Detta
così
8 gennaio 2004
Sophie
si disse che quella di L era chiaramente una vendetta.
Indiretta,
ovviamente, il che avrebbe trasformato ogni sua accusa in un’insinuazione, ma nondimeno
una vendetta.
La
sottile abilità del detective stava nel darle esattamente quello che voleva, anzi,
di più: oltre a permetterle di garantire la privacy di signora e
signorina Yagami (le riprese del bagno sarebbero state trasmesse su uno schermo
che solo lei poteva vedere), L l’aveva invitata a visionare tutte le
riprese di casa Yagami. Tutte. In diretta. Ventiquattr’ore su
ventiquattro. Per una settimana. Non qualcosa che Sophie potesse nettamente
segnalare come scorretto ma, alle sei del mattino, con le occhiaie che ormai
toccavano terra e gli occhi arrossati, era una dichiarazione di guerra.
Tanto
più perché, era certa che L lo sapesse, si sarebbe mangiata le mani
piuttosto che fare un passo indietro.
Quella
mattina, quindi, la rossa si rassegnò a sequestrare l’intera boccia di caffè
dalla cucina, prima di raggiungere il salotto della nuova suite. Si bloccò
sulla soglia della stanza, i piedi nudi affondati nella moquette chiara: ad
attenderla davanti a una pericolante parete di schermi, casse e vari aggeggi
babbani, la aspettavano L, il Sovrintendente, e una terza poltroncina rivestita
di raso verde, esattamente in mezzo ai due.
Sospirò
pesantemente, prima di scivolare nel suo posto.
«Buongiorno,
Sophie»
«Sovrintendente»
replicò con un pallido sorriso. Un sorriso rapidamente cancellato dalla tazza e
piattino che le levitarono sotto il naso: con uno sguardo fulminante, spinse il
set di porcellana bianca verso L e strinse gelosamente la brocca di caffè al
petto.
Per un
brevissimo attimo parve quasi che il ragazzo fosse sorpreso, poi la
tazza levitò a terra e gli schermi di fronte ai tre presero vita.
Sophie,
con un misto senso di vittoria e disagio, iniziò a dar fondo alla sua personale
scorta di caffè, sforzandosi ardentemente di non sbirciare il detective.
Presumibilmente
per la stanchezza, non le sovvenne che quel caffè lo avesse con tutta
probabilità preparato L stesso.
Alle
dieci, vigeva calma piatta: entrambi i figli del Sovrintendente erano a scuola,
mentre la moglie aveva uno stretto programma di commissioni da sbrigare. Ergo,
Sophie lottava per non appisolarsi.
Non
tanto per professionalità, ammise tra sé e sé, ma per non darla vinta al
detective di cui sentiva il penetrante sguardo sulla pelle. Si era quindi rassegnata
a ingollare tutto il caffè possibile.
L e la
sua tazza vuota, ovviamente, non avevano tardato a notarlo.
«Ingerire
grandi quantità di caffè a stomaco vuoto incide negativamente sull’idratazione»
commentò placidamente, fissando gli schermi come se non si stesse rivolgendo a
lei.
La
rossa batté le palpebre, immobile.
Non
ho sentito bene, si disse, cercando lo sguardo del
Sovrintendente che, però, si strinse nelle spalle. Sbirciò allora in direzione
del detective, che non sembrava intenzionato a voltarsi.
Forse
se l’era immaginato.
«Inoltre,
può rendere maggiormente soggetti a lesioni allo stomaco». La strega strinse le
labbra, innervosita. Si ricordò istintivamente della bacchetta che le teneva
annodati i capelli in testa.
Niente
fatture, Sophie.
«…
Bruciori di stomaco, gastrite, reflusso…»
Niente
fatture, niente fatture, nientefatture nientefatture nientefatture.
«… ulcera…»
Me
la fai venire te, l’ulcera.
«…
questo oltre ai rischi legati-»
«E va
bene! Vado a farmi un panino!» sbottò Sophie, uscendo infuriata dalla
stanza.
