Atom; Vita, morte e rinascita

di Cladzky
(/viewuser.php?uid=746970)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


L’acceleratore di particelle cantilenava ora un ozioso ronzio a singhiozzi. L’assistente sollevò gli occhi dai flussometri e li puntò su Tenma.

—Il flusso ha raggiunto velocità prossima alla luce. Iniziamo la procedura?

Il caporeparto interruppe l’ultima revisione del grosso corpo artificiale appena riassemblato e disteso sul bancale metallico. Stette in silenzio osservando il compagno e riagganciò il trasformatore sotto il cuore scoperto della macchina.

—Il ministro ci sta guardando?— Tenma avrebbe potuto voltarsi e alzare gli occhi oltre il vetro protettivo che sostava qualche metro sopra la sua testa e avrebbe visto, dal basso, il volto ruvido di un uomo tanto secco e rugoso da sembrare corteccia. Ma invece li teneva piantati sul suo mostro artificiale. L’assistente lo fece per lui, guardando oltre le sue spalle. Di fianco al ceppo umano stava un altro uomo, in camice bianco, gonfio di carne e dal naso prominente, fattosi aureola di capelli bianchi e di cotone.

—Sì— Rispose —E Ochanomizu è con lui.

—Gli faremo mangiare il fegato— Tenma strinse con nuova violenza i comandi del carroponte. L’assistente fece appena in tempo ad assicurarsi che il pesante corpo fosse assicurato al bancale e a scansarsi da esso che si levò in aria. Quella chimera sintetica di tre quintali di gomma, acciaio e fibra di carbonio misurava precisamente due metri e sette centimetri d’altezza. Lontana ancora dai sogni di plasticismo neoclassico di Tenma, aveva giusto la minima somiglianza per potersi definire antropomorfa. Furono mossi i paranchi e lentamente il bancale si mise perpendicolare al terreno, con la testa disumana dell’automa rivolta in basso.

—Porta qui l’encefalo— Ordinò, sempre manovrando cautamente con l’argano la sua creatura ribaltata verso il ciclotrone. La fermò di fronte a una grossa cavità nella struttura a chiocciola dell’acceleratore, mentre l’assistente ritornava reggendo l’oggetto richiesto. Qualcosa di tubiforme, dai due estremi metallici polarizzati e le pareti trasparenti. Queste offrivano la vista di un meccanismo interno confuso di ramificazioni in platino e iridio, annegate in un liquido gelatinoso. L’uomo accovacciò sotto il cranio della figura sospesa e ne innestò l’encefalo vergine sulle spalle. Diede conferma dell’innesto e Tenma spostò il soggetto a destinazione —L’encefalo si trova nella traiettoria?

L’enorme figura aveva ora la testa cilindrica incastrata saldamente nella cavità che divideva i due segmenti del corridoio di uscita del flusso del ciclotrone. I due poli facevano come da ponte perché le particelle avrebbero potuto attraversare quel tubo cristallino e giungere dall’altra sponda.

—Sì e il flusso è rimasto constante— Assicurò l’assistente di nuovo dai flussometri.

—Allora deviamolo. Muovi i magneti per l’uscita controllata nella camera di scoppio.

Fu quello che avvenne. Un cigolio lento e poi una luce bluastra, frutto di radiazioni ionizzanti, fece precipitare il laboratorio nell’oscurità per il contrasto della retina, accompagnato dall’infuriare di una tempesta. Quantomeno questo è tutto quello che, oltre il vetro protettivo, il ministro, il professor Ochanomizu e vari giornalisti potevano constatare, in assenza delle lenti adatte che invece stavano sui volti dei due uomini laggiù. Durò solo un istante e, quando gli osservatori poterono tornare a vedere, Tenma stava già spostando uno spettrometro di fronte a quel tubo stregato, origine del lampo, per osservarne la struttura.

—Non stiamo ancora avendo i risultati sperati: i positroni non creano legami stabili fra loro— Tenma si strapazzò i capelli neri.

—Forse bisogna attendere ancora perché il bombardamento subatomico faccia effetto— Ipotizzò l’assistente.

—Non è una questione di quantità ma di intensità. Ci vuole uno stimolo più forte, aumenta la spinta dei magneti.

—Non possiamo andare a velocità luce, non reggerebbe…— Ma Tenma aveva già preso i comandi del ciclotrone.

