2. 1968-1972
Borgov la
chiamò per la prima volta Liza nella sua
terza lettera.
Era stato lui a
inaugurare questo carteggio, a metà maggio 1968:
l'aveva sfidata a una partita di scacchi per corrispondenza e Beth
aveva accettato con entusiasmo. Non aveva più giocato con
nessuno dopo Mosca — l'euforia di quella vittoria che non
l'aveva
ancora abbandonata del tutto — e chi meglio di lui per
ricominciare?
Beth aveva passato i
mesi precedenti all'arrivo della sua prima lettera
leggendo libri di teoria — i finali erano ancora il suo
tallone
d'Achille, doveva assolutamente migliorare o qualcuno prima o poi ne
avrebbe approfittato — e nascondendosi in casa. Era diventata
una
star nazionale da quando la sua vittoria era diventata di pubblico
dominio: una ragazza del Kentucky aveva battuto i comunisti al loro
stesso gioco, questa era di sicuro la prova inconfutabile della
superiorità morale degli americani.
Volevano che prendesse
posizione e denunciasse il regime sovietico, ma
Beth evitò tutte le domande politiche, concentrandosi solo
su
come aveva giocato nel torneo e su quanto rispettasse i Gran Maestri
russi. I giornalisti, invitati alla Casa Bianca, adorarono il suo senso
dell'umorismo e le sue risposte taglienti mentre il presidente
—
che sapeva a malapena muovere i pezzi e fu sconfitto con
facilità in meno di 15 mosse — non
apprezzò
così tanto. A Beth non importava niente: non era
più un
pedone indifeso.
Odiava questa fama: si
concentravano sulla sua vittoria contro i
sovietici.
Se Borgov fosse stato di qualsiasi altra nazionalità
a nessuno sarebbe importato.
Beth tenne la sua
irritazione fuori dalle sue lettere con Borgov.
Insieme alla sua mossa, gli parlava delle piccole cose che le
capitavano. Gli descriveva la sbocciatura dei fiori del suo giardino, o
quanto le avesse fatto piacere ricevere la visita di un amico. D'altra
parte, invece, Borgov non era così loquace. Rispondeva
sempre
alle sue domande, ma non sprecava pagine su pagine per descriverle la
sua vita quotidiana. Era preciso — esattamente come il suo
stile
di gioco e la sua calligrafia — e diretto. Non aveva bisogno
di
fronzoli per mantenere la sua attenzione.
La loro corrispondenza
era amichevole, poco adatta ai formali "Miss
Harmon" e "Mr Borgov" che avevano usato come apertura fino a quel
momento. Presto passarono al nome proprio, come vecchi amici: Borgov
abbreviò il suo in Liza,
proprio come avevano fatto i moscoviti durante la sua permanenza. Le
piaceva molto il modo in cui tracciava le lettere del suo soprannome,
specialmente la curva della l;
lo trovava adorabile.
Beth conservava tutte
le sue lettere in una scatolina intarsiata,
posizionata accanto ai suoi trofei di scacchi nel salotto. Solo una,
invece, era riposta nel cassetto del suo comodino, in modo da poterla
leggere ogni volta che lo desiderasse, sempre attenta a non piegare la
carta delicata: quella in cui Borgov le spiegava il motivo per cui le
aveva scritto; era andato dritto al sodo, come sempre, e la sua
calligrafia non mostrava segni di esitazione.
Ci si sente soli qui in cima al
mondo, mia cara Liza.
Vasily Borgov era
arrivato al Invitational di Toronto del 1970 con un
altro interprete, un uomo basso con degli occhialetti rotondi che gli
scivolavano spesso sul naso aquilino.
Seduta su un divanetto
di pelle abbastanza scomodo, Beth era nel bel
mezzo di un'intervista con un giornalista canadese quando aveva visto
entrare il duo, seguito subito dopo dai soliti agenti del KGB e dal
resto della delegazione sovietica. Si fermò a
metà della
frase, guardandoli fare il check-in al Grand Hotel. Erano passati due
anni da quando aveva visto di persona l'ultima volta Vasily e adesso
erano di nuovo nella stessa stanza. Era quasi strano, considerato anche
che erano rimasti in contatto per tutto questo tempo: ora
più
che mai, sentiva la sua corrispondenza con lui come una cosa intima e
privata, anche se era
perfettamente consapevole che sia la CIA che il KGB sapevano ogni
minima cosa di cui si parlassero.
