So sweet and shy
Non sapevo perché l’avessi fatto, eppure mi ero iscritto.
Mentre, con lo sguardo fisso sullo schermo del computer,
cliccavo sul pulsante che mi avrebbe catapultato in quel mondo sconosciuto e
spaventoso, le mani mi tremavano e il cuore mi batteva a mille.
Sudavo freddo, perfino. Come sarei potuto piacere a qualcuno
in quelle condizioni disastrose?
Ormai c’ero dentro e non potevo più tirarmi indietro.
Avevo appena compiuto diciotto anni e ancora non ero mai
uscito con un ragazzo. Una volta avevo accettato l’invito di una mia collega di
nuoto, ma le cose non avevano funzionato fin dal primo istante, così avevo
lasciato perdere prima di poterla ferire.
Anche perché sapevo da anni di essere attratto dagli uomini
ed era diventato palese quando avevo conosciuto Ben, il mio migliore amico e
primo ragazzo per cui avevo perso letteralmente la testa.
Ben che stava in Montana, distante da me, e che stava
frequentando l’accademia militare.
Ben che mi aveva suggerito di iscrivermi su un sito di
incontri per gay.
«Almeno conoscerai qualche bel maschione che ti porterà
fuori a cena e ti farà uscire di casa» mi aveva detto al telefono. «Ti passo io
un paio di link, c’è un mio collega che ne capisce veramente di queste cose»
aveva aggiunto.
E io alla fine ci ero cascato e mi ero ritrovato a chattare
con sconosciuti di ogni sesso ed età.
Ero stato contattato anche da ragazze lesbiche in cerca di
un amico, da transessuali e uomini gay di mezz’età.
Mi ero sentito demoralizzato e demotivato, nessuna di quelle
piccole immagini fatte di pixel aveva attirato davvero la mia attenzione. E se
le fotografie erano vuote e piatte, le conversazioni non erano state migliori:
tutti cercavano per lo più sesso occasionale – io ero del tutto inesperto in
materia – oppure qualcuno con cui costruire relazioni serie e adottare dei
figli.
Non c’erano vie di mezzo là dentro.
Stavo per arrendermi all’evidenza di poter trovare solamente
delle sterili amicizie, quando lo vidi per la prima volta.
Il suo nickname sulla piattaforma era Natty313 e la foto del
suo account mostrava un giovane ragazzo dai capelli ramati mossi dal vento, un
sorriso genuino a increspare le labbra sottili e due enormi occhi nocciola che
sembravano sprigionare gioia di vivere anche attraverso quello scatto sgranato.
Entrai nel suo profilo e lessi le informazioni: diceva di
essere di Los Angeles, di avere venticinque anni e di essere del segno del
Leone.
«Come Ben» mi ritrovai a mormorare, indeciso sul da farsi.
Eppure non tardai troppo a prendere la mia decisione: era la
prima volta che qualcuno mi attirava davvero tra quella marea di sconosciuti e
non volevo perdere l’occasione di conoscerlo.
Così sospirai e cominciai a digitare un messaggio.
Martin_02H
Ciao! 😊
§ § §
Da quel primo Ciao io e Natty avevamo cominciato a
chattare molto spesso.
Avevo scoperto che era un ballerino e insegnante di danza
moderna in una scuola di Los Angeles, che aveva lasciato gli studi in medicina
per inseguire la sua vera passione e che questo aveva portato i suoi genitori
ad allontanarsi da lui; avevano accettato che fosse bisessuale senza troppi
problemi, ma alla condizione che intraprendesse la stessa carriera di suo padre
e di suo fratello maggiore.
E quando Natty aveva capito che non era ciò che voleva, lo
avevano buttato fuori di casa e si era ritrovato a vivere da alcuni amici per
un po’, finché non aveva cominciato a lavorare nella scuola di danza.
Ero rimasto affascinato dal suo vissuto, lo avevo perfino
ammirato un po’: io vivevo ancora con i miei genitori e sapevo che erano in
crisi – temevo che prima o poi si sarebbero separati e non sapevo come
affrontare la cosa – e il mio unico sogno era quello di continuare a nuotare e
a vivere tranquillo.
Non avevo fatto domanda per qualche college prestigioso e
non avevo cercato di ottenere una borsa di studio da almeno quattro zeri, e a
dirla tutta ai miei sembrava non importare poi tanto.
