Iveees
Per Ives,
che nell’ultimo anno è stato
per me
ispirazione, amico, figlio e forza.
Grazie per esistere, almeno tra le mie
righe,
farmi sentire una pazza perché ti amo
e farmi sentire felice per lo stesso motivo.
Buon
compleanno
🎈
The only way I
can love
Piangeva forte,
stringeva i pugni, cercava di attirare tutta l’attenzione su
di sé. Come se, da
qualche ora a quella parte, tutto il mondo dovesse ruotare attorno a
lui.
Per Niki
effettivamente le cose andavano così – erano
andate in quel modo anche per i
nove mesi precedenti. Ma solo ora che quella creaturina era venuta al
mondo –
Ives, così aveva deciso di chiamarla –, lei si era
resa conto di quanto le
avesse stravolto l’esistenza.
Ignorando il
dolore che ancora le attorcigliava le viscere, l’aveva preso
tra le braccia e
l’aveva guidato verso il suo seno, per donargli tutto
ciò che era in suo
possesso; Ives vi si era aggrappato con tutto il vigore che
l’aveva
caratterizzato fin dal suo primo respiro.
Niki lo cullava
con delicatezza, gli lasciava soffici carezze, lo ammirava e gli
sussurrava in
continuazione quanto fosse bello, incapace di contenere il fiume di
emozioni
che straripava dal suo petto. Non riusciva a smettere di piangere, ma
ora
quelle che scorrevano sulle sue guance non erano lacrime di sofferenza.
Mentre osservava
il visetto così chiaro e pulito di suo figlio, si
domandò se un miracolo del
genere potesse davvero essere frutto di una brutale violenza, se quel
senso di
sporco che sentiva sulla pelle da mesi potesse aver generato un essere
così innocente
e bello.
E ora che lui
aveva abbandonato il suo ventre, Niki si sentiva così debole
e fragile, un
involucro che aveva contenuto energia pura e che ora si era svuotato
della sua
forza. Aveva dato tutta se stessa ad Ives.
Lo osservò
ancora una volta: si era addormentato nel suo abbraccio rassicurante,
che
sapeva quasi di casa.
Niki sapeva che,
anche se fosse morta in quell’istante stesso, avrebbe
lasciato al mondo la
parte migliore di sé.
Maura stava
dando una sciacquata alle patate, pronta a rimuovere la buccia, quando
un boato
improvviso e assordante proveniente dal piccolo soggiorno la fece
sobbalzare.
Allarmata, mollò la presa sull’ortaggio che
stringeva in mano e si precipitò
alla porta, preparandosi a dover fronteggiare il peggio.
Il piccolo Ives
se ne stava in piedi sul divano con un’espressione atterrita
e teneva lo
sguardo fisso sul pavimento, dove giaceva un mucchio di cocci di vetro.
A Maura
bastò sollevare lo sguardo al soffitto per capirne la
provenienza: il
lampadario era quasi del tutto distrutto, solo qualche scheggia
resisteva
ancora alla forza di gravità.
“Non sono stato
io!” si affrettò a dire il bambino, non appena
notò l’espressione corrucciata
sul volto spigoloso della zia.
“Ah no? E da
quando i lampadari esplodono da soli?” La donna
avanzò di qualche passo e, dopo
aver constato che Ives era illeso e fuori pericolo, prese a guardarsi
attorno
per cercare di capire cosa fosse accaduto. “Come ci sei
arrivato lassù?”
“Te l’ho detto:
io non c’entro niente” ribatté ancora
lui nella speranza di risultare
credibile.
Ma per zia Maura
era sempre stato un libro aperto: gli leggeva in faccia che stava
mentendo. Lo
capiva dal sorrisetto impertinente che il bambino stava cercando di
reprimere.
Fu allora che lo
notò, quasi del tutto nascosto dietro il divano: un pallone
con qualche
cristallo di vetro conficcato sulla superficie.
“Ives! Quante
volte ti ho detto che non devi giocare con la palla dentro
casa?” esplose
allora, puntandosi le mani sui fianchi e assumendo un’aria
minacciosa.
