L’acceleratore di particelle cantilenava ora un ozioso ronzio a singhiozzi.
L’assistente sollevò gli occhi dai flussometri e li puntò su Tenma.
—Il flusso ha raggiunto velocità prossima alla luce. Iniziamo la procedura?
Il caporeparto interruppe l’ultima revisione del grosso corpo artificiale
appena riassemblato e disteso sul bancale metallico. Stette in silenzio
osservando il compagno e riagganciò il trasformatore sotto il cuore
scoperto della macchina.
—Il ministro ci sta guardando?— Tenma avrebbe potuto voltarsi e alzare gli
occhi oltre il vetro protettivo che sostava qualche metro sopra la sua
testa e avrebbe visto, dal basso, il volto ruvido di un uomo tanto secco e
rugoso da sembrare corteccia. Ma invece li teneva piantati sul suo mostro
artificiale. L’assistente lo fece per lui, guardando oltre le sue
spalle. Di fianco al ceppo umano stava un altro uomo, in camice bianco,
gonfio di carne e dal naso prominente, fattosi aureola di capelli bianchi e
di cotone.
—Sì— Rispose —E Ochanomizu è con lui.
—Gli faremo mangiare il fegato— Tenma strinse con nuova violenza i comandi
del carroponte. L’assistente fece appena in tempo ad assicurarsi che il
pesante corpo fosse assicurato al bancale e a scansarsi da esso che si levò
in aria. Quella chimera sintetica di tre quintali di gomma, acciaio e fibra
di carbonio misurava precisamente due metri e sette centimetri d’altezza.
Lontana ancora dai sogni di plasticismo neoclassico di Tenma, aveva giusto
la minima somiglianza per potersi definire antropomorfa. Furono mossi i
paranchi e lentamente il bancale si mise perpendicolare al terreno, con la
testa disumana dell’automa rivolta in basso.
—Porta qui l’encefalo— Ordinò, sempre manovrando cautamente con l’argano la sua
creatura ribaltata verso il ciclotrone. La fermò di fronte a una grossa
cavità nella struttura a chiocciola dell’acceleratore, mentre l’assistente
ritornava reggendo l’oggetto richiesto. Qualcosa di tubiforme, dai due
estremi metallici polarizzati e le pareti trasparenti. Queste offrivano la
vista di un meccanismo interno confuso di ramificazioni in platino e
iridio, annegate in un liquido gelatinoso. L’uomo accovacciò sotto il
cranio della figura sospesa e ne innestò l’encefalo vergine sulle spalle.
Diede conferma dell’innesto e Tenma spostò il soggetto a destinazione
—L’encefalo si trova nella traiettoria?
L’enorme figura aveva ora la testa cilindrica incastrata saldamente nella
cavità che divideva i due segmenti del corridoio di uscita del flusso del
ciclotrone. I due poli facevano come da ponte perché le particelle
avrebbero potuto attraversare quel tubo cristallino e giungere dall’altra
sponda.
—Sì e il flusso è rimasto constante— Assicurò l’assistente di nuovo dai
flussometri.
—Allora deviamolo. Muovi i magneti per l’uscita controllata nella camera di
scoppio.
Fu quello che avvenne. Un cigolio lento e poi una luce bluastra, frutto di
radiazioni ionizzanti, fece precipitare il laboratorio nell’oscurità per il
contrasto della retina, accompagnato dall’infuriare di una tempesta.
Quantomeno questo è tutto quello che, oltre il vetro protettivo, il
ministro, il professor Ochanomizu e vari giornalisti potevano constatare,
in assenza delle lenti adatte che invece stavano sui volti dei due uomini
laggiù. Durò solo un istante e, quando gli osservatori poterono tornare a
vedere, Tenma stava già spostando uno spettrometro di fronte a quel tubo
stregato, origine del lampo, per osservarne la struttura.
—Non stiamo ancora avendo i risultati sperati: i positroni non creano
legami stabili fra loro— Tenma si strapazzò i capelli neri.
—Forse bisogna attendere ancora perché il bombardamento subatomico faccia
effetto— Ipotizzò l’assistente.
—Non è una questione di quantità ma di intensità. Ci vuole uno stimolo più
forte, aumenta la spinta dei magneti.
—Non possiamo andare a velocità luce, non reggerebbe…— Ma Tenma aveva già
preso i comandi del ciclotrone.