Eppure mi sentivo oppresso e demotivato perché non potevo
essere me stesso – mia madre sarebbe morta se avesse scoperto che mi piacevano
i ragazzi e probabilmente mio padre mi avrebbe disconosciuto – e non sapevo
assolutamente cosa fare della mia vita.
Natty invece era stato determinato e, nonostante tutti gli
ostacoli che si era ritrovato in mezzo al cammino, si era realizzato e adesso
era felice.
Ed era carino da impazzire.
Avevo sempre avuto un debole per i ragazzi con i capelli
rossi, ramati e lunghi, era qualcosa che mi mandava completamente fuori di
testa.
Una volta avevo pensato di chiedere a Natty se volesse
incontrarmi, ma poi ci avevo ripensato: e se non fosse stato il bel ragazzo
giovane che appariva nelle foto? E se si fosse trattato di un vecchio ultrasessantenne
che voleva soltanto adescarmi e stuprarmi?
Dovevo ammettere che forse stavo un po’ esagerando, complici
anche tutti i programmi tv che mia madre guardava ogni giorno e che trattavano
di tragedie capitate a persone ingenue e indifese proprio come me.
Ma quando fu Natty a propormi di incontrarlo, circa un mese
e mezzo dopo il nostro primo contatto online, non riuscii a trattenermi e mi
ritrovai a dirgli immediatamente di sì – salvo poi pentirmene dopo soli due
secondi.
Poteva capitarmi qualsiasi cosa, quel tizio forse mi avrebbe
ucciso e il mio cadavere sarebbe stato ritrovato in un canale in via di
decomposizione dopo giorni… come potevo essere certo che andasse tutto bene?
Chiamai Ben in preda al panico e per fortuna rispose.
«Stavo per uscire con una pollastra niente male, quindi sarà
meglio per te se mi hai chiamato per un motivo valido» esordì il mio amico.
«Natty mi ha chiesto di uscire, di vederci!» sibilai,
mantenendo la voce bassa per non farmi sentire dai miei.
«Oh wow, amico! Ricordati i preservativi alla frutta.»
«Che testa di cazzo!»
Ben sbuffò. «Gli hai detto di sì, spero…»
«Sì. Ma non so se ho fatto bene. E se volesse molestarmi con
una mazza da baseball?»
Il mio migliore amico esplose in una fragorosa risata. «Sei troppo
simpatico, Martin Harris! Te l’hanno mai detto?»
«Sono serio!»
«Senti un po’… sei grande e grosso, hai un fisico da
nuotatore che io non avrò mai neanche se mi facessi di steroidi. Se questo
tizio vuole farti qualcosa, gonfialo di botte e torna a casa come se niente
fosse. No?»
Roteai gli occhi al cielo. «Ma sei scemo? Sono contrario
alla violenza, lo sai!»
«Oh, certo, dimenticavo che abbiamo Gandhi al telefono.
Fratello, sei una rottura di cazzo. Esci con questo Natty e vedi come va.» Fece
una pausa e lo sentì accendersi una sigaretta – ormai il suono della pietrina
che scattava era diventato tristemente familiare durante le nostre telefonate.
«E se hai paura, scegli tu un posto che conosci bene. Un luogo pubblico e pieno
di gente, ma non troppa. Insomma, fatti furbo, ma non perdere l’occasione di
conoscere una persona che potrebbe essere quella giusta.»
Avrei voluto rimproverarlo perché non aveva ancora smesso di
fumare, ma le sue parole erano state così dolci e rassicuranti – nonostante il modo
brusco con cui erano state pronunciate – che non me la sentii di bacchettarlo.
Sorrisi. «Sei sicuro?»
«Certo! E se cerca di fare il furbo, ricordagli che hai un
amico sbirro che potrebbe ficcargli qualcosa di ben poco piacevole su per il
culo!» esclamò Ben, sghignazzando.
«Ben, tu non sei ancora uno sbirro» gli feci notare.
«Ma se prova a torcerti un capello, qualcosa di poco
piacevole da piantargli tra le chiappe lo troverò!» replicò con ovvietà.
Lo adoravo e non trovavo mai le parole giuste per dirglielo.
§ § §
Avevo indossato una t-shirt bianca e dei bermuda in jeans,
infilato ai piedi delle sneakers nere e mi ero diretto alla stazione dei treni.
Avevo raccontato ai miei che sarei andato a Los Angeles con
alcuni compagni di classe per festeggiare un qualche compleanno non meglio
specificato e avevo accuratamente evitato di fornire troppi dettagli.