Lui si sedette,
senza però perdere la sua solita aria di sfida.
“Ma io mi stavo annoiando…”
“Quindi tutte le
persone che si annoiano fanno cose stupide? Non solo hai distrutto un
lampadario che mi era costato una fortuna, ma hai anche rischiato di
farti
male!” continuò a sbraitare Maura, mentre andava a
recuperare scopa e paletta
per rimediare al disastro.
Non era certo la
prima volta che quella piccola peste combinava guai come quello; zia
Maura
dimostrava pure troppa pazienza nei suoi confronti.
Mentre
raccoglieva i cocci, Ives la osservava dal divano con un sorrisetto
appena
accennato.
“Non è
divertente. E soprattutto non sono in vena di scherzare” lo
rimproverò lei.
Detestava il fatto che suo nipote non riuscisse mai a capire quando era
il
momento di farsi seri.
“Ma non sto
ridendo!”
Lei aggrottò le
sopracciglia. “Visto che oggi sei tanto spiritoso, e visto
che ti stai
annoiando, sai cosa faremo dopo? Mi aiuterai a pelare tutte le
patate!”
Era una giusta
punizione: sapeva che il bimbo detestava
quell’attività.
Infatti Ives
sollevò gli occhi al cielo. “No, zia Maura!
È troppo noioso!”
“Non si discute!
Hai fatto di testa tua e queste sono le conseguenze!”
Lui mise su un
broncio indispettito e incrociò le braccia al petto.
La zia, che
intanto aveva finito di passare la scopa, sollevò lo sguardo
e lo puntò dritto
in quello di Ives. “Ah, e cosa si dice in questi
casi?”
Lui rimase in
silenzio, senza capire.
“Quella parolina
che si usa quando si fa qualcosa che non si dovrebbe.”
“Scusa”
bofonchiò allora lui.
“Sei pentito
davvero?”
Ives si lasciò
sfuggire un sorrisetto. “Veramente no. Però ti
aiuto lo stesso a pelare le
patate.”
Zia Maura non
sapeva bene se gridargli contro o scoppiare a ridere: quel bambino
aveva la
straordinaria capacità di farla uscire dai gangheri e
intenerirla allo stesso
tempo.
Ma dopotutto non
poteva immaginare la sua vita senza quel piccolo uragano per casa.
Duro e umido.
Ethan si sentì arrivare il colpo alle spalle.
Si immobilizzò
in mezzo alla strada per un istante, spaventato, poi ebbe il coraggio
di
guardarsi attorno; una volta inquadrato l’oggetto che gli era
finito addosso,
realizzò due cose: si trattava di un foglio di giornale
appallottolato e
inzuppato d’acqua, e ora il retro della sua t-shirt era
completamente fradicio.
Se non altro era
piena estate, faceva persino piacere.
Aggrottò le
sopracciglia e borbottò qualcosa tra sé e
sé, continuando a guardare in giro.
A confermare i
suoi sospetti, una risatina sommessa giunse alle sue orecchie.
“Ives Mancini,
dove ti stai nascondendo?” proruppe allora a gran voce,
muovendo qualche passo
avanti.
Il più piccolo
allora sbucò da dietro un angolo, lanciandogli un nuovo
proiettile di acqua e
carta in pieno petto. “Ciao!”
Ethan
tossicchiò. “Che stronzo! Ma come ti vengono certe
idee?”
“Faceva caldo,
mi stavo annoiando…” Sollevò in aria
una nuova munizione. “Questa è la pagina
dell’oroscopo! Per il Cancro è prevista una
giornata movimentata!” enunciò
mentre prendeva la mira.
Ma Ethan ormai
era preparato e parò il colpo con precisione. “Eh
no, ragazzino: si gioca ad
armi pari, lo sapevi?” Così dicendo gli
restituì il colpo, centrando il suo
amico sulla fronte.
Ives scoppiò a
ridere, e non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi che Ethan aveva
già raccolto
le altre pagine appallottolate da terra e l’aveva preso
d’assalto.
