MISTA’S
BIZARRE ADVENTURE
“...So
come on, come on, do the locomotion with me
You
gotta swing your hips now
Come
on baby, jump up, jump back….”
La
radio-sveglia di Mista suonava tutte le mattine alle otto e trenta in
punto e lui apriva gli occhi esattamente qualche minuto prima,
abbracciando il cuscino e rotolandosi nel letto finché
finalmente la musica ritmata della radio non gli dava la spinta per
mettersi in piedi e cominciare il suo rituale del buongiorno.
Non era
mattiniero per indole ma aveva ormai una consolidata serie di abitudini
che se seguite alla lettera lo mettevano nella giusta predisposizione
d’animo perché la giornata fosse a dir poco
spumeggiante. Inutile dire che l’impossibilità di
seguire questa semplice ma allo stesso tempo fondamentale sequenza di
azioni lo innervosiva e veniva immediatamente interpretata come un
presagio: la giornata sarebbe stata pessima.
Anche se era
già sveglio era fondamentale aspettare che la musica lo
invitasse appunto ad alzarsi, per abbandonare la dolce compagnia del
cuscino che abbracciava con più o meno trasporto a seconda
dell’umore.
A quel punto,
una volta alzatosi dal letto, il primo passo era andare in bagno a
lavarsi la faccia con dell’acqua non troppo calda, non troppo
fredda, tiepida, con il rubinetto aperto esattamente con una certa
inclinazione per raggiungere immediatamente quel risultato.
La musica di
quel giorno era particolarmente ritmata e fu difficile smettere di
ancheggiare ma farla fuori dal water avrebbe significato dover pulire e
questo gli avrebbe rotto il ritmo quindi si trattenne ma
recuperò avviandosi con qualche mossa di ballo a
metà fra il cattivo gusto e l’ambiguo fino alla
cucina dove mise su la moka a fuoco medio con il suo metodo
infallibile: l’acqua doveva arrivare esattamente alla valvola
per evitare che l’acqua traboccasse e la polvere in
quantità ottimale corrispondeva a esattamente tre, tre e assolutamente non quattro,
precise cucchiaiate piccole nel filtro prelevate dalla confezione con
un cucchiaino deputato a questo compito esclusivo.
“...Well
you’re an untamed youth
That’s
the truth with your cloak full of eagles
You’re
dirty, sweet and you’re my girl
Get
it on, bang a gong, get it on...”
Uh, la radio
di oggi ce la stava mettendo tutta per dargli la spinta giusta:
Guido sottolineò il pensiero con un paio di colpi di bacino
e due impalpabili schiaffi assestati all’aria davanti a lui
– estremamente sonori nella sua immaginazione.
Si
passò una mano fra i fitti riccioli castani, vestito solo
dei boxer: mentre la moka andava aveva calcolato di riuscire a fare
attualmente, bilanciando sforzo e tecnica dell’esercizio,
cinquanta flessioni, cinquanta addominali ed infine rimanere in plank
sui palmi finché finalmente non sentiva il divino borbottare
del caffè che veniva su: a quel punto spegneva la fiamma e
mentre la bevanda si raffreddava Mista usava quel tempo per sbattere
quattro uova con cui avrebbe fatto come ogni mattina, usando sempre la
stessa padella, un’ottima frittata. Aspettando che la padella
si scaldasse, metteva nel tostapane due fette di pane ed era a quel
punto che si occupava della parte più impegnativa del
rituale mattutino: la colazione dei Pistols.
Aprì
il frigo e prese sei fette di prosciutto apparentemente tutte della
stessa grandezza e le sistemo su di un piattino, ben distanziate. La
padella a quel punto era calda e ci versò sopra le uova: le
girò con maestria, con un colpo secco, dopo averla staccata
dai bordi con perizia.
Qualche
istante dopo anche i toast uscirono fuori
dall’elettrodomestico con un sonoro ding!
Adesso che
c’era tutto, la frittata poteva essere tagliata a
metà: una metà dentro le due fette di pane e
l’altra divisa in sei porzioni – tutte
assolutamente uguali – sistemate sul piattino accanto alle
rispettive fette di prosciutto.
Mista prese
la sua tazzina da caffè personale, che usava lui soltanto e mai gli ospiti,
quella arancione, e ci versò dentro il caffè:
annusò il profumo con gioia. La colazione era pronta e la
giornata era iniziata meravigliosamente.
“MISTAAAAA!!”
“Miiistaaaa
è prontooooo?”
“ABBIAMO
FAME MISTAAAAAAAAA!”
I Pistols si
precipitarono in cucina, sapendo che quella era l’ora in cui
avrebbero trovato il piatto pronto senza lagnarsi troppo ma era giusto
fare un minimo di storie ogni volta per ricordare a Mista che avevano
delle esigenze. Anche quello faceva parte del rituale mattutino.
Guido sorrise
soddisfatto, addentando il toast.
“E’
tutto già diviFo…” ciancicò
mentre deglutiva. “E vedete di non rubarvi le porzioni! Ve le
ho separate apposta, GUAI A VOI!”
“MISTA
MA LA MIA FETTA DI PROSCIUTTO È PIÙ
PICCOLA!”
“LA
MIA È PIÙ BRUTTA DI QUELLA DI NUMERO
SETTE”
“Finitela
per favore, i maiali non li fanno di certo con lo stampino” e
appena pronunciò queste parole pensò…
Caspita, i maiali con lo stampino, che storia sarebbe.
“MISTA
NUMERO TRE MI RUBA LA FRITTATA!”
“SPIONE!
SEI SOLO UNO SPIONE FRIGNONE!”
“Numero
Cinque, non piangere… Numero Tre,
piantala…” borbottò Mista, ormai come
se fosse un’abitudine anche quello, mentre beveva il
caffè in compagnia dei Pistols che gli roteavano intorno.
“...When
you hold me
In
your arms so tight
You
let me knows
Everything’s
all right...”
Sì,
la mattinata stava andando decisamente benissimo: tutto era andato alla
perfezione senza nessun inghippo. Non gli era caduto
l’asciugamano, non aveva sbattuto il mignolo contro lo
spigolo del letto, aveva fatto tutte le ripetizioni senza affaticarsi
troppo ma anche senza annoiarsi e il caffè era divino. Le
lagne dei Pistols rientravano nella normalità.
Nonostante
fosse ancora inverno la giornata era splendida e soleggiata anche se
fuori doveva ancora essere piuttosto freddo e questo lo mise ancor
più di buon umore: era meteoropatico e la pioggia lo
intristiva terribilmente.
Che giorno
era poi?
Era
martedì, questo lo sapeva: per chi lavora con i ristoranti
è il giorno più pacifico perché la
maggior parte delle attività di ristoro sono chiuse. Quasi
nessuno va a mangiare fuori di martedì: non è
triste come il lunedì per cui puoi aver bisogno di una
spinta in più per affrontare la settimana ma non
è nemmeno un giorno di festa come il sabato o la domenica.
Il martedì a quanto aveva imparato era un giorno piuttosto
banale ma quello in cui avevano più tempo libero.
“…
oggi 14 Febbraio la nostra radio fa gli auguri a tutti gli innamorati!
E voi, che avete in programma di fare per questo San Valentino? Diamo
la linea ai nostri ascoltatori...”
Martedì
14 Febbraio, San Valentino. La festa degli innamorati.
E la giornata
era partita benissimo.
Mista sorrise
gagliardo, finendo l’ultima goccia del suo caffè:
il destino gli avrebbe messo sulla strada un’ottima occasione
per festeggiare l’amore, era tutto già scritto.
Doveva condividere questa sensazione con qualcuno: pervaso dal
buonumore, prese il telefono e compose il numero in automatico.
Il telefono
squillò a lungo finché dall’altro capo
rispose una voce impastata e flebile.
“Pronto?”
“Buongiorno
principessa. Che voce sexy abbiamo.”
“Mista…?”
un altro suono che lasciava intendere che quella telefonata aveva
interrotto il migliore dei sonni.
“Dai,
non ci posso credere che dormi a quest’ora” Mista
teneva il cellulare nell’incavo del collo mentre si liberava
dei boxer e li lanciava con un tiro da tre punti nel cesto della
biancheria sporca.
“MISTA
CHE SCHIFO!” Un paio di Pistols si coprirono gli occhi.
