Parabellum 2

di Lamy_
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1. CITTA’ DESOLATA

Lo skyline di Buckhead Atlanta era completamente svanito. Se un tempo si potevano vedere i tetti dei colossali grattacieli, adesso era possibile scorgere soltanto il cielo. La città in passato era viva, colori e suoni intasavano le strade, la gente chiacchierava all’aperto e i bambini si rincorrevano al parco. Ora al posto del parco c’era terra nera e secca, l’erba spazzata via dalle bombe sganciate dall’esercito.
Astrid guidava facendo attenzione agli ostacoli: macchine distrutte, parti di edifici crollati, corpi di vaganti sparsi sull’asfalto.
“Disgustoso.”
Negan si affacciò dal finestrino e vide la ruota schiacciare il braccio di un vagante che prima doveva essere stato un uomo.
“Ho visto di peggio.”
“Tipo il sangue sulla tua mazza ferrata?” lo rimbeccò Astrid.
“Attenta a come parli di Lucille, è una signora sensibile.”
“E’ una mazza di legno, Negan. Solo una mazza.”
Negan non disse nulla, non gli piaceva sfiorare argomenti che lo avrebbero messo di malumore. Continuarono a spostarsi seguendo la moto di Daryl che andava verso il Centro Controllo Malattie. Il tragitto fu lungo e lento, spesso dovettero fermarsi per rimuovere calcinacci o pezzi di latta.
“Quindi tu e Daryl…” incominciò Negan.
“Io e Daryl niente. Siamo amici.” Tagliò corto Astrid.
“Da quando gli amici si baciano appassionatamente di nascosto?”
La ragazza gli lanciò un’occhiataccia che lo fece scoppiare a ridere.
“Smettila, Negan. Così ti rendi ancora più insopportabile.”
“Mi piace essere quello antipatico del gruppo. Mi dona un certo fascino!” replicò lui.
“Sì, il fascino da imbecille. Tu adori essere odiato e non capisco il perché. Finalmente hai trovato una comunità, eppure ti ostini a fare lo stronzo.”
Negan avrebbe voluto dirle che lui non se ne faceva niente di una comunità, che lui voleva restare da solo insieme alla sua Lucille. Invece sfoderò uno dei suoi soliti sorrisi.
“Ho te! Tu sei mia amica più o meno. Anche se mi hai portato qui perché sono sacrificabile.”
“Sono in debito con te per avermi aiutata con la storia di Caroline. Per guadagnarti la mia amicizia dovrai lavorare sodo.”
“Farò del mio meglio.” Promise Negan.
Astrid era scettica al riguardo, soprattutto perché Negan aveva la propensione a cacciarsi nei guai con la stessa facilità di Hunter.
“Daryl si è fermato.”
Parcheggiata l’auto, Astrid e Negan raggiunsero Carol e Daryl che stavano guardando qualcosa.
“Che c’è? Qualcuno vivo?” scherzò Negan.
Astrid si avvicinò con nonchalance e solo il braccio di Daryl le impedì di cadere. Ai loro piedi si apriva una voragine che aveva inghiottito auto, persone, animali e uno scuolabus. Attraversare la strada era impossibile.
“La bomba doveva esplodere giusto qui. Che fortuna.” Ironizzò Carol.
“Si sta facendo buio. Dobbiamo trovare un posto dove stare.” Disse Daryl.
Il sole stava tramontando da quando avevano imboccato l’entrata alla città, entro mezz’ora sarebbe calato il buio e questo li avrebbe esposti ai vaganti.
Astrid riconobbe che quella strada era vicina a Courtland Street, uno dei centri pulsanti della città.
“Qui vicino c’è l’Hotel Hilton. Sono più di dieci piani, suppongo che uno di quelli alti possa essere un valido rifugio.”
“Mi sembra un’ottima idea.” Disse Carol.
 