A
mezzogiorno e un quarto, non era ancora successo nulla. Sophie stava attentamente
passando in rassegna tutti i modi in cui avrebbe potuto somministrare del pus
di Bubotubero ad L senza che se ne accorgesse. Lo faceva più per passare il
tempo che perché la vedesse come azione realizzabile: se proprio avesse deciso
di finire in prigione, c’erano metodi meno tortuosi.
Tipo lo
strangolamento.
Poi,
finalmente, Light Yagami arrivò a casa: il primogenito del Sovrintendente era
un ragazzo alto, dal volto carismatico e capelli castani ben pettinati, con
qualche sottile ciocca che gli ricadeva verso gli occhi affilati.
Tutto
sommato, un ragazzo che a Hogwarts avrebbe certamente fatto la sua incetta di
conquiste.
Così su
due piedi, non per forza la faccia di un serial killer.
L’uomo
che aveva piazzato le telecamere aveva fatto rapporto riguardo a un piccolo
incantesimo di controllo sulla porta. Sophie però, dall’alto dei suoi anni a
Hogwarts, non era molto impressionata: in una scuola dove si potevano imparare
incantesimi per aprire le serrature già a undici anni, fatture e maledizioni
erano il minimo sindacale che si potesse trovare a guardia degli effetti
personali degli studenti. Per esempio, era quasi certa che una Corvonero del
suo anno avesse addestrato il proprio rospo ad aggredire chi si
avvicinasse al suo baule.
«In
effetti mi chiedo se non nasconda qualcosa, per arrivare a tanto» considerò
teso il signor Yagami, scrutando gli schermi con la fronte aggrottata.
Sophie
stava per aprire bocca, ma L la precedette: «È un ragazzo di diciassette anni…
non c’è niente di cui stupirsi. Anch’io lo facevo, senza un motivo preciso».
La
strega non poté trattenere uno sbuffo incredulo.
Questa
è bella.
Si
ritrovò a voltarsi verso il detective, un’espressione scettica e divertita in
volto, salvo poi trovarlo già a fissarla di rimando con un sopracciglio
inarcato.
Sophie si
bloccò per un istante, poi gli scoccò un’occhiataccia e tornò a guardare gli
schermi.
Alle tre
e mezza, il pulito e composto Light Yagami stava sfogliando una rivista porno.
Sophie
storse il naso.
Non tanto per la rivista in sé: disteso
placidamente a pancia in giù sul letto, il mento puntellato elegantemente su
una mano e la flemma di chi stia sfogliando un noioso manuale su una delle
tante Guerre dei Goblin, Light Yagami non rientrava esattamente nello
schema dell’adolescente in preda agli ormoni.
E lei lo era stata fino a poco tempo prima,
un’adolescente in preda agli ormoni.
Ora scricchiolo come un albero se sto seduta per
troppo tempo nello stesso modo,
pensò imbronciata, tendendo una mano dietro la schiena per massaggiare un punto
dolorante.
«Un ragazzo così diligente che compra quel genere di
riviste… Sophie, io mi scuso profondamente per il comportamento di mio figlio…»
disse desolato e spiazzato il Sovrintendente. La giovane batté le palpebre un
paio di volte, risvegliata dal suo torpore.
«Che- no, Sovrintendente si figuri! Non sono
minimamente offesa, non si preoccupi» lo tranquillizzò freneticamente,
raddrizzandosi nella poltroncina con un sorriso rassicurante. «Suo figlio sarà
anche uno studente modello, ma è pur sempre un diciassettenne… quello non è
strano» aggiunse, mordendosi la lingua un attimo più tardi.
«… Quello?» chiese confuso l’uomo.
Godric, Sophie, chiudila ogni tanto la boccaccia.
«Ehm…» Suo malgrado, la strega si ritrovò a cercare lo
sguardo di L con la coda dell’occhio, incerta sul da farsi. Il detective dal
presunto super udito, però, pareva totalmente ignaro della situazione.
Infame.
Sophie sospirò e, tornando a guardare il preoccupato
volto del Sovrintendente, decise di essere il più sincera possibile… senza
procurargli un ulteriore carico di stress, magari. Per quello bastava L.
