La
vita al centro d'addestramento era faticosa, estenuante, ma alla fine
non era nemmeno troppo male. Per qualche strana ragione, ogni
mattina, Beatris si svegliava col cuore pieno di calore. Forse era la
vicinanza con Mikasa, il loro dormire sempre insieme, a metterle il
buon umore, o forse la quantità innumerevole di nuove
amicizie che
stava stringendo. Tutte quelle persone, tutte le loro
particolarità,
la rallegravano, la divertivano, la distraevano. E poco importava se
non era un granché negli esercizi, se faceva sempre
più fatica
rispetto agli altri, durante le pause lei aveva sempre qualcosa e
qualcuno con cui sorridere.
Quella
mattina si vestì con la divisa il più velocemente
possibile,
affamata come poche volte lo era stata. Si infilò una
canottiera più
pesante sotto la camicia, quella notte aveva spolverato un po' di
neve le temperature erano particolarmente rigide.
«Dai,
Mikasa!» gridò, uscendo fuori dal dormitorio. Non
l'aspettò e
corse fuori.
Dietro
di lei, pochi istanti dopo, sentì l'urlo euforico di Sasha
mentre
correva per raggiungerla. «Ha nevicato!»
gridò, rossa in volto
forse per l'emozione o forse per il freddo. Beatris alzò gli
occhi
al cielo, ancora plumbeo.
«Forse
ne farà ancora in giornata» mormorò,
affascinata dal colore opaco
delle nuvole. Una palla di neve, piccola e ben compattata, tanto da
sembrare più ghiaccio vivo, le volò incontro e la
prese in piena
nuca. Con un lamento per poco non cadde a terra.
«Che
male!» gridò, voltandosi a cercare l'artefice di
quell'affronto.
Sasha era china per terra e stava già cercando di formarne
un'altra
con la poca neve che riusciva a raccogliere in giro. Christa si
inginocchiò di fianco a lei, preoccupata. «Sasha,
ferma! Non è
neve morbida, stai creando dei proiettili non delle palle! Rischi di
fare male a qualcuno» ma la ragazza patata la
ignorò e scavò per
terra cercando di prendere quanta più neve possibile. Non
appena
pronta, puntò gli occhi infuocati a Beatris e
sghignazzò, pronta a
colpirla ancora.
«Ferma!»
gridò Beatris e si voltò, per scappare il
più lontano possibile.
Sasha iniziò a urlare carica di determinazione e
sprintò tanto
rapidamente che se fosse stato un altro degli esami di Shadis
probabilmente sarebbe arrivata prima nella valutazione. Brandendo la
palla di ghiaccio, più che di neve, come fosse un'arma,
rincorse
Beatris per tutto il campo, che cercava come poteva di allontanarsi
il più possibile. Troppo lenta, venne raggiunta e infine
colpita. Il
colpo alla schiena le tolse quasi il fiato, mentre Sasha dietro di
lei rideva a pieni polmoni come un cacciatore sadico che aveva appena
abbattuto la preda. Per il colpo, ma soprattutto per il terreno umido
e ghiacciato, Beatris perse stabilità nei propri piedi.
Cadde in
avanti con un urlo e, ancora per il suo stupido istinto,
alzò le
mani al cielo piuttosto che provare ad attutire la caduta.
L'abrasione che si fece al mento l'avrebbe accompagnata per almeno
una settimana, ma come tutte le sue ferite nemmeno quella la
sentì
troppo, probabilmente abituata. Ma lo scivolone in avanti fece
penetrare neve e ghiaccio dentro al colletto, tra i bottoni della
camicia, e non ci fu canottiera di lana abbastanza calda da
proteggerla. Urlò, in preda alle convulsioni per il freddo
mentre
sentiva il ghiaccio scivolarle nel petto e sul ventre, e d'istinto si
sollevò in ginocchio e cominciò a
spogliarsi.
«Bea!»
gridò Christa in preda al panico e le saltò
addosso. «Non puoi
spogliarti in mezzo al cortile» e lanciò occhiate
preoccupate in
giro, dove ora non solo passavano le ragazze uscite dal dormitorio
femminile, ma anche i ragazzi usciti da quello maschile che si
trovava esattamente a pochi metri da loro.
«Ho
il ghiaccio dentro la divisa!» urlò Beatris,
cercando di strapparsi
i bottoni della camicia per togliersela.
«No!
Non qui!» gridò Christa e lottò contro
di lei per impedirle di
spogliarsi. «Mikasa!» chiamò, in cerca
di aiuto, ma la ragazza
passò loro a fianco con la sua solita apatia, senza
preoccuparsi
molto della situazione. «Lasciaglielo fare, si
accorgerà da sola
dell'errore» e si allontanò. La distrazione di
Christa fu fatale,
Beatris la spintonò a terra riuscendo così ad
allontanarsela, e
infine aprì tutto, restando solo con la canottiera smanicata
e
aderente. L'alzò, scoprendo il ventre, e fece gocciolare
giù acqua
e ghiaccio, riuscendo a liberarsene. Ebbe qualche secondo di tempo
per riuscire a riprendersi dallo shock, ora che era libera, prima di
accorgersi di aver solo peggiorato la situazione. Quasi del tutto
scoperta, il freddo dell'aria esterna a contatto con la sua pelle ora
bagnata, le diede il colpo di grazia. Christa, a terra, d'istinto si
guardò attorno preoccupata ed esattamente come si era
aspettata un
buon numero di spettatori si era fermato a fissarle. E nessuno di
loro aveva espressione neutra. Jean, forse più di tutti,
sembrava
essere andato in black out. Occhi vitrei, espressione paralizzata e
volto rosso come un pomodoro, non riusciva a togliere gli occhi di
dosso dal ventre e le spalle scoperte di Beatris. E nonostante il
seno fosse ancora coperto, la maglietta era così aderente e
ora
bagnata per via della neve, che era quasi come se non l'avesse.
