REGINALD
• N.d.A. in
fondo alla pagina. Buona lettura!
We're starting
something beautiful
1
Sembriamo l'inizio di una
barzelletta. Ryoga non faceva altro che formulare quel
pensiero ogniqualvolta si ritrovava in cucina con Kaito e Yuma per
il pranzo e, soprattutto, per la cena. Capitava che alcune volte
avessero lezione nel primo pomeriggio e quindi non tornavano
all'appartamento per pranzare, accontentandosi di qualcosa di veloce
tra una pausa e l'altra.
(Cosa ci facevano uno studente di Biologia, uno di Giurisprudenza e uno
di Archeologia sotto lo stesso tetto?)
(Solitamente la barzelletta iniziava in quel modo).
(E se doveva essere onesto, una vera e propria risposta ancora non
l'aveva trovata).
Certo, dividere le spese con una persona in più era
sicuramente meglio rispetto al dividerle solo con Yuma, ma perché proprio
Kaito doveva essere l'altro coinquilino? Che poi, in
realtà quelli nuovi erano stati proprio Ryoga e Yuma: Kaito
viveva in quell'appartamento già da molto più
tempo, da quando aveva iniziato a studiare Giurisprudenza a Paradise
City.
Aveva iniziato il quarto anno accademico quando arrivarono Ryoga e
Yuma, che invece si stavano interfacciando per la prima volta al mondo
universitario. Yuma era il più giovane dei tre: dopo il
diploma, Ryoga si era preso un anno sabbatico prima di trasferirsi a
Paradise City con Yuma per iniziare quella nuova avventura insieme,
anche se in Facoltà diverse. Così, mentre il suo
migliore amico aveva scelto di studiare Archeologia per seguire le orme
genitoriali – Kazuma e Mirai si trovavano in Messico per
riportare alla luce dei vecchi manufatti aztechi –, Ryoga si
era iscritto alla Facoltà di Biologia per poi, in un secondo
momento, specializzarsi in Biologia Marina.
Era tutto perfetto: freschi di diploma
(Ryoga un po' meno)
e pronti a lasciare Heartland City per costruirsi un futuro, parevano,
a una prima occhiata, invincibili.
Niente e nessuno
avrebbe mai potuto mettere loro i bastoni tra le ruote. Niente e nessuno. Insomma,
quante probabilità c'erano che il coinquilino col quale
avrebbero condiviso gioie e dolori potesse rivelarsi odioso,
puntiglioso, maniaco del pulito e con uno sguardo talmente
imperturbabile da raggelare il sangue nelle vene?
A quanto pareva, non avevano ancora fatto i conti con Kaito Tenjo.
2
Kaito Tenjo era un incubo. O meglio, era l'incubo personale di Ryoga,
dato che Yuma, per chissà quale arcano e oscuro motivo, era
riuscito quasi fin da subito ad andare d'accordo con lui.
Ryoga no, quantomeno non fin dall'inizio
(la leggenda narrava che lui e Kaito si detestarono visceralmente alla
prima occhiata)
e se Yuma era già ansioso normalmente, da
quando cominciarono i primi battibecchi tra gli altri due coinquilini
divenne un perenne fascio di nervi.
La discussione più epocale fra tutte
(quella
in cui Yuma rischiò di essere vittima di una vera e propria
crisi)
avvenne la sera del secondo giorno, quando si ritrovarono tutti e tre
in cucina per decretare i turni per spazzare, lavare i piatti e altre
mansioni legate alla pulizia dell'appartamento.
Per Ryoga, ogni occasione era buona per contraddire quello che Kaito
diceva. Non gli andava bene nulla e solo quando Yuma era stato prossimo
al
collasso sulla sedia a causa della troppa tensione
(aveva
tentato più e più volte di fare da paciere tra di
loro)
decise di arrendersi alle proposte di Kaito – che comunque
continuava a non condividere –, al solo scopo di non
intaccare ulteriormente la sanità mentale del suo migliore
amico.
Erano solo al secondo giorno e già si trovavano ai ferri
corti, con Yuma incastrato tra due fuochi che divampavano sempre
più.
Le cose non potevano che peggiorare… o forse no, forse non
potevano fare altro se non risollevarsi e migliorare nel modo
più bizzarro e bello
possibile.