—Storie, ho creato io stesso quell’involucro, conosco i suoi limiti.

—Mi riferivo all’acceleratore— Il tono dell’assistente era divenuto di preghiera —Se lo sforzassimo a tal punto il flusso potrebbe fugare dal controllo dei magneti, o peggio, creare un buco nero.

—È troppo tardi per ripensarci, ora.

Intanto, oltre il vetro, c’era agitazione.

—È difficile sentirli con tutto questo baccano— Disse uno dei giornalisti indicandosi le orecchie.

—Sbaglio o hanno detto “buco nero?”— Chiese un altro preoccupato.

—Questa è la volta buona che Tenma ci manda tutti all’inferno— Già prevedeva il ministro, grattandosi le sopracciglia canute. Ochanomizu si limitò a guardare, sudando freddo. La velocità del ciclotrone era aumentata. I magneti presero a fumare, surriscaldati. L’encefalo dell’automa brillava da tremolare, quasi dovesse sfasare via dalla realtà, mentre la gelatina al suo interno stava divenendo plasma. Le ramificazioni in platino e iridio si erano dissolte in polvere.

—Si sono formate le sinapsi, ferma tutto, ferma!— Gridò Tenma, saltando via dallo spettrometro e smanacciando per indicare di chiudere il flusso. Questo venne interrotto gradualmente e nel giro di pochi secondi solo un fugace bagliore di fantasma traspariva dall’encefalo dell’uomo sintetico, dove ancora, quel flusso viveva in pensieri chimici primordiali. Il caporeparto balzò subito ai comandi dell’argano per riposizionare e discendere la sua creatura —Presto, bisogna slegarlo prima che il cervello si raffreddi e prenda a funzionare.

Quando il grosso depositario della coscienza nuova stava ancora ben distante dal pavimento, Tenma mollò i comandi al suo assistente e si lanciò sul bancale sospeso, aggrappandosi e issandosi su di esso come una scimmia. Slacciò tutte le costrizioni che impedivano la propria creazione e quando giunse a terra il corpo era già libero dalle cinghie di sicurezza. Tenma stava ancora a cavalcioni sul petto di quel titano sdraiato, mirando quel faro che era il suo encefalo, posto in cima alle spesse spalle. Trovò finalmente il coraggio di affrontare il ministro. Si voltò raggiante verso il vetro, mentre smontava.

—Scendete da lì!— Li incitò come un ordine, a larghi gesti —Non c’è pericolo, è nato! Abbiamo creato la vita!

Ochanomizu fu il primo a scendere le scale per il laboratorio, uscendo dalla gabbia di vetro in cui gli altri spettatori indugiavano a lasciare. Il ministro sbuffò, rilassando il viso contorto e fu il secondo, seguito dai giornalisti, confusi come pecore. L’assistente era diligentemente uscito di scena, andando a controllare le condizioni del ciclotrone, ben sfruttato oltre le proprie capacità.

—Maledizione Tenma, devi sempre trovare il modo di esagerare!— Gracchiò il ministro, agitando il suo bastone da passeggio, quasi volesse darglielo in testa, incurante di dar spettacolo ai giornalisti —Non mi avevi anticipato che ci sarebbe voluta così tanta energia per far partire quel cervello.

Tenma, piegato a specchiarsi sulla superficie lucida dell’encefalo, oltre cui un lago d’anima si increspava, fu portato malvolentieri a rispondere, alzando lo sguardo oltre la propria opera. Si trovò invece il grosso naso di Ochanomizu davanti, chinato anch’egli ad osservarla.

—Via te— Lo scostò con uno spintone alla spalla, ma quello, abituato alla sua simpatia, proseguì a circumnavigare la figura sintetica come un moscone, senza mai posarsi—Non voglio che sia tu la prima cosa che veda o rimpiangerà di essere nato— Poi fece un inchino di scusa verso il ministro e gli si fece vicino, a portata di timpano anche dei giornalisti che si erano cinti attorno. Ochanomizu era rimasto incurante a studiare il corpo della macchina.

—Mi scuso profondamente signor ministro— Proseguì Tenma —Ma capisce che i miei erano solo calcoli teorici. Per questo genere di cose non si sa a cosa si va incontro fino a quando non la si prova sul campo. Ma nonostante questo sembra che l’esperimento sia riuscito.