Christa scattò verso l'amica, si tolse di dosso la propria
giacca e
la propria sciarpa, e ce l'avvolse dentro.
«Non
c'è tempo di tornare a cambiarti, salteremo la colazione
così.
Andiamo nella sala comune, ti metti vicino al camino e provi a
scaldarti» le disse, ma Beatris era come paralizzata,
completamente
congelata non riusciva più neanche a pensare.
«Sto
per morire» sibilò appena.
«Ehy!»
Reiner le chiamò e corse verso di loro, seguito da Marco e
Bertholdt. «Che succede? State bene,
ragazze?»
«Sasha
l'ha colpita con una palla di neve troppo fredda e indurita,
l’ha
buttata a terra e tutto il ghiaccio le è entrato dentro la
divisa.
Penso sia in shock termico» spiegò Christa,
preoccupata.
«Dobbiamo
portarla al caldo» disse Marco, mentre Reiner si
inginocchiava di
fronte a Beatris. Le mise una mano sulla spalla, una sul volto per
costringerla a voltarsi e guardarlo, e cercò di esaminare la
situazione. Aveva le guance completamente rosse e non c'entrava
né
l'imbarazzo né nessun tipo di emozioni. Alcuni capillari
erano
scoppiati, poteva vederne le macchioline sugli zigomi. L'iride
eccessivamente ristretto gli suggeriva inoltre che fosse in preda a
un qualche tipo di confusione, per questo era paralizzata e non
reagiva. Sarebbe potuta svenire da un momento a un altro, non era
certo che fosse ancora lì con loro, a capire chi avesse
attorno.
«Va
scaldata gradualmente. Andate a prendere una coperta» disse,
voltandosi verso Marco, ma non appena terminò Beatris
finalmente si
mosse. Camminando con le ginocchia si avvicinò rapida a
Reiner e si
aprì un varco tra le sue braccia. Reiner non ebbe tempo
nemmeno di
capire cosa stesse accadendo, che si trovò improvvisamente
Beatris
avvinghiata addosso. Aveva infilato le braccia all'interno della sua
giacca, si era accasciata per riuscire ad arrivare col volto al suo
petto -e data la differenza d'altezza non era nemmeno stato
difficile- e si era stretta contro di lui. Le braccia avvolte intorno
al ventre, sotto la giacca, il volto schiacciato sulla spalla e il
resto del busto il più schiacciato possibile contro quello
del
ragazzo.
«Sei
caldo» la sentì mormorare contro la propria
spalla. E Reiner restò
paralizzato, completamente inerme. Persino lo sguardo era ancora
fisso davanti a sé, come una statua, incapace di muoversi o
di
pensare a qualsiasi cosa. Sentiva solo che stupidamente il proprio
cuore nel petto aveva deciso di esplodere più e
più colpi, tanto da
arrivargli nelle orecchie e assordarlo. Forse sarebbe stato lui
quello che sarebbe svenuto, sopraffatto dalla vergogna, privato di
qualsiasi pensiero. Se avesse avuto un qualche senso attivo, avrebbe
percepito il gelo intorno a sé e non solo della giornata di
neve.
Christa, Marco e Bertholdt erano altrettanto paralizzati per
l'incredibile scena che stavano assistendo.
Reiner
cominciò a riprendere coscienza di sé, a
riattivare i sensi, ormai
troppo tardi. A destarlo furono le mani di Beatris che si
muovevano dietro la sua schiena e che in un solo gesto avevano
afferrato il retro della sua camicia e lo stava sollevando per
sfilarla dai pantaloni. Preso dal panico, portò indietro le
mani e
provò a fermarla, ma era tardi... troppo tardi. Beatris
infilò le
mani sotto la sua camicia, direttamente a contatto con la pelle nuda
della schiena, all'altezza dei reni. E tutto l'imbarazzo di Reiner,
che l'aveva fatto accaldare spaventosamente, calò
d'improvviso sotto
al gelo di quelle dita di ghiaccio contro i propri reni.
«Sei
congelata!» gridò, in preda al dolore di quel
contatto.
«Adesso
va un po' meglio» mormorò invece Beatris, beata
del calore del
corpo di Reiner contro le sue dita di cui cominciava a riavere
sensibilità solo in quel momento. Reiner si
dimenò, provò a
scacciarla, ma lei gli si era avvinghiata peggio che un animale, e
riusciva a sgusciare via dalla sua presa per infilare di nuovo le
mani di ghiaccio sotto la sua camicia.
«Vado
a prendere una coperta» riuscì finalmente a dire
Marco,
sbloccandosi dalla sua paralisi non appena vide Reiner che cominciava
a dimenarsi come un’anguilla e a ruggire. Corse dentro il
dormitorio e sparì per qualche secondo, il tempo di trovare
ciò che
gli serviva, e quando uscì nuovamente vide che le acque
parevano
essersi calmate. Reiner si era arreso, vinto anche dalla
priorità di
cercare di tenere al caldo la ragazza, e aveva smesso di ribellarsi.
L'espressione non era delle più felici, anzi sembrava
veramente
incazzato, ma lasciava che Beatris gli restasse avvinghiata, con le
mani poggiate alla pelle della sua schiena. Aveva afferrato i lembi
della propria giacca e li aveva tirati in avanti, per avvolgerla
meglio al suo interno e cercare di scaldarla. Il suo buon cuore aveva
avuto la meglio sul proprio istinto di autoconservazione, e aveva
dato priorità al benessere dell'amica piuttosto che al suo.