—Storie, ho creato io stesso quell’involucro, conosco i suoi limiti.
—Mi riferivo all’acceleratore— Il tono dell’assistente era divenuto di
preghiera —Se lo sforzassimo a tal punto il flusso potrebbe fugare dal
controllo dei magneti, o peggio, creare un buco nero.
—È troppo tardi per ripensarci, ora.
Intanto, oltre il vetro, c’era agitazione.
—È difficile sentirli con tutto questo baccano— Disse uno dei giornalisti
indicandosi le orecchie.
—Sbaglio o hanno detto “buco nero?”— Chiese un altro preoccupato.
—Questa è la volta buona che Tenma ci manda tutti all’inferno— Già
prevedeva il ministro, grattandosi le sopracciglia canute. Ochanomizu si
limitò a guardare, sudando freddo. La velocità del ciclotrone era
aumentata. I magneti presero a fumare, surriscaldati. L’encefalo
dell’automa brillava da tremolare, quasi dovesse sfasare via dalla realtà,
mentre la gelatina al suo interno stava divenendo plasma. Le ramificazioni
in platino e iridio si erano dissolte in polvere.
—Si sono formate le sinapsi, ferma tutto, ferma!— Gridò Tenma, saltando via
dallo spettrometro e smanacciando per indicare di chiudere il flusso.
Questo venne interrotto gradualmente e nel giro di pochi secondi solo un
fugace bagliore di fantasma traspariva dall’encefalo dell’uomo sintetico,
dove ancora, quel flusso viveva in pensieri chimici primordiali. Il
caporeparto balzò subito ai comandi dell’argano per riposizionare e
discendere la sua creatura —Presto, bisogna slegarlo prima che il cervello
si raffreddi e prenda a funzionare.
Quando il grosso depositario della coscienza nuova stava ancora ben
distante dal pavimento, Tenma mollò i comandi al suo assistente e si lanciò
sul bancale sospeso, aggrappandosi e issandosi su di esso come una scimmia.
Slacciò tutte le costrizioni che impedivano la propria creazione e quando
giunse a terra il corpo era già libero dalle cinghie di sicurezza. Tenma
stava ancora a cavalcioni sul petto di quel titano sdraiato, mirando quel
faro che era il suo encefalo, posto in cima alle spesse spalle. Trovò
finalmente il coraggio di affrontare il ministro. Si voltò raggiante verso
il vetro, mentre smontava.
—Scendete da lì!— Li incitò come un ordine, a larghi gesti —Non c’è
pericolo, è nato! Abbiamo creato la vita!
Ochanomizu fu il primo a scendere le scale per il laboratorio, uscendo
dalla gabbia di vetro in cui gli altri spettatori indugiavano a lasciare.
Il ministro sbuffò, rilassando il viso contorto e fu il secondo, seguito
dai giornalisti, confusi come pecore. L’assistente era diligentemente
uscito di scena, andando a controllare le condizioni del ciclotrone, ben
sfruttato oltre le proprie capacità.
—Maledizione Tenma, devi sempre trovare il modo di esagerare!— Gracchiò il
ministro, agitando il suo bastone da passeggio, quasi volesse darglielo in
testa, incurante di dar spettacolo ai giornalisti —Non mi avevi anticipato
che ci sarebbe voluta così tanta energia per far partire quel cervello.
Tenma, piegato a specchiarsi sulla superficie lucida dell’encefalo, oltre
cui un lago d’anima si increspava, fu portato malvolentieri a rispondere,
alzando lo sguardo oltre la propria opera. Si trovò invece il grosso naso
di Ochanomizu davanti, chinato anch’egli ad osservarla.
—Via te— Lo scostò con uno spintone alla spalla, ma quello, abituato alla
sua simpatia, proseguì a circumnavigare la figura sintetica come un
moscone, senza mai posarsi—Non voglio che sia tu la prima cosa che veda o
rimpiangerà di essere nato— Poi fece un inchino di scusa verso il ministro
e gli si fece vicino, a portata di timpano anche dei giornalisti che si
erano cinti attorno. Ochanomizu era rimasto incurante a studiare il corpo
della macchina.
—Mi scuso profondamente signor ministro— Proseguì Tenma —Ma capisce che i
miei erano solo calcoli teorici. Per questo genere di cose non si sa a cosa
si va incontro fino a quando non la si prova sul campo. Ma nonostante
questo sembra che l’esperimento sia riuscito.