«Vede, Sovrintendente, è… il tempismo, capisce? La
velocità con cui la piccola anomalia della porta controllata è stata
giustificata– anomalia che, ci tengo a ribadire anch’io, è totalmente
legittima» la strega si passò una mano fra i capelli, frustrata dal bisogno di
non scaricare un peso troppo gravoso sull’uomo seduto accanto a lei.
«Che cosa intendete? Che Light si è accorto delle
videocamere?»
«No, non esattamente…» rispose incerta la strega.
A quel punto, L si schiarì la voce con impazienza.
Sophie si voltò repentinamente per guardarlo con
ostilità ma lui, totalmente indifferente, si limitò a incarcare le
sopracciglia. La ragazza alzò gli occhi al cielo.
«E va bene… il fatto che Light sia consapevole
di essere controllato non è dovuto, anche se potrebbe esserci sfuggito qualche
incantesimo di sorveglianza» spiegò lentamente, riaccomodandosi nella poltrona
per guardare in faccia il Sovrintendente. «Il punto è che questo è lo
scenario perfetto per occhi indiscreti e, per esperienza, le dico che pedinando
la gente capitano di rado situazioni così… trasparenti»
«Non sospetterà davvero di mio figlio, Sophie?»
Lei scosse il capo con decisione, e una leggera
risata. «Signore, io valuto solo ciò che vedo, è oggettivamente presto per
farsi un’idea chiara… d’altra parte, tappezzarle la casa di microspie non è un
passatempo per noi più di quanto lo sia per lei».
Soichiro rifletté per qualche secondo, e lei si morse
un labbro. «Se sono stata troppo schietta…»
«Tutt’altro, grazie per essere sincera con me, Sophie…
la sua analisi è… del tutto condivisibile» le disse l’uomo, sebbene con un
sorriso un po’ forzato.
Almeno uno
di noi è collaborativo, si disse la rossa, sistemandosi più comodamente
nella seduta per alleviare i dolori alla schiena. O, almeno, cambiarne la
posizione.
Alle sette e venti, la famiglia Yagami stava cenando.
Il Sovrintendente e Sophie stavano fissando la scena
in silenzio, entrambi troppo nervosi e cupi per mangiare. L stava rapidamente
decimando una piccola torta panna e fragole.
La rossa, affondata a braccia conserte nella poltroncina
che ormai detestava, si trovò a rimuginare su quanto accogliente fosse
la scena davanti ai suoi occhi: Sachiko Yagami stava chiedendo ai figli dei
rispettivi impegni scolastici, servendo loro la cena preparata con cura.
Entrambi avevano rapidamente liquidato la questione, anche se evidentemente per
motivi diversi, dati i rapporti che la Mahōtokoro aveva mandato loro. Di
sottofondo, la radio trasmetteva la hit di un giovane cantante giapponese,
provocando un battibecco tra i due fratelli che fece sorridere la strega.
Con la coda dell’occhio, Sophie colse l’espressione
colma d’affetto del Sovrintendente, e si sentì in pena per lui: avrebbe solo
voluto vederlo seduto a quella tavola, a godersi il calore e la vivacità della
sua famiglia, invece che a trascorrere quelle sfibranti ore in attesa del
peggio.
«Aizawa, a casa Kitamura la radio è accesa?» Sophie si
accorse in quel momento che L, recatosi a un’altra estremità del salotto, aveva
acceso il camino e gettato della Polvere Volante nelle fiamme, divenute
smeraldine.
La voce dell’agente replicò affermativamente, e il
detective spense immediatamente il fuoco per ordinare a Watari di procedere.
Pochi secondi più tardi, la voce di Hideki Ryuga s’interruppe,
per la disperazione di Sayu Yagami. «Interrompiamo le trasmissioni per un
comunicato speciale: per contrastare Kira, il Wizengamot ha deliberato l’arrivo
in Giappone di oltre quattrocento Cacciatori di Maghi Oscuri».
Sophie sbuffò, insofferente a quella trovata
totalmente esagerata. Era praticamente impossibile che non mangiassero
la foglia… certo, L era sempre pronto a osservare i risultati dei suoi piccoli
test, però…
«Che stupido il Wizengamot». La strega batté le palpebre, rivolgendo la sua
attenzione a Light Yagami. «Che senso ha fare un annuncio del genere? Se li
inviano dovrebbero farlo in incognito, in modo che possano indagare in tutta
tranquillità, no?»