Marco li
raggiunse, appoggiò la coperta sulle spalle di Beatris, e
infine
riuscì a tirarla via da Reiner e liberare l'amico.
«Se
mettiamo i suoi vestiti vicino al camino si asciugheranno prima
dell'inizio dell'addestramento, e intanto potrà fare
colazione»
propose Christa, prendendo Beatris per le spalle e iniziando a
guidarla verso la sala comune. Marco le fu accanto, parlò
con loro,
mentre Reiner e Bertholdt rimasero pochi passi indietro. Bertholdt
aiutò l'amico a rialzarsi, offrendogli una mano, e seguirono
il
resto del gruppo. La faccia di Reiner era quella di un animale pronto
a saltare al collo di una preda e sgozzarla.
«Forse
te l'ho già chiesto...» disse Bertholdt, ma si
lasciò scappare un
sorriso divertito. «Sei sicuro di aver fatto la scelta
giusta?»
Non
specificò l'argomento, ma Reiner sapeva che si riferiva al
fatto di
voler diventare amico di Beatris così da essere meglio
accettato da
quelle persone. Grugnì, frustrato. «Probabilmente
lo è...» disse.
«Ma sarà una bella sfida».
«Niente
che un Guerriero come te non possa sostenere».
«Non
prenderti gioco di me» borbottò Reiner, frustrato,
e Bertholdt non
riuscì a non trattenersi dallo sghignazzare.
Entrarono
nella sala comune e Christa corse ad appendere subito gli abiti di
Beatris vicino al camino così da permettere loro di
asciugarsi. La
ragazza venne invece accompagnata da Marco a uno dei tavoli, sempre
lì vicino, e la fece sedere mentre lui andava a prendere la
colazione per entrambi. Le diedero del té caldo, per
aiutarla a
riprendersi, e Beatris si fece accudire come una bambina.
Mangiò,
bevette e restò tranquilla, avvolta nella coperta, fintanto
che il
freddo non cominciò finalmente a lasciarla libera. Non ci
volle
molto, che l'accaduto con la neve venne completamente dimenticato, e
tutti presero a parlare vivacemente come al solito. Solo Christa
restò l'unica a preoccuparsi delle condizioni di Beatris
ancora a
lungo, chiedendole di volta in volta se stesse bene, se avesse
bisogno di qualcosa, e portandole altro té caldo quando lo
finiva.
Terminarono
la loro colazione, i vestiti di Beatris per fortuna si asciugarono in
tempo e lei poté ricomporsi prima dell'inizio
dell'addestramento. Ad
aspettarli nel cortile c'erano dei carri e dei cavalli, con gli
istruttori già pronti a partire. Seguirono le loro
indicazioni,
caricando zaini e attrezzature sui carri, e infine salirono anche
loro, diretti verso le montagne. Lassù la neve non solo non
stava
cominciando a sciogliersi, come invece stava facendo in pianura, ma
era addirittura caduta più fitta che mai. Non appena misero
piede
fuori dal carro, i loro stivali affondarono fino al polpaccio.
«Altra
neve» sospirò Beatris, chiudendosi all'interno di
una giacca
pesante e un mantello. «Speravo di non vederne più
per un po'».
«Bea!
Guarda!» esclamò Sasha, intenta a fare un pupazzo
di neve al loro
fianco. Non troppo grande, non ne avrebbe avuto il tempo, ma con
l'aiuto di Connie riuscì a completarlo prima di partire. Con
legni e
aghi di pino avevano dato un'espressione corrucciata e malvagia al
pupazzo.
«È
Shadis» esclamò Sasha, prima di ridacchiare. Al
suo fianco Connie
si mise le mani davanti alla bocca per attutire, se non l'avesse
fatto sarebbe scoppiato in risate sganasciate decisamente troppo
forti. Cosa che invece non fece Beatris, che scoppiò a
ridere a
crepapelle, attirando così sguardi e occhiatacce da parte di
compagni e soprattutto istruttori. Provò a raggiungere i
due, voleva
dare il suo contributo, ma una mano ferrea l'afferrò e
iniziò a
trascinarla via.
«Mikasa!»
esclamò, frustrata.
«Stiamo
partendo. Non perdere tempo» l'ammonì l'amica,
trascinandola via
dai guai prima che avesse potuto finirci. Infatti Shadis
arrivò di
lì a poco e punì sia Connie che Sasha,
schiacciando loro le teste
nella neve.
Passarono
davanti a Reiner e Bertholdt, non li considerarono, troppo impegnate
a bisticciare tra loro, ma il primo dei due si ritrovò a
sospirare
nervosamente. Quella ragazza era un'attira guai naturale, se non ci
fosse sempre stato qualcuno a badare a lei non sarebbe durata
così
tanto lì fuori. Gli istruttori partirono a cavallo e
anticiparono il
plotone lungo la strada, dopo aver dato loro mappe e istruzioni.
Avrebbero dovuto cavarsela da soli su quelle montagne gelate, trovare
la via, e arrivare alla base istituita prima che fosse calata la
notte. Non avevano molto tempo, era già ora di pranzo quando
erano
arrivati, ma proprio per questo si trattava di una sfida. A
peggiorare la situazione c'erano gli zaini ricolmi di attrezzature e
pesi, per dare loro un grado di difficoltà adeguato.
«Cercate
di non perdere il sentiero, tra non molto riprenderà a
nevicare,
rischiate di perdervi» suggerirono, e infine partirono,
sparendo tra
la vegetazione.
«Ci
conviene mangiare adesso un boccone, dopo non ne avremo il tempo e
dovremmo pensare solo a camminare» suggerì Armin e
fu ascoltato.