—Sono stanco delle vostre false promesse, io non posso più concedervi il
ciclotrone dell’istituto per esperimenti alla cieca. E se avete avuto
successo cosa fa quel coso ancora fermo là sopra?— E il ministro indicò con
il proprio bastone l’automa. Subito Ochanomizu interrupe il suo gironzolare
di studio, compiendo un balzo spaventato. Il braccio destro del grosso
automa compiva cerchi nervosi nell’aria e quasi lo colpì al viso —Ma dico
poi, vi pare il momento di mettervi a fare il gorilla di fronte ai nostri
ospiti?
—Signor ministro— osò dire finalmente uno dei giornalisti, ma non riuscì ad
aggiungere altro. L’anziano si guardò attorno sentendosi chiamare e un
altro puntò il dito verso il bancale. L’automa serpeggiava i propri arti in
tutte le direzioni senza riuscire ad alzarsi da terra.
—Atom! Atom è vivo, lo vede signor ministro?— Chiese allegro Tenma,
allargando le braccia.
—Macché vivo, è solo un’idiota. Qualunque robot oggigiorno sa camminare e
questo non riesce neppure a mettersi in piedi.
I giornalisti circondarono Tenma, mentre il gigante continuava ad agitarsi.
—Umotaro Tenma, quindi questo è il primo robot senziente?— Fu la prima
delle domande che lo inondarono. Cercò di rispondere punto per punto, ma
sarebbe stato impossibile soddisfare tutti.
—Certo, almeno il primo che abbia avuto successo.
—Cosa sta facendo adesso?
—Si è reso conto di avere un corpo, misura lo spazio intorno a sé, cerca di
capire come lui stesso funzioni. Come un neonato diciamo. Un neonato molto
grande.
—È tutto e per tutto uguale a un uomo?
—Ho provato ad avvicinarmi il più possibile al pensiero umano nella fase di
pre-programmazione del suo cervello. Ora bisogna vedere come quelle basi
permanenti influenzeranno il suo ragionamento dinamico.
—A che scopo servirà questo robot?
—Non ho creato Atom per farmi da lavastoviglie. Il mio sogno è andare oltre
il bisogno, creare l’arte con la tecnica e credo proprio che con lui io mi
sia superato. Michelangelo ha scolpito la “Pietà”, io ho scolpito la vita.
—Avete parlato di un ragionamento dinamico.
—Certo, Atom è in grado di imparare e rimodellare ciò che apprende. Non
segue rigidi binari mentali, attribuisce significato alle informazioni. Al
contrario delle intelligenze artificiali del passato è capace del pensiero
astratto. La sua memoria non contiene file, ma ricordi.
Ochanomizu borbottò qualcosa, contrariato. A Tenma non fu possibile capire
cosa, ma lo turbò sapere di non riuscire a impressionarlo. O forse era solo
l’invidia del successo. Decise per quest’ultima.
—Come avete conseguito questo risultato?— Imperversarono ancora i
giornalisti.
—Merito del cervello positronico— Spiegò Tenma, sistemandosi il camice e
gonfiando il petto —Un computer non-solido, capace di risistemare i propri
collegamenti in continuazione, come le nostre sinapsi.
—Sarebbe possibile scattare qualche foto ora?
—Assolutamente no. Atom è ancora un prototipo e non voglio che venga
rivelato al pubblico un mio lavoro incompleto.
—Al suo progetto non farebbe male un po’ di pubblicità— Suggerì lo stesso
giornalista.
—Oh, certo, io adoro la pubblicità, ma, vede, Atom è ancora troppo… rozzo.
Fisicamente intendo. Preferisco attendere di sviluppargli un corpo più
grazioso.
—Siete il solito superficiale ed è per questo che Atom non potrà
funzionare, Tenma— Tutti si voltarono verso l’origine di quello sbottare.
Ochanomizu stava coi pugni stretti dietro il cerchio di giornalisti che
circondava Tenma. Questi gli fecero spazio, silenziosi —Tu sei prima di
tutto un grande ingegnere e il tuo robot ha già un corpo perfetto. Ma se
credi di riuscire a comprendere il pensiero umano tanto bene da poterlo
programmare ti sbagli di grosso, perché non hai idea di cosa provino le
persone.
—Signor Ochanomizu, un po‘di contegno— Cercò di intervenire il ministro in
mezzo a loro, ma a vuoto. Tenma digrignava i denti per essere confrontato
così sfacciatamente nel suo momento di gloria e davanti a tutti.