“E
GIRATEVI, CRETINI! È CASA MIA QUESTA!”
sbuffò Guido, mentre la voce dall’altra parte del
telefono continuava a borbottare qualcosa.
“Smettila
di urlare, ti prego, Mista…”
“Scusa,
scusa… Ma perché sussurri? Sei in
compagnia?” ridacchiò Mista.
Guido
sentì dall’altro capo del telefono
un’altra voce in lontananza, che non stava parlando con lui.
“Fugo,
chi cazzo è…” si lamentò
Narancia, rigirandosi tra le coperte.
“È
Mista, chi vuoi che sia a quest’ora…”
sbuffò Fugo, ritornando a parlare con un tono di voce
normale: ormai si era svegliato anche Narancia.
“Un
momento, un momento, un momento” Guido si fermò,
smettendo di frugare nel suo cassetto delle magliette in cerca di
qualcosa che fosse perfetto per attirare ancora più amore in
quella giornata. “Tu e Narancia avete dormito
insieme?”
Dall’altro
capo del telefono ci fu qualche istante di silenzio.
“A
volte capita” sentenziò Fugo desiderando chiudere
quel discorso.
“AH,
QUINDI NON E’ NEMMENO LA PRIMA VOLTA?!”
urlò Mista, con la voce che si era fatta acuta dalla
sorpresa.
“TI
HO DETTO CHE NON DEVI URLARE, CAZZO!”
“VA
BENE MA STAI CALMO, PANNI!”
“STAI
ANCORA URLANDO!”
“PERCHÉ
ANCHE TU STAI URLANDO, CAZZO!”
“OHHHHHHHH
MA LA FINITE!” strillò esasperato Narancia,
strappando il telefono dalle mani di Fugo “Che cazzo vuoi a
quest’ora, Guido.”
“Anzitutto
sono le nove, smettetela di parlare come se fossero le cinque di
mattina. E poi, da quando tu e la principessa dormite
insieme?” finalmente Mista aveva trovato la maglia giusta:
una fantastica canotta arancione fluo che esaltava la sua pelle
abbronzata e recava scritto in lettere blu sulla schiena DE PUTA MADRE 69.
Ottimo acquisto, decisamente.
“Direi
che saranno anche cazzi nostri” ribatté Narancia
piccato, mentre Fugo schiacciava il viso sul cuscino sapendo
già in cuor suo che ormai il sonno gli era bello che passato.
“Ohhhh
dai, permaloso…” si infilò la canotta e
si guardò con soddisfazione allo specchio: favoloso.
“Narancia, senti…” Mista
abbassò il tono della voce al telefono “A me lo
puoi dire se tu e Fugo fate certe cose…”
“Che
cosa dovremmo fare io e Fugo?” domandò Narancia:
si era appena svegliato e non aveva davvero capito il discorso.
“Hai
capito, quelle cose lì… Un
po’… Ve le fate a vicenda dai, cioè,
alla fine vivete insieme e ci può stare che uno si senta
solo ogni tanto. Cioè, io non lo farei ma magari a luce
spenta, uno non vede, non sa…” Mista si stava
attorcigliando su sé stesso, cercando di mettersi un paio di
pantaloni militari che a suo parere gli facevano un culo divino. Ma del
resto, se hai un bel culo cos’è che non ti fa un
culo divino?
“Mista,
io non ho idea di che cazzo tu stia dicendo, lo sai vero?”
rispose Narancia, arrotolandosi ancora di più nelle coperte
e passò di nuovo il telefono a Fugo. “Tieni
parlaci tu”
Si
stiracchiò, cercando di liberarsi dalle lenzuola che lui
stesso aveva arrotolato e in quel momento il suo stomaco
borbottò in maniera imbarazzante. “Ho
fame.”
“E
allora vai a mettere su il caffè che facciamo
colazione” sbuffò il biondo: ormai tanto valeva
alzarsi. “Guido, insomma, che cosa vuoi?” chiese
Fugo esasperato quando in realtà doveva ormai essersi
abituato al fatto che Mista chiamava per qualsiasi motivo, a qualsiasi
ora per condividere qualsiasi cazzata gli passasse per la mente e
sentisse il bisogno di voler comunicare al mondo.
Anche se il
più delle volte si accontentava di mandare un messaggio,
finché non li finiva.
Allora
chiamava, finché non finiva anche i minuti.
A quel punto
ti veniva a bussare direttamente a casa.
“Niente,
oggi è San Valentino e volevo… Chiamarvi? Oddio,
ora che ci penso sembra così gay,
cristo…” Guido aveva già tirato fuori
le sue Nike Silver ma non trovava nemmeno un paio di calzini: dovevano
essere tutti nel cesto oppure fuori a stendere.
“Un
po’… Però grazie del pensiero, che vuoi
che ti dica” sospirò Pannacotta, trascinando le
ciabatte verso la cucina. “Nara, le fragole servono per la
torta, non le mangiare”
“LA
TORTA?! Dai, ma allora insomma, dormite insieme, fai la torta a San
Valentino…” Mista prese a canzonarlo con voce
stucchevole.
“E
allora? Volevo invitarti a mangiarne un pezzo ma mi ci hai appena fatto
ripensare.”
“Ohhiii
Panna-acida, pianino qui…” il cuore di Guido si
spezzò, pensando che si era appena giocato un pezzo di dolce
di Fugo: era bravo a cucinare quel maledetto, ma solo cibo di conforto.
“Ti ringrazio per l’offerta ma oggi sento che
sarà una bella ragazza a offrirmi il dessert”
“Lo
senti? Lo ha detto il tuo oroscopo?” ridacchiò
Fugo, sapendo quanto Guido fosse estremamente influenzabile da quel
punto di vista.
“No,
non l’ho ancora sentito stamattina… CAZZO,
NO!”
Mista stava
parlando fuori dal piccolo balconcino dove i suoi panni erano appesi in
bella vista su delle corde: stava spostando il telefono
sull’altra spalla tenendo in equilibrio la biancheria
asciutta in mano quando il berretto che voleva mettersi si
inclinò di quel millimetro in più
perché la forza di gravità lo facesse
precipitare. Guido allungò la mano per riacchiapparlo ma lo
spinse di quanto bastava perché scivolasse esattamente nello
spazio fra le corde e il terrazzo: lo vide fluttuare impotente e poi
adagiarsi con un suono ovattato sul balcone del piano di sotto.
Troppo tardi.
“Tutto
bene?” Fugo rubò uno spicchio d’arancia
a Nara “Ma quanto ci mette a salire il
caffè?”
“Ah
boh, io l’ho messo quando me l’hai detto”
Narancia si grattò la schiena con soddisfazione: quanto si
dormiva bene nel letto di Fugo.
Fugo
guardò la caffettiera con sospetto e sentì il
manico bollente.
“Ma
l’hai messa l’acqua?” chiese con
preoccupazione.
Silenzio.
“Porca
puttana Narancia, DUE COSE SERVONO PER FARE IL CAFFÈ, DUE, E
TU SEI IN GRADO DI SBAGLIARLE!”
“MA
LO FAI SEMPRE TU IL CAFFÈ, PUÒ SUCCEDERE CHE IO
MI SBAGLI, NO?”
“INDOVINA
PERCHÉ LO FACCIO SEMPRE IO, IMBECILLE!”
sbuffò Fugo, afferrando con una presina la caffettiera che
stava rischiando di sciogliersi per metterla sotto l’acqua
“Mista, ci sei? Mista?” guardò il
telefono. Aveva attaccato.
“Hai
capito che voleva?” Narancia prese la Nutella dalla credenza
e la spalmò abbondantemente in un panino che poi
strappò a metà.
“Certo
che no. Ma penso che non volesse niente, come al solito.”
Fugo addentò la sua metà di panino mentre
aspettava che la caffettiera fosse di nuovo maneggiabile.
“…
Comunque mi fa molto meno male la schiena quando dormo nel tuo
letto.” affermò Narancia con tono vago, come se
parlasse del meteo.
“…
È il mio letto.” precisò Fugo asciutto.
“Come
vuoi” annuì Narancia: che gliene fregava di chi
era il letto.
Bastava
dormirci dentro.
***
Guido rimase
a guardare il cappellino per svariati secondi, riflettendo sul
significato di quel segno: non poteva mettere nessun altro cappello
perché era esattamente quello di cui aveva bisogno per
completare il suo outfit perfetto e studiato per una giornata perfetta,
la giornata dell’amore in cui l’universo gli aveva
già fatto capire che sarebbe andato tutto benissimo.