Ora sorrideva
soddisfatto. “Da oroscopo a cronaca nera è un
attimo!”
“Ma io ho molte
più pallottole di te!” rincarò Ives,
mostrandogli la busta in plastica che
aveva appeso al polso.
“Te le fotto
tutte, quelle munizioni!” Mentre Ethan pronunciava quelle
parole, un nuovo
attacco gli infradiciò la maglietta all’altezza
dello stomaco.
“Vieni a
prenderle allora!” lo sfidò Ives, per poi correre
via e scomparire dietro
l’angolo.
Ethan raccolse
le palle di carta a sua disposizione e partì al suo
inseguimento.
Le loro grida e
le loro risate riempirono il silenzio di quelle vie nei minuti
successivi. Si
rincorsero, si colpirono, si insultarono scherzosamente e lottare
all’ultimo
sangue.
Alla fine erano
zuppi, impiastricciati di polvere dalla testa ai piedi e avevano il
fiatone, ma
non importava. Anche quel giorno avevano trovato il modo per divertirsi
insieme.
E Ethan, che
l’aveva conosciuto soltanto quell’estate, si chiese
come aveva potuto vivere
per ben nove anni senza quel bambino, che forse era diventato il suo
migliore
amico.
Lisbeth se ne
stava in disparte e osservava i suoi compagni di classe che
girovagavano tra i
banchi, armati di penne colorate e sorrisoni sulla faccia. Le finestre
erano
spalancate e lasciavano che l’odore dell’estate e
delle vacanze entrasse nella
stanza.
Era una
tradizione: l’ultimo giorno di scuola, tutti i bambini
lasciavano una firma e
una piccola dedica nel diario dei loro compagni. Lisbeth
l’aveva sempre trovata
una cosa carina – a lei poi piaceva disegnare e decorare
–, però allo stesso
tempo la faceva sentire esclusa: alla fine della giornata, le pagine
del suo
diario erano sempre le più vuote. Non riscuoteva molto
successo.
Così anche
quell’anno, dopo aver scritto il suo nome sulle agende di
alcune compagne, era
tornata al suo banco e si era limitata a osservare gli altri. Le
sarebbe
piaciuto fare come tutti loro, ma era troppo timida e ad alcuni bambini
non
sapeva nemmeno come avvicinarsi.
“Lis!” Un sorridente
e raggiante Ives le si piazzò proprio di fronte, sventolando
in aria il suo
diario sfasciato e consumato. “Non hai ancora firmato,
vero?”
Lei accennò un
sorriso imbarazzato e scosse il capo. Ives era uno dei pochi con cui
andava d’accordo
e, se solo Lisbeth fosse stata meno impacciata, sarebbero potuti
diventare
amici.
Lui allora le
porse l’agenda. “Io voglio la
tua dedica! Tutta colorata!” disse poi,
indicando le matite e i pennarelli che la bambina aveva disposto sul
banco.
“Va bene!”
Contenta, Lisbeth si sistemò gli occhialini sul naso e mise
all’opera: si
impegnò a tracciare il suo nome in una bella grafia con una
penna verde, poi lo
decorò con tanti piccoli disegni tutt’attorno.
Era talmente
tanto presa dal suo lavoro che non si accorse di ciò che
Ives aveva fatto nel
frattempo: aveva aperto il diario della sua compagna e aveva scritto a
sua
volta una dedica sbilenca.
“Ecco fatto! Ti
piace?” Qualche minuto dopo, Lisbeth gli mostrò la
sua piccola opera d’arte.
Ives sgranò gli
occhi e sorrise. “È bellissimo, grazie!”
Afferrò l’agenda per esaminarlo
meglio, poi tornò a guardare la sua compagna di classe.
“Sei contenta che
cominciano le vacanze?”
Lei annuì. “In
estate io e la mia famiglia andiamo sempre al mare. Tu?”
“Sì, però
sono anche
un po’ dispiaciuto perché non posso vedere tutti
voi.”
Lisbeth non si
sarebbe mai aspettata una risposta del genere da lui: Ives dava
l’idea di
odiare la scuola.