Faceva caldo per essere soltanto metà maggio, ma in
California funzionava così e per me non era un problema. Le alte temperature
significavano bagni in mare e domeniche trascorse in spiaggia con la mente
libera e l’animo in pace.
Avevo scelto io il luogo in cui ci saremmo incontrati: si
trattava di un locale in cui ero stato parecchie volte, situato all’interno di
un piccolo parco. I tavolini erano sparsi su un’ampia porzione di prato e si
poteva avere un po’ di privacy senza però risultare troppo isolati.
In ogni caso speravo che Natty fosse realmente come l’avevo
conosciuto e che quella giornata in sua compagnia si rivelasse quantomeno
piacevole.
Una volta sceso dal treno, dovetti camminare per una ventina
di minuti prima di raggiungere la mia meta; mi sedetti a un tavolino e mi
guardai attorno, anche se sapevo di essere arrivato con mezz’ora di anticipo
rispetto all’ora dell’appuntamento.
Anche quello era stato un consiglio di Ben. «Gioco
d’astuzia: piazzati lì e aspetta, anche se manca un po’ all’incontro. Osserva
chi ti circonda e cerca di capire se qualcuno potrebbe essere Natty con un
aspetto diverso. Un tizio potrebbe lanciarti occhiate insistenti, una ragazza
potrebbe sfiorarti accidentalmente mentre ti passa vicino… insomma, cogli i
segnali» aveva spiegato con fare perentorio – l’accademia militare sicuramente
lo stava influenzando, dato che si comportava quasi come uno dei suoi
superiori.
Feci scorrere gli occhi sui visi dei presenti e non notai
niente di strano: qualche giovane coppia che tubava con i visi a pochi
millimetri l’uno dall’altro, gruppi di amici scherzavano e chiacchieravano di
fronte a drink colorati, qualcuno portava a passeggio il cane o rimproverava
qualche figlio o nipote impertinente.
Niente lasciava presagire che fossi caduto in una trappola,
almeno per il momento.
Una cameriera sorridente mi si accostò per chiedermi se
volessi ordinare e le risposi che aspettavo qualcuno.
Non appena si allontanò, mi resi conto di ciò che avevo
pronunciato: aspettavo qualcuno.
Ma non avevo la minima idea di chi mi sarei ritrovato di
fronte. E se lui non si fosse presentato e avesse cambiato idea? E se si era
trattato di uno scherzo di pessimo gusto?
Il mio cellulare vibrò nella tasca dei jeans e mi fece
sobbalzare.
Era un SMS di Natty.
Sto arrivando
§ § §
«Hai capito cosa ti ho detto?» sibilai, lanciando continue
occhiate in tutte le direzioni – intanto i clienti del bar erano leggermente
aumentati, ma non riuscivo più a prestarvi attenzione tant’ero agitato.
«Cristo, certo che ho capito! Il tuo bello sta arrivando,
non credi che dovresti aspettarlo e rilassarti anziché stare al telefono con
me?» blaterò Ben, la voce impastata dal sonno. «Per inciso, mi hai svegliato
dopo poche ore di sonno. Sai com’è, non sei l’unico a uscire con qualcuno»
aggiunse.
«Scusa, ma…»
«Era una bomba, amico! Mi ha lasciato in pace solo dopo il
terzo round ed erano quasi le cinque…»
«Okay, okay, possiamo evitare i dettagli?» chiesi
spazientito.
«Andiamo, ora non usare quel tono da innocente che non sei
credibile!» mi sbeffeggiò.
«Sì, però non ti ho chiamato per questo! Me la sto facendo
sotto!»
Ben ridacchiò. «Cristo, sei proprio un ragazzino. Senti, gli
farai perdere la testa. Rilassati. Hai seguito i miei consigli? Notato qualcosa
di sospetto?»
«No» ammisi.
Poi lo sguardo mi cadde su una figura che subito riconobbi e
il cuore fece una spericolata capriola nel mio petto.
«Oh, mi stai ascoltando?» strillò Ben.
Sobbalzai e scostai il telefono dall’orecchio. «Che hai da
gridare?!» sbraitai. «Ti chiamo dopo!» esclamai, buttando giù senza nemmeno
salutarlo.
Forse ero stato un po’ brusco, ma Ben era il mio migliore
amico e non se la sarebbe presa con me – o almeno lo speravo.