Beth concluse
velocemente l'intervista, promettendo di posare per
alcune foto esclusive in modo da addolcire questa interruzione
improvvisa, e marciò nel bar dell'hotel da dove avrebbe
avuto una
vista perfetta sulla hall senza dover girare in maniera innaturale il
collo. Il suo sguardo fu attratto dall'interprete, che stava discutendo
con la
receptionist del posizionamento delle camere dei suoi giocatori,
sorseggiando una Coca Cola.
La moglie di Borgov
era sempre stata l'interprete ufficiale, fin da
quando si erano sposati; non aveva mai mancato un torneo in 15 anni.
Voci
di corridoio avevano parlato di una separazione poco dopo Mosca, ma
Beth non aveva mai dato adito a tali pettegolezzi. Una volta Vasily le
aveva scritto che si sarebbe trasferito nella sua città
natale,
ma era perché voleva prepararsi al meglio per il campionato
nazionale dell'Unione Sovietica e per quello del mondo nel 1969. Forse
c'era anche dell'altro dietro quella
decisione. L'assenza della signora Borgov era molto interessante.
Georgi Girev si
separò dal gruppo per andarla a salutare. Aveva
ora 18 anni ed era molto indietro rispetto alla tabella di marcia che
le aveva elencato a Città del Messico. Rispetto al ragazzino
dai
tratti arrotondati che aveva conosciuto a quell'Invitational, il suo
viso si era affinato e ormai la sovrastava di mezza testa, pur
conservando ancora quella goffaggine tipica dell'adolescenza; aveva i
capelli come i suoi compatioti, pettinati di lato e con così
tanto gel che sembrava fosse appena uscito dalla doccia, ma portava
anche una barbetta chiazzata nella speranza di apparire più
grande dei suoi anni. Le ricordava Benny e la sua faccia da bambino. Il
pensiero la fece sorridere.
Beth voleva parlargli
della partita 14 del suo incontro con Borgov per
il titolo mondiale — dove avrebbe dovuto giocare cavallo e4
invece di spingere il pedone, perdendo così la partita e con
essa l'intero match — ma Georgi sembrava molto più
interessato alle ultime uscite di Hollywood. Era arrossito mentre le
elencava tutti i film che avrebbe voluto vedere durante la sua
permanenza in Canada, arrivando a balbettare quando le chiese quali
fossero i suoi piani per quei pochi momenti in cui non era impegnata
col torneo. Beth non aveva una grande
esperienza in relazioni, nessuno le aveva mai chiesto di uscire in vita
sua, ma poteva intuire quali fossero le sue intenzioni dietro a quelle
domande.
Batté le palpebre, colta di sorpresa, ma non fece in tempo a
rispondere poiché Laev richiamò Georgi,
ordinandogli di
smetterla di flirtare e di andare a prepararsi per la prima partita. Mentre Girev andò
da lui quasi di corsa, borbottando
qualcosa in russo così velocemente che non riuscì
a
coglierne il significato, Beth buttò giù d'un
fiato la
sua Coca e si diresse verso l'ascensore. Si voltò solo
quando
sentì su di sé lo sguardo di Borgov, le mani
nelle tasche
dei suoi eleganti pantaloni; mantenne il contatto visivo fino a quando
le porte si chiusero fra loro.
L'imbarazzo di
quell'incontro si riversò nella loro partita, nel
turno cinque. Georgi guardava qualunque cosa non fosse lei, e il suo
gioco era molto impreciso: alla mossa 19 non vide una semplice
forchetta di
cavallo, perdendo così un'intera torre. Abbandonò
subito,
le punte delle sue orecchie scarlatte, e sembrava talmente miserabile
che Beth gli propose di andare a vedere un film insieme per
rallegrarlo. Georgi accettò con così tanta foga
che
l'arbitro venne a redarguirli per poi accompagnarli fuori dalla sala da
gioco, sotto lo sguardo degli altri giocatori, palesemente disturbati
dal fracasso.
Davvero, questo
Invitational stava diventando il torneo più imbarazzante
della sua vita.
Il film e la compagnia
furono divertenti, ma fu ben presto chiaro a
entrambi che desideravano cose diverse da quest'uscita. Georgi la prese
abbastanza bene
e ritornò alla suite che la delegazione sovietica usava come
sala analisi, mentre Beth decise di andare a controllare gli
accoppiamenti per il sesto turno prima di ordinare una cena leggera e
prepararsi per il prossimo avversario.
La sala da gioco era
completamente vuota eccetto per Borgov, che stava
studiando attentamente il tabellone. Si voltò al suono dei
suoi
tacchi sul pavimento di marmo e sembrò quasi sorpreso dalla
sua
presenza. La luce aranciata del tramonto, che filtrava dalle ampie
finestre, sembrava addolcire i suoi tratti sempre severi.