Proprio in quel
momento qualcuno dall’altro capo dell’aula lo
richiamò e il bambino si allontanò
dal banco di Lisbeth, ma prima le rivolse un ultimo sorriso luminoso.
“Guarda
il tuo diario!”
Perplessa, lei
sbirciò la pagina su cui spiccava la grafia grande e un
po’ storta del corvino.
Alla bambina
più
carina della classe!!! Ci vediamo dopo le vacanzeeeeeeeeeeeeee
♥
Ives Mancini
“Ehi, ciao!”
“Ehi.” Sammy non
sollevò lo sguardo quando udì la voce del suo
amico, si limitò a stringere più
forte le dita alle bretelle del suo zaino.
Ives gli si
accostò e gli batté appena sulla spalla.
“Oggi possiamo venire a casa tua per
le prove, vero?”
“Non lo so,
penso di sì…” Il bambino dai capelli
rossi gli rivolse solo una breve occhiata.
Ma Ives si
accorse subito che qualcosa non andava, allora gli strinse appena il
braccio.
“Sammy, che cos’hai?”
“Niente.”
“Non è vero, hai
gli occhi lucidi!”
Sammy si morse
il labbro e lo guardò dritto in faccia, cercando di
risultare convincente. “È
solo un po’ di… allergia. È cominciata
la primavera…”
Non era per
niente bravo a mentire.
Ives infatti non
ci cascò e mise su un broncio dubbioso. “Dimmi la
verità!”
Il rosso sospirò
e prese a fissarsi le mani.
Ives allora inclinò
il capo di lato per poter incrociare il suo sguardo, anche se Sammy
aveva
chinato la testa, e gli sorrise. “Allora? Perché
stai piangendo?”
“Non sto
piangendo.”
“Quasi!”
“Senti… io te lo
dico, ma non parlarne con Ethan. Perché poi lui mi prende in
giro.”
“Non dico niente
a nessuno!” dichiarò il corvino in tono solenne.
Avrebbe promesso qualsiasi
cosa pur di sapere come mai il suo amico fosse così
giù di morale.
“È che…
oggi il
maestro mi ha messo un brutto voto. E io prendo sempre
brutti voti,
perché non sono bravo a scrivere e studiare come tutti gli
altri. Ho così tante
insufficienze che forse dovrò rifare il quinto anno, e
allora i miei genitori
si arrabbieranno!” spiegò allora Sammy, la voce
sempre più disperata parola
dopo parola. Le sue guance erano andate a fuoco per la vergogna e i
suoi
occhioni azzurri si erano fatti ancora più lucidi.
Ives aggrottò le
sopracciglia: quello era un problema grosso, non sapeva bene nemmeno
lui come
risolverlo. “Dai, la scuola non è mica
così importante” fu la prima cosa che
gli venne in mente.
“Ma non è solo
per la scuola! È che alla fine sono sempre il più
stupido della classe e alcuni
miei compagni mi prendono in giro quando sbaglio. Sono tutti
più intelligenti
di me…” Aveva di nuovo abbassato lo sguardo.
Ives non poteva
crederci: sentire quelle parole pronunciate da uno dei suoi migliori
amici lo
faceva arrabbiare. “Non sei stupido! Chi te l’ha
detto?” obiettò stizzito.
“Lo so anche se
non me lo dicono. Non so fare niente di quello che fanno gli
altri.”
“Bene.” Ives
incrociò le braccia al petto. “Allora sono stupido
anch’io. Anzi, sono pure più
stupido di te: ho un sacco di voti bassi a scuola, non so leggere in
fretta
come i miei compagni del quarto, non so disegnare come Ethan e non so
nemmeno
suonare la batteria come te! Non so fare praticamente
niente!” Era serissimo.
Sammy aveva
preso a fissarlo con occhi sgranati, senza sapere cosa ribattere.
L’aveva
lasciato di stucco, non sapeva dove volesse andare a parare con quel
discorso.