L’Hilton Hotel svettava fino al decimo piano. Il resto era crollato bloccando i cancelli d’ingresso. Le luci erano spente, le finestre erano rotte e il vento agitava i cavi elettrici come fossero braccia.
“Non è male.” Disse Astrid, incerta.
Daryl sospirò e scosse la testa, un hotel buio e deserto di sicuro nascondeva qualcosa o qualcuno. Però non avevano altra scelta, dunque si incamminò per cercare un modo di entrare.
“Uh uh, sembra che la coppia sia già in crisi.” Disse Negan sottovoce.
Astrid gli diede una gomitata nelle costole che fece ridacchiare l’uomo. Prese lo zaino dalla macchina e seguì Carol verso l’hotel. Negan si accodò a loro fischiettando.
“Come fai a sopportarlo?” chiese Carol.
“Non lo sopporto, il fatto è che non posso ucciderlo.” Rispose Astrid.
Le due donne si misero a ridere mentre seguivano Daryl che puntava la balestra davanti a sé.
“Da qui possiamo entrare.”
La targhetta sopra la porta indicava che quella era la lavanderia dell’hotel. Difatti, un cesto di lenzuola bianche bloccava la porta insieme alla mano rinsecchita di una vagante.
“Spostiamo il corpo e il cesto, dopodiché manomettiamo la por…-“
Le parole di Carol furono interrotte da un brusco rumore. Negan diede un calcio alla mano attaccata alla maniglia e col piede staccò l’arto dal braccio. Con una sola spallata riuscì a sfondare la porta già manomessa.
“Prima le signore.”
Carol fece spallucce ed entrò con la torcia accesa. Astrid prima scrutò il buio pesto della sala e poi si decise a entrare.
“Tocca a te.” Disse Daryl.
“Come sei premuroso.” Ribatté Negan.
“Spero che un vagante ti stacchi a morsi la faccia.”
“Bambini, smettetela di litigare.” Li rimproverò Astrid.
La puzza all’interno della lavanderia era insopportabile. Era un misto di detersivi scaduti, olezzo di cadaveri e sostante chimiche ammuffite. Astrid tossì e si tappò il naso col gomito, sebbene ormai il suo stomaco fosse nauseato.
“Fate attenzioni ai corpi.” Disse Carol.
Astrid puntò la torcia verso il pavimento e vide almeno una decina di corpi putrefatti con le bocche aperte e gli occhi vuoti. Alzò la gamba per superare il cadavere di un ragazzo quando si sentì afferrare la caviglia.
“Ah!”
Diede un calcio in faccia al vagante e si divincolò fino a cadere a terra. Una sostanza liquida le colò lungo il collo, era una sensazione viscida.
“Va tutto bene.”
Daryl la tirò su per le spalle e la allontanò da una vagante che muoveva la bocca come un automa. Carol le piantò il coltello nella testa per ucciderla.
“Grazie.” Mormorò Astrid.
“Andiamo.” Disse Daryl.
L’arciere la lasciò andare e si mise in testa al gruppo per guidarli fuori dalla lavanderia. Negan recuperò lo zaino di Astrid che era caduto durante l’agguato e se lo caricò in spalla.
“Ci penso io allo zaino.”
Astrid rimase ferita dalla freddezza di Daryl. Certo, era stata stupida a gridare e questo aveva indispettito l’arciere. Ogni volta che si avvicinava a lui di conseguenza faceva dieci passi indietro.
“Okay.”
 