Natty era arrivato ed era proprio come nelle foto che avevo
visto.
No, più si avvicinava e il suo sorriso si allargava, più
sembrava dannatamente bello, troppo per essere reale.
Mi misi goffamente in piedi e rimasi fermo senza sapere cosa
fare, mentre lui camminava a passo sicuro e faceva lo slalom tra i tavolini
gremiti di avventori.
Quando mi fu di fronte, mi resi conto che eravamo più o meno
alti uguali e che il corpo di Natty, magro e slanciato, era fasciato in abiti
scuri che risaltavano con la sua pelle diafana.
Senza smettere di sorridermi, mi guardò negli occhi e un
enorme calore mi avvolse, facendo sciogliere il mio cuore e inarcare le mie
labbra all’insù.
«Martin, oddio, sei proprio tu?» esordì, investendomi con un
timbro di voce profondo e caldo che non avrei mai associato al suo aspetto
delicato.
«Sì» fu tutto ciò che riuscii a pronunciare.
Poi, quasi all’unisono, ci avvicinammo l’uno all’altro e ci
stringemmo in un abbraccio fortissimo.
Avere quel ragazzo tra le braccia era elettrizzante, anche
perché era la prima volta che un altro uomo – fatta eccezione per Ben – si
faceva stringere così da me.
Non avevo mai provato niente di simile prima d’allora e,
nonostante sentissi le guance in fiamme e avvertissi gli sguardi pungenti dei
presenti su di noi, stavo dannatamente bene.
Natty sembrava non volermi più lasciar andare, mi
accarezzava la schiena e continuava a ripetere il mio nome con una dolcezza che
mai nessuno aveva utilizzato con me.
Poi ci separammo e tornammo a guardarci negli occhi,
sorridendo come due ragazzini quali eravamo.
«Ci sediamo?» propose Natty, lasciando scivolare la mano affusolata
sulla spalliera della sedia in plastica rossa.
Annuii e mi sistemai nuovamente al mio posto, continuando a
fissarlo senza riuscire a proferire parola. Ero senza fiato, non sapevo come
comportarmi e improvvisamente mi resi conto che quella era la prima vera volta
che uscivo con qualcuno sul serio.
Natty sorrise e allungò le braccia sul tavolino, prendendo
una delle mie mani tra le sue e cercando sempre di mantenere il contatto visivo
con me.
Era tenero il modo che aveva di osservarmi con quegli occhioni
nocciola colmi di dolcezza, erano rassicuranti le lievi carezze che lasciava
sul dorso della mia mano con l’intento di calmarmi un po’.
«Sei così timido…» commentò Natty.
«Mi dispiace, è la prima volta che esco con qualcuno» ammisi
imbarazzato.
«Lo so, me l’hai detto.» E sorrise ancora, illuminando il
suo bel viso delicato e le sue iridi stupende.
Ero veramente stato fortunato: Natty non era uno stupratore
di mezz’età con strane manie feticiste.
Certo, non potevo esserne del tutto sicuro, però mi dava
l’impressione di essere uno a posto.
Mi guardai attorno in cerca della cameriera, ma subito
scossi il capo. «Prendiamo qualcosa?» proposi.
«Se ti va.»
«Non tanto» ammisi. «Scusa, sembra da idioti, ma…»
«Ehi.» Mi strinse la mano e cercò nuovamente il mio sguardo.
«Tranquillo. Sai che c’è? Non va neanche a me» replicò.
Chinai il capo. «Okay.»
«Cosa vuoi fare?»
«Beh… potremmo fare due passi.»
Natty annuì e lasciò andare la mia mano per mettersi in
piedi. Feci lo stesso e accostai la sedia al tavolino, assicurandomi che tutto
fosse in ordine – se mia madre fosse stata presente, sarebbe stata orgogliosa
di me.
«Fammi strada, non conosco bene questo parco» mi incoraggiò
lui.
Annuii e, facendo lo slalom tra i tavolini, lo condussi
verso una zona in cui potevamo passeggiare tranquillamente.
Prendemmo un grazioso vialetto ricoperto di ghiaia e
costeggiato da un basso muretto in pietra, lanciandoci ogni tanto delle
occhiate.
Poi Natty intrecciò le sue dita alle mie e io ricambiai la
stretta senza pensarci due volte; non avevamo mai parlato come se avessimo una
relazione, ma era stato chiaro fin da subito a entrambi che ci piacevamo.