Infine Ives si
sciolse in un sorrisetto complice. “Forse hai ragione: sei
stupido, sono
stupido anch’io. Siamo proprio due stupidi. Però
esserlo insieme non è poi così
male.”
Allora Sammy non
poté che increspare le sue labbra in un sorriso: non sapeva
come, ma quel
ragazzino riusciva sempre a rincuorarlo, a trovare le parole giuste per
farlo
sentire meno solo.
“Allora…”
Ives
gli strizzò l’occhio. “Oggi veniamo da
te per le prove?”
Alick,
approfittando di una pausa durante le prove della band, sistemava le
pelli dei
tamburi con un’espressione corrucciata. I suoi tre amici
erano usciti a fumare
una sigaretta, o almeno così credeva finché non
cominciò a sentirsi osservato.
Sollevò lo
sguardo e incrociò quello di Ives, che lo scrutava poggiato
allo stipite della
porta.
“Non esci?”
Il batterista
scosse il capo.
“Oggi sei
silenzioso.”
Alick abbozzò un
sorriso. “Io sono sempre
silenzioso.”
“Ma oggi più del
solito.” Ives gli si accostò e prese posto sul
seggiolino della batteria,
proprio accanto a lui.
Alick lo ignorò
e continuò ad accordare i suoi tom, battendo sulla pelle per
accertarsi che il
suono fosse omogeneo per tutta la superficie.
“Dai, Alick! A
cosa stai pensando?” sbottò Ives dopo una trentina
di secondi, incapace di
trattenersi.
Lui sospirò e si
sistemò una ciocca scura dietro l’orecchio.
“Niente di che, davvero. Solo che
oggi è il compleanno di May. E, insomma, è il suo
primo compleanno da quando
stiamo insieme…”
“Uh, ma allora
voglio assolutamente sapere come festeggerete!”
strepitò Ives, poi assunse un
atteggiamento complice e si sporse appena verso di lui. “Con
tanto di dettagli
sconci, eh!”
Alick ridacchiò
imbarazzato e scosse il capo. “Se ci fossero, non andrei
certo a raccontarli.”
“Ma come mai
quella faccia preoccupata?” indagò ancora Ives.
“Non so cosa
regalarle” rispose Alick dopo alcuni istanti.
“Mmh, vediamo…
io non sono molto esperto in queste cose, ma ci sono un sacco di cose
che si
possono regalare a una ragazza. Forse dei fiori sono troppo banali,
però…”
L’altro ragazzo
sentì un nodo serrargli la gola. Il problema non era la
mancanza di idee –
avrebbe voluto regalare un sacco di cose a May –, ma si
vergognava troppo ad
ammetterlo. Infine prese coraggio e, fissandosi le punte delle scarpe,
ammise:
“Però… io non ho un soldo. Gli ultimi
risparmi che avevo li ho usati per pagare
la saletta insieme a voi”. Accennò alla fatiscente
sala prove attorno a loro,
poi frugò nelle tasche dei suoi pantaloni e ne
portò fuori giusto qualche
spicciolo.
Si sentiva
estremamente umiliato ad ammettere la sua situazione.
Ives avrebbe
voluto sapere come ribattere, ma non trovava le parole giuste. Rimase
interdetto per qualche secondo, alla ricerca del modo per confortarlo o
del
consiglio adatto, poi infilò a sua volta le mani in tasca ed
estrasse qualche
monetina, per poi poggiare tutto sulla pelle del timpano accanto ai
soldi del
suo amico. “Che cosa possiamo fare se uniamo le forze? Dici
che con questi
riusciamo a strappare almeno un pacchetto di cioccolatini?”
Alick lo guardò
sorpreso, a bocca aperta: sapeva benissimo che il suo amico non era
messo tanto
meglio di lui economicamente, probabilmente anche lui possedeva solo
quei pochi
spiccioli.
“Non esiste,
Ives: io non chiedo l’elemosina a nessuno”
ribatté in tono fermo.
Il bassista
scoppiò a ridere e gli mollò una pacca sul
braccio. “Smettila di dire stronzate
e andiamo a comprare qualcosa per May! Ti prometto che quando
avrò la ragazza
potrai aiutarmi a scegliere i regali per lei, visto che sei pure
più romantico
ed esperto di me!”