3
Accadde un pomeriggio di metà maggio: Yuma era ancora a
lezione, Kaito era rimasto in appartamento per preparare un esame e
Ryoga aveva abbandonato la lezione di Zoologia neanche a
metà a causa di un forte mal di testa
(tutta
colpa di Kaito con cui, ovviamente, la sera prima aveva discusso per
qualcosa che in quel momento nemmeno ricordava)
e mancò davvero poco che si accasciasse a terra senza
neanche chiudere la porta se solo proprio
Kaito non lo avesse sorretto.
Ryoga di quei momenti tanto confusi ricordava ben poco; le uniche cose
che gli erano rimaste ben nitide nella mente erano le braccia di Kaito
che lo sostenevano, i suoi
“Taci” che ripeteva spazientito a ogni
imprecazione detta sottovoce – con ogni
probabilità, Ryoga lo stava descrivendo con un linguaggio
alquanto colorito – e il fatto che avesse cercato la sua
lingua nel momento esatto in cui Kaito lo aveva adagiato sul letto,
dicendogli che gli avrebbe portato qualcosa da bere e una pastiglia. O
forse avrebbe voluto dirlo, ma Ryoga lo aveva interrotto prima, non
ricordava.
Il sapore del caffè permeava ancora sulla sua lingua; con
ogni probabilità, Kaito si era da poco concesso una pausa
dallo studio. Forse, se entrambi si fossero scostati fin da subito, in
un qualche modo avrebbero archiviato quanto accaduto facendo finta che
non fosse mai esistito
(che quelle labbra si erano finalmente ammutolite e che quelle lingue
erano finalmente intrecciate senza più farsi la guerra)
ma Kaito non si scostò affatto e anzi, lasciò
sprofondare le dita tra i capelli di Ryoga, attirandolo maggiormente a
sé, mentre portava la mano libera a vagare sotto il tessuto
della maglietta, tastando la pelle accaldata coi polpastrelli e
procurandogli dei confusi brividi di piacere.
Se la sua testa non fosse stata in procinto di scoppiare, Ryoga ne era
certo, sarebbero andati ben oltre il semplice bacio. Ma come primo assaggio era
stato più che sufficiente. Ci sarebbero state altre
occasioni… Yuma permettendo.
4
(«Kaito, sul serio anche tu vivi a Heartland City? Che
coincidenza, pur abitando nella stessa città non ci siamo
mai
incontrati!»)
(«Meglio così»).
(«Shark!»)
(Kaito alzò gli occhi al cielo – anche se, a
essere onesto, si sarebbe volentieri lasciato andare a un sorriso
divertito. Trattenersi, difatti, si era rivelato un poco difficile).
(Era però importante mantenere le apparenze davanti a Yuma).
5
Dopo la primavera arrivò l'estate. E dopo l'estate
arrivò l'autunno.
E fu proprio in autunno che le cose cambiarono una volta per tutte.
6
«Shark, questa sera tocca a te
lavare i piatti, vero?»
«Col cazzo».
«Shark!»
Yuma lasciò cadere l'onigiri sul piatto, esasperato.
«Oggi è giovedì, è il tuo
turno!»
«Yuma ha ragione, oggi tocca a
te» gli diede man forte Kaito, rincarando la dose mentre
poggiava le bacchette per versarsi dell'acqua nel bicchiere.
Ryoga inarcò un sopracciglio, sbuffò e poi si
alzò dalla sedia – aveva finito di cenare e voleva
solo sgattaiolare via per barricarsi in camera da letto con un
documentario che non avrebbe guardato come sottofondo in attesa di
quella che era da diverso tempo diventata la parte che più
preferiva della giornata.
(Avrebbe
voluto fissare Yuma, ma dato che Kaito si era intromesso, ecco che suo
malgrado – ma neanche tanto – si ritrovò
a perdersi in quella tempesta azzurra dalle sfumature grigie).
«Oggi non
è giovedì e io non devo lavare i
piatti» continuò Ryoga con tono acido.
«Oggi è venerdì e tocca a
Kaito».
Fu il turno di Kaito di inarcare un sopracciglio, squadrandolo come se
si fosse bevuto il cervello. «Stai perdendo colpi»
disse, incrociando le braccia al petto e lasciando a metà i
bocconcini di pollo che stava mangiando.
Yuma deglutì a fatica e, notando che in cucina era calato un
clima di tensione non indifferente, prese nuovamente parola:
«Shark, fidati, oggi è giovedì. Se
fosse stato venerdì, a quest'ora sarei già a
casa!»