Perché
era successo?
Rifletté
ancora e poi cercò di capire di chi fosse il balcone dove
era caduto il suo prezioso berretto. Facendo un rapido calcolo dei
piani e dei campanelli… Improvvisamente capì.
Il destino
non gli aveva voltato le spalle, tutt’altro: gli aveva dato
un’occasione.
Il balcone su
cui era caduto era quello della coppia del piano di sotto, prima porta
a destra: li aveva sentiti litigare l’altra sera e lui se
n’era andato sbattendo la porta.
Probabilmente
in quell’appartamento c’era una povera ragazza
sconsolata che non aspettava altro che un meraviglioso emissario del
fato la prendesse per mano e la risollevasse da un destino amaro,
regalandole un San Valentino romantico e inaspettato, come nelle favole.
Sì,
Guido era pronto a rispondere alla chiamata del Dio
dell’amore.
Corse in
bagno e si annusò: no, non puzzava ma comunque fece un passo
indietro, spruzzò una grossa nube di profumo davanti a lui e
ci si immerse dentro, a testa alta. Fece per riporre la boccetta ma poi
ci ripensò: si abbasso l’elastico dei pantaloni e
diede una spruzzata anche lì, sai mai. Si guardò
allo specchio soddisfatto, passandosi una mano fra i capelli e
riflettendo sull’espressione da fare quando lei gli avrebbe
aperto la porta. Sì, era bellissimo come sempre.
“Torno
subito!” urlò ai Pistols, mentre apriva la porta e
si precipitava al piano di sotto cercando di richiamare alla memoria
l’aspetto della ragazza: aveva i capelli lunghi,
sì, di questo era sicuro, ma gli occhi… Boh, non
sapeva di che colore avesse gli occhi, però aveva un gran
bel paio di…
“Ciao,
scusami se ti disturbo, io…” la
approcciò con un sorriso smagliante non appena le
aprì la porta, ma ebbe un momento di esitazione quando la
vide con gli occhi gonfi che cercava di darsi una sistemata,
chiaramente in imbarazzo.
“S-scusa,
non… Non aspettavo visite” balbettò lei.
“No,
scusami tu, davvero” controbatté lui, con tono
sinceramente dispiaciuto: odiava vedere le ragazze che piangevano,
soprattutto per colpa di un uomo. “Non volevo disturbarti,
io… E’ solo che mi è caduto il cappello
sul tuo balcone e… Ecco…”
“Ah,
sì.. Tu… Sei il ragazzo del piano di sopra, no?
Certo, entra pure…” la ragazza aprì la
porta, tirando su con il naso rumorosamente. Gli fece strada fino al
balcone, accompagnandolo nella stanza da letto che appariva
visibilmente disfatta: l’armadio era aperto e c’era
roba sparsa un po’ dappertutto ma apparentemente aveva
dormito da sola.
“Scusami,
vado a… Vado a soffiarmi il naso.” la ragazza si
allontanò, sempre più imbarazzata per essere
stata colta in un momento di debolezza da un perfetto sconosciuto.
Mista
recuperò il suo cappellino, molto combattuto sul da farsi:
il ragazzo era sicuramente uno stronzo. Non si fa piangere
così una bella ragazza nel giorno dell’amore. Ma
lei forse era fin troppo triste per un approccio…
Però come poteva abbandonarla così? No,
decisamente no, il fato l’aveva mandato al piano di sotto per
un motivo! Oltretutto lei l’aveva riconosciuto, aveva detto sei il ragazzo del piano di sopra,
quindi molto probabilmente l’aveva notato anche lei.
Si
calcò il cappellino sulla testa, con orgoglio:
l’avrebbe portata fuori a mangiare, sarebbero andati al
cinema e avrebbero romanticamente diviso dei pop corn finché
lei non glieli avrebbe passati direttamente con le labbra,
sì e poi a quel punto presi dalla passione
avrebbero…
“Eccomi,
scusa…” la ragazza era tornata in camera. Aveva
cercato di darsi una sistemata oltre che soffiarsi il naso,
probabilmente sentendosi troppo sciatta: era già molto
più carina.
“Smetti
di chiedermi scusa. Dovrebbe chiederti scusa chi ti ha fatto piangere
così” Mista la affrontò con
l’orgoglio di un cavaliere che salva una donzella.
Lei
arrossì, visibilmente scossa: allora il litigio si era
sentito fin dal piano di sopra.
“Mi
dispiace, non pensavo… Io non sono una che alza la voce di
solito, ma…”
“Si
capisce che sei una persona dolce” Guido si
avvicinò a lei e le appoggiò una mano sulla
spalla. “Devi smettere di dispiacerti. Tu non hai fatto
niente.”
Lei
sussultò, cercando di trattenere le lacrime, emotivamente
provata da tutto quello che stava succedendo.
“Sei…
Sei così carino e mi conosci appena…”
“Non
c’è bisogno di conoscerti per capire che meriti di
meglio.”
A quel punto,
la ragazza scoppiò in lacrime disperate e Mista la strinse a
sé, con fare galante: sentiva già la musica, come
se fosse in un film romantico ma ehi… Aspetta…
Non era nella sua testa, c’era davvero la musica…
“...So
I started walking her way
She
belonged to bad man, José
And
I knew yes I knew I should leave
When
I heard her say, yeah
Come
a little bit closer...”
Riconosceva
la voce del DJ, ascoltavano la stessa radio! Era tutto perfetto,
sì, era come un film, Guido non poteva crederci: stava per
piangere di gioia quando la ragazza finalmente alzò gli
occhi e lo guardò come se fosse il suo principe azzurro.
“Sono…
Un disastro…” singhiozzò fra le lacrime.
“No,
sei bellissima” sparò lui, sapendo che questa
sarebbe stata la bomba che sarebbe arrivata dritta al suo cuore. Le
scostò una ciocca di capelli avvicinandosi alle sue labbra e
finalmente, mentre la musica li avvolgeva, sentì il sapore
di quella ragazza e chissene se aveva il naso che le colava, che
meraviglia… Era così morbida… Ok,
magari non si era lavata i denti ma che importa… Un altro
bacio mentre lei si stringeva al suo petto e finalmente poteva sentire
sui sue addominali quelle due… Quelle… Beh oddio
forse pensava fossero più grandi ma andava benissimo, oh
sì, vai con quella lingua baby…
“MONICA!
CHE COSA STAI FACENDO?!” una voce di uomo, molto incazzata.
Quella non
c’era nei film romantici di solito.
“VINCENZO!
IO… NON È COME PENSI!”
Oh, cazzo.
Quella c’era nei film ma non quello che stava pensando di
vedere Mista.
Davanti a lui
c’era un ragazzo abbastanza ben piazzato, con un mazzo di
fiori in mano che non sembrava particolarmente felice di vederlo. Mista
era allenato ma anche quello sembrava un tipo che faceva a pugni spesso
e volentieri.
“E
TU CHI CAZZO SEI?! LO SAI CHE QUELLA È LA MIA
RAGAZZA?!”
“Ehi
amico, guarda che io non.. “ Mista si allontanò
alzando le mani ma per tutta risposta si prese un pugno in pieno volto,
colto completamente alla sprovvista “OUCH! OHI STRONZO,
GUARDA CHE…”
“VINCENZO,
FERMATI! NON HA FATTO NIENTE, È STATO UN MOMENTO DI
DEBOLEZZA, TI PREGO!”
Mista lo
guardò incazzato: non amava fare a botte ma se era veramente
necessario era pronto a farlo. Un sacrificio di sangue per il Dio
dell’amore.
“NON…
NON MI TRADISCI CON QUESTO QUI, VERO? IO TI AMO…
IO… Sono tornato da te, hai visto…” il
tono di voce di lui si incrinò, mentre recuperava i fiori
che aveva lanciato a terra per metterli fra le mani di lei.
“Ti prego, perdonami…”
“Io…
Non…” lei guardò Mista confusa,
stringendo gli occhi. “No, certo che non ti tradisco
Vincenzo, ti amo anche io, lo sai…” e riprese a
piangere.
OUCH.
Il pugno
aveva fatto male, ma questo ancor di più.
Com’era
possibile?!
L’amore
doveva vincere, doveva… Vincere.
Maledizione,
aveva solo fatto tornare quei due insieme.