Alick incrociò i
suoi occhi azzurri e li trovò estremamente limpidi e sereni;
non esistevano
parole abbastanza grandi e profonde per ringraziarlo.
Forse non
avevano davvero un soldo e prima o poi sarebbero morti di fame
entrambi, ma
Alick era certo di possedere almeno una cosa nella sua vita: un amico
vero.
“Granite!
Granite a vari gusti!” Oliver spingeva il carretto sul
lungomare, accaldato e
affaticato, mentre si domandava per l’ennesima volta chi
gliel’avesse fatto
fare. C’erano così tanti lavori diversi da poter
fare, ma lui aveva scelto il
più stupido di tutti.
Certo, d’estate
era anche il più redditizio. Si sarebbe accontentato,
finché la sua band non avesse
fatto successo.
Servì con un
enorme sorriso due ragazzine di circa undici anni, poi un bambino che
si era
avvicinato insieme alla sua mamma. In fondo gli piaceva un sacco stare
in mezzo
alla gente e averci a che fare.
Si accorse di
una figura familiare solo quando questa gli si piazzò
davanti. “Anche io voglio
una granita!”
Oliver osservò
con fare scettico il viso sorridente di Ives. “Che cazzo ci
fai tu qui? Sei
venuto a prendermi per il culo per il mio lavoro di merda?”
gli chiese ironico.
“Io sono qui per
il mare, mica per te!” si finse indifferente Ives, per poi
strizzargli
l’occhio. “Allora, come sta andando?”
“Fa un caldo
fottuto” ammise il più grande, passandosi una mano
tra i corti capelli
biondicci e zuppi di sudore.
“Guarda il lato
positivo: ti stai facendo un’abbronzatura
invidiabile” commentò Ives,
accennando alla pelle scura del suo amico che contrastava con la
t-shirt
bianca.
“Sì, ma solo
sulle braccia! Ti immagini se indossassi una canottiera
adesso?”
Ives rise. “Beh,
dai… io non me intendo, ma secondo me
l’abbronzatura da venditore di granite ha
il suo fascino, potresti addirittura lanciare una nuova
moda!” Posò una mano
sul carrellino. “Pensaci: cos’è
un’Harley in confronto a questo bolide? Anzi,
hai anche l’aria condizionata inclusa: nel caso ti venisse
caldo potresti
sempre ficcare la testa nel freezer in mezzo alle granite, come fanno
gli
struzzi quando ficcano la testa sotto la sabbia!”
Oliver intanto
lo fissava sbigottito.
“Ehi, mi stai
ascoltando?” lo richiamò Ives.
“Sì, ma ci metto
un po’ a processare tanta stupidità in una volta
sola” ribatté il biondo, per
poi scoppiare a ridere. “A volte non riesco a capire se sei
strafatto o sei
così di natura!”
Ives sorrise
sornione. “Può essere che mi abbiano offerto un
tiro d’erba poco fa. E sai, io
non sono abituato…”
Oliver
sghignazzò e scrollò le spalle.
“Allora, la vuoi o no questa granita?”
“Certo! Ce l’hai
al cocco?”
“Arriva subito!”
Ives lasciò
trascorrere qualche secondo di silenzio e osservò il suo
amico chino sul
carretto. “Ehi, se vuoi ti posso fare compagnia, almeno
patiamo il caldo in
due.”
Oliver gli porse
il bicchiere pieno della bibita ghiacciata. “Lo faresti
davvero? Ma sappi che
lo stipendio non lo divido con nessuno!”
Il corvino rise.
“Però lo posso guidare questo bolide?”
“Scordatelo!
Sicuramente troveresti il modo per farmi licenziare!”
“Che stronzo,
non è vero!”
“Prima che mi
venga voglia di buttarti in mare, comincia a bere la tua granita e
taci!”