E poi impietrì, resosi finalmente conto di ciò
che avrebbe comportato la sua assenza durante il week-end.
«Tu cosa?» domandarono Kaito e Ryoga
all'unisono, voltandosi entrambi verso di lui con gli occhi spalancati.
Yuma si spiaccicò una mano in faccia, sospirando
pesantemente. «Ero talmente felice da non averci
pensato...» ammise con fare agitato. «Oggi
pomeriggio, a fine lezione, i miei mi hanno chiamato. Questa notte
torneranno a casa dal Messico e... beh, insomma, non li vedo da mesi,
quindi domani appena avrò finito le lezioni
prenderò il treno per tornare a casa».
Ryoga e Kaito non risposero. Continuarono a fissarlo per secondi
interminabili, cercando di assimilare e metabolizzare al meglio le
informazioni appena ricevute.
Fraintendendo alla
grande il loro mutismo e le loro espressioni, Yuma
iniziò ad agitarsi ancora di più, cominciando poi a
parlare a raffica e coinvolgendoli in un monologo esagitato nei
successivi quindici minuti, cosa della quale avrebbero fatto volentieri
a meno, ma dovevano
mantenere le apparenze e quindi era necessario.
(«Ve
lo giuro, ragazzi, io tutto ciò che vorrei, oltre a
laurearmi in tempo, è vedervi un po' più uniti.
Non dico che dobbiate per forza diventare amici per la pelle, ma
quantomeno instaurare un rapporto civile! Mi auguro che al mio ritorno
l'appartamento sia ancora agibile e che non vi farete la guerra per un
nonnulla! Me lo promettete? Vi prego! Non vi chiedo molto! Solo una
tregua mentre io sono via! Allora? Vi impegnerete a mantenere questa
promessa? Vi scongiuro!»)
E fu così che, dopo essere stato rassicurato da parte di
entrambi – anche se Ryoga si era divertito a farlo penare un
altro po' –, Yuma li salutò, entrando in camera
propria per ripassare le lezioni della giornata prima di andare a
dormire.
Fu quando rimasero soli in cucina che Kaito e Ryoga si concessero di
guardarsi come avrebbero voluto fare fin dall'inizio: divorandosi con
gli occhi, talmente famelici che tra la tempesta e l'abisso non vi era
più alcuna differenza. Si miscelavano e si univano al punto
tale che era diventato impossibile distinguere dove iniziassero le
iridi di uno e dove finissero quelle dell'altro – o viceversa.
Kaito era ancora seduto a tavola quando Ryoga si avvicinò a
lui in pochi passi, azzerando quasi del tutto la distanza tra le loro
labbra. E mancavano ormai pochi millimetri prima che lo baciasse, se
solo Kaito non avesse parlato.
«I piatti» disse
monocorde, continuando a fissarlo negli occhi.
Ryoga si bloccò di colpo. «Vaffanculo»
sbuffò, allontanandosi da lui.
Kaito si lasciò andare a un sorrisetto, alzandosi poi dalla
sedia. «Tra venti minuti in camera tua?»
domandò come se niente fosse.
«Come sempre»
rispose Ryoga, voltandosi e aprendo l'acqua del lavello.
Ne avrebbero parlato dopo.
(Ah,
se solo Yuma sapesse…)
7
Per quella sera aveva scelto un documentario sui calamari giganti. In
realtà anche quello sulle meduse che non considerava affatto
e che aveva selezionato fino al giorno prima gli sarebbe andato bene,
ma Yuma non era scemo e nell'ultimo periodo lo aveva anche messo un po'
in allarme.
(«Shark, ti stai appassionando alle meduse?»)
(«Ma che dici?»)
(«Sono tre sere di fila che guardi lo stesso
documentario!»)
(«... Ah»).
La verità era che quei documentari servivano solo a far
intendere a Yuma che fosse occupato. Con Kaito, certo, e
questo particolare a Yuma sfuggiva, ma in ogni caso era pur sempre
occupato.
Ryoga e Kaito passavano giornate intere a farsi la guerra per delle
scemenze che era anche giusto staccare un po' al calar del sole. Dopo
il primo bacio che si erano dati, tra di loro era stato un crescendo di
emozioni e pulsioni difficili da tenere a bada – ma il bello
stava anche lì, nella sfida quotidiana che era il loro
rapporto e che stranamente funzionava.
