveva una capacità straordinaria
nel farlo...
Senza rendersi
conto, cominciò a fare un rumore sordo con i
piatti, fece tintinnare il coltello con il quale stava tagliuzzando
qualcosa,
spostò delle pentole a caso sui fornelli.
Il castano lo
fissò interdetto.
Tentava
di scappare via,
tentava di eludere quel confronto, era nervoso e addolorato, lo
percepiva.
«Non
chiuderti in te stesso... ti prego, Matt...» lo
supplicò sentendosi in pena per lui.
Questi
continuò a non prestargli attenzione, e ciò fece
irritare l’amico.
Non
poteva finire in
quel modo, non poteva ammutolirsi e tentare di far finta che non fosse
successo
niente.
Odiava
vederlo così,
odiava quel suo modo di fare così talmente introspettivo.
Doveva reagire,
dannazione, doveva buttare fuori tutto quello che provava...
Aggrottò
le sopracciglia, risoluto.
Non
gli sarebbe
sfuggito.
Lo
avrebbe fatto
parlare, non lo avrebbe fatto rinchiudere nuovamente
all’interno della sua
prigione dorata.
Con un gesto
improvviso, sbatté un pugno forte sul tavolo,
facendo cascare il posacenere per terra. Il rumore fece bloccare il
biondo da
quello che stava facendo, sentendo i battiti del cuore accelerare per
lo
spavento.
«Reagisci!»
urlò adirato, tentando di farlo rinsavire da
quel torpore lugubre «Cazzo, fa’ qualcosa,
qualunque cosa, ma reagisci!» sputò
fuori come fosse veleno.
Gli occhi
profondi di Tai non lo mollavano.
Era
stato brusco, lo
sapeva, ma era consapevole anche che era l’unico modo per
farlo svegliare.
Sentiva a sua
volta il petto alzarsi ed abbassarsi
ritmicamente per la tensione.
Voleva
che lo guardasse,
voleva che gli parlasse... che facesse un cenno per fargli intendere
che era
vivo, che era ancora in grado di reagire...
Odiava
vederlo in quel
modo, lo odiava...
Matt
posò le bacchette in modo apparentemente calmo. Si
voltò verso di lui, e non appena Tai vide i suoi occhi
sentì una fitta al cuore
agguantarlo.
I suoi occhi
azzurri erano arrossati, velati da un dolore
enorme, pieni di una sofferenza che mai gli aveva visto impressa in
quel volto
angelico.
Era
uno sguardo
martoriato, distrutto. Tentava di
mantenere le lacrime dallo
sgorgare, ma nonostante ebbe pena di lui in quel momento, strinse un
pugno e
decise di continuare.
Glielo
avrebbe detto.
Doveva
saperlo, doveva
esserne consapevole. Lo avrebbe aiutato a rigettare fuori tutto quello
che
provava.
«Sono
andato da lei» mormorò in un tono dietro cui non
riuscì a mascherare la durezza, la delusione «mi
sono fatto dire come stanno le
cose» continuò fermo, non lasciandosi impietosire
dal suo sguardo.
Non appena
udì quelle parole, Yamato chiuse gli occhi. Li
strinse come se avesse timore di guardare quello che gli stava di
fronte, e si
sarebbe perfino tappato le orecchie se solo avesse avuto la forza di
alzare le
braccia.
Non
voleva sentirlo...
non voleva...
Voleva
sparire, voleva
scappare, voleva essere dovunque fuorché lì...
L’altro
strinse le labbra e decise di rincarare la dose.
Doveva
farlo.
Doveva
reagire.
Doveva
essere
consapevole.
«Quello
che è successo è stato solo il culmine»
spiegò
lapidario, facendo dei passi in avanti per risultare più
vicino a lui.
Il biondo
cominciò a sentire la testa scoppiare. Afferrò
con
entrambe le mani dei piatti senza muoversi dalla posizione in cui si
trovava.
Tai era sempre
più vicino e lo scrutava attento, lo sguardo
duro, un luccichio strano impresso nel suo sguardo.
«questa
storia va avanti da un po’» affermò,
ricordando per
filo e per segno le parole che gli aveva detto Sora.
Sentì
un profondo
rammarico coglierlo, sapeva che lo stava ferendo più di
quanto già non lo
fosse, ma era necessario, doveva farlo, non riusciva più a
vederlo chiuso nel
suo silenzio.
Vide il petto di
Matt andare su e giù, il suo respiro farsi
più pesante, le dita stringevano forte il bordo dei piatti.
«Le
piace, è attratta...» continuò, forse
un tantino crudele
«la fa sentire bene» soffiò infine in un
sussurro.
Reagisci,
reagisci,
cazzo...
Fu un attimo.
Yamato
lasciò cadere i piatti per terra. I cocci si sparsero
per tutto il pavimento e fecero un fracasso terribile. Taichi chiuse
appena gli
occhi, spostandosi per non calpestarli.
Quando li
riaprì vide l’altro tremare, lo vide portarsi le
braccia
alla testa e urlare. Urlò talmente
forte, in un ringhio così disperato
che quasi ne ebbe timore.
Lo vide
improvvisamente sbattere le cose per terra, il cibo,
le posate. Urlava in tono straziante, come se dentro fosse costernato
da dei
demoni che lo stavano possedendo.
Con il cuore che
gli doleva si avvicinò a lui. Lo strinse da
dietro la schiena, forte, come potesse perderlo da un momento
all’altro.
Yamato si
accasciò in due, disperato, le lacrime gli
tranciavano le guance.
Era
finito.
Era
un uomo finito.
La
sua vita era finita.
Suo
fratello, la band,
Sora... non gli era rimasto più niente...
Niente.
Taichi lo
strinse ancora di più e poggiò la testa sopra la
sua schiena. Sentì gli spasmi di dolore e i singhiozzi
attraverso la sua pelle.
Chiuse gli occhi
e rimasero in quel modo per del tempo che
sembrò un’eternità.
Niente.
Non
era rimasto che
niente.
Solo
un triste, crudele,
nefasto silenzio.
|