Ridacchiarono e
battibeccarono finché una manciata di nuovi clienti non si
accostò al
carrellino. Ives allora si mise al suo fianco e lo osservò
lavorare in
silenzio, la lingua impiastricciata dal sapore zuccherino del cocco.
Aveva detto che
non se ne sarebbe andato e avrebbe mantenuto la parola, Oliver ne era
certo.
Era così strano
per Cheryl lasciarsi amare in quel modo, lei che l’amore non
l’aveva mai
conosciuto prima di allora.
Sentiva il
respiro caldo di Ives sulla pelle, percepiva il suo sapore quando le
loro
labbra si incontravano con ardore, veniva inondata da un calore
sconosciuto e
irresistibile ogni volta che il corpo di lui si stringeva al proprio. E
lei,
che si sentiva un esserino così insignificante, a cui
nessuno aveva mai detto
che era bella, si sentiva meravigliosa sotto le dita sottili del
ragazzo che
amava; si lasciava plasmare dalle sue carezze che, seppur ardenti,
erano colme
di rispetto e dolcezza.
Un po’ si
vergognava del suo corpo nudo – non sapeva nemmeno lei
perché –, ma non
gliel’aveva detto mentre i loro vestiti scivolavano via.
Solo quando lui
prese a carezzarla sul basso ventre, diretto verso la sua
intimità, Cheryl si
irrigidì e si morse il labbro. Era contenta di quel
contatto, ma al contempo ne
era spaventata.
Ives se ne
accorse e si sistemò meglio, in modo da poter incrociare il
suo sguardo
nonostante la penombra. “Ehi. Tutto bene?”
sussurrò.
“Sì…
è solo
che…”
“È la tua prima
volta?” domandò lui cautamente, quasi titubante.
“Sì… e ho
un po’
paura” ammise lei. Ringraziò mentalmente la luce
fioca che dissimulò il rossore
sulle sue guance.
Ives sorrise e
la strinse forte in un abbraccio, senza mai staccare gli occhi dal suo
volto.
“Ehi, tranquilla. Io non voglio farti del male,
okay?” E la baciò dolcemente
sulle labbra, perché aggiungere altre parole sarebbe stato
superfluo.
Cheryl non lo
poteva sapere, ma Ives era spaventato a sua volta. Anche lui non aveva
mai
saputo prima di allora cosa fosse l’amore: l’aveva
sentito bruciare nel petto,
solleticargli il cuore, ma non aveva mai saputo come esprimerlo, come
donarlo e
cosa significasse riceverlo.
Non aveva mai
dovuto essere la roccia di nessuno, e ora che quella bellissima ragazza
si
affidava a lui non sapeva se sarebbe stato all’altezza. Era
così dolce;
l’ultima cosa che avrebbe voluto era farla soffrire.
Non esistevano
istruzioni per momenti come quello, ma una cosa era certa: Ives non le
avrebbe
fatto del male. Non ne sarebbe stato capace nemmeno se avesse voluto.
Cheryl era
uno dei tesori più preziosi che fosse capitato sul suo
cammino e lui l’avrebbe
protetta, anche se non sapeva come si faceva.
La cullò, la
coccolò, la baciò e le si dedicò per
interminabili minuti, finché lei non si
sentì sicura e pronta. La guardò in viso per
tutto il tempo per non perdersi
nemmeno il minimo segnale, non si azzardò mai a fare
qualcosa di eccessivo e
troppo brusco.
E quando
finalmente si fece strada in lei per la prima volta, si disse che
quello era
quasi meglio del veleno che gli scorreva nelle vene. Si disse che per
Cheryl
avrebbe potuto mollare l’eroina, perché gli
bastava lei per essere in paradiso.
Non ci credette
per davvero, ma la amava così tanto che lo pensò.
Amava così, nell’unico modo in
cui riusciva.
in quel modo spontaneo ed esplosivo, forse un po’ grossolano
e brusco, perché
nessuno gli aveva mai insegnato come fare altrimenti.
Ma quando Ives amava, lo faceva fino in
fondo, con ogni fibra del suo essere. Così forte da togliere
quasi il respiro.