Era sicuramente la scelta migliore, anche perché gli
istruttori
avevano detto loro di aspettare di vederli sparire prima di iniziare
il percorso, così sarebbero stati soli. Mangiarono,
bevettero,
cercarono di rifocillarsi e infine cominciarono la traversata.
Restarono in gruppo, assolutamente poco propensi all'idea di
separarsi, quelle erano montagne inospitali, piene di pericoli, ma
soprattutto ricoperte di neve. Un'ora dopo la loro partenza, i primi
fiocchi cominciarono a cadere raggiungendoli.
«Ha
già iniziato» mormorò Armin.
«Speravo avesse retto un pochino di
più, così sarà difficile continuare a
seguire il sentiero.
Copriranno le tracce degli istruttori».
«Non
fa niente» ansimò Beatris al suo fianco,
già distrutta ma non per
questo meno determinata. «Abbiamo Sasha con noi, lei
è cresciuta
sulle montagne. Può seguire le tracce anche con la neve,
vero
Sasha?»
E
si voltò a guardarla, trovandola intenta a cercare qualcosa
in una
siepe. Ne uscì poco dopo con delle bacche tra le mani.
«Guardate!»
esclamò, felice. «Assaggiatene una, sono
buone».
«Sasha...
le tracce» mormorò Armin, affranto.
«Fidiamoci
del suo intuito. Anche se distratta, immagino non voglia comunque
morire qui... se costretta saprà condurci lungo la
via» suggerì
Reiner, passando avanti a continuando a camminare. «Non
fermiamoci,
comunque! Tra poco la neve si farà più
fitta».
Beatris
annuì, decisa, e provò a corrergli dietro per
raggiungerlo. Fu
un'impresa decisamente ardua, molto più di quanto si sarebbe
aspettata. Reiner davanti a lei camminava spedito, nonostante
l'ingombro, sembrava risentire poco del peso trasportato e delle neve
che gli cadeva addosso e gli impediva il cammino, bloccandogli gli
stivali. Lei invece già ansimava, era sudata fradicia, e
doveva fare
molta più forza con le gambe per riuscire a contrastare la
neve. Ma
proseguì, determinata.
«Forza,
Bea» l'affiancò Eren. «Possiamo farcela,
continua a camminare».
Lei
annuì, strinse i denti e proseguì. Un'ora, forse
due, forse
addirittura tre. Ormai la neve aveva ricoperto completamente il
sentiero, appesantiva i loro abiti e gli zaini con tutta la sua
umidità ed era penetrata attraverso i vestiti raggelandogli
i
muscoli. Beatris iniziò a rallentare, sempre più
stremata, restando
infine in fondo al gruppo. Armin non era troppo lontano da lei, ma al
suo contrario, anche se rosso in volto per la fatica, non mollava e
continuava a sforzarsi più che poteva. Cercò di
imitarlo e per un
po' ci riuscì, quando alla fine non crollò
definitivamente a terra.
Il gruppo si voltò a guardarla, preoccupato, e le si
avvicinarono.
«Sto
bene» ansimò. «Ho solo bisogno di
riprendere un attimo fiato».
«Se
ti fermi raffredderai i muscoli, sarà peggio» le
disse Mikasa,
offrendole una mano. «Ti aiuto io,
andiamo».
«Ma...
vi rallenterò» mormorò lei, guardando
il suo gruppo fermo ad
aspettarla.
«Ci
rallenterai di più se resti qui ad aspettare di
congelarti».
Eppure,
tra tutti, lei era stata l'unica a crollare a terra. Era frustrante,
persino Armin era riuscito a tenere il passo, nonostante si
equivalessero in quanto a forza e resistenza. Era così
frustrante.
Era
entrata in accademia con le migliori intenzioni, anche se non
considerava la sua motivazione eroica e valorosa come quella di tutti
gli altri, ma era comunque decisa ad arrivare in fondo, a
rafforzarsi, a tenere il passo dei suoi amici, e arrivare al suo
obiettivo. Aveva giurato a se stessa che avrebbe fatto di tutto per
proteggere le persone, per evitare che altri fossero potuti morire a
causa dei giganti. Aveva giurato che quello che era successo a loro
avrebbe impedito con tutte le sue forze che succedesse di nuovo. Ma
se i giganti avessero di nuovo sfondato il muro, se il colossale e il
corazzato fossero tornati, lei, in quelle condizioni, cosa avrebbe
potuto fare? Era ancora quella bambina che era scappata, aiutata da
tutti quelli che aveva attorno, e che non era riuscita a fare niente.
Non seppe nemmeno lei il perché, ma cercò lo
sguardo di Reiner, in
cima alla colonna. Lui era forte, lo aveva dimostrato fin dall'inizio
e continuava a farlo. Niente sembrava abbatterlo, lo ammirava
così
tanto. Ripensò al loro allenamento intensivo di una
settimana per
insegnarle a restare in equilibrio. Lei si era impegnata tanto,
Reiner l’aveva aiutata veramente molto, e non avrebbe mai
dimenticato le sue parole. Piangere e dire di far schifo non le
sarebbe servito a niente. L’importante era continuare ad
avanzare,
in qualunque situazione. Non avrebbe gettato al vento quegli
insegnamenti tanto preziosi.
Strinse
i denti, si corrucciò, e infine si rialzò.
«Ce
la faccio!» disse, più a se stessa che agli altri.
E riprese a
camminare, sotto lo sguardo sorpreso di Mikasa, che presto
tramutò
in uno orgoglioso. Era la prima volta che Beatris rifiutava l'aiuto
di qualcuno e provava a farcela da sola. Che quel posto la stesse
realmente migliorando?