—Sono stanco delle vostre false promesse, io non posso più concedervi il ciclotrone dell’istituto per esperimenti alla cieca. E se avete avuto successo cosa fa quel coso ancora fermo là sopra?— E il ministro indicò con il proprio bastone l’automa. Subito Ochanomizu interrupe il suo gironzolare di studio, compiendo un balzo spaventato. Il braccio destro del grosso automa compiva cerchi nervosi nell’aria e quasi lo colpì al viso —Ma dico poi, vi pare il momento di mettervi a fare il gorilla di fronte ai nostri ospiti?

—Signor ministro— osò dire finalmente uno dei giornalisti, ma non riuscì ad aggiungere altro. L’anziano si guardò attorno sentendosi chiamare e un altro puntò il dito verso il bancale. L’automa serpeggiava i propri arti in tutte le direzioni senza riuscire ad alzarsi da terra.

—Atom! Atom è vivo, lo vede signor ministro?— Chiese allegro Tenma, allargando le braccia.

—Macché vivo, è solo un’idiota. Qualunque robot oggigiorno sa camminare e questo non riesce neppure a mettersi in piedi.

I giornalisti circondarono Tenma, mentre il gigante continuava ad agitarsi.

—Umotaro Tenma, quindi questo è il primo robot senziente?— Fu la prima delle domande che lo inondarono. Cercò di rispondere punto per punto, ma sarebbe stato impossibile soddisfare tutti.

—Certo, almeno il primo che abbia avuto successo.

—Cosa sta facendo adesso?

—Si è reso conto di avere un corpo, misura lo spazio intorno a sé, cerca di capire come lui stesso funzioni. Come un neonato diciamo. Un neonato molto grande.

—È tutto e per tutto uguale a un uomo?

—Ho provato ad avvicinarmi il più possibile al pensiero umano nella fase di pre-programmazione del suo cervello. Ora bisogna vedere come quelle basi permanenti influenzeranno il suo ragionamento dinamico.

—A che scopo servirà questo robot?

—Non ho creato Atom per farmi da lavastoviglie. Il mio sogno è andare oltre il bisogno, creare l’arte con la tecnica e credo proprio che con lui io mi sia superato. Michelangelo ha scolpito la “Pietà”, io ho scolpito la vita.

—Avete parlato di un ragionamento dinamico.

—Certo, Atom è in grado di imparare e rimodellare ciò che apprende. Non segue rigidi binari mentali, attribuisce significato alle informazioni. Al contrario delle intelligenze artificiali del passato è capace del pensiero astratto. La sua memoria non contiene file, ma ricordi.

Ochanomizu borbottò qualcosa, contrariato. A Tenma non fu possibile capire cosa, ma lo turbò sapere di non riuscire a impressionarlo. O forse era solo l’invidia del successo. Decise per quest’ultima.

—Come avete conseguito questo risultato?— Imperversarono ancora i giornalisti.

—Merito del cervello positronico— Spiegò Tenma, sistemandosi il camice e gonfiando il petto —Un computer non-solido, capace di risistemare i propri collegamenti in continuazione, come le nostre sinapsi.

—Sarebbe possibile scattare qualche foto ora?

—Assolutamente no. Atom è ancora un prototipo e non voglio che venga rivelato al pubblico un mio lavoro incompleto.

—Al suo progetto non farebbe male un po’ di pubblicità— Suggerì lo stesso giornalista.

—Oh, certo, io adoro la pubblicità, ma, vede, Atom è ancora troppo… rozzo. Fisicamente intendo. Preferisco attendere di sviluppargli un corpo più grazioso.

—Siete il solito superficiale ed è per questo che Atom non potrà funzionare, Tenma— Tutti si voltarono verso l’origine di quello sbottare. Ochanomizu stava coi pugni stretti dietro il cerchio di giornalisti che circondava Tenma. Questi gli fecero spazio, silenziosi —Tu sei prima di tutto un grande ingegnere e il tuo robot ha già un corpo perfetto. Ma se credi di riuscire a comprendere il pensiero umano tanto bene da poterlo programmare ti sbagli di grosso, perché non hai idea di cosa provino le persone.