🎈
🎈 🎈 🎈 🎈 🎈 🎈 🎈
AUGURI BIMBO MIO
ADORATISSIMO E PANDOROSISSIMO E PREZIOSISSIMO, IVES CUORICINO MIOOOOO
*____________________* 🎉 🎉 🎉 🎉 🎉 🎉
Oddio, non so
bene nemmeno io cosa dire! Questo compleanno mi ha fatto semplicemente
dannare:
l’idea iniziale era un’altra, poi però
mi è preso il blocco dello scrittore nel
bel mezzo della stesura e, credetemi, ho vissuto giorni nerissimi XD
perché non
ero certa di riuscire a cavare qualcosa entro oggi, ma alla fine mi
sono detta
“per Ives questo e altro”, non lo avrei mai
lasciato senza regalo di
compleanno, TESORO MIOOOO! ♥♥♥
(Sì sì, lo so,
ho bisogno di una controllatina da parte di uno bravo…
^^””””””)
Alla fine è
venuta fuori una cosa che non era assolutamente prevista e di cui per
una volta
non mi lamenterò, sono talmente felice di essere riuscita a
scrivere e talmente
esaltata per il compleanno del mio figlioletto letterario che
è una bellissima
giornata anche se dovesse esplodere il mondo (?)
Come detto nella
presentazione, la storia potrebbe essere di difficile comprensione per
chi non
ha letto le altre storie della serie, ma cerco comunque di dare qualche
chiarimento senza fare troppi spoiler e dilungarmi ^^
Niki è
ovviamente la mamma di Ives, che però è rimasta
incinta a seguito di un abuso.
Per varie vicissitudini, Ives non è cresciuto con lei ma con
zia Maura (sorella
di Niki) che l’ha accolto a casa sua come un figlio.
Lisbeth è una
compagna di classe di Ives alle elementari a cui è rimasto
molto affezionato
perché, nonostante lei fosse la
“sfigata” della classe, lui si è sempre
dimostrato carino nei suoi confronti e l’ha difesa dalle
prese in giro.
Ethan è il
migliore amico/fratello/anima gemella/TUTTO di Ives, nonché
suo chitarrista
(Ives suona il basso).
Sammy è stato il
loro batterista per i primi anni della band, quando ancora non avevano
un nome
e le prove si facevano nel suo garage. Lui e Ethan erano in classe
insieme
(mentre Ives è più piccolo di un anno).
Alick è stato il
secondo (e definitivo) batterista della band, mentre May (che viene
nominata
soltanto) è ovviamente la sua ragazza storica, per cui Alick
è veramente
persissimo *-*
Oliver è il
cantante e sì, plot twist: ha lavorato anche come venditore
ambulante di
granite XD ve lo immaginate? Io sì!
Infine Cheryl è
stato il primo e unico grande amore di Ives, anche se già le
circostanze
cominciavano a non essere ottimali ^^
Spero di essere
riuscita a spiegare tutto! Per chi sapeva già, scusate il
papiro XD
Che altro dire?
Ringrazio DI CUORE ANCORA UNA VOLTA falcediluna_ per il BELLISSIMO
banner che
trovate in cima (devo dire che si avvicina abbastanza
all’idea di Ives che ho
in testa, MA COMUNQUE È BELLISSIMO A PRESCINDERE
*____________*), Kim, Sabriel
e Carmaux per il supporto, i prompt che si sono inventate per me
(sfruttati o
meno), la pazienza e l’amore dimostrato nei confronti di
questo mio
personaggio, e grazie anche a Evelyn per esserci sempre in questa serie
(e
non)! Giuro, ragazze, non so nemmeno come esprimere la gioia che provo
nel
sapere che vi siete affezionate tanto a quest’universo, la
vostra dolcezza e il
vostro entusiasmo mi fa commuovere ogni volta *_________________*
Alla prossima e
ANCORA TANTISSIMI AUGURI AL MIO BIMBOOOOO!!!! 🎁 🎂 🎁 🎂 🎁
Ives manda a
tutti voi un abbraccio gigantesco e tanto tanto amore 🎈
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