«Andiamo»
incitò gli altri e a pugni e denti stretti
continuò a camminare.
Ogni passo era faticoso come spostare una montagna e questo la
portava ad ansimare rumorosamente, gorgogliare a volte per la fatica.
Ma riuscì a stare al passo, riuscì a camminare,
tanto concentrata,
tanto determinata, che nemmeno si accorse che Reiner le si era messo
davanti abbandonando la postazione in prima linea, lasciando che
fosse Jean a guidare il gruppo, così da aprirle un po' la
neve
davanti alle caviglie e aiutarla. Non glielo fece notare, voleva che
pensasse di riuscirci da sola, perché era quello di cui
aveva
bisogno. Doveva farcela da sola, così da sentirsi meglio e
cominciare ad avanzare.
Proseguirono
per un'altra ora, arrivando infine ad accostare uno piccolo
precipizio, lungo una via più stretta e
difficoltosa.
«Restate
vicini alle pareti» suggerì Jean, cercando di
stare il più lontano
possibile dallo strapiombo. Era una discesa ripida, ricoperta di neve
e alberi, una vegetazione abbastanza fitta. Nonostante fosse piena di
ostacoli contro cui aggrapparsi in caso di caduta, la neve rendeva
tutto scivoloso e lo strapiombo era così ripido che
probabilmente
gli alberi sarebbero serviti a poco per salvarsi. Oltre questo, solo
oscurità. Non era ancora notte, ma doveva essere circa il
tramonto e
le nuvole nere in cielo non aiutavano la loro visibilità.
Furono
costretti ad accendere delle torce per riuscire a proseguire. E
avanzarono, distrutti, spostando neve che volta volta scivolava
giù
dal pendio al loro fianco, in fila indiana per riuscire a
passare senza pericoli. O almeno, così credevano.
Armin,
alle spalle di Beatris, inciampò trovando sotto ai piedi un
lieve
dislivello. Provò a spingersi verso la parete alla sua
destra per
evitare di cadere, ma il piede scivolò verso sinistra e
sarebbe
caduto giù, rotolando lungo la parete, se Beatris non avesse
svelato
di avere dei riflessi spaventosamente pronti. Il che era strano, per
una come lei. Riuscì ad afferrarlo, lo tirò
indietro, ma questo
provocò la sua di scivolata e senza neanche che i compagni
avessero
tempo di riuscire a capire cosa stesse accadendo, lei era sparita
nell'oscurità.
«Bea!»
gridò Eren, prima di lanciarsi verso il vuoto.
Piantò i piedi
davanti a sé, cercò di frenare la scivolata per
impedire di perdere
il controllo, ma andò a ruota libera verso il primo albero
che
incontrò.
«Eren!»
chiamò Mikasa, in preda al terrore. Reiner, poco avanti, fu
il
secondo a buttarsi nel vuoto e cercare di raggiungere Beatris,
ovunque fosse finita. Mikasa non aspettò altro tempo e
seguì i due,
pronta a dare il suo contributo.
«Piantate
dei paletti, cercate di fissare le corde a qualcosa!»
suggerì Jean,
cominciando a rovistare tra le cose del suo zaino qualcosa che avesse
potuto aiutarli. Il resto del gruppo lo imitò
immediatamente, e
sotto le sue direttive iniziarono a montare picchetti, a legare
corde, e cercare di creare un sistema di salvataggio
d'emergenza.
Davanti
a loro, intanto, Reiner, Mikasa e Eren erano spariti del tutto
nell'oscurità della foresta, giù per la
gola.
La
discesa non era così lunga e ripida come poteva sembrare,
senza
farsi troppo male, aggrappandosi di volta in volta agli alberi,
Reiner riuscì a raggiungerne il fondo dopo pochi istanti,
tornando
su terreno pianeggiante. L'oscurità aveva loro tratto in
inganno,
facendogli credere che chissà quanto fosse profondo, ma
restava
comunque una bella caduta, se non si fosse tenuto fermo agli alberi e
non avesse fatto ben leva con le gambe, sarebbe arrivato in fondo
rotolando e rischiando di colpire rocce e alberi. Cosa che
sicuramente Beatris aveva fatto e per questo andava ritrovata
immediatamente.
«Beatris!»
provò a chiamarla. Non riusciva a vedere nemmeno
più Eren né
Mikasa e non sapeva se era colpa del buio o se magari loro fossero
arrivati in qualche altra zona di quel bosco.
«Reiner!»
qualcuno lo chiamò, sopra la gola. Riuscì a
riconoscere la voce di
Jean, anche se molto ovattata dal vento.
«Sto
bene! Preparate la corda, io intanto la cerco»
gridò verso l'alto.
«Reiner!»
Eren finalmente lo raggiunse.
«Non
può essere molto lontano, anche se fosse rotolata non
sarebbe finita
troppo più avanti di così» disse
Reiner, guardandosi attorno.
«È
troppo buio e lei non risponde» disse Mikasa.
«Deve
aver perso i sensi. Dividiamoci, setacceremo meglio la zona»
e si
voltò, prendendo la direzione alle sue spalle.
Camminò per qualche
secondo, quando cominciò già a sentire le voci
dei suoi compagni,
alle sue spalle, che la chiamavano. Da sopra lo strapiombo, o Mikasa
e Eren alle sue spalle, ovunque era un risuonare di voci che
chiamavano Beatris. Reiner camminò in lungo e in largo, ma
senza
allontanarsi troppo dalla zona di caduta, trovando improbabile che
fosse finita chissà dove. Eppure non riusciva a trovarla.
