– A…
Asuma? –
Lo
sgomento strinse il cuore di Gai. Dunque, il suo piano non era stato
perfetto.
Era
stato seguito.
L’erede
del clan Sarutobi, a stento, frenò un ringhio di frustrazione.
–
Sì,
sono io. E sono giunto in tempo per salvarti la vita. –
mormorò, atono.
A
quelle parole, un breve ruggito d'irritazione risuonò sulla
bocca di Gai.
–
Questo
non ti riguarda. Non te l’ho certo chiesto io. – replicò
il maestro di taijutsu, la voce flebile e vibrante d’amarezza.
Asuma
non rispose, ma aumentò la pressione sulla benda di Gai. No,
doveva agire con razionalità.
La
rabbia, in quel momento, non era una valida consigliera.
E
non lo avrebbe aiutato a salvare Gai.
Devo
sapere la ragione di questo gesto. E, forse, lo aiuterà a non
perdere coscienza., si disse.
Capire l'origine di una tale, drammatica scelta avrebbe attenuato la
sua angoscia.
E
la sua razionalità ne avrebbe tratto giovamento.
–
Perché?
– domandò.
Il
maestro di taijutsu, perplesso, alzò un sopracciglio.
–
No…
Non ti capisco… – balbettò.
–
Voglio
sapere perché. Che cosa ti ha spinto a prendere questa
decisione? – domandò l’altro ninja.
Gai,
per alcuni istanti, esitò. Avrebbe dovuto rivelare l’origine
della sua risoluzione?
O
avrebbe dovuto portare con sé il segreto della sua
terrificante scelta?
Rifletté
ancora, poi si convinse. Forse, la rivelazione di un simile segreto
avrebbe permesso al suo compagno di comprendere le sue ragioni.
E,
allora, si sarebbe spento in pace e non avrebbe lasciato alcun senso
di colpa nelle persone da lui amate.
–
D’accordo.
–
Kurenai,
rapida, proseguiva il suo cammino verso il villaggio.
I
suoi piedi, sicuri, si appoggiavano sul terreno, poi si lanciavano in
ampi balzi, simili a quelli di un ghepardo durante la caccia.
Devo
arrivare a Konoha., pensò
la giovane kunoichi. L’immagine di Gai, disteso su quel suolo
pietroso, dilaniato da quella pugnalata, si stagliava davanti ai suoi
occhi, viva, dolorosa, crudele.
E
le stringeva l'anima in una morsa di dolore.
Come
avevano potuto lasciare il loro compagno in quella forte tempesta?
–
Ci
sono diversi motivi che mi hanno spinto a questa decisione… –
cominciò Gai.
Con
un cenno del capo, Asuma annuì.
– Io…
Io sono un fallito… Ho permesso che un giovane innocente
morisse, solo per compiacere il mio orgoglio... Avrei dovuto fermare
Gaara prima... – mormorò.
Deboli
singhiozzi sollevarono il suo petto e fremiti di dolore, a stento
frenato, attraversarono il suo viso.
Il
volto di Asuma si piegò in una maschera imperscrutabile. La
rabbia, prima dirompente, in quel momento si era attenuata.
Quasi
poteva toccare il rimorso sedimentato nel cuore di Gai.
– Non
affaticarti. Non c'è fretta. – lo rassicurò, il
tono di voce apparentemente calmo. In realtà, desiderava che
la sua compagna tornasse presto, assieme ai soccorsi.
Temeva
un esito infausto.
Tuttavia,
non poteva mostrare la sua ansietà.
Gai,
però, in quel momento, aveva bisogno spasmodico di una
presenza stabile.
A
quelle parole, un malinconico sorriso sollevò le labbra di
Gai.
– Rock
Lee, in me, ha veduto un esempio... Io... Io gli ho detto che lui
poteva diventare un ninja formidabile, perché si impegnava,
anche se era privo di potenti abilità innate… In lui
ardeva la fiamma della volontà… Lui aveva gli occhi e
lo sguardo della tigre... *– continuò.
Di
nuovo, i suoi occhi neri si velarono di lacrime e l'uomo strinse i
pugni. Da tanto, troppo tempo non era degno di piangere.
Le
sue lacrime erano torbide e non dovevano insudiciare lo spirito di
Rock Lee.
Il
figlio di Hiruzen Sarutobi strinse le labbra. Quelle parole vibravano
d'un forte senso di colpa.
Poteva
quasi sentire l'amarezza di quelle frasi dilaniare la sua anima.
Si
morse le labbra e una goccia di sudore scivolò sulla sua
fronte. Avvertiva lo spasmodico bisogno della nicotina...
Solo
quell'aroma penetrante gli avrebbe permesso di placare quel turbinoso
senso di angoscia.
Ma
non poteva permettersi un simile cedimento.
Un
fugace lampo, per alcuni istanti, illuminò gli occhi di Gai.
– Io...
