"Dear memory" -
Lettere a un ricordo
Sedeva alla
scrivania nuova, appena finita di montare dalle mani un po’
goffe ma
volenterose di Ryuunosuke. Avevano deciso tutti assieme di metterla
vicino alla
finestra così che potesse godere della luce del sole sin
dalle prime ore del
mattino.
Era sua abitudine
non avere troppi oggetti in giro, quindi la scrivania era sempre
ordinatamente
sgombra: un portapenne, una lampada per la sera e un pc chiuso.
Niente a cui non
potesse rinunciare.
Ma c’era un
motivo, perché sedeva lì –
c’era un oggetto che lo tormentava e che non sapeva
bene in che parte della casa e della vita mettere, in quel suo nuovo
inizio.
“Una
settimana.”
Era inevitabile:
ogni volta che il nove di luglio si avvicinava, il pensiero di Tenn
Kujo non faceva
che indugiare su una vita passata, che non era più la sua.
Tornavano i ricordi
delle ciambelle appena comprate in pasticceria, della torta unica per
due,
delle candeline che soffiava da solo ma stringendo la mano al fratello,
per
evitare che lo sforzo lo facesse tossire.
La stessa mano che
non aveva esitato ad armarsi di microfono per affrontarlo sotto le luci
artificiali dei palchi.
Invece, le mani di
Tenn esitavano sul coperchio di un piccolo contenitore nero e anonimo,
anche
ammaccato in qualche punto dai numerosi viaggi sostenuti. Lo conosceva
bene,
così bene che faceva quasi sempre finta di non vederlo
perché, nonostante le
piccole dimensioni, sembrava impossibile da nascondere.
L’oggetto
scomodo,
il suo vaso di Pandora.
Il trasloco lo
aveva costretto a non ignorarlo. Non avrebbe mai potuto buttarlo, ma al
tempo
stesso lo infastidiva vederlo in giro; era stato tra i primi oggetti
che aveva messo
via. Lo aveva chiuso in una scatola piccola, quasi sperando che
passasse
inosservata tra tutti gli altri pacchi. Insieme, vi aveva riposto
l’astuccio di
metallo colorato che si portava dietro dalle elementari e di cui
cambiava, nel
tempo, solo il contenuto quando necessario: penne scariche, matite
consumate.
Ormai era scheggiato e la fantasia dei gattini grigi era sbiadita, ma
era
l’unico oggetto che Tenn Kujo aveva ereditato da Tenn Nanase.
E ora, sedeva
nella sua nuova casa – la prima che sentiva veramente sua
– e lottava
contro la consapevolezza di non poterlo far scomparire in fondo a
qualche
cassetto della sua camera senza prima averlo affrontato.
“Almeno una
volta
l’anno.”
Si raccontava ogni
volta che aprirlo non era difficile e che far correre lo sguardo su
tutta
quella carta piegata con cura non lo faceva sentire fragile e
contraddittorio.
Era una sensazione che non poteva concedersi, per questo preferiva far
finta di
nulla.
Si tradiva sempre,
però, quando con malinconia sfiorava i fogli un
po’ ingialliti.
Aveva scritto la
prima lettera a qualche mese di distanza dall’adozione.
Lasciò che
la
punta del suo indice carezzasse il dorso della carta come se,
così facendo,
potesse rivivere anche il momento in cui l’aveva scritta.
La ricordava bene:
nonostante gli impegni, le lezioni e tutto ciò in cui dava
tutto sé stesso, non
riusciva a scrollarsi il senso di vuoto di dosso. Durante un breve
soggiorno a
Tokyo, di sera, si era ritrovato a veder cadere qualche timido fiocco
di neve
che ben presto avrebbe ricoperto la città di bianco ma che
non poteva riempire
il vuoto nel suo cuore.
Era la più
sgualcita, seppur in buono stato. La afferrò con le dita e
la aprì con cautela.