Sophie rivolse lo sguardo a L: rimasto accovacciato
per buona parte della giornata con la testa incassata tra le spalle e il mento
posato sulle braccia conserte, ora il detective aveva un sorrisetto a tirargli
le labbra, mentre si mordeva pensosamente la punta di un pollice.
«È sveglio suo figlio» commentò infine, una scintilla di
divertimento negli occhi grigi.
«Eh?» fece il Sovrintendente, passando lo sguardo dal
ragazzo a Sophie. «Beh, direi di sì…»
La rossa cercò di non tradire nessuna emozione sul
volto già imbronciato, limitandosi ad accavallare le gambe mentre rifletteva.
Quando L aveva annunciato di voler installare videocamere e microfoni, aveva
addotto solo un misero cinque percento di
possibilità che uno dei Yagami o uno dei Kitamura fosse Kira.
Sophie aveva
alzato gli occhi al cielo. In ogni caso, non aveva senso far notare al resto
della squadra che L stesse probabilmente mentendo.
Allo
stesso modo, non aveva il cuore di far capire a Soichiro che, se Light avesse
attirato positivamente l’attenzione di L, non avrebbe fatto che aumentare i
sospetti che potevano gravare sulla sua testa.
Alle
undici, Sophie era praticamente rannicchiata su un fianco, il capo posato su un
bracciolo e le gambe piegate sulla seduta della poltrona. Per una volta, non
sarebbe morto nessuno se fosse stata lei quella seduta peggio della stanza.
I suoi
occhi ambrati erano fissi su Light Yagami, impegnato a studiare da più di tre
ore con una costanza che avrebbe fatto applaudire Hermione. Mentre ricordava le
lunghe serate passate a studiare con lei in biblioteca, le palpebre di Sophie
calarono per un brevissimo attimo.
«Ryuzaki…»
La
strega spalancò gli occhi di botto, senza avere il coraggio di guardare in
direzione di L. Caffè, ho bisogno di così tanto caffè.
«Che
c’è, Watari?»
Mentre
Sophie si alzava per stiracchiarsi e procurarsi del caffè, Watari portò notizie di nuovi decessi a opera di Kira:
l’identità dei criminali era stata diffusa su “Owl’s Times”, un
quotidiano serale giapponese che era stato letto dalla moglie e dalla figlia
del direttore Kitamura. La famiglia Yagami sembrava invece essere nuovamente
fuori da ogni accusa, poiché l’unica copia ricevuta giaceva, ancora
impacchettata, sul davanzale della finestra.
Ahia, si
disse la rossa, avvicinandosi al tavolo su cui Watari aveva lasciato delle
caraffe bollenti.
«Allora la mia famiglia è innocente!» esclamò Soichiro
Yagami, sollevato.
Il detective in cui riponeva le sue speranze esitò un
momento, prima di rispondere.
«Vediamo… oggi Kira ha ucciso due persone che avevano
commesso crimini molto lievi, nell’arco di un’ora dopo la pubblicazione del
Times… e anche se oggi è solo il primo giorno che abbiamo piazzato le
telecamere, in casa Yagami c’era un’atmosfera tanto innocente da passare
difficilmente inosservata… Sophie?»
La strega, intenta a correggersi una generosa dose di
caffè con del latte freddo, sussultò con una smorfia. Naturalmente doveva
coinvolgerla.
Si voltò lentamente, la caraffa di latte e il caffè
ancora in mano: il Sovrintendente la guardava con aria speranzosa, e lei si affrettò
a posare il latte per stringere la tazza fra le dita fredde. «Beh, a costo di
essere ripetitiva, è solo il primo giorno…» disse esitante, cercando le parole
giuste per non sbilanciarsi troppo. «È tutto molto… tranquillo».
Troppo.
Sophie decise di ignorare stoicamente lo sguardo
annoiato del detective su di lei.
Yagami invece pareva ancora più incredulo e frustrato,
troppo a modo per protestare ulteriormente, ma troppo di parte per riuscire ad
accettare fino in fondo quel discorso. Sophie, seppure dispiaciuta per lui,
continuava però a pensare che troppi particolari non quadrassero.