—Signor Ochanomizu, un po‘di contegno— Cercò di intervenire il ministro in mezzo a loro, ma a vuoto. Tenma digrignava i denti per essere confrontato così sfacciatamente nel suo momento di gloria e davanti a tutti.

—Come osate parlarmi così?— Replicò l’latro, arricciando il naso da gallo—Mi sembra che il cervello positronico stia funzionando alla perfezione.

—Certo, il cervello positronico che io ho progettato— Ci fu un moto di sorpresa fra giornalisti.

—Ma che sono stato io a completare.

—Certo, una volta che mi avete cacciato dal progetto quando ormai non vi servivo più. Facile completare il compito con gli appunti sottomano— Un altro moto di sorpresa degli assetati reporter. Questi intrighi da laboratorio avrebbero attirato forse qualche lettore in più.

—Vi credete così indispensabile da pensare che l’abbia fatto apposta per non condividere la fama con voi?— Al caporeparto si infiammò il viso.

—Parole vostre, non mie.

Poco ci mancava ai pugni che un dito interruppe tutto. Un grosso, tozzo dito metallico che vagava nell’aria e toccava ora la spalla del ministro. Questo ebbe un sussulto e nel voltarsi tirò una bastonata al molesto con la canna da passeggio. Tutti rimasero interdetti a quello schiocco secco. Atom era seduto, con la schiena piegata in avanti. La sua testa, che era solo quel tubo cilindrico, brillava ancora. Le gambe erano distese dritte sul pavimento, a compiere larghe spazzate. Al sentirsi colpito non provò dolore, perché non aveva sensori che glielo permettessero. Ma quel rumore di legno su plastica lo turbò profondamente e si trasse indietro troppo velocemente. Cadde con la schiena a terra e cercò di rialzarsi, ma non come un uomo. Sollevò le gambe in aria, premendo sulle spalle, e si rizzò sulle mani. Incespicò qualche metro, camminando sulle mani, ma infine si schiantò a terra, incapace di mantenere l’equilibrio, con il risultato di provocare un gran stridore di ferraglia. Infine si sciolse completamente, lasciandosi disarticolato sul pavimento scheggiato.

—É una burla!— Scoppiò il ministro. Ochanomizu gli si frappose davanti.

—Non dovevate spaventarlo signor ministro, è sensibile ai suoni alti. Si ricordi che è appena nato.

—Non ci si metta anche lei ora.

Tenma era corso di fronte alla sua creatura rovesciata. Gli si accovacciò di fronte il capo e gli sussurrava.

—Atom, ascoltami Atom. Nei tuoi codici ho scritto come si sta in piedi, è vero. E allora perché non ti metti piedi per gli ospiti?— Il robot udì. Piantò i gomiti sul pavimento e si trasse su. Poi proseguì strisciando verso il bancale da cui era caduto, seguendo Tenma che lo chiamava a sé —Non vuoi proprio stare dritto?

Il caporeparto si sedette di fronte a lui. Il robot, a fatica, fece altrettanto.

—Tu puoi parlare Atom. Parlami allora.

—Giusto, possiamo fargli qualche domanda?— S’intromise uno dei giornalisti, picchiettando la spalla dello scienziato dal naso a gallo. Ochanomizu lo strattonò via per un braccio. La visione di quel progresso scientifico gli aveva cambiato l’umore. Un gorgoglio elettrico si udì dalle casse dell’automa. Poi un acuto assordante e di nuovo silenzio di tomba.

—Sta ancora imparando a usare il proprio sintetizzatore— Mormorò Ochanomizu.

—Atom— Traballò la voce neutra del robot —Atom, Atom.

—Sì, quello è il tuo nome— Confermò Tenma, con un sorriso accondiscendente —E tu sai chi sono io?

Ci fu una pausa.

—Tenma. La tua voce… Sin dall’inizio, tu sei Tenma.

—Ma che vuol dire?— Si lisciava il mento il ministro.

—Che la prima cosa che Tenma ha insegnato ad Atom è stato sé stesso— Rispose aspro Ochanomizu.

—E sai anche che cosa sono io?— Continuò indefesso il caporeparto.

—Tu sei l’uomo— Fu la risposta, stavolta frutto di una voce diversa, più maschile.

—E tu cosa sei?

—La macchina.

—Esatto, tu sei una macchina.

—Io sono… Tu sei… Essere: cos’è essere?