Del resto su un sito d’incontri ci si iscriveva per un unico
motivo.
Nei pressi di un piccolo laghetto, arrestai il passo e
rimasi con lo sguardo perso nella distesa d’acqua che si muoveva appena,
placida e tranquilla.
«Cavoli, non abbiamo praticamente parlato» commentò Natty. Poi
si voltò a guardarmi e mi rivolse uno dei suoi enormi sorrisi. «Beh, ti ho
detto che mi chiamo Nate, no? In realtà sarebbe Nathaniel, ma potrei ucciderti
se tu mi chiamassi così.» Ridacchiò.
Ricambiai con il cuore un poco più leggero. «Hai un secondo
nome?»
«Sì. Ed è ancora peggio. Te lo dico, ma che rimanga tra noi»
scherzò, strizzandomi l’occhio.
Annuii.
«Lester. Nathaniel Lester Hamilton, per servirti!» esclamò,
scuotendo appena il capo e facendo ondeggiare le ciocche ramate che gli
circondavano il viso.
«Posso chiamarti Les?» mormorai.
«Niente affatto. Natty va benissimo. Tu invece sei Martin e
basta?» mi interrogò.
«Martin Harris. Ma la cosa più buffa riguarda mio padre: lui
si chiama Harry.»
Natty scoppiò a ridere – un suono profondo e capace di
sfiorare le corde più nascoste del mio cuore. «Dio, Harry Harris, sul serio?»
«Giuro!»
«Terribile. Pover’uomo, la sua dev’essere una vita
difficile!»
«Sopravvive» replicai, facendo spallucce.
Natty fece oscillare le nostre mani ancora unite e riprese a
camminare. «Mi dispiace, davvero!» Ridacchiò e si arrestò nuovamente,
chinandosi a cogliere una piccola margherita da un cespuglio.
Lo scrutai confuso, il cuore in subbuglio e una crescente
ammirazione nei suoi confronti. «Che combini?»
«Un bel fiore per un bel ragazzo» sussurrò, porgendomelo con
gli occhi che brillavano.
«Sei carino» bofonchiai, sentendomi avvampare per l’ennesima
volta.
«Anche tu» replicò.
Ci fissammo per qualche istante.
Poi mi sporsi per afferrare la margherita e me la rigirai
tra le dita, chinando il capo per esaminarla.
Fu allora che Natty mi baciò.
Fece un passo avanti e le sue labbra incontrarono le mie per
un breve attimo.
Si tirò indietro e mi osservò attentamente, un sorriso
incerto dipinto in volto. «Ho sbagliato?»
«N-no…» balbettai.
«Martin?»
Sollevai appena il capo e lo guardai con timore.
«Hai mai baciato qualcuno?»
Scossi la testa e le mie guance andarono a fuoco. Che
stupido! Come avevo potuto iscrivermi su un sito d’incontri se non avevo la
minima esperienza in campo sentimentale?
«Sei ancora più bello quando arrossisci così.» Natty lasciò
andare la mia mano e mi scostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Vuoi o no distruggere
quella margherita e scoprire se ti amo?» scherzò.
Annuii e, tenendo il fiore con la sinistra, strappai il
primo petalo con la destra. «M’ama…» Passai al secondo. «Non m’ama.»
Natty rise e mi tenne d’occhio. «Coraggio, sono curioso!»
Andai avanti e, tra una risata e l’altra, strappai l’ultimo
brandello di corolla e pronunciai: «Non m’ama».
Ci scambiammo un’occhiata e prendemmo a sghignazzare.
«Non è destino tra noi» commentai in tono vagamente dispiaciuto.
Natty mi passò un braccio dietro la schiena e mi attirò a
sé, abbracciandomi forte.
I nostri visi erano poco distanti e il mio cuore batteva
forte, non osavo muovermi perché non sapevo assolutamente come comportarmi.
Lui carezzò nuovamente le mie labbra con le sue. «Non
importa cosa dice la margherita. Io adesso sto bene.» Sorrise dolcemente. «Tu?»
«Sì» esalai. «Anch’io.»
§ § §
Seduti su una panchina, mano nella mano, io e Natty ci
guardavamo negli occhi e chiacchieravamo.
Attorno a noi sfilavano un sacco di persone, ma io avevo
l’impressione di trovarmi su un altro pianeta.