Tornò sui
suoi passi, ripercorse la solita via, avanti a indietro, puntando gli
occhi a qualsiasi cosa si muovesse. Fu il caso a fargliela trovare:
era finita sotto un cumulo di neve, contro un albero. Nel sbatterci
contro doveva aver fatto cadere la neve dai rami e questo doveva
averla seppellita in parte. Le corse incontro, si tolse rapido lo
zaino dalle spalle e cominciò a scavare a mani nude per
riuscire a
tirarla fuori dalla neve. Si assicurò immediatamente del suo
stato
di salute, prima di chiamare aiuto, preoccupato che fosse ancora
viva. Si avvicinò al suo volto e riuscì a
sentirne il respiro.
Debole, ma c'era. Scostandole il cappuccio dalla testa vide un rivolo
di sangue macchiarle i capelli e cadere lungo la guancia. Aveva i
vestiti zuppi, sapeva che avrebbe dovuto come prima cosa trovare il
modo di scaldarla.
«Oggi
non è la tua giornata, eh?» mormorò,
cominciando a togliersi il
giaccone di dosso per poterla avvolgere al suo interno. Si
voltò
poi, pronto a chiamare aiuto, ma sbiancò quando
sentì il terreno
tremare e nessun altro rumore se non quello di un boato.
«Una
valanga! Reiner!» sentì urlare da sopra la via, ma
non ebbe tempo
di reagire in nessun modo. Prese Beatris, se la strinse al petto e si
spinse dietro degli alberi per cercare riparo mentre l'enorme cumulo
di neve cadeva nella loro direzione. Non riuscì a puntare
bene i
piedi, a trovare un riparo decente, o forse la slavina era stata
semplicemente troppo forte. Venne travolto e trascinato via,
giù,
lungo la discesa della montagna. Rotolò nella neve,
preoccupandosi
solo di tenere Beatris stretta a sé, di non perderla.
Durò pochi
istanti, ma sembrò un'eternità all'interno del
quale Reiner venne
trascinato quasi fino a valle, chissà per quanti metri.
Sentì la
neve sovrastarlo, ribaltarlo, il boato rombargli nelle orecchie, il
fiato mancargli. E alla fine capì che poteva esserci solo un
modo
per salvarsi. Pregò solo che il rumore della slavina fosse
più
forte... e si morse una mano.
Come
gigante corazzato, riuscì a riemergere dalla neve della
valanga, a
contrastarla, fintanto che questa infine non cessò del tutto
di
cadere nella sua direzione. Dentro la propria mano, stretta al petto,
nella zona più sicura, Beatris ancora non riprendeva
conoscenza e
lui ringraziò che il coma dentro cui sembrava essere caduta
fosse
così intenso. Ebbe tutto il tempo di rimproverarsi
dell'imprudenza
solo successivamente, ormai a mente fredda. Se Beatris si fosse
svegliata in quel momento, se qualcuno dei suoi compagni l'avesse
visto o sentito, come si sarebbe giustificato? In che modo sarebbe
riuscito a tornare a casa vincitore? Aveva davvero messo tutto in
pericolo per così poco?
Posò
Beatris sulla neve non appena la valanga si fu calmata e infine
uscì
dalla nuca del suo gigante, lasciando che questo si dissolvesse
lentamente nel vapore. Scese dal suo corpo, si avvicinò alla
ragazza
e se la caricò in spalla. Si preoccupò solo di
allontanarsi il
prima possibile, così da permettere al suo gigante di
dissolversi
senza che nessuno lo vedesse, senza preoccuparsi della direzione da
prendere. Anche perché non era sicuro di saperlo
adesso.
Poggiò
Beatris a terra quando finalmente si sentì al sicuro e si
preoccupò
solo in quel momento di constatare la terribile situazione in cui si
trovava. Erano soli nel bosco, con una bufera in corso, quasi al
calar del sole e avevano perso zaini e soprattutto la direzione da
seguire. Con il cielo coperto dalle nuvole non avrebbe nemmeno potuto
contare sulle stelle per riuscire ad orientarsi. Per di più
lei era
ferita, forse anche gravemente. Non aveva molte possibilità
di
salvarsi, anzi forse erano rasenti allo zero, e ancora pensò
a tutte
le sue possibilità. L'unica soluzione che riuscì
a trovare era
quella di trasformarsi ancora e sfruttare le capacità del
suo
gigante per uscire indenne dal bosco, ma se Beatris si fosse
svegliata nel mentre per il suo segreto sarebbe stata la fine. Non
poteva portarsela dietro, non poteva mettere a rischio la sua
missione, nemmeno per lei. Se avesse proseguito da normale essere
umano sarebbero morti entrambi per il freddo, non avrebbero ritrovato
la strada. Non c'era soluzione, almeno lui doveva salvarsi, ma
avrebbe significato lasciare Beatris lì... a congelare.
Questo per
preservare il suo segreto. Per riuscire a portare a termine la sua
missione. Le si avvicinò e le tolse la giacca di dosso.
Avrebbe così
potuto dire di non essere stato in grado di trovarla e dare la colpa
alla valanga.
Si
voltò, pronto ad allontanarsi, ma esitò. La testa
glielo diceva
chiaramente, doveva farlo, ma allora perché il suo corpo si
rifiutava di muoversi? Cercò di pensare a casa sua, a
Marley, al
desiderio di tornarci ricoperto di onore e orgoglio, ma per qualche
strano scherzo del suo subconscio tutti quei pensieri erano
accompagnati dalla voce scaldante e vivace di Beatris che rideva, che
lo chiamava, come uno spettro che non faceva che sussurrargli nelle
orecchie, incessantemente. Chiuse gli occhi e serrò i pugni,
combattuto e frustrato, cercando di focalizzarsi sul pensiero di casa
sua, sulla via principale che aveva percorso anche
all’andata, con
i coriandoli e la folla ad acclamarlo. Ma non appena lo fece, tutto
ciò che vide fu Shiganshina devastata e un sussulto
terrorizzato lo
colse costringendolo a tornare alla realtà. Si accorse solo
in quel
momento che il suo improvviso palpitio era risuonato
all’unisono
con la voce moribonda di Beatris, alle sue spalle, che lo aveva
chiamato.