All'improvviso Beth aveva un nodo alla gola e, non fidandosi di poter
parlare in queste condizioni, si limitò a sorridergli prima
di
ricercare il suo nome fra gli accoppiamenti. Quando lo
trovò, al
primo tavolo accanto a quello di Borgov, il respiro le se
mozzò
in gola.
Vasily la stava ancora
guardando.
Provò a
dire qualcosa, qualunque cosa, ma prima ancora che un
suono riuscisse a uscire dalla sua trachea contratta lui le prese la
mano. La sua pelle era calda e sorprendentemente morbida; non portava
più una fede nuziale. Lentamente, la portò alla
sua
bocca, le sue labbra screpolate che indugiarono sulle sue nocche un po'
più di quanto fosse consono. Non che a Beth importasse, in
quel
preciso momento, e anche Borgov sembrava essere d'accordo. I suoi occhi
brillavano nella luce del crepuscolo come carboni ardenti e lei
avvampò. Il suo corpo continuò a tremare per ore,
dopo
che la lasciò sola nella sala.
Uvidimsya zavtra, Liza,
aveva mormorato, la bocca premuta contro la sua pelle. Ci vediamo domani.
La loro prima volta fu
a Siviglia, a fine ottobre del 1970.
Non avevano avuto
bisogno di preliminari, la loro partita era stata sufficiente:
un estenuante scontro
di cinque
ore dove Beth era stata in vantaggio
per la maggior parte del mediogioco; Borgov, tuttavia,
riuscì a
scambiare tutti i pezzi, portandoli in un finale re e pedoni. Il suo
preferito. Ben presto riuscì a erodere tutto il suo
vantaggio,
con una facilità che la lasciò stupefatta.
Alla fine era una
patta, ma nessuno dei due sembrava soddisfatto del
risultato. Beth necessitava l'intera somma per aiutare Jolene con il
suo ufficio mentre il governo sovietico voleva da Vasily una vittoria
pulita e lo stava mettendo sotto pressione. Poteva vederlo chiaramente
nella tensione dei muscoli della sua mandibola e nell'arco delle sue
sopracciglia quando aveva fatto una mossa che non si aspettava; agli
occhi di chiunque altro sembrava che non ci fosse nulla di diverso dal
normale, ma non per Beth.
Era tornata nella sua
stanza dopo aver ricevuto l'assegno, frustrata
con se stessa. Si sentiva intrappolata nella sua pelle, troppo stretta
per contenere tutta l'energia nervosa che l'era rimasta dalla partita.
Si ritrovò a camminare avanti e indietro nella sua camera,
come
fosse un animale pronto a balzare sulla sua preda, recitando nella sua
testa la partita appena conclusa per trovarne gli errori. Non ce
n'erano di gravi, solo due imprecisioni che Borgov era riuscito a
sfruttare abilmente. Era davvero un dio dei finali.
Il bussare alla sua
porta era inaspettato, così come Vasily
dall'altra parte. Se non fosse che in realtà non lo era:
tutte
le loro interazioni nel corso degli anni li avevano portati qui.
Non ci volle molto
prima che fu dentro di lei, la bocca premuta contro la curva del suo
collo.
Non stavano "facendo
l'amore". Non c'era nulla di romantico nel modo in
cui spingeva, lascivo e disperato, o in come le sue mani esplorassero
il suo corpo, infilandosi sotto l'abito verde chiaro che non si era
degnata di togliere. Dal suo canto, Beth non rimase con le mani in
mano: dopo avergli sfilato la giacca marrone scuro era ora libera di
esplorare il suo torso. Poteva sentire, sotto le proprie dita tremanti,
come i muscoli della sua schiena si muovessero a ogni spinta e solo
quello la fece gemere.
Borgov si
immobilizzò a quel suono, un brivido che gli percorse
la spina dorsale. Fu sul punto di chiedergli se stesse bene —
e
quella sarebbe stata la prima cosa che si sarebbero detti da quando si
era presentato da lei — ma la voce le morì in gola
quando
la sua mano sfiorò il suo clitoride.
Beth poté
solo aggrapparsi alle sue spalle larghe, ansimando
quando le sue spinte si fecero più decise. Il suo nervosismo
si
sciolse in un piacere crescente e il suo corpo le sembrava quasi senza
peso, come se Vasily fosse l'unica cosa a tenerla ancorata al
materasso. Era inebriante, un'euforia che non avrebbe mai potuto
replicare.