Parlare con quel ragazzo era piacevole e pian piano mi stavo
sciogliendo, perché in fondo mi pareva di conoscerlo da tempo, complice anche
il fatto che avessimo chattato parecchio nelle settimane precedenti.
«Mia madre pensa che il parere dei nostri vicini sia
importante più di quello di mio padre o del mio. Beh, a dirla tutta il mio non
conta niente» raccontai.
«Caspita, ma che mentalità ha? Cioè, non è che i miei
genitori siano migliori, te l’ho detto, no? Però… cioè, tua madre sarebbe
pronta a ripudiarti se sapesse che adesso sei qui mano nella mano con me?»
Scrollai le spalle. «Darebbe di matto.»
«E tuo padre? Il povero Harry Harris cosa direbbe?» domandò.
«Non ne ho idea. Mio padre è un uomo riservato, non è facile
decifrarlo. A dirla tutta, molte volte si fa gli affari suoi e lascia parlare
mia madre perché è inutile discutere con lei…» Sospirai. «Presto si
separeranno, anche se lei preferirebbe bruciare viva piuttosto che far sapere
in giro che la sua famiglia perfetta era solo un’illusione.»
«E tu vai a vivere con Harry, vero?»
Sospirai. «Non lo so. Ci sono tante cose che non so della
mia vita.»
«Ehi» mormorò Natty, lasciando andare la mia mano per accarezzarmi
il braccio. «Non preoccuparti, troverai anche tu la tua strada.»
«Tu dove hai trovato la forza per andare avanti?»
«Non avevo alternative. I miei mi hanno sfrattato quando ho
mollato Medicina. Dio, è stato uno schifo per settimane: dormivo a casa di
alcuni colleghi dell’università o da compagni di danza. Non avevo un soldo e
non sapevo da dove ripartire. Poi mi hanno chiesto di insegnare ai bambini
dell’istituto, sai, i piccoli ballerini alle prime armi. Avevo paura di non
essere all’altezza, ma avevo bisogno di soldi e ci ho provato.» Sorrise. «È
passato più di un anno e sono ancora qui. Le cose stanno andando meglio e
presto potrò andare a vivere per conto mio.»
«Dove stai abitando?»
«Da mio cugino Adam. Si è trasferito in città per studiare e
i suoi gli hanno affittato un appartamento. E indovina?»
Lo fissai confuso.
«Studia Medicina.»
Scoppiammo a ridere.
«Spero che almeno a lui piaccia» commentai.
«Ha sempre voluto fare il neurochirurgo.»
Ci scambiammo un’occhiata complice.
Mi sentivo decisamente più rilassato ed ero contento del
tempo che stavamo trascorrendo insieme, ma c’era ancora qualcosa che avrei
voluto sperimentare – la verità era che non ne avevo il coraggio.
«Che succede?» chiese dopo un po’.
«Niente, è solo che…»
Natty si mise a cavalcioni sulla panchina – era una semplice
lastra di cemento senza schienale – e mi osservò. «Martin, senti…»
Non osai voltarmi e tenni lo sguardo basso, fisso sulle mie
mani abbandonate in grembo.
Percepii le sue dita accarezzarmi il braccio. «Vuoi provarci?»
Mi voltai di scatto e lo fissai confuso. «Provarci?»
«A baciare qualcuno.» Un ampio sorriso illuminò ancora il
suo bel viso. «A baciare me» aggiunse.
«L’abbiamo già fatto…» farfugliai.
«Quelli non erano veri e propri baci.» Natty mi prese gentilmente
per un polso e mi trasse piano a sé.
Mi sporsi in avanti e lasciai che lui posasse una mano sul
mio ginocchio, mentre le nostre labbra si incontravano ancora una volta.
Mi fu subito chiaro che quel contatto sarebbe stato diverso
dai precedenti: la pressione della sua bocca era più decisa, durò più a lungo e
anche la sua mano che correva tra i miei capelli per tenermi più vicino era
qualcosa di inedito.
Poi la lingua di Natty si insinuò gentilmente tra le mie
labbra e io le schiusi senza remore, permettendogli di guidarmi in quella nuova
ed elettrizzante esperienza.
Il bacio durò alcuni istanti, poi Natty si tirò lentamente
indietro e cercò il mio sguardo. «Tutto bene?»
Solo in quell’istante ripresi ad ascoltare il mio corpo:
respiravo a fatica, il cuore mi batteva all’impazzata e i muscoli fremevano appena.
