Ever Since New York

di anonimo9898
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Sei del mattino, finalmente un po' di sole: New York illuminata era tutta un'altra cosa. 
Un pettirosso si confondeva quasi col colore della ringhiera del balcone, camminava avanti e dietro.
Un leggero venticello muoveva le foglie degli alberi, anche loro tremavano.
L'ombra di un lampione che si accendeva e si spegneva ininterrottamente, la voce lontana di un bambino.
Le lenzuola bianche distese sul pavimento, il cuscino dall'altro capo del letto, un telefono che squillava ignorato sul comodino. A completare il quadro, un corpo nudo disteso sul materasso, con la schiena rivolta verso il soffitto e le braccia che cercavano di afferrare il nulla. 
I muscoli contratti, i capelli scompigliati, il tintinnio di un bracciale che sfregava sul materasso.
Il naso arricciato, una mano davanti agli occhi: erano aperti, fissavano il vuoto. 
Se solo parlassero, chiunque ci scriverebbe un libro, ma cercano ancora il loro autore, uno che sappia leggerli da cima a fondo, che non scriva solo del loro colore, ma di ciò che hanno visto, di ciò che hanno vissuto e di ciò che desiderano ancora provare.
Le labbra umide dipinte di un colore tale da somigliare ai petali caduti di una rosa. 
La pelle d'oca, il pettirosso aveva iniziato a cinguettare.
Il silenzio, il vento aveva smesso di danzare. 
Una canzone gli rubò ogni spazio libero nella sua mente. Il ritmo era semplice, "Young and Beautiful" di Lana del Rey. 
Poggiò i piedi sul pavimento, si stiracchiò e si alzò. 
Il pensiero ancora giaceva stanco su quel letto, il corpo comandava ogni movimento, la testa ancora invasa da quelle parole.
 
Will you still love me
When I'm no longer, young and beautiful?
Will you still love me
When I got nothing but my aching soul?
 
L'acqua fredda lo riportò alla realtà, la musica pian piano svanì. 
Vorrebbe di nuovo tornare a pochi minuti fa, mandare indietro il tempo per godersi ancora un attimo in compagnia di sè stesso. 
L'odore forte della menta gli infastidì il naso, il rumore dello spazzolino elettrico lo aiutava a non pensare. 
Le parole iniziavano a prendere forma, le frasi a ricomporsi, i segni di punteggiatura a posizionarsi dove erano richiesti. 
Troppe cose da dire, troppo poco tempo. 
Prese una penna in mano, macchiò di inchiostro pagine bianche della sua agenda. 
Non poteva fare a meno di scrivere. 
Scriveva per ricordare, per distrarsi, per sfogarsi, per il semplice gusto di farlo.
Posò tutto sul tavolo, indossò la prima tuta trovata alla rinfusa nell'armadio, uscì di casa. 
Svoltò l'angolo, girò a destra. 
Amava il parco, amava gli artisti di strada che suonavano e disegnavano, che davano un tocco di colore all'asfalto, raccontavano storie che subito dopo venivano cancellate e dimenticate nel nulla. 
La sua Moleskine era ciò che lo faceva scappare dalla realtà, lì c'erano tutte le cose che non aveva il coraggio di raccontare a nessuno: quando vuoi urlare ma nessuno ti ascolta, quando vuoi piangere ma nessuno ti consola, quando vuoi ridere ma a nessuno interessa.
Un giorno scrisse delle piccole cose inaspettate, degli sguardi scambiati di sfuggito, delle parole mai pronunciate, dei rimpianti che ti porti per sempre insieme a te, degli incontri che cambiano la vita, di una piccola cosa inaspettata chiamata Harry Styles. 




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