Si erano confrontati diverse volte circa la questione “dirlo o non dirlo a
Yuma”. Kaito era propenso per il sì,
ma lui non era Ryoga e non aveva vissuto anni accanto al suo migliore
amico e alla sua apprensione verso il prossimo. Ryoga sapeva che, se
glielo avessero detto, Yuma ne sarebbe stato sorpreso, ma anche tanto
felice e sollevato. Però, al contempo, con ogni
probabilità Yuma avrebbe iniziato a sentirsi di intralcio e inadeguato, come
se non c'entrasse nulla con la sfera emotiva e sentimentale che si era
andata a creare all'interno delle quattro mura. Una sfera emotiva e
sentimentale che vedeva Kaito e Ryoga consolidare sempre più
il loro rapporto giorno dopo giorno
(in
maniera sempre più bizzarra, ma finché funzionava
andava bene)
e Yuma che si rimpiccioliva sempre più con lo scorrere
inesorabile del tempo.
Tempo. Ecco la parola chiave: tempo
al tempo.
Così Kaito e Ryoga avevano deciso di non dirgli nulla,
almeno per il momento. Anche perché, nonostante fossero
trascorsi mesi dall'inizio di tutto, loro per primi dovevano ancora
capire dove caspita la loro relazione
sarebbe andata a parare.
E Ryoga doveva essere onesto: era stato un bene, per Yuma, aver
conosciuto Yuya proprio in quel periodo. Se non ci fosse stato quel
ragazzo che frequentava il corso di recitazione a pochi passi dalla sua
Facoltà e che incontrava quasi tutti i pomeriggi prima di
andare a casa, probabilmente Yuma si sarebbe sentito un po' perso.
Soprattutto una volta scoperta la verità.
8
«Calamari giganti?»
«Questi o un documentario
sullo squalo goblin».
«... calamari
giganti».
«Vedo che capisci in
fretta».
Dopo aver chiuso la porta, Kaito si avvicinò al letto,
buttando poi l'occhio verso il documentario proiettato sullo schermo
del computer sopra la scrivania disordinata. Certo che i calamari
giganti erano proprio strani.
«Hai mai pensato di mettere su
una puntata di qualche Anime? O di una serie TV? O un film?»
«Se Yuma sente che sto
guardando qualcosa che non è un documentario, fidati che
busserebbe alla porta tre volte ogni minuto. Deve pensare che io sia
occupato con lo studio e che stia integrando le informazioni dei
documentari agli appunti».
«Diabolico».
Kaito si stese sul letto accanto a lui e Ryoga non gli diede nemmeno il
tempo di sistemarsi meglio: cercò subito la sua lingua, la
trovò e si beò del suo sapore per minuti
interminabili.
9
Kaito sapeva essere tremendo
(«A
cosa stai pensando?»)
(«Che domani, per pranzo, potrei preparare un contorno di
cipolle stufate in padella».)
(«Sei uno stronzo. Non si gioca così con le
debolezze altrui».)
(«Le debolezze altrui? Ryoga, credo tu sia l'unica persona al
mondo che ha paura delle cipolle».)
ma anche irresistibile.
Forse avevano davvero iniziato qualcosa. Ryoga ancora non sapeva
definire cosa
avessero effettivamente cominciato, ma in ogni caso
tutto ciò lo faceva eccitare da morire. Ed era bellissimo.
10
«Quindi da domani sera saremo
soli».
«Già».
Ryoga si strinse un po' più forte al suo petto, respirando
il suo profumo e lasciandosi cullare dal suo calore. Era quel momento
della tregua in cui Kaito gli carezzava i capelli in silenzio
– tralasciando il vociare continuo del documentario
– mentre Ryoga si assopiva lentamente.
«Domani sera...»
biascicò Ryoga, mentre chiudeva gli occhi, «...
facciamolo nella camera di Yuma».
Se non avesse rischiato di richiamare proprio l'attenzione di Yuma,
Kaito avrebbe riso. Avrebbe riso forte. Si limitò a tossire
un poco, portando una mano davanti la bocca. «Non credo sia
tanto sprovveduto da lasciare qui le chiavi della sua camera»
lo informò, mentre si staccava da lui con garbo.
«Lo so anche io. Infatti stavo
scherzando. Ma ammetto che vorrei tanto vedere la sua faccia in una
circostanza del genere...»