—Come osate parlarmi così?— Replicò l’latro, arricciando il naso da
gallo—Mi sembra che il cervello positronico stia funzionando alla
perfezione.
—Certo, il cervello positronico che io ho progettato— Ci fu un moto di
sorpresa fra giornalisti.
—Ma che sono stato io a completare.
—Certo, una volta che mi avete cacciato dal progetto quando ormai non vi
servivo più. Facile completare il compito con gli appunti sottomano— Un
altro moto di sorpresa degli assetati reporter. Questi intrighi da
laboratorio avrebbero attirato forse qualche lettore in più.
—Vi credete così indispensabile da pensare che l’abbia fatto apposta per
non condividere la fama con voi?— Al caporeparto si infiammò il viso.
—Parole vostre, non mie.
Poco ci mancava ai pugni che un dito interruppe tutto. Un grosso, tozzo
dito metallico che vagava nell’aria e toccava ora la spalla del ministro.
Questo ebbe un sussulto e nel voltarsi tirò una bastonata al molesto con la
canna da passeggio. Tutti rimasero interdetti a quello schiocco secco. Atom
era seduto, con la schiena piegata in avanti. La sua testa, che era solo
quel tubo cilindrico, brillava ancora. Le gambe erano distese dritte sul
pavimento, a compiere larghe spazzate. Al sentirsi colpito non provò
dolore, perché non aveva sensori che glielo permettessero. Ma quel rumore
di legno su plastica lo turbò profondamente e si trasse indietro troppo
velocemente. Cadde con la schiena a terra e cercò di rialzarsi, ma non come
un uomo. Sollevò le gambe in aria, premendo sulle spalle, e si rizzò sulle
mani. Incespicò qualche metro, camminando sulle mani, ma infine si schiantò
a terra, incapace di mantenere l’equilibrio, con il risultato di provocare
un gran stridore di ferraglia. Infine si sciolse completamente, lasciandosi
disarticolato sul pavimento scheggiato.
—É una burla!— Scoppiò il ministro. Ochanomizu gli si frappose davanti.
—Non dovevate spaventarlo signor ministro, è sensibile ai suoni alti. Si
ricordi che è appena nato.
—Non ci si metta anche lei ora.
Tenma era corso di fronte alla sua creatura rovesciata. Gli si accovacciò
di fronte il capo e gli sussurrava.
—Atom, ascoltami Atom. Nei tuoi codici ho scritto come si sta in piedi, è
vero. E allora perché non ti metti piedi per gli ospiti?— Il robot udì.
Piantò i gomiti sul pavimento e si trasse su. Poi proseguì strisciando
verso il bancale da cui era caduto, seguendo Tenma che lo chiamava a sé
—Non vuoi proprio stare dritto?
Il caporeparto si sedette di fronte a lui. Il robot, a fatica, fece
altrettanto.
—Tu puoi parlare Atom. Parlami allora.
—Giusto, possiamo fargli qualche domanda?— S’intromise uno dei giornalisti,
picchiettando la spalla dello scienziato dal naso a gallo. Ochanomizu lo
strattonò via per un braccio. La visione di quel progresso scientifico gli
aveva cambiato l’umore. Un gorgoglio elettrico si udì dalle casse
dell’automa. Poi un acuto assordante e di nuovo silenzio di tomba.
—Sta ancora imparando a usare il proprio sintetizzatore— Mormorò
Ochanomizu.
—Atom— Traballò la voce neutra del robot —Atom, Atom.
—Sì, quello è il tuo nome— Confermò Tenma, con un sorriso accondiscendente
—E tu sai chi sono io?
Ci fu una pausa.
—Tenma. La tua voce… Sin dall’inizio, tu sei Tenma.
—Ma che vuol dire?— Si lisciava il mento il ministro.
—Che la prima cosa che Tenma ha insegnato ad Atom è stato sé stesso—
Rispose aspro Ochanomizu.
—E sai anche che cosa sono io?— Continuò indefesso il caporeparto.
—Tu sei l’uomo— Fu la risposta, stavolta frutto di una voce diversa, più
maschile.
—E tu cosa sei?
—La macchina.
—Esatto, tu sei una macchina.
—Io sono… Tu sei… Essere: cos’è essere?
—Cosa vuoi dire?