Guido
incrociò lo sguardo della ragazza e capì che
quello era il momento in cui se ne doveva andare. Scosse la testa e
uscì dalla stanza: il Dio dell’amore si era fatto
beffe di lui. Certo, una coppia si era ricomposta ma doveva andare
proprio in questo modo? Non gli sembrava affatto equo. Si
sbatté la porta alle spalle mentre tornava mogio verso il
suo appartamento, massaggiandosi la tempia. Aveva recuperato il suo
adorato berretto e rimediato un limone ma ora probabilmente per colpa
di quel buzzurro gli si sarebbe gonfiata la faccia e la sua avvenenza
sarebbe drasticamente diminuita. Doveva correre in casa a metterci del
ghiaccio e…
E la porta
era chiusa.
Strano, era
convinto di averla lasciata aperta.
Un brivido
gli corse per la schiena, mentre si frugava fra le tasche dei pantaloni.
Non aveva le
chiavi.
Non solo
quelle di casa, non aveva nemmeno le chiavi dell’auto o il
telefono o qualsiasi cosa. Figuriamoci la pistola. Non avevo
assolutamente niente di niente. Era uscito di corsa ma era dannatamente sicuro di
aver lasciato la porta aperta e adesso era pure rimasto fuori di casa.
“Cazzo,
cazzo, cazzooooooo!!” imprecò, calciando la porta.
Doveva
riflettere. Non aveva il telefono quindi non poteva chiamare nessuno.
Senza arma
non poteva far fare niente ai Pistols e comunque non sapeva dove
diavolo fossero le chiavi e nemmeno se potessero cercarle loro al posto
suo: non aveva mai provato a dargli compiti così complessi.
Si alzò e provò comunque a bussare sperando che
lo sentissero ma dall’interno sentiva solo la musica della
radio a tutto volume: perfetto.
Non aveva la
macchina né il portafoglio quindi non poteva andare troppo
lontano: Fugo aveva casa da tutt’altra parte quindi non
poteva andare da loro a cercare qualcosa per forzare la serratura.
Ma come
diavolo faceva ad aprire una porta senza…
Ma certo.
Bucciarati
abitava a qualche chilometro di distanza: non era vicinissimo ma a
piedi ci sarebbe potuto arrivare comunque agevolmente. Gli avrebbe
aperto una zip e sarebbe stato dentro casa sua in meno di un secondo e
senza forzare la serratura. Geniale, perfetto, incredibile.
Corse di
nuovo giù per le scale, passando davanti alla porta di
quella traditrice della sua vicina di casa, sentendo che avevano spento
la musica e non si sentivano più le urla: maledetta
bastarda. Lui e il suo cuore tenero si facevano sempre fregare dalle
donne che piangono. Non era nemmeno poi così carina, e aveva
pure l’alito cattivo.
Sì,
avrebbe avuto decisamente di meglio oggi, ma per ora gli pulsava
soltanto la tempia.
Uscì
fuori dal portone e realizzò che fuori era freddo e lui era
in canotta.
La gente
aveva la giacca e lo guardava con una certa curiosità.
Oh, beh. Non
gli restava altra scelta.
Iniziò
a correre.
“Ohi,
ma quanto ci mette Mista a tornare?” si lamentò
Numero Cinque, dondolandosi sul tamburo della pistola.
“E
che ne so… Ha detto che faceva subito ma è un
po’ che è via ormai. Chissà
perché non ci ha portato con lui.” gli rispose
Numero Due, rosicchiando un biscotto che era rimasto incustodito sul
tavolo della cucina.
“Magari
ha un appuntamento” ridacchiò Numero Uno,
improvvisando degli addominali mentre Numero Sei gli teneva i piedi
fermi.
“Sicuro!
Aveva talmente tanta fretta!” ribatté Numero
Sette, tentando di rubare un pezzo di biscotto a Numero Due.
“Meno
male che gli abbiamo chiuso noi la porta di casa, sennò gli
avrebbero rubato pure le mutande” sentenziò Numero
Tre.
“Meno
male!”
“Meno
male.”
***
Quando Mista
arrivò davanti casa di Bucciarati non aveva più
freddo.
Si
appoggiò sulla ginocchia per riprendere fiato e vide con
enorme sollievo che l’auto di Bruno era parcheggiata vicino
casa e quindi con ogni probabilità non era uscito:
realizzò solo in quel momento che la cosa non era affatto
scontata.
Bene,
l’universo stava ripagando il debito che aveva contratto con
lui.
Non ebbe
bisogno nemmeno di suonare al citofono perché una signora
che stava uscendo mantenne provvidenzialmente aperto il portone: la
ruota stava decisamente ricominciando a girare nella sua direzione.
Forte di questo pensiero bussò con sicurezza alla porta di
Bucciarati, ormai certo che lo avrebbe trovato lì e che
avrebbe risolto tutti i suoi problemi.
Nessuna
risposta.
Il campanello
non c’era: casa di Bucciarati era un B&B che gli
avevano concesso di occupare in maniera esclusiva per via dei suoi
contatti con Polpo e non si erano mai preoccupati di installarlo. Bruno
aveva l’udito fino e di solito rispondeva sempre e in quei
rari casi in cui non sentiva bastava chiamarlo al cellulare ma Mista
non lo aveva con lui.
Bussò
ancora: “Bucciarati? Lo so che sei in casa, ho visto
l’auto.”
Niente.
Che strano.
Dove poteva
essere andato a piedi, di martedì mattina, alle nove e
quaranta?
Forse a
comprare il pane. O il caffè.
Si sedette
sulle scale: magari la cosa migliore era rimanere lì ad
aspettarlo.
Giocherellò
con l’ampia foglia di una pianta ornamentale che era stata
messa all’ingresso quando notò qualcosa di
luccicante in mezzo alla terra.
Poteva mai
essere…?
Sì,
ma certo, una chiave di riserva!
Ti pare che
non ne avesse nascosta una in caso di emergenza?
Ovvio,
Bucciarati era sempre previdente.
Strano che non l’abbia
messa in una zip, ma ehi… Così anche uno di noi
può recuperarla. Pensa sempre a tutto Bucciarati,
pensò fra sé e sé Mista – ed
in effetti la supposizione era giusta, ma in maniera solo parziale.
Bucciarati aveva pensato a qualcuno, non a tutti.
Ed in
effetti, quando infilò la chiave nella serratura, la porta
si aprì immediatamente: Mista si ritrovò nel
piccolo disimpegno che faceva immettere nella sala da pranzo di Bruno.
“Bucciarati,
sei in casa?” annunciò la sua presenza
sonoramente, ma smise subito di chiacchierare quando si accorse che sul
tavolo della cucina c’era una bottiglia di vino chiaramente
vuota.
Caspita,
forse stava ancora dormendo. Magari si era fatto un bicchiere prima di
andare a letto.
“Hai
sentito?” Bruno spinse via Leone, mettendosi a sedere sul
letto.
“Guarda
che è un trucco vecchio” ridacchiò
Leone, continuando a mordergli il collo.
“No,
no, ti giuro, ho sentito qualcuno in casa” insisté
Bruno, visibilmente in ansia.
“Bucciarati?”
a Mista pareva di aver sentito delle voci.
Cazzo, magari
lo aveva svegliato, ma era un’emergenza. Come altro poteva
fare?
“Bucciarati,
io… Non so se ti ho svegliato, sono… Sono io,
Mista. Ho trovato la chiave fuori…” forse stava
facendo troppo casino, ma non sapeva più cos’era
educato ormai a quel punto.
Leone
si risollevò dal letto con un’espressione omicida
in volto.
“CHE
CAZZO CI FA MISTA A CASA TUA?”
“SSSHHHH
cosa urli, fai piano! Avrà trovato la chiave
fuori…”
Bruno
rotolò via da un lato del letto cercando disperatamente di
nascondere tutto nel caos del suo armadio quando capì che la
cosa migliore era aprire una zip e buttarci tutto dentro di corsa.
Sì,
c’era qualcuno in camera da letto, Mista poteva giurarci.
Bucciarati
era sicuramente sveglio e forse… Parlava al telefono?
Gli sembrava
ci fosse più di qualcuno. Si avviò verso il
corridoio.
“Io
lo ammazzo, Bruno, te lo giuro…” Leone
cercò qualcosa da mettersi ma Bruno aveva lanciato tutto
letteralmente dentro al pavimento e aveva coperto la zip con un cuscino.