«Reiner».
Si
voltò a guardarla. Era ancora stesa lì dove
l'aveva lasciata,
ancora moribonda, tanto che non aveva nemmeno gli occhi completamente
aperti. La vide voltare la testa nella sua direzione, ma fu difficile
capire se lo stesse guardando realmente o meno.
«Come
sta Armin?»
Il
suo primo pensiero, non appena ripresa conoscenza, era stato rivolto
all'amico che aveva salvato dalla caduta. L'amico di cui aveva preso
il posto, scivolando giù al posto suo. Chissà
perché gli tornò in
mente ancora una volta il ricordo del loro primo incontro, nella
cattedrale, quando disse di non avere fame e volette lasciare tutto
il pane agli altri.
«Sta
bene» le rispose, sforzandosi di risultare calmo.
«Sei riuscita a
salvarlo».
Beatris
spalancò gli occhi e per quanto fosse moribonda
riuscì comunque a
farli brillare di una luce tutta loro. Si distese in un luminoso
sorriso e tornando a socchiudere gli occhi sospirò, felice:
«Meno
male».
La
sentì respirare affannosamente per qualche secondo e
restò lì, ad
ascoltarla, immobile nella sua posizione. Avrebbe dovuto lasciarla
lì, sapeva che era la scelta migliore, salvarsi col suo
gigante
corazzato e mantenere intatto il proprio segreto. Ma non era riuscito
a farlo e ora che era sveglia sarebbe stato impossibile trovare una
scusa adeguata.
«Reiner,
non aspettatemi. Continuate a camminare, io vi raggiungo tra un
attimo. Mi riposo solo un pochino» ansimò lei,
lanciando uno
sguardo a Reiner. Neanche si era accorta che erano soli, neanche si
era accorta della situazione in cui si trovava, ma si
preoccupò solo
-ancora una volta- di salvare prima gli altri. Di pensare prima agli
altri.
«Beatris»
sospirò Reiner, turbato da un pensiero. Era consapevole che
sarebbe
morta? Perché sembrava non interessarle?
«Perché ti comporti così?
Perché fingi che non ti interessi nulla di te?»
«Io...
non fingo» mormorò lei, corrucciata.
«Mi
stai dicendo che davvero non t'importa di morire?»
Beatris
tornò a riaprire gli occhi e li puntò in quelli
di Reiner, a pochi
passi da lei. E per la prima volta da quando la conosceva, vide sul
suo volto farsi strada una gravante tristezza.
«Io…
non….» mormorò, ma non
riuscì a dire altro.
«Cosa
credi che succederà se ti lasciamo qui e procediamo da soli?
Cosa
credevi sarebbe successo sacrificandoti per salvare Armin?»
«Non
lo so... forse mi aspettavo che Mikasa fosse venuta a prendermi.
Forse mi aspetto ancora che Mikasa venga a prendermi» si
chinò, il
cappuccio le coprì in parte il volto e Reiner non
riuscì più a
scorgerle gli occhi, ma la vide dopo pochi istanti tremare. E un
singhiozzo le strozzò la voce. Stava piangendo.
«Mi dispiace».
Lasciarla
lì, procedere da solo, l'avrebbe salvato. Era l'unica scelta
che
aveva davanti. Eppure tornò indietro. Si tolse nuovamente la
giacca
dalle spalle e la mise addosso a Beatris, esattamente dov'era poco
prima. Sospirò. «Credo che ci siamo persi. Mentre
eri svenuta una
valanga ci ha travolti e ci ha portati lontano dal resto del
gruppo».
Ma
lei non rispose e continuò a singhiozzare silenziosamente.
«Proverò
a trovare un modo per uscirne, non preoccuparti» disse
ancora,
sedendosi al suo fianco.
«Sei
stato travolto per venire a cercare me?» biascicò
Beatris, cercando
di non far risuonare troppo il suo pianto che aveva tutta
l'intenzione di tenere nascosto il più possibile.
«Saremmo
stati travolti comunque» mormorò Reiner,
sovrappensiero.
«Sei
di nuovo finito nei guai a causa mia».
«È
stata una mia scelta».
«Lo
so» rispose repentina, prima di aggiungere: «Se
sopravviveremo,
penso che domani me ne andrò».
«Mh?»
si corrucciò Reiner.
«Sono
mesi che provo invano a dare un senso a tutto quanto. Sono arrivata
ultima in un sacco di esami, ho superato quello del movimento
tridimensionale per un pelo e solo grazie al tuo aiuto, e in
più non
faccio che causare problemi a te o a Mikasa. Credo di aver fatto un
errore ad iscrivermi. Ora ti ho persino messo in pericolo... ho
decisamente superato il limite».
«Adesso
poteva esserci Armin al tuo posto, ma tu lo hai impedito. Hai fatto
un buon lavoro, non autocommiserarti».
«E
a cosa è servito? Tu sei qui, hai rischiato la vita. Non era
ciò
che volevo» singhiozzò.
«Volevi
morire?» chiese Reiner, distrattamente.