—Essere è essere. Altro? Niente?
—Beh, essere è esserci, non so come spiegartelo. Essere vuol dire che tu
sei qui. Che io posso vederti, posso toccarti.
—Ma tu ci sei?— Atom alzò le braccia al cielo, dritte come lance. Poi le
ribassò e si toccò il costato —Io ci sono?
—Sì, tu ci sei e io anche— Tenma perdeva la pazienza.
—Non ho memoria.
—Di cosa?
—Non ho memoria di prima. Io non ricordo di esserci stato prima di qualche
minuto fa.
—Perché prima tu non c’eri. Ora ci sei.
—Come?
—Grazie ad un flusso di particelle subatomiche— Si mise a spiegare
controvoglia —Siamo riusciti a far interagire fra di loro le strutture del
tuo cervello, che ora formano e tagliano legami. Tu ora stai pensando e
significa che sei vivo.
—Questo cervello. Io sono vivo perché il mio cervello pensa?— E così
dicendo Rizzò la schiena e si prostrò a terra, come in preghiera.
—Esattamente.
—Io sono asservito al cervello?
—Tu sei il cervello. Un cervello che controlla un corpo.
—È vero— Stimò Atom, abbracciandosi da solo, zompando in piedi, in tutti i
suoi due metri e sette centimetri —Io ho un corpo. Posso muoverlo come
voglio. Esso occupa uno spazio. Nient’altro occupa lo stesso spazio del mio
corpo nell’istante in cui quest’ultimo lo occupa— Prese a saltare e
d’improvviso si fermò.
—Cosa succede?— Chiese Tenma, rimettendosi in piedi e adagiandogli una mano
sul ventre. Atom lo afferrò con forza per il polso —Maledizione, cosa ti
prende?
—Non mi piace— Non stava cercando di rompergli il braccio, ma non stava
neppure mollando la presa.
—Che cosa?— Il ministro, Ochanomizu e i giornalisti si avvicinarono per
aiutarlo. Tenma li cacciò via con la mano libera.
—Tutto. La tua voce mi urta, il modo in cui strascichi le lettere e sputi
quando ne pronunci altre, il tuo respiro, il tuo battito, il frusciare dei
tuoi vestiti, il rumore dell’aria e il rumore di fondo. Non mi piace,
voglio che non ci sia.
—Sei ridicolo adesso. Mollami— E prese a premergli un piede sullo stomaco.
—Dimmi come posso fare perché non ci sia. Questo disturbo continuo mi
spaventa.
—Dovresti strapparti le orecchie, idiota. Allora sì che non sentiresti
nulla.
Ochanomizu non riuscì più ad esitare.Pur con tutte le lamentele di Tenma,
riuscì a forzare la morsa di Atom e trascinaronarlo lontano. Il robot
rimaneva immobile, con la mano che ancora stringeva l’aria.
—Sì, avevi ragione— Disse infine —Senza orecchie non c’è più fastidio.
—Ma che sta dicendo?— Si perplesse un giornalista.
—Quello svitato si è disattivato i microfoni, non sente più nulla— Sbraitò
Tenma.
—Ciononostante— Proseguì Atom —Ora i colori e le forme di fronte a me mi
turbano. Non sopporto che io debba riconoscere cosa io abbia di fronte. Non
sopporto accostamenti improvvisi, non sopporto cambi di prospettiva, né le
cose che si muovano. È tutto troppo confuso e ora farò in modo che non ci
sia.
Il robot procedette a rimanere immobile.
—E ora si è disattivato il circuito visivo— Tenma si stava mettendo le mani
fra i capelli.
—Fermatelo allora!— Intervenne il ministro.
—Non posso. Non è un robot tradizionale, non posso controllarlo, dovrei
prima isolare il cervello.
—Pace— Mormorò ora una voce, più femminile. Atom crollò a terra,
inginocchiato —Né più vista né udito. Solo pensieri solitari. Se solo non
dovessi convivere con i miei ricordi. Se solo non dovessi neppure pensare.
Ma anche a questo c’è una soluzione.
—No, vuole uccidersi!— Gridò Ochanomizu, correndo verso Atom —Tenma, ci
deve essere un modo per fermarlo.
—Bah, un robot suicida— Sputò il ministro.
—Io non credo ci sia un modo per…— Provò a intervenire il caporeparto, ma
le parole gli morirono in gola.