“Questo
non succederebbe se ti decidessi a tenere quella dannata
chiave” Bucciarati stava cercando in fretta in mezzo a un
mucchio di panni dell’intimo che poteva definirsi accettabile
per un maschio eterosessuale.
“AH,
ADESSO SAREBBE COLPA MIA?” Abbacchio, agitato come poche
volte nella sua vita, non trovava i suoi boxer da nessuna parte.
“SHHHHT
TI HO DETTO!” Bruno aprì una zip dentro
l’armadio mentre saltava letteralmente dentro un paio di slip
“Entra qui dentro”
“COSA?”
“Bucciarati?”
Mista bussò alla porta, tendendo l’orecchio.
Ora era
davvero certo che fosse sveglio, si sentiva chiaramente un brusio nella
stanza.
“Posso…
Entrare?”
“MUOVITI
ENTRA QUI DENTRO!” Bruno si portò le mani alla
testa, disperato.
Leone
non rispose ma lanciò uno sguardo che avrebbe incenerito una
divinità ed entrò in quella maledetta zip.
Bruno
chiuse l’anta dell’armadio e si lanciò
alla porta della stanza mentre Mista stava per…
“MISTA!”
si rese conto che stava urlando, mentre teneva la maniglia della porta
con la mano.
Mista lo
squadrò: sembrava accaldato e aveva i capelli in disordine.
“Mista.”
ripeté Bucciarati, cercando di assumere il suo solito tono
calmo. “Che… Che cosa ci fai qui?”
“Ehm…
Scusami Bucciarati, io… Non… Non volevo
disturbarti ma sono rimasto chiuso fuori casa. Non ho il telefono, le
chiavi, non ho niente e non sapevo come fare, scusami,
scusami…” si portò letteralmente le
mani al petto, pregandolo. “Ho trovato la chiave e ho
pensato…”
Bucciarati si
accorse che era Mista era sudato fradicio. Doveva essere davvero
disperato.
Sospirò.
Non c’era mai pace.
“Va
bene, ho capito. Fammi andare un attimo in bagno e andiamo.”
si chiuse dietro le spalle e volò nella porta accanto, il
più veloce possibile per evitare che Mista potesse notare
certi segni che alla luce del giorno erano piuttosto difficili da
nascondere.
“Grazie
Bucciarati, sei il migliore!” saltellò Mista:
sapeva che su di lui si poteva sempre contare. Si appoggiò
alla porta della camera e accidentalmente la spinse: la maniglia era un
po’ lenta e quasi rischiò di cadere ma riprese
subito l’equilibrio. Facendo quel movimento però,
lo sguardo gli andò verso l’interno della stanza e
si posò su… Qualcosa.
Sapeva che
non era educato guardare ma a contrasto con il pavimento e
l’arredamento chiaro della camera di letto di Bucciarati era
impossibile non notare… Delle… Cinghiette?
Guardò
verso la porta del bagno: l’acqua scorreva.
Si sporse
ancora un po’ verso l’interno della camera da letto
per guardare meglio e… Eh sì, erano proprio delle
cinghie in pelle, e sembravano andare sulla… Parte superiore
del corpo?
Ora, Mista
sapeva che ogni tanto Bucciarati metteva cose strane ma quello non era
nemmeno abbigliamento, non ti saresti mai messo una roba
così per uscire. Era… Una roba… Per
fare…
“Mista?!”
la voce di Bucciarati lo fece saltare di paura.
“S-sì?”
si voltò di scatto ma per fortuna la porta del bagno era
ancora chiusa.
“Mi
faresti un caffè per favore?” lo pregò
Bruno.
“Certo,
certo Bucciarati! Come lo vuoi?” si avviò verso la
cucina cercando di non pensare a quali giochi viziosi si potessero fare
con quel completino.
“Lungo”
rispose pronto Bruno.
Mista
rovistò in giro, aprendo cassetti e credenze
finché non trovò tutto l’occorrente,
continuando a ragionare su quali tipo di fantasie perverse potesse
avere un tipo come Bucciarati.
Allora è vero che i
tipi più quieti e composti sono quelli più zozzi,
pensò Mista mentre riempiva la moka con esattamente tre
cucchiaini. Si sedette al tavolo mentre aspettava che il
caffè salisse e un pensiero ancora più
sconvolgente lo folgorò.
Cazzo,
ma… Se il completo era lì, dov’era la
ragazza?
Aveva
lanciato solo un’occhiata ma sembrava che non ci fosse
nessuno in camera da letto.
Mentre
rifletteva su questa possibilità, gli cadde
l’occhio su un particolare che prima non aveva notato:
accanto alla bottiglia di vino c’erano due bicchieri vuoti.
Non solo: su
uno dei due bicchieri c’era chiaramente traccia di un
rossetto nero.
Mista lo
sollevò per guardarlo come se fosse un detective in cerca di
prove.
Rossetto
nero, cinghiette…
Ma che tizie
si scopava, Bucciarati?
Questa non
era una semplice ragazza, era una…
Nella sua
mente cominciarono ad accavallarsi fantasie di prosperose donne vestite
di latex che pronunciavano soavemente il suo nome, meravigliose regine
della notte pronte a fargli infilare la testa fra le…
“Mista??”
di nuovo la voce di Bruno, stavolta fuori dalla porta del bagno, lo
riscosse da quel sogno ad occhi aperti che lo stava facendo diventare
rosso.
“E-eh?
Sì?” Guido si passò una mano fra i
capelli e si risistemò il berretto.
“Fammelo
doppio il caffè, va”
***
Montarono
entrambi in macchina senza dire una parola: Bucciarati si era stampato
un sorriso gentile in volto ma sapeva di aver lasciato Leone a casa
nudo, incazzato come una furia e a bocca asciutta. Se non fosse tornato
a casa il più in fretta possibile, lo avrebbe trovato
probabilmente con la testa spaccata al muro dal nervoso. Non si era
nemmeno pettinato i capelli.
Mista per un
po’ rimase in silenzio, osservando l’assoluta
tranquillità di Bruno, continuando a riflettere sui suoi
sorprendenti gusti sessuali. Chissà quando
l’avrebbe detto a Fugo che faccia avrebbe fatto. Sapeva che
avrebbe dovuto stare zitto, ma non riuscì proprio a
trattenersi: era più forte di lui, doveva andare in fondo a
questa faccenda.
“Bucciarati,
io… Scusami, avrei dovuto capirlo subito
che…”
“Che
cosa?” Bucciarati rispose pronto, senza nemmeno guardarlo
negli occhi, continuando a tenerli fissi sulla strada: una statua.
“Che
non eri da solo, insomma.”
Silenzio.
Bruno era
immobile ma stava sudando freddo. Come aveva fatto a capire che
c’era Leone? No, aspetta, non doveva saltare alle
conclusioni, magari non aveva capito niente e pensava che fosse in
compagnia ma… Oh mio dio, forse aveva lasciato qualcosa
fuori dalla zip…
“Mnh,
tranquillo” si limitò a rispondere.
“Sì,
cioè… Ecco, per sbaglio ho visto
quelle… Insomma… Non so nemmeno come si chiama,
però era sexy, non c’è che
dire…”
Bucciarati
continuò a usare tutta la sua forza di volontà
per non muovere nemmeno un muscolo facciale, non stava nemmeno
sbattendo le ciglia probabilmente.
“Ecco…
Anche se non parliamo mai di queste cose…” Mista
gli diede una pacca sulla spalla e Bruno si irrigidì ancora
di più ma il suo viso continuava a non dimostrare alcuna
emozione. “Devo farti i complimenti, capo… Una
tipa che mette cose del genere deve essere proprio una gran
p…”
“Tu…
Hai visto il completo?” scandì con calma assoluta
Bruno.
“S-sì,
te l’ho detto, non volevo! Non era mia intenzione, ecco, era
solo per… Farti i complimenti, cioè, io una
così non… Non saprei… Ma sicuro deve
essere bella parecchio, eh, ci scommetto Bucciarati, le tipe stravedono
per te…”
Bruno si
morse il labbro per non ridere d’imbarazzo: Mista aveva
capito ma allo stesso tempo non
aveva capito assolutamente niente. Questa la devo dire a Leone,
pensò e poi accelerò ripensando che probabilmente
Abbacchio non avrebbe riso proprio per nulla.
Mista era un
po’ deluso: niente, non c’era modo, Bucciarati non
si sbottonava. Non erano in confidenza ma si aspettava almeno un paio
di particolari piccanti…
“Dai,
insomma… Dove l’hai trovata una
così?” lo incalzò, ostinato.