E si addormentò.
Kaito rimase a fissarlo qualche istante prima di alzarsi dal letto.
«Tu mi devi spiegare
perché poco prima di addormentarti inizi a dire cose senza
senso».
11
(Era arrivato, finalmente, il
giorno tanto atteso).
Yuma era un fascio di nervi. Era talmente irrigidito che camminava in
maniera quasi scomposta, lasciando zigzagare il piccolo trolley che lo
avrebbe accompagnato nel suo
(tormentato)
viaggio di ritorno da una parte all'altra.
Era come se avesse perso ogni tipo di controllo sul proprio corpo e
Ryoga ne comprendeva bene il motivo.
«Ti vuoi calmare?»
gli domandò infatti, alzando gli occhi al cielo. Gli
sfilò il manico del trolley di mano e iniziò ad
avanzare con passo spedito in mezzo al marasma di gente che vagava da
una parte all'altra della stazione
(Yuma avrebbe dovuto prendere il treno a pochi minuti le sette e non
mancava molto).
«Shark! Aspettami!»
esclamò come se si fosse ridestato da un lungo sonno
inquieto. Si affrettò a raggiungerlo, portandosi nuovamente
al suo fianco in poche falcate esagitate.
Una volta giunti al binario numero due, Ryoga gli restituì
il trolley e Yuma lo ringraziò
(quantomeno non doveva più camminare, quindi non lo avrebbe
sballottolato a destra e sinistra rischiando di tagliare la strada a
qualcuno).
Il giubbotto rosso nel quale era avvolto pareva lo stesse fagocitando
sempre più istante dopo istante, come se si fosse
ingigantito di
(minimo)
tre taglie tutto in una volta.
Yuma iniziò a spostare il peso del corpo da una gamba
all'altra, nel tentativo
(estremamente)
vano di scacciare tutta l'ansia e l'agitazione che in quel momento si
erano impossessate di lui.
«Ti vuoi calmare?»
gli domandò ancora una volta Ryoga, esasperato.
Effettivamente prima non aveva nemmeno ricevuto una risposta a quella
domanda.
«Shark...» lo
chiamò Yuma, quasi sul punto di morire per la
troppa ansia. «Promettimi che non vi scannerete. E che non vi
salterete addosso alla minima cavolata. Se vi impegnerete... se vi
impegnerete sono sicuro che andrete d'accordo!»
(Ah
Yuma, se solo sapessi in quale modo andiamo d'accordo ora...)
(... e se solo sapessi come ci salteremo addosso dopo cena...)
Scacciando momentaneamente quei pensieri alquanto lascivi dalla testa,
Ryoga si impegnò al massimo nel recitare la solita parte:
«Tranquillo» borbottò, distogliendo lo
sguardo
(un po' come a dirgli: “non ti prometto nulla
perché mi piace mandarti nel panico”)
e mordendosi poi il labbro inferiore mentre uno strano ghigno prendeva
forma sul suo volto. «Vedrai che l'appartamento
sarà ancora agibile, quando tornerai».
«Me lo auguro!»
esclamò Yuma, speranzoso. «Potrei chiedere a Yuya
di controllarvi, ora che ci penso...»
«Non ti sembra di
esagerare?»
Trovando però in quelle parole un buon modo per cambiare
discorso, Ryoga decise di approfittarne. «A
proposito...» disse, assottigliando lo sguardo e
avvicinandosi pericolosamente al viso di Yuma, «Come va con
Yuya? Vi divertite?»
«Certo, tutte le volte che ci
vediamo!»
(Ah,
beata ingenuità!)
Ryoga trattenne a stento le risate. «Yuma... hai capito cosa
intendo?»
Fu lì, dopo aver realizzato cosa intendesse per davvero con
quelle parole, che Yuma avvampò senza contegno alcuno.
«Shark! Ma... ma!» balbettò, coprendosi
il volto con entrambe le mani.
Ryoga si allontanò da lui, portando le mani in tasca.
«Scherzi a parte, Yuya mi sembra una brava persona».
«Yuya è una
brava persona. E con lui mi trovo davvero bene. Se tu e Kaito farete i
bravi, una di queste volte potrei anche invitarlo a cena... ma tutto
dipenderà da voi!» ammise Yuma, allontanando
lentamente le mani dal volto ancora arrossato.