Quando fu soddisfatta,
completamente rilassata e docile,
bisbigliò il suo nome e questo fu la goccia che fece
traboccare
il vaso per Borgov. Collassò su di lei e Beth
trovò molto
confortante il suo peso, quasi una prova che non si era immaginata
tutto; accarezzò i suoi capelli in silenzio fino a quando
non si
addormentarono.
La mattina seguente
Beth si svegliò da sola nel suo letto.
Avrebbe potuto catalogare l'intera faccenda come un sogno erotico molto
vivido, ma il fatto che stesse ancora indossando l'abito del giorno
prima — arrotolato fino allo stomaco e tutto stropicciato
—
lo contraddiceva. Aveva scopato con Vasily Borgov.
Aveva scopato con
Vasily Borgov e non si erano baciati neanche una
volta, anche se le aveva lasciato una scia di vistosi succhiotti sul
collo.
Aveva sempre amato i
maglioni a collo alto.
Beth apprezzava
profondamente la bellezza.
Questo la rendeva una
ragazza superficiale o materialista? Per molti
sì, ma non era d'accordo: le piaceva solo circondarsi di
belle
cose.
Amava i vestiti d'alta
moda che complimentavano la sua figura sottile,
e un eyeliner che le accentuasse lo sguardo intenso; tuttavia non era
un'amante dei gioielli, con l'unica eccezione del regalo del diploma di
sua madre, che non aveva mai tolto da allora. La sua casa di Lexington
era stata eletta la più bella del vicinato, in uno di quelle
stupide gare che le casalinghe di mezza età ideavano per via
della noia, ma non nutriva un grande interesse per l'arte in generale:
apprezzava l'intento dietro la scultura, il tentativo dell'artista di
ricreare la bellezza secondo il suo punto di vista, ma non l'allettava
molto.
Beth trovava belle
cose che per molti erano banali.
Amava come il sole
autunnale filtrasse fra le foglie dei suoi alberi,
nel giardino di casa; poteva passare ore e ore ad analizzare le partite
di vecchi Gran Maestri, cercando di trovare le combinazioni
più
interessanti. Pensava che la regina fosse il pezzo più
grazioso
di tutti, ma il re che Vasily le aveva donato a Mosca rimaneva il suo
preferito in assoluto.
Adorava anche il suo
corpo nudo.
Beth poteva vedere nei
suoi occhi, quando si spogliava, che pensava di essere troppo banale,
troppo vecchio,
per lei. Lo zittiva sempre inginocchiandosi davanti a lui e
succhiandolo finché quei pensieri non sparivano. Era il
campione
del mondo, certo, ma a volte era così stupido. Cosa c'era da
non
amare in lui? Le piaceva il suo petto liscio, perfetto per posarvi il
capo, e come le sue braccia muscolose la stringessero; il timbro della
sua voce riusciva sempre a calmare la sua mente irrequieta, e tracciare
con un dito il contorno delle sue labbra era la sua seconda cosa
preferita mentre erano stesi a letto. La sua preferita in assoluto era
baciarlo.
Aveva un certo non so che che lo elevava da tutti gli altri uomini che
aveva baciato in vita sua: forse era come muoveva la bocca sulla sua,
pieno di desiderio, come se stesse cercando di divorarla; fore era come
la stringeva a sé, una mano sulla nuca e l'altra sulla sua
vita
per premerla contro il suo petto. Probabilmente era perché
stava
baciando Vasily Borgov.
Beth sorrise
dolcemente a quella realizzazione. Poteva vedere il sole
sorgere su Roma e anche quella vista era bellissima. La guida
turistica, assegnatale dalla Federazione Scacchistica Italiana, le
aveva mostrato alcuni dei famosi monumenti della Città
Eterna,
le rovine dell'antica civiltà e le fontane barocche, ma
l'aveva
trovata troppo affollata, troppo commerciale.
Preferiva di gran lunga questa vista, dalla suite al sesto piano, dove
poteva ammirare i tetti e le cupole emergere dall'oscurità
della
notte. Anche se neanche questa poteva competere con ciò che
l'aspettava all'interno.
Il corpo di Vasily era
piacevolmente tiepido quando scivolò
sotto le coperte. Istintivamente, le cinse la vita con un braccio,
ancora profondamente addormentato. Avevano ancora un po' di tempo prima
che Beth dovesse tornare nella sua stanza, perciò decise di
farlo riposare un po' di più: d'altronde aveva analizzato la
sua
partita aggiornata fino alle 2 di notte. Lo avrebbe svegliato fra
un'oretta e, dopo avergli fatto prendere il suo tè,
l'avrebbe cavalcato
fino a
quando entrambi non sarebbero più stati fisicamente capaci
di
pensare.