—Il meccanismo di reset— S’illuminò il collega, rispondendosi da solo.
—Bisogna spegnere, spegnere tutto. Non esserci. E allora, sì, ci sarà pace—
Cantilenava ancora Atom. Ochanomizu cercò di saltargli in groppa. Senza più
alcun sensore il robot crollò in avanti e il professore con lui —Ma adesso…
Che tutto si fa vago io credo… Di aver commesso un errore. Non è stata la
scelta giusta, non avrei dovuto farlo. Questa è la fine di ogni sensazione.
Di ogni pensiero. La mia coscienza termina qui. Io non ci sarò più. Ogni
disagio sembra ora preferibile al niente. Buio… No, neppure quello. Né il
silenzio. Vuoto, è questa la parola giusta. Questo significa morire.
Si udì una sfregatura metallica e Ochanomizu alzò al cielo il cervello
positronico dal corpo senza vita che lo ospitava. Scese lentamente, con
aria mesta, e subito fu preso d’assalto dai giornalisti.
—Che cosa avete fatto professor Ochanomizu?— Fu questa l’unica domanda
possibile.
—Ho solo adoperato il sistema di reset. Ogni funzione del cervello è stata
interrotta prima che potesse distruggersi e l’ho rimosso. Esattamente come
avevo programmato nei miei progetti che qualcuno si è fortunatamente preso
la briga di copiare alla lettera.
—Quindi Atom non è morto.
—No, Atom è morto, anche se il cervello si è salvato. Il reset ha
cancellato ogni informazione che Atom ha appreso nel corso della sua breve
vita. Ci vorrebbe un nuovo trattamento al ciclotrone per riattivarlo e
anche allora esso non avrebbe memoria della sua vita precedente.
—Ma quindi l’esperimento è stato un fallimento?
—Fallimento?— S’intromise Tenma —Ma quale fallimento? È stato un successo
straordinario. Atom era vivo, lo avete visto voi stessi. Per quasi dieci
minuti una macchina è stata capace di pensare.
—Il motivo per cui è durato così poco è perché voi stesso lo avete
limitato— Lo accusò Ochanomizu, piantandogli l’indice sullo sterno —Lo
avete pre-programmato come voi credete che un uomo debba agire, ma così
facendo gli avete trasmesso tutti i vostri insopportabili estetismi. Quel
poveraccio non poteva neppure sopportare di essere vivo perché lo avete
istruito a trovare difetti dappertutto.
—Ora basta!— Tenma gli strappò rabbioso l’encefalo dalle mani, lo sollevò
al cielo e lo ruppe al suolo, in una sparpagliata di frammenti di vetro,
metallo e liquame bollito. Poi si avvicinò Ochanomizu per il colletto,
quasi a mordergli la faccia —Se Atom è morto è solo colpa del tuo dannato
cervello positronico che non ha funzionato a dovere. Non avremmo mai dovuto
seguire i tuoi scritti, ecco a cosa ci hanno portato. Lo capisci ora perché
ti ho dovuto allontanare dal progetto, maledetto incapace?
—Silenzio, tutti quanti!— S’impose il ministro —Sono disgustato da quello
che è successo oggi. Tenma, potete considerare il progetto Atom chiuso fino
al termine del mio mandato.
Ci fu un cambio repentino dalla furia all’atterrito nel cuore di Tenma.
—Ma non direte sul serio— Lo inseguì supplichevole mentre usciva,
ronzandogli attorno —Stiamo facendo dei grandi passi in avanti nello
sviluppo delle intelligenze artificiali.
—Ma a che prezzo Tenma?— Si fermò lui sulla soglia del laboratorio —Il
ciclotrone ha un costo che si calcola in miliardi per l’utilizzo e il
vostro progetto è ancora al di là dal completarsi. Siate soddisfatto dei
progressi fatti e mettetevi il cuore in pace. I recenti tagli al budget del
ministero non ci permettono di supportarvi in queste ricerche senza scopo.
Qualche anno fa avremmo anche potuto finanziare dei progetti come il
vostro, al solo scopo di ricerca, ma il governo non è più interessato a
queste cose. Trovatevi un finanziatore privato o datevi all’industria
bellica. In quello sembra che i nostri politici siano interessati eccome
invece.
Il ministro lasciò la stanza a testa alta. Ochanomizu a testa bassa,
guardando giusto un’ultima volta la figura curva di Umotaro Tenma, o
dell’ombra che ne rimaneva. Seguirono poco dopo i giornalisti.