«E lasciarmi sfuggire la
possibilità di chiedere direttamente a lui se vi divertite?
(E Yuma si coprì nuovamente il volto con le mani)
Fidati di me, io e Kaito saremo bravissimi».
Yuma sospirò sconsolato. «Ripeto: me lo
auguro».
12
Il treno arrivò in orario. Così, dopo aver
salutato Yuma, Ryoga fece dietrofront forse con troppa enfasi, non
riuscendo più a nascondere il sorriso genuino che voleva
incurvargli a tutti i costi le labbra.
Mancava poco. Mancava davvero
poco e finalmente lui e Kaito avrebbero avuto il week-end
tutto per loro.
Estrasse il telefono dalla tasca del giubbotto e, come se Kaito gli
avesse letto nel pensiero, ecco che quando sbloccò lo
schermo si ritrovò proprio due messaggi da parte sua.
13
Kaito (19:00)
Reginald, se ordino adesso la cena dovrebbe arrivare per le 19:45.
Cosa vuoi?
Ryoga (19:00)
CHI
CAZZO È 'STO REGINALD.
Kaito (19:01)
Ryoga*
Come non detto.
Cosa vuoi?
Ryoga (19:01)
CHI
CAZZO È 'STO REGINALD.
Kaito (19:02)
Ho sbagliato a scrivere.
Sei geloso.
Ryoga (19:02)
Certo,
contaci.
Kaito (19:02)
La mia non era una domanda.
Questa invece sì: cosa vuoi?
Ryoga (19:03)
Una
pizza.
Kaito (19:03)
E pizza sia.
Con tonno e cipolla, immagino.
Ryoga (19:03)
Fottiti.
14
Reginald. Che
caspita di nome era Reginald?
Ryoga aprì la fotocamera interna, fissando il suo volto
ripreso sullo schermo. Inarcò un sopracciglio, poi
sbuffò e ripose il telefono nella tasca del giubbotto. No, non aveva proprio la faccia
da Reginald.
15
Quando tornò all'appartamento, a malapena si tolse il
giubbotto, lasciandolo cadere sul pavimento senza neanche poggiarlo
sull'appendiabiti. Poi si fiondò da Kaito, che pareva non
aspettare altro, difatti gli cinse
i fianchi e lo baciò senza dire nulla, rispondendo con
decisione a quel bacio tanto irruento e passionale
(e anche tanto agognato)
nel quale Ryoga lo aveva coinvolto quasi senza preavviso.
Il tragitto verso la camera da letto di Ryoga si rivelò
alquanto breve... e fanculo Reginald.
16
Quella sera fecero l'amore. Capirono di essere l'uno il pezzo mancante
dell'altro nel momento in cui divennero una cosa sola. Erano liberi di
sospirare e gemere senza contegno alcuno, erano soli ed era bellissimo
e nessun documentario fuori luogo faceva da sottofondo in quella stanza
dove anche il più piccolo sussurro si schiantava contro le
pareti.
Fecero l'amore una volta e lo avrebbero fatto ancora, solo che poi
arrivò il fattorino delle pizze e
(«...
cazzo».)
Kaito dovette sistemarsi alla meno peggio per dare una parvenza di
serietà, come
se in quell'appartamento non stesse succedendo proprio niente
per prendere i cartoni e pagare e salutare, augurando buona serata al
ragazzo che si era prodigato
a portar loro il cibo.
Poggiò la cena sul tavolo della cucina e poi
tornò da Ryoga. Quest'ultimo gli saltò addosso
senza neanche dargli il tempo di spogliarsi nuovamente. E fecero
l'amore ancora, ancora e ancora.
Le pizze dovettero aspettare un bel po'. Praticamente divennero lo
spuntino di mezzanotte.
17
Il mattino seguente, si svegliarono verso le dieci. Erano abituati a
ben altri orari, ma almeno nel week-end potevano concedersi un po' di
pace. Considerando poi che si erano dati tanto da fare la sera addietro
e che avevano cenato molto tardi, era più che comprensibile.
Il fatto era che stava andando tutto fin troppo bene. Era tutto
perfetto e cristallino, senza la minima increspatura. Che poi, cosa accidenti poteva andare
storto?
«Yuma mi sta chiamando. A quest'ora»
brontolò Ryoga, strofinandosi gli occhi. Recuperò
il telefono dal comodino e tornò a poggiare il capo sul
petto di quello che, a tutti gli effetti, era diventato il suo ragazzo.