«Io…
volevo solo proteggere le persone» rispose debolmente
Beatris, come
se lei stessa non ne fosse totalmente convinta. «Mi sono
iscritta
pensando che sarei stata in grado di imparare a proteggere
qualcuno... almeno una volta. Ma sono sempre io quella che deve
essere protetta. Non funziona» pianse più
rumorosamente. «Non
funziona mai niente di quello che vorrei fare».
«Provare
a proteggere le persone è un'ottima motivazione,
perché non provi a
crederci di più? Armin sei riuscita a proteggerlo».
«Non
sono abbastanza forte...»
«Puoi
diventarlo, io l’ho visto. Se ti impegni in qualcosa sei in
grado
di migliorare molto rapidamente» si voltò a
guardarla, anche se non
riusciva a scorgere il suo volto sotto al cappuccio. «Posso
aiutarti».
Beatris
parve immobilizzarsi e per un attimo Reiner si chiese se non fosse
svenuta di nuovo. Ma poi la vide poggiare una mano a terra, alzarsi
su di un gomito e puntare lo sguardo a lui. Forse a causa delle
lacrime che le inumidivano gli occhi, ma ebbe come l'impressione che
fosse più luminosa che mai.
«Dici
sul serio?» chiese, speranzosa.
Diventare
il gigante corazzato, lasciarla lì e proseguire da solo era
sicuramente la via che gli avrebbe permesso di sopravvivere. Era la
scelta migliore. Eppure in quel momento sorrise, sincero.
«Certo. Ti
aiuterò io, te lo prometto».
La
prima volta era stata lei a chiederglielo esplicitamente e aveva
accettato un po’ forzatamente. Si era convinto che lo avesse
fatto
solo per mostrarsi amichevole, per ingannare il nemico e fingersi
come loro, ma se il suo intento era solo quello di sembrare
gentile…
perché quella volta era stato lui a proporglielo?
Perché aveva
quasi sentito il desiderio di farlo davvero? Quella settimana che
avevano passato ad esercitarsi insieme era assurdamente tra i ricordi
più dolci che aveva conservato, in mezzo a tutti quelli di
una vita
intera. Si sentì come se avesse finalmente avuto
un’occasione, una
scusa, per replicare senza sentirsi sciocco e potersi aggrappare a
qualche altra motivazione. Non lo faceva per sé, era questo
che
voleva pensare, lo faceva solo per finta gentilezza. Quei sentimenti
che stava provando non potevano essere reali. Convincersi di questo,
lo aiutò ad accettarli.
Aspettarono
pochi minuti, il tempo necessario a permettere di Beatris di
riprendersi un po'. Non appena fu in grado di muoversi, Reiner la
fece salire sulle sue spalle. Nella caduta aveva preso una brutta
storta alla caviglia, riuscire a muoversi da sola era praticamente
impossibile. Non fece in realtà troppa fatica, Beatris non
era poi
più pesante che lo zaino che gli istruttori l'avevano
costretto a
portarsi in spalla. Inoltre, in quel modo, il suo giaccone poteva
coprire sia lei che lui stesso, evitando entrambi di finire in
ipotermia. Non fu facile ritrovare la strada, dovettero vagare per
ore, ma stranamente fu molto meno faticoso del percorso fatto fino a
quel momento insieme al resto del gruppo. Ormai Beatris era bella
sveglia, anche se non riusciva a muoversi a causa della caviglia, ma
era di ottima compagnia. Superato il momento depressione, per aver
tirato Reiner di nuovo nei guai, era tornata la solita solare,
allegra Beatris. Appesa la suo collo, non aveva fatto che parlargli
vicino all'orecchio, tenergli compagnia e ogni tanto era persino
riuscita a strappargli una risata. Scherzando su Connie e Sasha, su
Shadis, o raccontandogli qualche bizzarra avventura della sua
infanzia, non era stata zitta nemmeno per un istante ma Reiner
sentì
suo malgrado che era proprio quello di cui aveva avuto bisogno.
Sì,
decisamente trasformarsi in gigante l'avrebbe aiutato a salvarsi
più
facilmente, ma che cosa avrebbe lasciato dietro di sé?
Sarebbe
davvero riuscito a dormire ancora, senza il suono della voce di
Beatris nei suoi ricordi che cantava quella splendida canzone a sua
sorella?
NDA.
Messaggio
importante: EFP mi dice che ho 2 messaggi in casella di
posta ma non
riesco a vedere niente, non so se è EFP che è
impazzito e da i
numeri o qualcuno di voi ha cercato di dirmi qualcosa e non posso
vederlo... nel caso, se non rispondo è per questo e vi
chiedo di
riprovarci, o in caso potete scrivermi anche su Wattpad (sto mettendo
la storia anche lì) o su FB (La pagina si chiama "La Deny",
trovate il link in bio), o su instagram ("ladeny_deny").
Grazie e scusate xD
Torniamo
alla storia...
Quanti
traumi si è risparmiata Beatris, restando svenuta durante la
slavina, secondo voi? xD Non ho molto da dire in queste NDA, anche
perché qui ci sono stati dei primissimi elementi
particolarmente
importanti e non voglio spoilerarvi niente. Perciò vi lascio
qui,
con semplicemente la canzone del giorno :P
Può
sembrare banale ma in realtà nasconde molte cose, a me ha
fatto
emozionare molto pensare a Bea in queste parole (capirete meglio
più
avanti, probabilmente, sempre se non avete già intuito
qualcosa). È
tutta di Bea, come ho detto, ma la parte del
“you’re not alone in
all this” mi immagino sia di Reiner che quasi si intromette
nei
suoi pensieri per ripeterglielo.
Come
sempre enjoy e alla prossima :3
https://www.youtube.com/watch?v=4kb3-dzPrhA&ab_channel=Sounterapp-ImparaL%E2%80%99IngleseconlaMusica
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