—Cosa vuoi dire?

—Essere è essere. Altro? Niente?

—Beh, essere è esserci, non so come spiegartelo. Essere vuol dire che tu sei qui. Che io posso vederti, posso toccarti.

—Ma tu ci sei?— Atom alzò le braccia al cielo, dritte come lance. Poi le ribassò e si toccò il costato —Io ci sono?

—Sì, tu ci sei e io anche— Tenma perdeva la pazienza.

—Non ho memoria.

—Di cosa?

—Non ho memoria di prima. Io non ricordo di esserci stato prima di qualche minuto fa.

—Perché prima tu non c’eri. Ora ci sei.

—Come?

—Grazie ad un flusso di particelle subatomiche— Si mise a spiegare controvoglia —Siamo riusciti a far interagire fra di loro le strutture del tuo cervello, che ora formano e tagliano legami. Tu ora stai pensando e significa che sei vivo.

—Questo cervello. Io sono vivo perché il mio cervello pensa?— E così dicendo Rizzò la schiena e si prostrò a terra, come in preghiera.

—Esattamente.

—Io sono asservito al cervello?

—Tu sei il cervello. Un cervello che controlla un corpo.

—È vero— Stimò Atom, abbracciandosi da solo, zompando in piedi, in tutti i suoi due metri e sette centimetri —Io ho un corpo. Posso muoverlo come voglio. Esso occupa uno spazio. Nient’altro occupa lo stesso spazio del mio corpo nell’istante in cui quest’ultimo lo occupa— Prese a saltare e d’improvviso si fermò.

—Cosa succede?— Chiese Tenma, rimettendosi in piedi e adagiandogli una mano sul ventre. Atom lo afferrò con forza per il polso —Maledizione, cosa ti prende?

—Non mi piace— Non stava cercando di rompergli il braccio, ma non stava neppure mollando la presa.

—Che cosa?— Il ministro, Ochanomizu e i giornalisti si avvicinarono per aiutarlo. Tenma li cacciò via con la mano libera.

—Tutto. La tua voce mi urta, il modo in cui strascichi le lettere e sputi quando ne pronunci altre, il tuo respiro, il tuo battito, il frusciare dei tuoi vestiti, il rumore dell’aria e il rumore di fondo. Non mi piace, voglio che non ci sia.

—Sei ridicolo adesso. Mollami— E prese a premergli un piede sullo stomaco.

—Dimmi come posso fare perché non ci sia. Questo disturbo continuo mi spaventa.

—Dovresti strapparti le orecchie, idiota. Allora sì che non sentiresti nulla.

Ochanomizu non riuscì più ad esitare.Pur con tutte le lamentele di Tenma, riuscì a forzare la morsa di Atom e trascinaronarlo lontano. Il robot rimaneva immobile, con la mano che ancora stringeva l’aria.

—Sì, avevi ragione— Disse infine —Senza orecchie non c’è più fastidio.

—Ma che sta dicendo?— Si perplesse un giornalista.

—Quello svitato si è disattivato i microfoni, non sente più nulla— Sbraitò Tenma.

—Ciononostante— Proseguì Atom —Ora i colori e le forme di fronte a me mi turbano. Non sopporto che io debba riconoscere cosa io abbia di fronte. Non sopporto accostamenti improvvisi, non sopporto cambi di prospettiva, né le cose che si muovano. È tutto troppo confuso e ora farò in modo che non ci sia.

Il robot procedette a rimanere immobile.

—E ora si è disattivato il circuito visivo— Tenma si stava mettendo le mani fra i capelli.

—Fermatelo allora!— Intervenne il ministro.

—Non posso. Non è un robot tradizionale, non posso controllarlo, dovrei prima isolare il cervello.

—Pace— Mormorò ora una voce, più femminile. Atom crollò a terra, inginocchiato —Né più vista né udito. Solo pensieri solitari. Se solo non dovessi convivere con i miei ricordi. Se solo non dovessi neppure pensare. Ma anche a questo c’è una soluzione.

—No, vuole uccidersi!— Gridò Ochanomizu, correndo verso Atom —Tenma, ci deve essere un modo per fermarlo.

—Bah, un robot suicida— Sputò il ministro.

—Io non credo ci sia un modo per…— Provò a intervenire il caporeparto, ma le parole gli morirono in gola.