Neanche il tempo di scambiare qualche effusione mattutina con Kaito che
già Yuma si palesava in tutta la sua apprensione.
«Siamo noi che ci siamo
svegliati tardi» constatò Kaito.
«Comunque ora taccio, fai finta che io non ci sia».
(Giusto, bisognava mantenere le apparenze).
«Agli ordini, capo».
Il telefono vibrava, vibrava e ancora vibrava... e Ryoga era ancora
troppo intontito per rendersi conto di aver appena risposto a una
videochiamata.
18
Fu il caos più assoluto. Yuma spalancò gli occhi,
aprì la bocca più e più volte senza
emettere alcun suono e con il dito indicò prima Ryoga, poi
Kaito, poi di nuovo Ryoga e poi di nuovo Kaito.
(«Yuma,
stai videochiamando Shark? Vieni un attimo qui che lo
saluto!»)
(«No papà, fidati che non è il
caso!»)
Si barricò in camera propria – mentre saliva le
scale aveva rischiato di inciampare almeno cinque volte – e
si gettò di peso sul letto con uno sguardo a dir poco
sconvolto.
«Quando ho detto che mi
sarebbe piaciuto vedervi
più uniti, non credevo mi avreste preso tanto alla lettera!»
quasi urlò, paonazzo. «Shark, Kaito...
cioè, voi... da
quando, si può sapere?!»
Le poche ore rimaste della mattinata le trascorsero così: a
raccontare tutto a Yuma, a tranquillizzarlo e a ridere sotto i baffi
ogniqualvolta che le sue gote si imporporavano violentemente nel giro
di poche frazioni di secondo.
Tanto ormai non c'era più nulla da nascondere, anche
perché Yuma forse
aveva visto un po'
troppo...
19
(Due settimane dopo)
Yuma si sentiva molto sollevato e non faceva altro che sospirare
portandosi una mano sul cuore. Nonostante fosse passata ormai un'ora
dall'esame di Metodologia della ricerca archeologica, gli strascichi
della tensione che si allentava poco per volta erano ancora aggrappati
ai muscoli delle gambe, i quali si erano fatti improvvisamente molli e
avevano rischiato di cedere ben più di una volta, facendolo
rovinare a terra in una gaffe dietro l'altra. Se non ci fosse stato
Yuya a sorreggerlo sempre,
probabilmente l'intero tragitto verso l'appartamento lo avrebbe fatto
rotolando lungo la strada mentre si crogiolava in una valle di lacrime
liberatorie.
Yuya gli aveva anche offerto una cioccolata calda nella caffetteria
più vicina alla Facoltà per festeggiare la buona
riuscita dell'esame, nel tentativo di distrarlo un po', ma con scarsi
(scarsissimi)
risultati.
Così, una volta entranti in appartamento e constatando di
essere soli – Shark e Kaito erano andati a fare la spesa e
non erano ancora tornati –, decise di giocarsi l'ultima carta
rimastagli: prese Yuma per le spalle e lo baciò.
Yuma spalancò gli occhi, resosi improvvisamente conto di
ciò che stava succedendo. Aveva sempre desiderato baciare
Yuya, doveva essere onesto. Gli era piaciuto fin dal primo momento in
cui si erano incontrati
(Yuma
non trovava più il portafogli, era sicuro di averlo
dimenticato alla caffetteria quando invece gli era caduto per strada.
Se Yuya non si fosse messo sulle sue tracce, probabilmente a quest'ora
lo starebbe ancora cercando)
e più il tempo passava, più il loro rapporto si
consolidava e fortificava, colorandosi di sfumature meravigliose.
Yuya viveva proprio lì, a Paradise City. Era coetaneo di
Shark e frequentava un corso di recitazione, desideroso di entrare nel
mondo dello spettacolo. Yuma aveva assistito a qualche lezione nel
corso dei mesi e credeva fermamente che Yuya possedesse un talento
particolare nell'attirare l'attenzione su di sé nel modo
più spontaneo e genuino possibile. E questo grande talento
lo aveva colpito in pieno, centrandogli proprio il cuore.
Diamine, sì, Yuya gli piaceva. Gli piaceva davvero tanto.