Se Light fosse davvero Kira, lo staremmo concretamente
mettendo alle strette. Basta solo vedere se e come reagirà.
***
10
gennaio 2004
Nei
giorni successivi, Sophie non ebbe alcuno scontro col detective. Beh, non aveva
nemmeno avuto conversazioni vere e proprie, ma del resto fissare degli schermi
in ogni momento di veglia non è che incoraggiasse le chiacchiere. Tra mal di schiena,
occhi brucianti e un odio cocente per le poltroncine di raso verde, Sophie non
aveva voglia nemmeno di parlare al suo gufo.
Inoltre,
lo riteneva un merito: se fino a un paio di settimane prima aveva creduto di
essere pessima nell’arte del mettere le giuste distanze, ora poteva dirsi
pienamente soddisfatta di quella ritrovata capacità.
Ginny,
se ne rendeva conto, le avrebbe detto che l’unica arte di cui era capace era
quella di ignorare ciò che stava davanti al suo naso, ma
Ginny non era lì per rovinarle la giornata con le sue
prediche.
Che
poi, se il vero intento della strega fosse stato di ignorare o fuggire L, di sicuro
non si sarebbe ritrovata di fronte a lui, a proporgli quello che gli stava
proponendo.
Anzi,
Sophie riteneva di starsela cavando alla grande, date le circostanze.
Draco
le avrebbe detto di non travisare la sua stessa faccia da schiaffi per
“starsela cavando alla grande”, ma neanche Draco era lì per ridimensionare la sua visione delle cose.
Buon
per lei, si disse, mentre aspettava in silenzio che L si degnasse di guardarla, se non proprio di darle una
risposta. Lui, però, continuava a studiare una Gelatina Tuttigusti+1 color
salvia come se vi fosse inscritto il destino dell’umanità. In Azteko.
Lei aspettò, in piedi, come una cretina, sapendo che richiamare la sua
attenzione sarebbe voluto dire dargliela vinta.
Sophie non era dell’umore per dargliela vinta.
Così
attese che quell’insopportabile… che L scartasse con tutta calma la gelatina,
aggiungendola a un piccolo gruppo di sue sfortunate compagne, per poi prenderne
una chiaramente all’arancia e mangiarla senza troppe esitazioni. Sapere che il
detective si dilettasse nel selezionare Gelatine
Tuttigusti non la sorprendeva neanche troppo, ma
avrebbe preferito in cuor suo che si beccasse una gelatina al cerume, o al
vomito, o allo sterco di drago.
Invece
no, L capiva i gusti delle gelatine.
Salazar
maledetto.
«Quindi…»
disse infine il ragazzo, facendo sparire il cipiglio minaccioso dal volto della
strega un attimo prima che alzasse effettivamente gli occhi su di lei. «Tu vorresti che i Salvatori del Mondo Magico e l’ex-Mangiamorte più
famoso d’Inghilterra, appena dopo Severus Piton, si uniscano alle indagini su
un serial killer di criminali che agisce conoscendo il nome e il volto delle
vittime. Questo mi stai dicendo.»
Sophie
non poté trattenersi dal piegare un angolo della bocca verso il basso,
leggermente in imbarazzo: certo che, detta così, senza tutte le molte
premesse che aveva fatto da mezz’ora a quella parte…
ok, sì, sembrava un’idiozia bella e buona.
Tutt’altro
che disposta a retrocedere, però, l’Auror si limitò a sollevare il mento con
aria di sfida. «Esattamente. Trovo ridicolo privarci di risorse preziose dopo
essere rimasti in neanche una decina di persone a lavorare su un’indagine di
tale portata»
«Non
hai preso in considerazione il fatto che nasconda altre squadre di
investigatori?» Il tono di L era pacato, sì, ma la rossa non poté non leggervi
una certa nota di alterigia che le faceva ribollire il sangue nelle vene.
«Hai
altre squadre?» chiese seccamente, senza nemmeno nascondere il profondo respiro
che aveva preso per non urlare. Lo fissò dritto negli occhi, sfidando il
detective a proseguire con quelle idiozie confezionate con l'esclusivo scopo di farla esitare.