Non c'era bisogno di
parlare durante il sesso: tutto quello che si
dovevano dire lo comunicavano con gli occhi. Beth sapeva già
cosa ogni tanto rischiava di sfuggire a Vasily mentre lo facevano; allo
stesso modo, i suoi occhi azzurro ghiaccio potevano trovare quale fosse
la sua
risposta, solo mantenendo il suo sguardo. Le parole erano semplicemente
superflue.
Non aveva bisogno di
una dichiarazione d'amore eterno, come nei film
che guardava con Jolene dove la bella fanciulla bacia il suo unico
grande amore sotto una pioggia scrosciante. Finché Vasily
l'avrebbe continuata a guardare come aveva sempre fatto, era
più che sufficiente.
La notizia della
defezione in Francia di Vasily Borgov, a inizio 1972, sorprese il mondo
scacchistico.
Beth era a New York,
ad allenarsi con Benny per l'imminente San Diego
Open, quando la notizia divenne di dominio pubblico attraverso una
lunga intervista sul Time.
Dalla sua nuova casa in Meudon, il campione del mondo spiegava
perché avesse abbandonato l'URSS e quali fossero i suoi
piani
per il futuro. Benny le lesse l'articolo, la voce che tradiva la sua
sorpresa, mentre Beth mantenne gli occhi fissi sulla scacchiera, le
mani intrecciate davanti allle labbra per nascondere il piccolo sorriso
che le curvava.
Non era per nulla
sorpresa, la sua fuga era solo questione di tempo.
Invece poteva sentire una gioia egoista nascerle nel petto e
irradiarsi in tutto il suo corpo: seduta precariamente su uno degli
sgabelli, Beth osò immaginare una vita normale con lui, non
solo
momenti fugaci fra partite in una camera d'albergo. Si perse in questo
dolce scenario solo per un secondo,
però, prima di riscuotersi.
Prese la rivista dalle
mani di Benny — sfogliandola in silenzio
mentre il suo amico continuava a dirle che cosa ne pensasse dell'intera
faccenda — ma ignorò del tutto l'intervista,
concentrandosi solo sulle foto. In una, Vasily era seduto in poltrona,
le lunghe gambe incrociate e una scacchiera sul tavolino da
caffè al suo fianco. Sembrava così rilassato e a
suo agio
nel piccolo soggiorno, un sorriso appena accennato sulle labbra, che
appariva molto più giovane dei suoi anni: nel primo piano
della
pagina successiva Beth non riusciva più a intravedere la
ruga
sulla sua fronte causata dallo stress di rispettare le alte aspettative
riposte sulle sue spalle dal governo sovietico. Ricordava chiaramente
di averla provata a
lisciare, ridendo sommessamente mentre giacevano a letto insieme una
mattina, e di quanto fosse bello il sorriso di Vasily prima che la
baciasse, mozzandole il fiato.
Beth rivide quello
stesso sorriso tre mesi dopo, a San Diego, nella
hall affollata dell'hotel dove l'Open si sarebbe svolto. Era da solo
questa volta, nessun interprete né agente del KGB ad
accompagnarlo, e sembrava fuori luogo con il suo completo carbone e una
pacchiana cravatta bordeaux fra i turisti vestiti in modo casual.
Vasily la trovò immediatamente nella folla, come sempre, e
il
mondo di Beth si ridusse ai suoi occhi. Rimasero in silenzio uno di
fronte all'altro per un lungo momento, come se temessero che l'altro
sarebbe scomparso da un secondo all'altro. Fu Beth a rompere l'impasse
prendendo la sua mano fra le sue e facendo scivolare sul suo palmo il
re nero di Mosca.
Lui riconobbe
immediatamente il pezzo, anche senza guardarlo, e,
proprio come allora, l'attirò in un abbraccio. Questa volta,
tuttavia, non si limitò ad abbracciarla nella luce dorata di
quel pomeriggio estivo: Vasily posò la mano libera sulla sua
guancia e premette la bocca sulla sua. Era un bacio lungo e senza
fretta fra due persone che non avevano più bisogno di
nascondersi: avevano tutto il tempo del mondo ora. Beth fu la prima a
staccarsi, le guance appena arrossate e il rossetto cremisi leggermente
sbavato. Un dolce sorriso si allargò sul suo volto mentre la
sua
mano stringeva ancora la usa, il re fra i loro palmi.
"Ciao, Vasya".
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