20
Si stava finalmente rilassando. Le sue membra andarono a fuoco nel
momento in cui Yuya decise di approfondire quel bacio e il desiderio di
essere completamente suo
si fece strada in lui senza riserva alcuna. Era talmente obnubilato
dalla meraviglia di quel momento, che tutto, di lui, era
concentrato solo e soltanto su ciò che Yuya stava liberando
della sua essenza poco per volta.
Motivo per il quale, quando si rese conto che gli altri due erano
tornati a casa, era ormai troppo tardi.
21
«Siete davvero carini. Ora
però, che ne diresti di darci una mano con la spesa,
Yuma?»
Ritrovarsi Ryoga alle proprie spalle mentre stava baciando il ragazzo
per il quale aveva una cotta stratosferica – e con il quale
sarebbe anche voluto andare oltre quella sera stessa – non fu
il massimo, ma quantomeno Yuma si ridestò completamente
dallo stato di trance nel quale era sprofondato.
«Sh-Shark!»
esclamò, scostandosi da Yuya con fare imbarazzato
– frattanto lui lo guardava con una punta di divertimento
stampata in volto.
«Ryoga, sei un
guastafeste» commentò Kaito mentre entrava in
cucina con una sporta. Aprì il frigo e iniziò a
riporci all'interno alcune bottiglie e dell'affettato.
«Scusami tanto se ho aperto la
porta e me li sono ritrovati praticamente a due centimetri dal naso
intenti a limonare come due dannati!»
«Shark!»
«Yuya, resti a cena da
noi?»
«Kaito, ti ci metti pure
tu?!»
«Volentieri!»
«Yuya?!»
Yuma portò le mani sul volto, completamente avvolto da uno
spesso strato di imbarazzo per la situazione che si era creata. In quel
momento, anche se in maniera molto più lieve, comprese come
si erano dovuti sentire Ryoga e Kaito quando li aveva visti per sbaglio in
atteggiamenti decisamente
intimi.
Tentando di accantonare dalla testa certe immagini
risalenti a due settimane addietro, sospirò a fondo e si
diresse in cucina per aiutare gli altri a sistemare la spesa e
preparare la cena.
Mentre li osservava e si immergeva sempre più in quel clima
tanto familiare,
non poté fare a meno di ripensare alla barzelletta a cui
Shark non aveva ancora trovato una risposta.
22
Cosa ci facevano uno studente di Biologia, uno di Giurisprudenza, uno
di Archeologia e
(aggiunta
dell'ultimo minuto)
un ragazzo completamente a caso che frequentava un corso di recitazione
sotto lo stesso tetto?
Iniziavano qualcosa di
meraviglioso.
N.d.A.
•
Ringrazio di vero cuore questa
canzone
per avermi ispirato il titolo della One Shot e per avermi fatto fare un
tuffo nel passato relativo alla mia infanzia/adolescenza.
•
Questa One Shot è un mezzo delirio. Un mezzo delirio che io
ho amato scrivere.
Tra alcuni riferimenti al canon tipo la fobia di Ryoga per le cipolle e
alcune frecciate neanche tanto velate a Reginald che è
nientepopodimeno che Ryoga stesso nella versione americana (che noi in
Italia ovviamente abbiamo preso e quindi sì, anche qui in
Italia Ryoga Kamishiro diventa Reginald Kastle e niente, SOFFRO
TANTISSIMO), devo dire che quello che ne è uscito fuori
è ancora meglio di quanto avessi programmato, quindi sono
doppiamente felice!
So che è un po' forzato scazzare il nome
“Ryoga” con “Reginald” anche in
un messaggio scritto, però dai, concedetemelo per favore,
anche perché la One Shot è nata proprio grazie a
quello – tanto per dirvi che no, non era in programma fin
dall'inizio la serietà in questa storia ahahah
•
Poi niente, ora che ci penso è la primissima volta in cui ci
sono entrambe le coppie nel vero senso della parola in un'unica storia,
o meglio, è la prima volta che Kaito e Ryoga/Yuma e Yuya
stanno effettivamente insieme e quindi, insomma, gongolo non poco.
•
Ringrazio di vero cuore anche NekoRika
(e ricordati che TI ASPECTO speranzosa qui sul fandom) e _aivy_demi_
per il supporto, perché sono bastati davvero pochi commenti
su fb a darmi la carica per portare a termine questo progetto.
•
Nella speranza di avervi offerto una lettura piacevole, vi ringrazio di
cuore per essere arrivati fino a qui.
M a k o
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