Tuttavia, decisi di non replicare: regalai un sorriso a
Natty e mi sistemai a mia volta a cavalcioni di fronte a lui; presi lentamente
il suo viso tra le mani e carezzai piano le guance, sentendole leggermente
ispide sotto i polpastrelli. Tracciai il profilo del labbro inferiore con il pollice
e arrossii – forse stavo sbagliando tutto e non era quello il modo di toccare
un ragazzo.
Lui mi lasciò fare e appoggiò le mani sui miei fianchi,
sfiorandoli con piccole carezze che mi facevano rabbrividire nonostante le
temperature fossero elevate.
I nostri occhi erano gli uni negli altri, era bello poterlo
osservare da vicino e provare a leggere nelle sue iridi enormi e calde – così
dolci.
Fui io a baciarlo.
Appoggiai con cautela le labbra sulle sue e feci ciò che lui
aveva fatto poco prima: esercitai una leggera pressione, poi guidai la mia
timida lingua nella sua bocca.
Fu meraviglioso.
In un attimo ci ritrovammo coinvolti in un contatto lento e
caldo, abbracciati con tenerezza; le dita di uno correvano tra i capelli
dell’altro, i polpastrelli seguivano la curva della schiena e i muscoli delle
braccia.
In quel momento mi resi conto che mai e poi mai avrei
permesso a qualcuno di farmi provare vergogna per la persona che ero.
Forse intorno a noi c’era qualcuno che poteva provare
disgusto per le nostre effusioni, ma io non volevo lasciarmi influenzare.
Così mi lasciai completamente andare al bacio e trassi Natty
più vicino, accarezzandogli con più intensità i capelli e la schiena.
Poco dopo fummo costretti a separarci per riprendere fiato.
«Wow» mormorò lui con voce roca.
«Questo era un vero bacio?» chiesi con un pizzico di timore.
Natty sghignazzò e mi abbracciò, appoggiando il capo sulla
mia spalla. «Ci sai fare, novellino» mi prese in giro con dolcezza.
Ripensai alla margherita che avevo distrutto quasi un’ora
prima e sorrisi: non mi importava dell’esito di quello stupido gioco né di cosa
sarebbe successo in futuro, in quel momento stavo bene e volevo godermi ogni
singolo istante senza preoccuparmi.
§ § §
«Partiamo per un tour estivo.»
Mi scostai da Natty per guardarlo meglio. «Come?»
«Io e i miei colleghi alla scuola di danza. Andremo a
esibirci in lungo e in largo per gli Stati Uniti, almeno guadagneremo
abbastanza per sopravvivere in questi mesi.»
Mi ritrovai a sorridere. «Che bello! Dove andrete?»
Lui si grattò il mento con fare pensoso. «Mmh, vediamo… San
Francisco, Atlanta, Miami…»
«Wow, anche in Florida?»
Lui annuì. «Verresti con me?»
Risi. «Sarebbe fantastico, ma prima devo finire il liceo e
quest’estate comincio il corso da bagnino.»
I suoi occhi si illuminarono di gioia. «Allora non è vero
che non sai cosa fare della tua vita!» Si sporse per regalarmi l’ennesimo
abbraccio. «Sono felice per te.»
«Anche io lo sono per te.»
Natty strinse le mie mani tra le sue, appoggiandole sulle
proprie cosce – eravamo ancora a cavalcioni sulla panchina in pietra. «Quando
torno, usciamo di nuovo insieme?»
«Certo.»
«Mi aspetterai?» domandò in tono speranzoso.
«Sì, e tu?»
«Ti penserò per tutto il tempo» affermò Natty, facendo
nuovamente incontrare le nostre labbra per dar vita all’ennesimo dolce bacio.
E in quel momento, a quelle piccole e stupide promesse, ci
credetti davvero.
§ § §
«È stato bello?» chiede Joe, il capo abbandonato sul mio
petto nudo.
Lo tengo stretto a me e gli accarezzo delicatamente i
capelli ricci e scompigliati, godendomi il suo calore.
«Baciare Natty? Bellissimo» ammetto con un velo di
ironia.
Ma Joe non è tipo da cedere alle provocazioni, riesce a
leggere nella mia voce ogni vena d’emozione.
«Allora baciare me dev’essere da sballo!» esclama,
mordicchiandomi sulla clavicola per dispetto.
Rabbrividisco. «Ehi, vacci piano.»
