EXARION - Parte II: Eco di Sirene

di KaienPhantomhive
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Intermezzo

 

18 Giugno 2050. Ore 18:45.

Isola di Mauna Kea; Arcipelago delle Hawaii.

 

Garriti di gabbiani sorvolavano un oceano calmo, sfumato di viola e arancio, dove il Sole si era già quasi del tutto andato ad annegare. Il profumo della sera, dei fiori tropicali e della salsedine si univa allo sciabordio delle onde, chiudendo quell’angolo di mondo in una bolla di pace.

Molto più alto, dove il verso degli uccelli lasciava il posto a grandi silenzi, le cupole bianche dell’Osservatorio Astronomico del Pacifico scintillavano nel tramonto dalla vetta del vulcano Mauna Kea. Due figure – due donne dalla carnagione scura – se ne stavano appoggiate al parapetto della terrazza panoramica.

“Ma quanto ci vuole? Ho fame e devo ancora fare i bagagli.” – chiese la più giovane, senza staccare gli occhi dallo smartsquare su cui digitava ininterrottamente. Aveva lunghi capelli rasati sul lato sinistro e raccolti in una coda alla base del collo; in origine avrebbero dovuti essere neri ma ora erano coperti da uno strato di tinta rosso pompeiano. Non poteva avere più di venticinque anni.

“Eccomi, eccomi. Scusatemi, signore!” – fu la squillante risposta che venne da un uomo appena uscito da uno degli osservatori. Era un bell’uomo che non aveva ancora raggiunto i quaranta, indiano forse, con barba e capelli curati e – da quanto si poteva evincere dai muscoli dell’avambraccio messi di evidenza dalle maniche rigirate della sua camicia – anche piuttosto in forma. Nella mano destra reggeva una valigetta metallizzata che non sembrava avere alcuna chiusura visibile.

“Ce ne hai messo.” – l’altra donna, più vicina all’età del suo interlocutore di quanto non lo fosse la prima ragazza, si voltò verso di lui – “Tutto in ordine?”

“Abbiamo ricevuto l’analisi comparata dei Registri dal laboratorio di Marte, dovrò stilare un rapporto e consegnarlo a tu-sai-chi. Quelli della VRIL Society scalpitano.”

“Ho saputo della Machine dei russi.” – la donna si accese una sigaretta e si sistemò dietro un orecchio una ciocca di lucidi capelli neri che le stava solleticando il viso.

“Già.” – lui si sgranchì la schiena – “Ora che è in mano nostra gli sviluppi del Prototipo potrebbero chiudersi entro i prossimi due mesi.”

“Giusto in tempo per la missione di recupero in Iraq.”

– la donna tirò ancora con la sigaretta e poi alitò via il fumo, fissando l’orizzonte. – “Prima però dovremmo vedercela con quell’altra Machine, quella che deve ancora risvegliarsi.”

“So che ti hanno messa a capo di Eleanor. Tratta bene la mia piccola, per favore.” – e le fece un occhiolino, a cui lei rispose scuotendo la testa come chi a che fare con un bambino incontentabile.

Poi la donna si guardò le punte degli stivali e i suoi occhi scuri si velarono di inquietudine conferendo ancora più durezza ai nobili lineamenti africani: “Se tutto procede come nei piani, ora inizieremo a fare sul serio. Anche per Amber sarà la prima volta.”

“Guarda che ti sento!” – il rimprovero che le giunse dalla ragazza riuscì a strapparle un sorriso.

“E allora?” – chiese infine, girandosi verso di lei – “Pensi che sarai grado, Amber?”

La ragazza che rispondeva a quel nome, ora di spalle, si staccò finalmente dal cellullare, sollevò la testa e la piegò di lato, fissando la coppia sue spalle con la coda dell’occhio. Sul viso spruzzato di lentiggini si stagliava un sorriso di eccitata trepidazione: “È tutta la vita che aspetto per questo momento.”

 





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