Io ho insegnato a Rock Lee il kinjutsu delle Hachimon Tonkou... Io
gli ho insegnato ad andare oltre i limiti, che la natura, nella sua
infinita saggezza, ha posto alle membra di ciascuno di noi... Aveva
ragione Kakashi a definirmi incosciente... –
Bel
lavoro, Kakashi!, imprecò
tra sé Sarutobi. Gai, malgrado le sue parole roboanti e i suoi
proclami di rivalità, teneva molto all'opinione del figlio di
Sakumo Hatake e lo considerava un valido amico, quasi un fratello.
E
lui, Kakashi, aveva mostrato una notevole ottusità.
Lo
aveva rimproverato per un atto sì discutibile, ma
comprensibile.
Gai
vedeva in Rock Lee un fulgido esempio di impegno e aveva voluto
premiarlo, insegnandogli una tecnica potente e pericolosa.
E
non c'era nulla di sbagliato in un simile atteggiamento.
Anzi,
era giusto premiare la determinazione in un allievo.
Non
meritava di essere rimproverato e biasimato per questo.
Quelle
parole avevano esacerbato una situazione di angoscia sotterranea,
che, in quel momento, era deflagrata.
Diverso
tempo dopo, giunse davanti alle porte occidentali del villaggio.
– Kurenai,
che cosa succede? Sei molto agitata. – domandò uno dei
ninja guardiani.
– Devo
parlare con l'Hokage. E' una questione urgente. – spiegò
lei, secca.
Vedendo
l'agitazione del suo volto, i guardiani annuirono e aprirono le
porte.
La
donna salutò i due ninja con un breve cenno della mano destra
e si inoltrò nel villaggio.
Mi
sembra così lontano..., pensava,
il cuore stretto in una morsa di frustrazione. Quanto tempo era
trascorso?
Le
parevano ore eterne.
E
Gai, con quell'imponente emorragia, ad ogni secondo trascorso,
rischiava la morte.
– Non
è solo questo il motivo che mi ha spinto a questa scelta... –
proseguì Gai.
La
sua voce tremò, come una candela colpita da un refolo di
vento, e sulle sue ciglia si impigliarono le lacrime. Di nuovo,
avvertiva la brama di pianto, ma non doveva cedere a quel desiderio.
La
sua sofferenza, per quanto straziante, era indegna.
Le
sue lacrime esprimevano un rimorso tardivo, che non gli avrebbe
ridato Rock Lee.
L'altro
ninja tacque e aumentò ancora di più la pressione della
stoffa sulla ferita di Gai.
– Io...
Io ho promesso a Rock Lee che... che se fosse morto lo avrei
seguito... Perché... Perché io e lui eravamo simili e
non potevamo vivere senza il nostro credo... Tu, come tutti, sai che
la mia parola è scolpita nella pietra... Potrò anche
essere stato un buffone, ma non vengo mai meno ai miei giuramenti...
Mai. – dichiarò, serio, deciso, risoluto.
Anche
troppo..., si disse Asuma,
mantenendo a stento la sua espressione calma. L'onestà del suo
compagno era adamantina.
Nonostante
la sua indole chiassosa ed esuberante, Gai era affidabile e sincero.
E,
per questo, era divenuto un degno ninja.
Ma
il dolore gli impediva di vedere la realtà.
Certo,
aveva dato la sua parola a Rock Lee, ma una promessa fatta sull'onda
della disperazione non era valida.
Inoltre,
si era dimenticato degli altri suoi due allievi, dei suoi compagni e
della sua patria.
Eppure,
lui si riteneva moralmente obbligato a mantenere la parola, anche se
era sgorgata in un momento di poca o nulla lucidità.
E
la domanda tornava sempre alla sua mente.
Perché
non avevano veduto oltre l’apparenza?
Kurenai
si avviò verso il Palazzo dell'Hokage.
Salì
le scale, percorse il corridoio e, d'impeto, entrò nello
studio dell'Hokage.
L'Hokage,
seduta alla scrivania, leggeva e firmava alcuni documenti, aiutata da
Shizune.
Vedendo
Kurenai, la nipote di Hashirama Senju alzò la testa.
– Che
cosa succede? – chiese.
La
ninja esperta di illusioni piegò le gambe e, con un gesto
deciso, allontanò il sudore dalla fronte.
– Aveva
ragione lei... Gai ha tentato il suicidio... E' alla Valle della
Fine... Asuma è con lui... – mormorò, la voce
scossa dall'affanno.
Shizune
sbarrò gli occhi, sorpresa, mentre Tsunade scaricò un
pugno sulla scrivania.
Questa
si crepò , poi si divise in due parti, che si separarono e si
schiantarono con un tonfo sul pavimento, mentre i fogli volteggiarono
nell'aria.
– Shizune,
fai preparare subito la sala operatoria dell'ospedale. Portami quanto
serve. E chiamami Shiranui e Uzaki. – ordinò, il tono
deciso.
– Agli
ordini, signorina! – affermò la donna, decisa.
Poi,
a passo rapido, uscì dallo studio.
*
ovviamente la citazione a Rocky non manca. Gai mi ricorda molto
Balboa nella sua filosofia.
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