Bucciarati
sospirò: aveva capito che Mista non si sarebbe arreso se non
avesse avuto qualche dettaglio in più. “A dire il
vero… Mi ha trovato lei.”
“AHHHHH,
NON CI POSSO CREDERE BUCCIARATI, TI CADONO LETTERALMENTE AI
PIEDI!” Mista si sbatté i palmi sulle ginocchia:
ma come faceva? Un vero seduttore.
Bruno
alzò le spalle.
“E
te ne stai lì come se fosse normale, cioè, pensa
quanto sei abituato a essere circondato da belle ragazze”
Mista scosse la testa, sconvolto da come quella fosse a quanto pare la
normalità per il suo affascinante capo. “Ma hai un
segreto? Fai qualcosa in particolare?”
Bucciarati
ripensò ai suoi segreti
e alle sue cose
particolari.
“No,
non direi. Cerco di… Essere spontaneo”
Incredibile.
Quanto lo invidiava. Mista sospirò, tenendosi il berretto
fra le mani e grattandosi la testa: si accorse che adesso puzzava
davvero. Gli serviva una bella doccia.
“Beh,
dai, fammi sognare. Com’era la tipa? Dai ti prego, ti
prego…” lo implorò Mista.
“Dimmi qualcosa.
“Beh..
Ha… I capelli lunghi e…” le spalle larghe e un
grosso…
Bruno
ridacchiò, pensando a quanto fosse surreale tutto quello che
stava accadendo.
Mista lo vide
ridere e non capì, forse era in imbarazzo a parlarne con
lui. “Dai, ora è inutile che fai il timido, ti
porti a letto le panterone e poi ti vergogni con me? Avanti…
Oh, ti sta chiamando Abbacchio, sai? Vuoi che rispondo?”
Mista vide il cellulare di Bruno buttato in quello che avrebbe dovuto
essere lo spazio per una bevanda che stava vibrando e lo prese in mano.
“NO!”
scattò Bucciarati, alzando lievemente il tono di voce.
“Non c’è bisogno, se è
urgente mi richiamerà”. Ma cosa gli saltava in
mente di chiamare? Doveva solo aspettarlo, ormai erano quasi arrivati:
la prossima svolta era casa di Mista.
“Ok,
ok…” Guido mise di nuovo il telefono a posto.
“Quindi dicevamo… I capelli lunghi e… E
poi? Tette?”
Bruno
tirò un sospiro di sollievo ma quando Mista lo
interrogò di nuovo pensò ancora a Leone: non
sapeva più se ridere o piangere.
“Abbondanti.”
“LO
SAPEVO, LO SAPEVO CHE SEI UN TIPO DA TETTONE… Ah, senti, una
domanda importantissima che non ti ho mai fatto: tette o
culo?” Mista pendeva letteralmente dalle sue labbra, quando
il telefono di Bucciarati suonò di nuovo. “Ah, ti
è arrivato un messaggio, forse è Abbacchio, te lo
legg…”
Bucciarati
inchiodò talmente forte che il telefono scappò di
mano a Mista e prima che potesse cadere Bruno lo afferrò al
volo e se lo mise in tasca.
“Siamo
arrivati, Mista.”
“EHI,
MISTA DOV’ERI?! CI STAVAMO PREOCCUPANDO!”
“MIIISTAAAAAAA!”
I Pistols
accolsero Guido vorticandogli intorno senza tregua ma lui non li stette
ad ascoltare: era troppo impegnato a riflettere su quello che aveva
scoperto su Bucciarati. Buttò la sua bella maglietta nuova a
lavare e abbandonò il resto sul pavimento del bagno: ora
aveva bisogno di una bella doccia.
“Ah…
Che meraviglia…” il getto bollente lo accarezzava
dolcemente e si rese conto che qualcosa in mezzo alle sue gambe era
stato particolarmente colpito da quello che aveva appreso.
Sperava che
il Dio dell’amore gli avrebbe concesso soddisfazione in altro
modo ma del resto la giornata non era ancora finita… E
soprattutto nessuno sapeva amarlo più di sé
stesso, giusto?
“Oh
beh… Meglio di niente” si appoggiò al
muro della doccia, fantasticando sui dettagli della creatura
paradisiaca che poteva aver indossato quel completino da seduttrice.
“Leone?”
Abbacchio si
affacciò dalla stanza con un’espressione assassina
in volto.
“Sei
solo?” abbaiò. Era ancora incazzato.
“Ti
chiamerei mai altrimenti?” Bruno abbandonò la
giacca sull’appendiabiti: erano appena le dieci e e mezzo ma
si sentiva già distrutto.
Leone
uscì dalla stanza a braccia incrociate, ancora nudo: Bruno
aveva buttato anche la sua biancheria nella zip ed aveva rinunciato a
mettersi qualsiasi cosa addosso.
“Dai,
ti prego, non fare quella faccia… Adesso ti faccio
ridere” Bucciarati gli schioccò un bacio veloce
sulle labbra. “Guido ha visto il completo.”
Leone lo
guardò con tanto d’occhi. “E cosa ci
sarebbe da ridere?”
Bruno scosse
la testa, ridacchiando. “Pensava fosse di una ragazza. E ha
detto che una tipa così, dev’essere
proprio… “ si avvicinò al suo orecchio
per sussurrargli la fine di quella frase.
Leone si
sforzò di rimanere serio ma il fatto che Mista non avesse la
minima idea che stava dando della gran qualsiasi cosa volesse dire ma
sicuramente non un poetico complimento a Bruno aveva un
ché di comico che riuscì a strappargli un
minuscolo sorriso all’angolo della bocca.
Bruno lo
beccò subito e sorrise in risposta, cercando di nuovo le sue
labbra, ma Leone si allontanò per fargli dispetto:
sospirò, immaginando già che avrebbe fatto un
po’ il prezioso per averlo mollato a casa in quel modo. Ma
che altro avrebbe dovuto fare?
Leone
stavolta rise con più convinzione, scuotendo la testa.
“E’
proprio un coglione. Però… Non ha tutti i
torti.”
Bruno lo
guardò con aria interrogativa e poi capì a cosa
si riferiva Leone.
“Non
sai nemmeno cosa voleva dire” gli lanciò uno
sguardo languido.
“Allora
facciamo che te lo dico io” Abbacchio lo tirò a
sé e glielo sussurrò nell’orecchio.
Bruno
ridacchiò compiaciuto e si baciarono ancora, stavolta con
più trasporto.
“Allora…
La chiave…”
“Sht.
Dopo.”
***
“…
l’avresti mai detto, eh? Che storia,
cazzo…”
Fugo stava
mescolando le uova con l’olio di semi mentre era al telefono
con Mista, ascoltando i clamorosi
scoop sulla vita sessuale di Bucciarati. Peccato che lui
ne sapesse fin troppo sulla vita amorosa di Abbacchio per riuscire a
unire tutti quei puntini e figurarsi un quadro che non era finito in
tragedia per puro miracolo.
“Allora,
non dici niente? Sei scioccato?” lo incalzò Mista.
“S-sì…
Cioè… Chi l’avrebbe mai detto, eh?
Bucciarati che fa certe cose…” Fugo
continuò ad agitare il composto, ringraziando i cieli che
Mista avesse una sorta di provvidenziale velo di incapacità
nel comprendere certe cose.
“Cosa,
cosa? Cosa fa Bucciarati?” si intromise Narancia
dall’altra parte della cucina, che si stava occupando della
parte solida del dolce.
“Niente
Narancia, lascia stare… Hai fatto?”
“Sì
ma il lievito non ci basta, sai?”
“Come
non ci basta? Ne avevamo quattro bustine” Fugo lo
guardò perplesso.
“Eh
sì, ma nella ricetta dice di mettere 102 cucchiaini di
lievito, sono tanti 102 Fugo”
Fugo si
avvicinò a Narancia e al foglio con la ricetta della torta
di fragole, l’unica cosa che aveva ereditato dalla sua
famiglia. Aveva trovato quel foglietto in una vecchia giacca che
utilizzava per andare da sua nonna in campagna: non ricordava nemmeno
di averlo mai scritto.
Era
l’unica persona che gli avesse mai dimostrato un
po’ di affetto ma era morta quando aveva dodici anni e
trovare quell’appunto lo aveva riempito di nostalgia: la
torta di fragole era la sua preferita. Chissà quando
gliel’aveva messo in tasca quel pezzo di carta.