Ciao Riku,
C’è
la neve, a Tokyo. Non so se anche da te
sta nevicando, ma spero che tu stia abbastanza bene da poter uscire
fuori a
giocare.
Chissà se
sei arrabbiato. Scommetto di sì.
Spero che presto tu possa andare a scuola normalmente, così
ti farai tantissimi
amici e potrai stare anche senza di me.
Non so
perché ho scritto questa lettera, forse
mi sento solo. Fa strano trovarsi in una camera tutta per
sé, non mi sono
ancora abituato.
Mi manca
l’omurice della mamma.
Ti voglio bene
Non aveva mai
spedito quella lettera, così come non aveva spedito tutte le
altre. Prima che
se ne potesse rendere conto, quei pezzi di carta erano diventati un
diario in
cui riversare le proprie debolezze.
Aveva scoperto, in
quelle lettere, che scrivere era molto più facile che
parlare. E allora, nei
momenti in cui si sentiva mancare il respiro perché la
solitudine non era
sempre una buona amica, aveva scritto.
Aveva scritto
delle sue insicurezze all’unica parte di sé di cui
era certo – Riku.
Aveva provato a
buttarle innumerevoli volte, ma non c’era mai riuscito: erano
un monito ma
anche una prova. Non era indistruttibile e se una volta questo lo
avrebbe
terrorizzato, adesso cominciava ad apprezzare di non esserlo.
Dopotutto, se non
fosse stato debole, non si sarebbe trovato in quella casa,
ora…
Un sorriso gli
tirò curvò appena le labbra carnose. Poteva
tranquillamente immaginarlo, Gaku
Yaotome, mentre commentava con un ghigno che si era comportato da
perfetto
cattivo delle fiabe: aveva chiuso il suo cuore dove non poteva essere
ferito. Chiuso
in uno scrigno, ancora pulsante ma intoccabile, si era creduto
invulnerabile.
Eppure, nessuno
meglio di Tenn lo sapeva e sapeva anche come negarlo, non lo era
affatto. Fingere
di parlare con Riku gli aveva dato conforto in molte occasioni.
Soprattutto
all’inizio della sua vita come “Tenn
Kujo”, quando il legame tra loro era
ancora troppo forte per non tenerlo sveglio la notte, oppure quando
Kujo lo
aveva portato in Europa, in un mondo completamente diverso.
Tra le molte,
pescò un’altra lettera a caso.
La data era 07.09,
l’anno non specificato. Probabilmente risaliva a qualche
tempo prima del suo
ritorno in Giappone. Se quando era più piccolo buttava
giù quasi una lettera al
mese, col tempo aveva cominciato a distaccarsene, proprio
perché si era reso
conto che si facevano portavoce di debolezze che non poteva
permettersi.
Ma ogni tanto, la
malinconia tornava a tormentarlo e di solito lo faceva il giorno del
loro
compleanno.
Sono passati tre anni
dal nostro ultimo
compleanno insieme, Riku.
Allontanarmi dal
Giappone è stata una buona
idea, il signor Kujo aveva ragione. Ma guardando il calendario
è quasi
impossibile non pensare alla torta che la mamma ci preparava e che
volevi sempre
mangiare per primo.
Studio moltissimo e mi
alleno altrettanto.
Ma quando torno nella mia stanza è difficile non farsi
assalire dai pensieri…
Ho imparato che, da soli, si è costretti ad ascoltarsi molto
di più. E a volte
mi torna in mente la tua voce affaticata che mi dice: “A che
stai pensando,
Tenn-nii?”
Chissà,
adesso avrai ripreso possesso della
tua voce limpida e brillante. Mi piacerebbe sentirla.
Il vantaggio di
scriverti è che posso
essere sincero, perché so che non leggerai mai queste
parole. Il nove luglio è
quasi un incubo ormai, sai? Perché anche se tutti ci
dicevano che, per essere
gemelli, non ci somigliavamo poi granché, il giorno del
nostro compleanno ti
vedo ovunque nel mio riflesso. Mi chiedo quanto sei cresciuto, quanto
sei cambiato.
