L'inizio che non avrei voluto

di DanceLikeAnHippogriff
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Quando aprì gli occhi, si trovò immerso in una cascata d’argento. I piedi nudi affondavano nel pulviscolo e nella ghiaia di una rupe bianca. Intorno non c’era altro che buio, costellato da tremuli bagliori lontani.

Sollevò lo sguardo, specchiandosi nell’occhio spalancato del cielo. La luna lo irrorava di luce, pacifica, carezzando la coltre di nuvole che si spandeva ai suoi piedi.

Horo si guardò intorno, incapace di comprendere come fosse arrivato sulla cima di una rupe alta a tal punto da far inchinare le nubi al suo cospetto. Per un momento, si dimenticò chi era e perché fosse lì. Dimenticò il suo passato e le sue aspirazioni future, sentendosi pervaso da una nostalgia struggente per quel luogo, anelando alla sua quieta immobilità, desideroso di farne parte.

L’aura argentina dell’astro celeste sembrava quasi cantare, bilanciando perfettamente luce e oscurità.

Al suo batter di ciglia, una figura si materializzò di fronte ai suoi occhi, sospesa sopra le nuvole. Forse c’era. Forse ci sarebbe stata. Forse c’era sempre stata. La sua percezione del tempo era strana in quel luogo, alterata dal chiarore rassicurante della luna.

La sagoma si stagliava scura contro quel mare d’argento, immateriale, quasi come se fosse fusa con la sua stessa ombra. Era pura energia, i contorni fremevano come scossi da un potere incontenibile, rendendola al tempo stesso netta e indistinta.

Sollevò un braccio. O perlomeno, così parve. Con movimenti precisi e netti, disfece la trama che legava la realtà e si aprì un varco, sparendo al suo interno. Quel nero era così scuro da risultare accecante.

Prima che la sua mente potesse elaborare quella scena, la sua attenzione venne catturata da un nuovo elemento. Non sapeva dire, in realtà, da quanto tempo fosse lì. Un grosso uovo nero, dalla superficie intagliata di simboli arcaici. Un uovo di drago.

Si avvicinò e, per la prima volta da quando era lì, la pace stagnante mutò in curiosità. Tracciò con reverenza le trame che si sovrapponevano, stendendosi in volute pigre ed eleganti, facendo acquisire all’opera un aspetto quasi cangiante a seconda della prospettiva. Per quanto si sforzasse, ogni significato sembrava sfuggirgli dalla mente. Eppure, si sentiva così vicino a comprendere quel messaggio che pareva aspettarlo da tempo immemore.

Mentre si lambiccava il cervello, percepì una sinistra presenza alle spalle e si girò appena in tempo. Scartò di lato, il cuore che gli rombava nelle orecchie, e venne investito da una pioggia di detriti. Incespicò e rotolò goffamente a terra, inciampò sulla sua stessa ombra e si sentì pervadere da un senso di vuoto.

Precipitò nell’abisso, aggrappandosi disperato a un frammento di guscio. Come se avesse potuto salvarlo.

Con gli occhi pieni di terrore rivolti alla luna, bucò la coltre di nuvole, che si richiuse come un sipario.

Fine primo atto. O fine spettacolo?

L’argento smise di carezzargli il volto.

Il buio soffocò ogni suo grido.





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