Lui non
rispose, né variò l’espressione annoiata e vagamente scettica che ormai le
riservava dalla loro discussione.
Soddisfatta
del suo silenzio, la strega riprese a parlare: «Come ti ho già detto, se anche Kira venisse a sapere
della loro collaborazione non si azzarderebbe mai a mettersi contro i Salvatori del Mondo Magico, non quando la sua
posizione è ancora così debole» si sfregò gli occhi doloranti per un breve
secondo, fregandosene di cosa potesse pensarne L. «Non sto parlando di un paio
di dilettanti con cui tamponare il centralino telefonico, ma di Auror
perfettamente formati e capaci di muoversi senza destare sospetti.
«Inoltre,
la loro presenza a Londra in questo momento potrebbe solo suscitare problemi…
la loro assenza, d’altra
parte, potrebbe significare tutto o niente, lasciare ampio spazio
d’interpretazione sia per i sostenitori di Kira che per i suoi oppositori.»
Sophie
riaprì gli occhi su di L e per un attimo colse nuovamente l’espressione con cui
l’aveva guardata quella sera, quella perplessità, quella… preoccupazione.
“Non
dormi.”
Sospirò.
«Senti,
pensaci, ok? Sei il capo delle indagini, l’ultima chiamata è la tua… vorrei
solo che tenessi in considerazione questa possibilità».
L era
tornato al suo tavolino di dolciumi per dissotterrare teiera e tazza, e la
rossa fu grata di non avere più quegli occhi penetranti addosso.
Prendendolo
come un congedo, fece un cenno col capo e girò sui tacchi.
«… La
terrò in considerazione».
Sophie
esitò solo per un attimo, poi tornò nella sua stanza.
Per le
poche ore che dormì quella notte, prima che l’arrivo del Sovrintendente e un
leggero bussare alla porta annunciassero l’inizio di una nuova giornata, i suoi
incubi furono più nebulosi, imprecisi… distratti.
***
12
gennaio 2004
Quel
giorno, L aveva dichiarato sospeso il controllo sulle famiglie Yagami e
Kitamura, ribadendo quel ridicolo cinque percento di possibilità che fossero
colpevoli. Mentre il resto della squadra iniziava ad arrabattarsi per capire
come procedere, discutendo la plausibilità di ogni opzione con le barbe sfatte
e i capelli spettinati, Sophie aveva tenuto gli occhi fissi sul detective,
chiaramente perso in qualche angolo della sua mente.
Era
ovvio che qualsiasi approccio diretto con Kira sarebbe stato superfluo e
rischioso, che dovessero avere qualcosa di davvero concreto per arrivare
a un interrogatorio. Per questo, dubitava che le loro indagini si fermassero
così, nel nulla, che L non avesse davvero altre idee: lui era sempre dieci
passi avanti agli eventi correnti.
Sempre
a giocare a scacchi.
Perciò,
l’unica cosa che le restava da fare era riflettere, capire, percorrere quei
passi. Non ci mise poi troppo, perché non era una delle Auror migliori del
Ministero britannico per niente.
Quando
i giapponesi si furono congedati, i volti stanchi coperti di barba non fatta e
i vestiti impossibilmente sgualciti, lei non scappò in camera come era solita
fare in quei giorni, ma andò dritta da L.
«Ryuzaki?»
lo chiamò, dopo essersi assicurata che fossero soli nel salotto poco
illuminato.
«Mh?»
fece lui, senza nemmeno alzare gli occhi sulla strega. Non aveva in grembo
pergamene o computer, ma nonostante ciò sembrava essere ancora assorto nei suoi
pensieri.
«Fai
avvicinare me a Light Yagami»
Improvvisamente,
Sophie aveva tutta la sua attenzione.
Stavo quasi per non pubblicare ma mi sono resa conto che c'è UN SACCO di roba che non vedo l'ora che leggiate e commentiate e che spero vi prenda bene quanto ha preso bene me scrivendola, QUINDI devo darmi una mossa. E cercare di non morire mentre preparo tipo boh una decina di esami ✨
Ovunque siate, un abbraccione💙