Mi chiedo se anche tu vedi quel ricordo che avrai ancora di me.
Mi chiedo anche se tu
riesca a finirla da
solo, quella torta. Non credo, però.
L’anno
scorso ho chiesto al signor Kujo di
smetterla di festeggiare il mio compleanno e ha accontentato la mia
richiesta.
Quest’anno non mi ha fatto recapitare la solita torta, anche
se l’ha fatto
settimana scorsa. “Per nessuna occasione speciale”,
ha scritto.
Spero che,
così facendo, questo vuoto che
sento dentro si allenti almeno un po’…
Le lezioni che prendo
qui sono difficili ma
stimolanti e il signor Kujo mi mette sempre a disposizione i migliori
insegnanti e sembrano tutti entusiasti di lavorare con me. Il mio
obiettivo è
quello di diventare un idol e sono sempre più cosciente di
quello che so fare.
Però… è buffo pensare che una volta il
mio pubblico eri solo tu.
Chissà se,
dopo aver debuttato, mi
riconoscerai?
Spero che tu non mi
venga a cercare, in
futuro. Non saprei come affrontarti.
“Quanta
insicurezza” realizzò Tenn, mentre ripercorreva
ricordi più recenti, quelli che
non aveva mai avuto il coraggio di scrivere. Non era cambiato poi
molto, da
allora: tuttora, spesso non aveva idea di come affrontare suo fratello
gemello.
La definizione “tallone d’Achille” era un
eufemismo.
Una vita passata a
preoccuparsi per lui non poteva scomparire con un cambio di documenti.
Era
proprio come aveva scritto: c’erano giorni in cui si guardava
allo specchio e
vedeva ogni singola somiglianza tra loro, ma ce n’erano altri
in cui si
specchiava e non trovava niente che li accomunasse. Questo lo
destabilizzava,
perché era come sentire una parte di sé che
scivolava via. Era cambiato così
tanto? Erano davvero così lontani?
Era sempre stato
tutto terribilmente complesso, con Riku. Perché neanche lui
sapeva più quanto
voleva lasciare andare quel legame e quanto far sì che lo
imprigionasse, quasi
lo soffocasse in una morsa familiare.
Afferrò
un’altra
lettera. Era la penultima che aveva scritto.
E di quella, in
particolare, ricordava ogni singola parola.
Quasi poteva
rivedersi, mentre si sedeva alla scrivania della sua camera
d’albergo, un
sorriso di raro entusiasmo sulle labbra: sentiva ancora
l’energia e
l’adrenalina dell’aver incontrato Gaku e
Ryuunosuke, di aver assaggiato i
Trigger per la prima volta.
Ricordava l’euforia dell’aver ballato in
un’armonia quasi perfetta con quelli
che allora erano due perfetti sconosciuti.
Ricordava di aver
pensato di poter essere finalmente libero, di aver finalmente trovato
il modo
di fuggire dalle catene del passato.
Adesso,
però,
realizzava anche che c’era un desiderio negato in
quell’entusiasmo: quello di
essere più solo. Aveva ballato e condiviso, lasciandosi
trascinare dallo stesso
tipo di legame irrazionale che lo legava a Riku.
Quella sera, Tenn
era diventato la T dei Trigger. “Un legame”
considerò, “lo stesso che ho
cercato di controllare per anni affinché non ne finissi di
nuovo schiavo.”
Non era un caso,
che ci fosse un senso di cieca e patetica rivalsa, in quella lettera.
Ciao Riku,
O forse dovrei
scrivere qualcos’altro?
Addio, magari. Stavolta davvero.
Ho provato tante volte
a non cadere in
questo brutto vizio di scriverti, come se tu potessi leggere. Anche se
non le
spedisco, sentivo che in qualche modo potevi percepire quello che
provavo. Si
dice che i gemelli possano percepire le emozioni l’uno
dell’altro, dopotutto.