“Narancia…”
Fugo sospirò, portandosi una mano alla fronte.
“Che
c’è? CHE HO FATTO? HO SEGUITO LA
RICETTA!” iniziò subito a giustificarsi Narancia,
sapendo già che quando Fugo faceva così
c’era un cazziatone in arrivo.
“C'È
SCRITTO UNO O DUE CUCCHIAINI DI LIEVITO! COME FAI A ESSERE
COSÌ SOMARO, NON È POSSIBILE!”
Mista
sentì chiaramente il rumore di qualcosa che si rompeva.
“MA
È SCRITTO MALE FUGO, MI SONO SBAGLIATO!”
“IL
TUO CERVELLO È SCRITTO MALE, COME CAZZO FAI A
PENSARE CHE CE NE VADANO CENTODUE! CENTODUE SONO I CEFFONI
CHE…”
La telefonata
si interruppe con un paio di altri suoni che indicavano chiaramente che
Fugo stava lanciando tutto in aria.
Mista
appoggiò il telefono sul sedile, come se avesse paura che
potesse volargli un piatto in faccia da un momento all’altro.
Caspita, qui
il più normale era lui in quel gruppo sgangherato.
Continuò
a guidare in cerca di un parcheggio mentre ripassava il da farsi nella
testa.
Bisognava
andare dalla moglie di un affiliato di Passione per riscuotere un
debito: Polpo aveva chiamato Bucciarati mentre erano a casa di Mista e
Guido per sdebitarsi dell’aiuto con la porta si era offerto
di andare al posto suo.
Bruno fu ben
lieto di cedergli l’incombenza e gli spiegò i
particolari nel dettaglio: il marito aveva chiesto un prestito a
Passione per aprire una piccola attività commerciale che
però non stava andando così bene. Il debito si
era progressivamente ingigantito al punto che il tipo aveva preferito
darsela direttamente a gambe e per ora ci era riuscito piuttosto bene.
Dal momento
che la gestione di Bruno era per usare al minimo i modi violenti,
avevano deciso di fare un ultimo tentativo cercando di fare ragionare
la moglie: magari lei, preoccupandosi per la salute del marito, avrebbe
sganciato qualcosa o almeno lo avrebbe convinto a tornare per avere
salva la vita e contrattare i termini della riscossione. Chi scappava
non faceva mai una bella fine.
Il telefono
di Mista squillò di nuovo: era Fugo.
“Tutto
bene?” chiese preoccupato Guido.
“Guido…”
la voce di Fugo era di una calma ultraterrena. “Potresti
comprarci del lievito per favore, già che sei
fuori.”
“Certo”
Mista non immaginava in che condizioni fosse la cucina.
“E
anche… Delle garze, per cortesia.”
Mista
arrivò all’indirizzo che gli aveva dato
Bucciarati: era un piccolo appartamento a piano terra, una casetta
isolata con il portone principale che dava direttamente sulla strada
protetto da una grata metallica. Non sembrava la casa di qualcuno che
avesse dei soldi in effetti, ma ehi, era il loro lavoro e Bruno era un
tipo morbido: altri spezzavano le gambe ai debitori e fine della storia.
Bussò
guardandosi intorno con aria circospetta, non sapendo bene che cosa
aspettarsi: la moglie poteva essere in allerta e non aprire a nessuno.
Attese un
po’ davanti alla porta giocherellando con il calcio della
pistola finché una voce dall’altra parte del
portone non rispose con un deciso “Chi
è?”
“Signora…
Io… Sono di Passione” Mista preferì
essere diretto. “Devo parlarle di suo marito.”
Di solito a
quel punto le persone o diventavano estremamente servili e aprivano
immediatamente oppure si barricavano in casa sperando che andasse tutto
per il meglio.
La signora si
limitò a rispondere “Certo” e si
sentì il rumore di qualcosa che girava nel chiavistello. La pupa ha sangue freddo, non
c’è che dire, pensò Mista.
Quando il
portone si aprì c’erano ancora le grate a
separarli ma Guido vide subito che non sembrava nemmeno una vecchia
bacucca, anzi… Effettivamente non si era informato
sull’età e…
Wow.
Davanti a lui
c’era una ragazza splendida: poteva avere al massimo una
trentina d’anni ma non era importante
l’età, non era mai stato un problema
finché erano maggiorenni.
Capelli
liscissimi e meché bionde, unghie lunghe laccate di rosso,
ciglia infinite e soprattutto due enormi, gigantesche…
“Prego,
entri pure. Le offro un caffè” sorrise lei
suadente: aveva un diamantino sull’incisivo.
Guido si
ringalluzzì: ecco il vero regalo del Dio
dell’amore.
Oggi, nella
festa dell’amore, quella povera donna era rimasta sola. Il
marito era fuggito, chissà quando sarebbe tornato e lei era
così bella perché molto probabilmente sperava che
qualcuno potesse consolarla per quella perdita. Oppure, ancora
più astuta, immaginava che prima o poi sarebbe venuto
qualcuno di Passione e sperava di sedurlo con la sua bellezza per
trattare il debito del marito. Inutile dire che con Mista avrebbe
funzionato bene a tal punto che l’avrebbe pagata lui la prima
rata per uno schianto del genere. Anche intelligente, sì,
gli piaceva quella teoria.
Mista si
sistemò il cappellino sulla testa, si tirò ben
dritto sulla schiena ed entrò in casa ringraziando
mentalmente Bucciarati per avergli mollato quel compito –
ecco, ora aveva tutto senso, anche essere rimasto chiuso fuori casa era
una macchinazione del destino per far sì che quelle due
anime solitarie si incontrassero, persino la vicina era soltanto una
piccola deviazione per portarlo qui!
La ragazza lo
fece accomodare in cucina, piuttosto dimessa ma con evidenti tocchi
femminili che ne ingentilivano l’aspetto umile: la moka era
rossa fiammante e Guido era troppo preso dall’esaminare le
sue curve per notare che aveva messo quattro cucchiaini
di miscela nella caffettiera.
“Allora…
Come hai detto che ti chiami? Oh scusami… Ti sto dando del
tu…” iniziò ad attaccare bottone lei,
con aria un po’ svampita.
“Oh
ma certo, dammi pure del tu… Siamo così
giovani” Guido ridacchiò, buttando
all’aria tutta la serietà che si suppone dovesse
avere un mafioso che andava a riscuotere una cifra considerevole
“Io sono Guido, e tu sei…?”
“Angela,
molto piacere” lei allungò la mano, un
po’ ruvida ma perfettamente curata: Mista la strinse e decise
di lanciarsi in un baciamano che in quel momento gli sembrava
estremamente galante.
Angela, quale
altro nome poteva avere una creatura così splendida.
La ragazza
sorrise, ridacchiando imbarazzata “Ma che gentile…
Non pensavo che quelli di Passione fossero così
giovani… E carini…” Prese un paio di
tazzine dalla credenza, alzandosi sulle punte e lasciando che le sue
forme generose fossero ancora più in vista: Mista non si
sforzò nemmeno di guardare da un’altra parte ma
anzi approfittò per valutare anche il lato B: dieci.
“G-grazie…
Beh… Non tutti ma… Io sono un dei più
carini, modestamente” meglio mettere subito le cose in
chiaro, prima che la tipa pensasse che ci fosse un catalogo su cui
scegliere. Ah, e poi Bucciarati questa qui non doveva mai vederla
altrimenti avrebbe fatto il suo incantesimo e bum! Ci sarebbe cascata
pure lei. Continuò a ringraziare mentalmente di essersi
offerto al posto suo.
“Non
ne dubito” rispose lei pronta “Quanto
zucchero?” sorrise gentile.
Mista
ridacchiò di nuovo, ma poi pensò che era comunque
al lavoro e non poteva rispondere tutto
quello che vuoi, bambola. “Uno. Uno mi
basta…”
Angela gli
mise davanti la tazzina e si sedette accanto a lui, prendendo la sua:
entrambe avevano un che di kitsch, con dei cuori rossi disegnati sopra,
ma anche questo Guido lo prese come un segno del destino. Lei era
praticamente già sua.