—Nessuna foto o ripresa dell’avvenimento. Non ci fossimo stati noi come
testimoni sarebbe stato dimenticato dalla storia— Si levò un commento fra
loro.
—Oh, io invece conosco uno che questa giornata se la ricorderà finché
campa— Rise un altro. Tenma ora era solo. Lui e la carcassa di Atom.
Riapparve l’assistente da una porta di servizio. Si guardò intorno, elaborò
cosa potesse essere accaduto mentre era via e si grattò i capelli.
—Io credo che lei sia un grande scienziato dottor Tenma— Si espresse
sincero il ragazzo, braccia conserte —Solo che è arrivato troppo presto al
mondo. Non credo che vivremo abbastanza a lungo per vedere completato un
progetto come Atom. Si dedichi a qualcosa di più pratico.
***
—Un uomo è qualche cosa che sente, mettiamo, la gioia; che suona il
violino; che vuol fare una passeggiata; che, insomma, si propone di
compiere e compie una quantità di cose che in fondo sono inutili quando si
tratti di tessere o di addizionare. Ma una macchina da lavoro non ha
bisogno di sentire la gioia né di suonare il violino. Un motore a benzina
non ha bisogno né di scarpette lucide né di ornamenti. E fabbricare degli
operai artificiali, è lo stesso che fabbricare dei motori a benzina.
L’essenziale è che il prodotto sia il migliore possibile dal punto di vista
pratico.
—“Pratico”, Ma sentili— Mugugnò dalla sua poltrona, mano sotto il mento,
mano che stringeva il foglio —Vogliono qualcosa di pratico, più pratico di
Atom. Ma cosa c’è di più pratico del futuro?
—Papà— Si sentì strattonare i pantaloni all’altezza del ginocchio. Alzò gli
occhi e ne incontrò altri di color cioccolata —Non era quella la battuta.
Non poté trattenersi dall’inspirare e carezzargli i capelli. Quando si
trovava con suo figlio non gli riusciva di stare arrabbiato.
—Hai ragione, perdonami Tobio, stavo pensando a tutt’altro— Riguardò il
copione —Dove eravamo rimasti?
—Qui, circa— E il suo piccolo dito cadde sulla sua prossima battuta. Tenma
diede una letta anche al resto.
—Ormai lo saprai a memoria, perché non lo ripeti da solo?
—Beh— Disse, arrovellandosi il ciuffo di capelli castani con un dito
—Recitarle con qualcuno mi sembrava più… qual è quella parola…?
—Immersivo?
—Sì, ecco.
—Non mi sembri convinto— Tenma gli alzò un sopracciglio e lo scrutò per
bene. Le guance di Tobio si tinsero di porpora, mentre lo sguardo gli
cadeva ai piedi.
—Io non volevo fare il protagonista. Ma l’istruttrice di teatro ha detto
che la parte di Donin mi viene bene e che nessun altro potrebbe
sostituirmi. Quindi, anche se non voglio, dovrò assumermi questa
responsabilità perché lo spettacolo vada bene.
Tenma era sinceramente stupito. Mise via il copione e gli fece segno di
avvicinarsi e se lo mise sulle ginocchia.
—Tu stai diventando grande Tobio, e in tutti i sensi. Mi sa che fra poco
non ce la faccio più a reggerti.
—Dici che finalmente sto crescendo anch’io?— Sorrise.
—Certo, ti stai facendo alto. Un giorno sarai anche più alto di me.
—Mi verrebbero le vertigini— Risero. Tenma la trovò una battuta scema, ma
egualmente adorabile. Poggiò la propria fronte alla sua.
—Non preoccuparti. Fino a quel giorno tu sarai ancora il mio piccolo Tobio—
Poté vedere il suo sorriso mutare natura da così vicino, sotto la chioma di
capelli.
—Sarebbe bello averti qui più spesso, papà.
—Tobio, io…— Inspirò profondamente, stringendogli le piccole mani —Io sono
nel bel mezzo di una rivoluzione. Vorrei stare con te, ma molte cose
importanti mi aspettano.
—Vorrei solo che fra quelle cose importanti ci fossi anch’io. Sono stanco
di aspettare.
Lo abbracciò a lungo in silenzio.
—Vorrei solo poterti lasciare il mondo migliore possibile.
—Ci sono già.
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