Ma per quanto abbia
reso la solitudine
parte della mia quotidianità – parte di me,
a volte mi
aggredisce senza che me ne renda conto e finisco col trovarmi comunque
con una
penna in mano, con una lettera in più da nascondere agli
altri e a me stesso.
“Già,
assurdo”.
Prendersi gioco di quel Tenn era inevitabile. Infatti, per quanto
tendesse
tuttora a mentire persino a sé stesso, in questo caso
riconosceva il tentativo
inutile di liberarsi dell’unico legame che non avrebbe mai
potuto recidere. Lo
aveva accettato a fatica. Ogni gesto di Riku era ancora in grado di
ferirlo e
sapeva che lo stesso valeva per suo fratello.
Ma stasera basta.
Ormai posso affermare di
essere Tenn Kujo senza esitazione. Stasera ho incontrato i miei futuri
compagni
di gruppo e a breve debutteremo.
Quante volte Gaku
e Ryuunosuke l’avevano salvato, a loro insaputa? Non potevano
immaginare la
tempesta di emozioni che gli avevano lasciato dentro, quella sera: era
stato
come spalancare una porta direttamente su una nuova vita –
ben più che
l’Europa, l’America o la vita con Kujo e Aya. Il
futuro era sembrato finalmente
a portata di mano, oltre a quella porta.
Si era sentito per
la prima “Tenn”, e basta; non “Tenn
Kujo” come aveva scritto nella lettera.
Sono tipi
interessanti. Uno sembra molto
tranquillo, mentre l’altro è…
tollerabile, diciamo. Compensa col talento.
E qui, Tenn
scoppiò a ridere in una sommessa risata.
“Gaku”. Non aveva tutti i torti,
quando diceva che era un ragazzino arrogante.
Ci vedrai presto,
Riku. Brilleremo in cima
ad ogni classifica, darò un significato agli anni
che abbiamo passato
lontani
La cancellatura
non era abbastanza per non scorgere le parole al di sotto. E quella
lettera era
rimasta lì, inconclusa.
Perché
dopotutto,
il Tenn di allora sentiva ancora la solitudine di un legame reciso con
la
forza, come un arto mancante; la stessa solitudine che avrebbe
cominciato a
diradarsi solo anni dopo, in un appartamento troppo piccolo per tre
persone.
Lo stesso dove si
trovava adesso.
Allungò la
mano
per prendere l’ultima lettera che aveva mai scritto. Risaliva
a dopo che aveva
scoperto che Riku era a Tokyo e che stava cercando di debuttare con gli
IDOLiSH7, dopo giorni di tormento a causa di un’eco di una
canzone sentita per
caso.
Inspirò a
fondo,
ricordando l’esplosione di emozioni che lo avevano
sopraffatto non appena si
era trovato da solo.
La scrittura era
ben distante dal tratto elegante che di solito caratterizzava la sua
calligrafia: era nervosa e veloce, così come il foglio era
stropicciato. Aveva
tentato di buttarlo. Anche il tono era più brusco delle
lettere precedenti.
Riku,
Ho visto i video. Ho
riconosciuto la tua
voce, nonostante tu sia cresciuto così tanto. Che cosa ci
fai qui? Come puoi essere
qui? Non puoi fare l’idol, il center poi!
Non puoi esporti ad un rischio così grande.
Perché poi?
Affetto, rabbia,
preoccupazione. Ricordava come avesse cercato informazioni sugli
IDOLiSH7,
perché nonostante tutto non voleva crederci: e invece, aveva
riconosciuto il
sorriso fiammante di suo fratello gemello, i capelli rossi e
scarruffati in
quella buffa maniera tipica dei Nanase (li avevano ereditati dal padre)
e la
voce dolce e calda seppur più matura, in grado di riempire
ogni cuore
abbandonato.
Tenn Kujo non
piangeva mai, ma quella sera ci era andato vicino. Poteva gestire
un’emozione
alla volta, ma non troppe e tutte insieme.