«E com’è finita?» domanda curioso.
«Abbiamo ripreso a chattare per un po’, ma tra i suoi e i
miei impegni pian piano ci siamo allontanati.»
Joe sospira e il suo fiato caldo si infrange sulla mia
pelle, facendola increspare in un nuovo brivido. «E scommetto che non vi siete
rivisti.»
«Indovinato. Però rimane pur sempre un bel ricordo.»
Scendo con la mano sotto il suo mento e gli sollevo piano il capo per poterlo
guardare. «Se con lui avesse funzionato, non avrei conosciuto te» mormoro.
«Già, che grande perdita!» si schernisce. «E comunque
quella stronzata della margherita in fondo aveva ragione.»
Sorrido. «E io che non ci credevo!»
Joe torna a rannicchiarsi contro il mio petto e mi
abbraccia forte, riempiendo la mia pelle di soffici baci. «Troppo tardi, Natty:
Martin è tutto mio» afferma con fare altezzoso. «Anche questi sono miei»
prosegue, chiudendo piano tra le labbra i miei capezzoli.
«Ehi…» sussurro, portando una mano tra i suoi capelli.
Le dita di Joe corrono lungo i miei fianchi e li
solleticano. «E questi.»
«Joe…»
Poi risale piano lungo le braccia e ne segue il profilo
per raggiungere il viso. Si solleva e, dopo aver posato i polpastrelli sulle
mie labbra, li sostituisce con le proprie e mi cattura in un bacio pieno di
emozioni, brividi, amore e desiderio.
«Tutto mio» sussurra poi, scostandosi appena.
Lo guardo in viso e mi sorprendo di quanto sia bello anche
se i suoi occhi non possono mettermi a fuoco e guizzano senza meta; i
lineamenti delicati, le sopracciglia perfette, i ricci castano chiaro che
scendono morbidi sulle sue spalle nude…
Sono così felice e lo amo da impazzire.
Non so come dirglielo, così mi limito a dimostrarglielo
con baci e carezze, con abbracci e piccoli gesti che spero gli facciano capire
che i momenti migliori della mia vita li ho vissuti con lui e continuerà a
essere così.
E stavolta le promesse non le pronuncerò a voce alta, le
farò a me stesso e non saranno stupide o vane.
Perché adesso il mio cuore sa dove vuole stare e a chi
vuole appartenere, non c’è neanche un dubbio a offuscare la mia mente.
E quando Joe, mentre mi regala l’ennesimo intenso bacio, mi
pone quella domanda, non esito a rispondere perché è tutto fin troppo chiaro.
«Sei mio?»
«Sì.»
♥ ♥
♥
Pacchetto per la challenge di Laila: [Primavera] Margherita
– Romantico / Laghetto
AUGURI TENERISSIMO MARTIN *_______________*
Lettori carissimi, ecco, non vedevo l’ora di raccontarvi
qualche aneddoto riguardante il periodo pre-Joe (XD) di Martin! E quale
occasione migliore del ventinovesimo compleanno di questo mio bimbo per farvi
scoprire com’è andato il suo primo appuntamento e primo bacio con un ragazzo?
E che ragazzo! Il personaggio di Natty mi è piaciuto molto, devo
ammetterlo. Era la spinta necessaria per aiutare Martin a uscire dal suo
guscio, per prepararlo un minimo a quell’uragano di Joe XDD sì, in realtà poi
si scoprirà che Natty è un veggente e sapeva che Martin&Joe si sarebbero
incontrati (???????)
Ma cosa sto scrivendo? ^^”””
Ovviamente il supporto morale di quel cretino adorabile di
Ben non poteva mancare *-*
Ben che, come ho accennato nella storia, è stato il primissimo
amore di Martin, perché è grazie a lui e all’attrazione che provava che ha
accettato la sua omosessualità! E Ben è stato un tesoro con lui e da allora non
si sono mai persi, anche se abitano uno in California e uno nel Montana!
Spero che tutti i riferimenti che ho fatto nel testo siano
chiari, anche perché ho cercato di spiegare tutto al meglio! ^^
Mi auguro che le mirabolanti avventure di Martin che si
iscrive su Meetic (???) vi siano piaciute, ma scommetto che non ve lo sareste
mai aspettato da lui, eh? :P
Ringraziò chiunque leggerà e chi lascerà un commento e
faccio ancora tantissimi auguri di buon compleanno al mio dolcissimo Martin ♥
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