—Il meccanismo di reset— S’illuminò il collega, rispondendosi da solo.

—Bisogna spegnere, spegnere tutto. Non esserci. E allora, sì, ci sarà pace— Cantilenava ancora Atom. Ochanomizu cercò di saltargli in groppa. Senza più alcun sensore il robot crollò in avanti e il professore con lui —Ma adesso… Che tutto si fa vago io credo… Di aver commesso un errore. Non è stata la scelta giusta, non avrei dovuto farlo. Questa è la fine di ogni sensazione. Di ogni pensiero. La mia coscienza termina qui. Io non ci sarò più. Ogni disagio sembra ora preferibile al niente. Buio… No, neppure quello. Né il silenzio. Vuoto, è questa la parola giusta. Questo significa morire.

Si udì una sfregatura metallica e Ochanomizu alzò al cielo il cervello positronico dal corpo senza vita che lo ospitava. Scese lentamente, con aria mesta, e subito fu preso d’assalto dai giornalisti.

—Che cosa avete fatto professor Ochanomizu?— Fu questa l’unica domanda possibile.

—Ho solo adoperato il sistema di reset. Ogni funzione del cervello è stata interrotta prima che potesse distruggersi e l’ho rimosso. Esattamente come avevo programmato nei miei progetti che qualcuno si è fortunatamente preso la briga di copiare alla lettera.

—Quindi Atom non è morto.

—No, Atom è morto, anche se il cervello si è salvato. Il reset ha cancellato ogni informazione che Atom ha appreso nel corso della sua breve vita. Ci vorrebbe un nuovo trattamento al ciclotrone per riattivarlo e anche allora esso non avrebbe memoria della sua vita precedente.

—Ma quindi l’esperimento è stato un fallimento?

—Fallimento?— S’intromise Tenma —Ma quale fallimento? È stato un successo straordinario. Atom era vivo, lo avete visto voi stessi. Per quasi dieci minuti una macchina è stata capace di pensare.

—Il motivo per cui è durato così poco è perché voi stesso lo avete limitato— Lo accusò Ochanomizu, piantandogli l’indice sullo sterno —Lo avete pre-programmato come voi credete che un uomo debba agire, ma così facendo gli avete trasmesso tutti i vostri insopportabili estetismi. Quel poveraccio non poteva neppure sopportare di essere vivo perché lo avete istruito a trovare difetti dappertutto.

—Ora basta!— Tenma gli strappò rabbioso l’encefalo dalle mani, lo sollevò al cielo e lo ruppe al suolo, in una sparpagliata di frammenti di vetro, metallo e liquame bollito. Poi si avvicinò Ochanomizu per il colletto, quasi a mordergli la faccia —Se Atom è morto è solo colpa del tuo dannato cervello positronico che non ha funzionato a dovere. Non avremmo mai dovuto seguire i tuoi scritti, ecco a cosa ci hanno portato. Lo capisci ora perché ti ho dovuto allontanare dal progetto, maledetto incapace?

—Silenzio, tutti quanti!— S’impose il ministro —Sono disgustato da quello che è successo oggi. Tenma, potete considerare il progetto Atom chiuso fino al termine del mio mandato.

Ci fu un cambio repentino dalla furia all’atterrito nel cuore di Tenma.

—Ma non direte sul serio— Lo inseguì supplichevole mentre usciva, ronzandogli attorno —Stiamo facendo dei grandi passi in avanti nello sviluppo delle intelligenze artificiali.

—Ma a che prezzo Tenma?— Si fermò lui sulla soglia del laboratorio —Il ciclotrone ha un costo che si calcola in miliardi per l’utilizzo e il vostro progetto è ancora al di là dal completarsi. Siate soddisfatto dei progressi fatti e mettetevi il cuore in pace. I recenti tagli al budget del ministero non ci permettono di supportarvi in queste ricerche senza scopo. Qualche anno fa avremmo anche potuto finanziare dei progetti come il vostro, al solo scopo di ricerca, ma il governo non è più interessato a queste cose. Trovatevi un finanziatore privato o datevi all’industria bellica. In quello sembra che i nostri politici siano interessati eccome invece.

Il ministro lasciò la stanza a testa alta. Ochanomizu a testa bassa, guardando giusto un’ultima volta la figura curva di Umotaro Tenma, o dell’ombra che ne rimaneva. Seguirono poco dopo i giornalisti.