Quella lettera ne
era la prova.
Stai correndo dietro
al mio fantasma, a
modo tuo? Non farlo. Non c’è più il
Tenn che conoscevi, non sono più tuo
fratello gemello.
Torna a casa. Vivi la
tua vita dispensando
gioia in altri modi. Questo è il mio mondo, non il tuo.
Tenn
accarezzò
quelle parole, provando disgusto per se stesso. Aveva sbagliato
così tanto, con
Riku, che non avrebbe saputo da che parte iniziare. Aveva ancora paura,
da una
parte: seppur avesse riconosciuto che suo fratello non era
più fragile come una
volta, era anche conscio che quella strada non sarebbe mai stata
davvero sicura, per lui.
Inoltre, il Tenn
della lettera sapeva perfettamente che averlo così vicino
avrebbe
inevitabilmente scalfito la corazza che si era così
pazientemente costruito, si
sarebbe lasciato influenzato dalle emozioni.
Aveva ragione.
Dall’altra,
si era
illuso per molto tempo di poter finalmente camminare su una strada che
solo lui
era in grado di percorrere. Una strada che a Riku sarebbe stata
preclusa a
prescindere. Invece, il tempo lo aveva smentito e lo aveva
inaspettatamente
riportato al suo fianco, anzi; c’erano state occasioni in cui
lo aveva persino
superato.
Ti prego, torna a casa.
Era stato
difficile. Lo era ancora. Lo era ad ogni spontaneo
“Tenn-nii” che Riku si
lasciava sfuggire con la sua ingenuità di bambino, lo era
ogni volta che lo
sfidava apertamente col cipiglio di un adulto.
Nonostante tutto,
erano gemelli.
Tenn piegò
di
nuovo con cura la lettera e la ripose, ma non chiuse la scatola.
Piuttosto,
tirò
fuori dall’astuccio malconcio una penna ed estrasse un paio
di fogli dal
cassetto. Gaku e Ryuu erano fuori e non sarebbero tornati prima di
sera: Tenn
aveva la netta sensazione che stessero complottando qualcosa in vista
del suo
compleanno, nonostante come sempre avesse detto che preferiva non
festeggiarlo.
Era quel legame,
ad essere solo suo – non il palco o il successo con i
Trigger. Faceva parte del
suo nuovo inizio.
Tracciò una
piccola linea sul foglio per assicurarsi che l’inchiostro non
fosse seccato,
dimenticato com’era stato. Chiuse gli occhi per un momento e
trovò sia il Riku
dei suoi ricordi, quello che aspettava le sue lettere, sia il Riku del
presente
e la sua voglia di dimostrare quello che poteva fare, il suo bisogno di
essere
accettato.
Poteva concedersi,
almeno per un momento, di tendere la mano a entrambi.
Ciao Riku,
Volevo augurarti buon
compleanno.
[…]
Note:
Ho
questa idea che mi ronza in testa da un bel po' ma - come tantissime
altre idee - è sempre rimasta nel cassetto. Prima gli altri
progetti che volevo finire, poi il lavoro... non sono proprio riuscita
a mettermici con sicurezza.
Poi il compleanno dei Nanase mi ha riportato questo sussurro quasi
dimenticato e ho deciso di concretizzarlo. La fic è uscita
parecchio diversa da come l'avevo immaginata inizialmente... Ma credo
che così vada bene.
Sento
il personaggio di Tenn sempre molto vicino, soprattutto nel rapporto
con Riku - è stata la prima cosa a colpirmi, di lui, la sua
sofferenza testardamente celata e rabbiosamente contrastata. Ho scritto
"circa" ambientata dopo Parte 3 nonostante non abbia manco finito di
leggerla (hehe) perché so che non è
più solo. Ci saranno dei momenti in cui cercherà
comunque di esserlo, ma avrà sempre Gaku e Ryu al suo fianco.
Prendetevi
cura di lui. ♥
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