“Senti
Guido… Io… Immagino che tu sia venuto qui per i
soldi, e devo dirti… Ero molto spaventata quando hai
bussato…” lei gli appoggiò una mano
sulla gamba e Guido cercò di trattenere uno scatto. Caspita,
la cosa stava andando veloce, molto veloce. Meno male che si era fatto
la doccia.
Butto
giù il caffè in un sorso e appoggiò la
mano su quella di lei. “Non preoccuparti, non sono qui per
farti del male Angela. Ma dobbiamo parlare di tuo marito.”
Lei
annuì, accarezzando delicatamente la mano di lui.
“Sì, certo, lo immaginavo che non fossi qui per
me” sorrise timidamente.
Lui
ricambiò il sorriso: fosse stato per lui, altro che marito.
Anzi, meno male che era scappato.
“Purtroppo
sono qui per lavoro, però… Certo, io non
scapperei con una moglie così bella accanto, se
può consolarti” Guido le strinse la mano, sapendo
che doveva giocare bene le sue carte per portare a casa capra e cavoli.
“Oh,
Guido, lo dirai sicuramente a tutte… Un tipo come te
chissà quante ne deve avere di ammiratrici”
Mista avrebbe
voluto piangere: finalmente una donna che aveva buon gusto, che lo
apprezzava!
“Non…
Cioè… Non lo dico per dire, sei veramente
bellissima, credimi.” Mista intrecciò le dita con
le sue. “E per questo mi dispiace ancora di più
venire da te a parlare di soldi, ma vedi, tuo marito ci deve una grossa
cifra e se tu potessi aiutarci a rintracciarlo…”
“Non
mi ha detto dov’è andato…”
lei scosse la testa, abbassando lo sguardo. “Sono rimasta
tutta sola…”
Perfetto.
Cioè, terribile. Nel senso, di solito Passione se la
prendeva con la famiglia e sapeva benissimo che a quel punto avrebbe
dovuto minacciarla per far sì che il marito tornasse o
almeno fare pressioni. Ma allo stesso tempo lui se l’era data
a gambe quindi c’era almeno una metà del letto
vuota che poteva benissimo essere scaldata da Mista.
“Certo…
Io… Mi dispiace, è davvero uno stronzo ma
io… Capisci, in qualche modo dobbiamo riscuotere il debito e
tu sei sua moglie quindi…”
Lei
cambiò radicalmente espressione quando cominciò a
intendere che c’erano anche i suoi soldi in ballo ma
cercò di mantenere la facciata.
“Non
capisco… Sono cose complicate sai, magari potresti spiegarmi
meglio” lei gli si avvicinò al viso, protendendo
le labbra in maniera provocante.
Mista la
guardò, completamente schiavo di lei: fanculo i soldi,
fanculo tutto, ne valeva la pena per una così ma…
Cristo, se non avesse recuperato quei soldi Bucciarati si sarebbe
incazzato, sarebbe venuto a trattare di persona e sarebbe tutto finito.
“Ascolta…
Di solito non lo faccio ma magari posso chiedere una proroga intanto
che racimoli un po’ di soldi, magari il mio capo
può parlare col Boss…” le
accarezzò i capelli, scostandoglieli dal viso, mentre si
avvicinava a quelle labbra che sembravano così
invitanti…
Angela si
irrigidì immediatamente. “Devo… Devo
pagare io?”
Mista rimase
lì, a un passo da quella bocca. “Beh, magari non
subito ma… Sei sua moglie e il ristorante è
intestato a entrambi quindi… Prima o
poi…” poi,
poi, parliamone dopo, per favore pensò Guido
mentre si spingeva avanti di un altro millimetro.
“BASTARDO!
INFAME!” Angela si alzò di scatto e quella
meravigliosa creatura d’un tratto divenne un demone
infernale. “IO NON PAGO NIENTE, HAI CAPITO? E’
INUTILE CHE PROVI A FARE IL CASCAMORTO CON ME!”
Guido rimase
di sasso, immobile in quella posizione: si poteva ancora intravedere il
contorno di lei che si supponeva stesse accanto alla mano che ora
pendeva a mezz’aria.
“Il…
No, ma hai frainteso… Cioè, senti, stai
tranquilla ora…”
“IO
NON STO TRANQUILLA PROPRIO PER NIENTE! IO NON CACCIO FUORI UNA LIRA PER
QUEL CORNUTO DI MIO MARITO, HAI CAPITO? PER QUANTO MI RIGUARDA POTETE
PURE BUTTARLO A MARE CON UN SASSO, IO NON PAGO!”
Ora Mista
aveva paura, seriamente. Come erano arrivati fin qui? Cosa aveva
sbagliato?
“Angela,
non… Non lo buttiamo al mare, e nemmeno
te…”
“AH,
QUINDI ERA QUESTO IL TUO PIANO! VOLEVI SEDURMI PER POI
AMMAZZARMI!” e a quel punto la situazione degenerò
in maniera irreparabile: Angela cominciò a tirargli addosso
tazzine, stoviglie, pentole e un quantitativo inimmaginabile di
attrezzi da cucina al punto che Mista dovette farsi scudo con entrambe
le mani.
“AHI!
AHIA! ANGELA, PERÒ TI DEVI STARE CALMA, MI FAI
MALE!”
“FUORI
DA CASA MIA O CHIAMO LA POLIZIA E DICO CHE HAI CERCATO DI VIOLENTARMI!
FUORI!”
Guido era
disperato ma quel cazzo di forchettone da spaghetti gli aveva fatto
talmente male che decise di seguire il consiglio e precipitarsi fuori
dall’appartamento.
BEEP!
BEEP!
La cassiera
del supermercato ne vedeva tutti i giorni di gente strana, ma quel tipo
vestito alla moda, con la faccia gonfia e un sopracciglio spaccato che
comprava dieci confezioni di lievito e un pacco di garze con
un’aria distrutta era uno dei più strani che
avesse mai visto. Forse il lievito gli serviva per tagliare la cocaina?
Meglio non impicciarsi in certe cose.
BEEP!
BEEP!
***
“Buona
questa torta, Fugo…” Mista ne prese un altro
pezzo, accomodandosi sul divano.
Fugo era
seduto in mezzo e aveva lasciato la fragola per ultima, appoggiandola
sul piattino. “Non doveva offrirtelo una bella ragazza il
dessert?”
“Ne
ho avuto abbastanza delle donne per oggi” tagliò
secco Mista con aria afflitta. Si era presentato a casa dei due con una
cera talmente brutta che né Narancia né Fugo
osarono fare domande: aprirono il lievito e le garze e attesero che la
torta cuocesse senza dirgli una parola.
“Sei
tu la mia donna, Fugo”
“Che
cosa gay, Mista” Narancia fece una faccia disgustata,
afferrando la fragola che Fugo aveva lasciato nel piattino
“Non la mangi questa?”
“NON
OSARE” Fugo gli piantò una forchetta nella mano
con talmente tanta forza che gli uscì il sangue.
“AHIA,
TESTA DI CAZZO, CHE MALE!” Narancia gli spaccò il
piattino vuoto sulla testa.
“Le
garze sono sul tavolo…” ciancicò Mista,
mettendosi in bocca un altra fetta di dolce.
E dire che
quei due si volevano un bene dell’anima…
E a un tratto
l’illuminazione.
Il pugno in
faccia, i vestitini di pelle, il sangue, le botte.
Il Dio
dell’amore era un tipo ben strano: meglio non averci niente a
che fare.
***
Complimenti
per essere arrivati fin qui!
Questa fic spin-off di Falling
Home nasce
anzitutto perché mi è stata commissionata da
Alianorah, la mia prima lettrice che si è innamorata
perdutamente di Mista. E confesso, da quando ho cominciato a inserirlo
nella storia anche io ho cominciato a nutrire un debole per lui al
punto di volere una storia dedicata solo a questo adorabile idiota. Ho
approfittato per inserirci un po' di BROTP NaraFugo - sì
ragazzi, la loro convivenza per me va così - e ovviamente
non potevo dimenticarmi dei miei BruAbba, sempre presenti nel mio cuore.
Dal momento che mi
serviva la spinta giusta, ho creato un'apposita playlist
su Spotify con le canzoni che sono state
citate nel capitolo più altre che contribuessero a creare un
"Mista mood".
Le canzoni
esplicitamente citate sono:
"The Loco-Motion" -
Grand Funk Railroad
"Get It On" - T.Rex
"Hooked on a Feeling" -
Blu Swaede
"Come a Little Bit
Closer" - Jay & The Americans
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