—Nessuna foto o ripresa dell’avvenimento. Non ci fossimo stati noi come testimoni sarebbe stato dimenticato dalla storia— Si levò un commento fra loro.

—Oh, io invece conosco uno che questa giornata se la ricorderà finché campa— Rise un altro. Tenma ora era solo. Lui e la carcassa di Atom. Riapparve l’assistente da una porta di servizio. Si guardò intorno, elaborò cosa potesse essere accaduto mentre era via e si grattò i capelli.

—Io credo che lei sia un grande scienziato dottor Tenma— Si espresse sincero il ragazzo, braccia conserte —Solo che è arrivato troppo presto al mondo. Non credo che vivremo abbastanza a lungo per vedere completato un progetto come Atom. Si dedichi a qualcosa di più pratico.

***

—Un uomo è qualche cosa che sente, mettiamo, la gioia; che suona il violino; che vuol fare una passeggiata; che, insomma, si propone di compiere e compie una quantità di cose che in fondo sono inutili quando si tratti di tessere o di addizionare. Ma una macchina da lavoro non ha bisogno di sentire la gioia né di suonare il violino. Un motore a benzina non ha bisogno né di scarpette lucide né di ornamenti. E fabbricare degli operai artificiali, è lo stesso che fabbricare dei motori a benzina. L’essenziale è che il prodotto sia il migliore possibile dal punto di vista pratico.

—“Pratico”, Ma sentili— Mugugnò dalla sua poltrona, mano sotto il mento, mano che stringeva il foglio —Vogliono qualcosa di pratico, più pratico di Atom. Ma cosa c’è di più pratico del futuro?

—Papà— Si sentì strattonare i pantaloni all’altezza del ginocchio. Alzò gli occhi e ne incontrò altri di color cioccolata —Non era quella la battuta.

Non poté trattenersi dall’inspirare e carezzargli i capelli. Quando si trovava con suo figlio non gli riusciva di stare arrabbiato.

—Hai ragione, perdonami Tobio, stavo pensando a tutt’altro— Riguardò il copione —Dove eravamo rimasti?

—Qui, circa— E il suo piccolo dito cadde sulla sua prossima battuta. Tenma diede una letta anche al resto.

—Ormai lo saprai a memoria, perché non lo ripeti da solo?

—Beh— Disse, arrovellandosi il ciuffo di capelli castani con un dito —Recitarle con qualcuno mi sembrava più… qual è quella parola…?

—Immersivo?

—Sì, ecco.

—Non mi sembri convinto— Tenma gli alzò un sopracciglio e lo scrutò per bene. Le guance di Tobio si tinsero di porpora, mentre lo sguardo gli cadeva ai piedi.

—Io non volevo fare il protagonista. Ma l’istruttrice di teatro ha detto che la parte di Donin mi viene bene e che nessun altro potrebbe sostituirmi. Quindi, anche se non voglio, dovrò assumermi questa responsabilità perché lo spettacolo vada bene.

Tenma era sinceramente stupito. Mise via il copione e gli fece segno di avvicinarsi e se lo mise sulle ginocchia.

—Tu stai diventando grande Tobio, e in tutti i sensi. Mi sa che fra poco non ce la faccio più a reggerti.

—Dici che finalmente sto crescendo anch’io?— Sorrise.

—Certo, ti stai facendo alto. Un giorno sarai anche più alto di me.

—Mi verrebbero le vertigini— Risero. Tenma la trovò una battuta scema, ma egualmente adorabile. Poggiò la propria fronte alla sua.

—Non preoccuparti. Fino a quel giorno tu sarai ancora il mio piccolo Tobio— Poté vedere il suo sorriso mutare natura da così vicino, sotto la chioma di capelli.

—Sarebbe bello averti qui più spesso, papà.

—Tobio, io…— Inspirò profondamente, stringendogli le piccole mani —Io sono nel bel mezzo di una rivoluzione. Vorrei stare con te, ma molte cose importanti mi aspettano.

—Vorrei solo che fra quelle cose importanti ci fossi anch’io. Sono stanco di aspettare.

Lo abbracciò a lungo in silenzio.

—Vorrei solo poterti lasciare il mondo migliore possibile.

—Ci sono già.





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3971049