Sbucarono direttamente nella hall da una tenda dietro una pianta. L’area era devastata: poltrone distrutte, lampadari schiantati per terra, i corpi dello staff erano riversi dappertutto.
“Gli ascensori sono fuori uso.” Disse Carol.
Astrid notò che nell’ascensore c’erano due vaganti del tutto morti e sangue sulle pareti.
“Quanto in alto dobbiamo arrivare per essere al sicuro?”
“Da nessuna parte siamo al sicuro.” Disse Daryl.
Negan vide che Astrid aveva abbassato lo sguardo, vergognandosi come una ladra per aver accennato alla sicurezza.
“Possiamo provare almeno a raggiungere il sesto piano. Usiamo le scale.”
Carol illuminò le scale e per fortuna costatò che era quantomeno sane per essere utilizzate.
“Negan ha ragione. Le scale sono piuttosto integre.”
“Voi salite, io faccio un giro qua sotto.” Disse Daryl.
Astrid sentì un brivido sulla schiena. Era paura. Paura che un vagante attaccasse Daryl e che lo uccidesse.
“Daryl, non farlo. Restiamo uniti.”
L’arciere non la degnò di uno sguardo, le diede le spalle e si allontanò a passo spedito.
“Lascialo stare. Vuole stare da solo.” Spiegò Carol.
Astrid iniziava a credere che Daryl ce l’avesse con lei. Forse andare in missione con loro era stato un grande errore, peccato che tornare indietro ora era impossibile. Come diceva sempre suo padre: se una molecola non torna al punto di partenza è meglio proseguire con l’esperimento.
“Saliamo. Quei sei piani non saranno una passeggiata!” disse Negan.
Salire le scale risultò un’impresa difficile. Molti scalini erano crollati lasciando vuoti, alcuni erano spaccati a metà e quelli interi a malapena erano sufficienti. Carol si muoveva rapida, quasi sembrava volare mentre superava le scale mancanti con un balzo. Astrid e Negan, invece, erano più lenti e spesso avevano rischiato di cadere.
“Smettila di pestarmi i piedi.” Si lamentò Astrid.
“E tu smettila di inciampare.” La rimbeccò Negan.
Quando arrivarono al sesto piano fu come tornare a respirare. Carol li attendeva nel corridoio con l’arco stretto fra le mani.
“Ah, finalmente siete arrivati. Siete mosci come dei bradipi.”
“L’importante è arrivare.” Disse Negan.
Astrid tirò fuori le daghe a rondelle e sollevò i gomiti in posizione di difesa. Il corridoio era illuminato solo dalle loro torce. L’unico ronzio proveniva dalle porte distrutte dell’ascensore.
“Ispezioniamo le camere e troviamone una dove passare la notte.” Disse Carol.
Si separarono per controllare le sette camere del piano. A parte polvere e calcinacci, tutto sembrava tranquillo. Evidentemente gli ospiti erano partiti nella speranza di scappare prima che le bombe colpissero la città.
“Ho trovato la suite di questo piano!” esordì Negan.
Astrid e Carol restarono meravigliate dalla suddetta suite. Si trattava di una stanza enorme munita di cucina, un bagno di lusso e piscina sul terrazzo. I divani erano ancora intatti, così come i mobili e il materasso. Il letto era sormontato da un quadro che raffigurava il ‘Bacio’ di Klimt.
“Restiamo qui.” Disse Carol.
Negan si lanciò sul letto con un sospiro di sollievo. Il viaggio era stato infinito e salire le scale lo aveva sfiancato. Carol andò in cucina a curiosare nella dispensa.
“Astrid, hai della roba che ti cola dal braccio.” Osservò Negan.
La maglietta di Astrid era impregnata di liquido rosso scuro, anche il braccio e il collo erano sporchi.
“E’ il sangue di quella vagante in lavanderia. Ho bisogno di cambiarmi. L’acqua c’è?”
“Adesso sì.”
Daryl comparve alle sue spalle facendola trasalire. In mano reggeva due lampade a led che per fortuna non avevano bisogno dell’elettricità per funzionare.
“Hai sistemato l’acqua?” domandò Carol.
“Io e Merle abbiamo lavorato qui per qualche mese. So che hanno un generatore nella sala caldaie che conserva l’acqua in caso di emergenza.”
“Allora vado a lavarmi. Grazie, Daryl.”
“Mmh.”
Astrid si aspettava almeno un piccolo sorriso da lui, invece l’arciere andò a lasciare lo zaino per sedersi sul divano.
 
Carol fece una smorfia dopo aver annusato una busta scaduta di biscotti. Negan sembrava essersi appisolato, oppure fingeva di russare per non essere disturbato. Dal fondo del corridoio si sentiva l’acqua scrosciare dal lavandino.
“Trovato qualcosa di commestibile?” chiese Daryl.
“Dopo dieci anni di commestibile non è rimasta neanche l’aria qui dentro.”
“Possiamo sempre mangiare quello che abbiamo portato.”
Carol aprì lo zaino e tirò fuori una scatola di carne. Odiava quella roba ma era l’unica fonte di cibo che permetteva loro di andare avanti.
“Perché tratti male Astrid?”
“Non la tratto male. La tratto come al solito.” Rispose Daryl.
“Non è vero. Ti comporti da stronzo perché ti piace. Fai sempre così, idiota.”
Carol lo aveva capito che Daryl si era affezionato ad Astrid. La guardava quando lei era distratta, sorrideva di nascosto quando lei diceva qualcosa di divertente e si irrigidiva quando lei lo toccava.
“Astrid non fa per me. Lei è… non lo so. E’ solo che non fa per me.”
“Quella donna è cotta di te, ma tu sei troppo impegnato a criticarti per accorgertene.”
Daryl sbuffò. Non era in vena di parlare dei suoi stupidi sentimenti. Il bacio con Astrid aveva peggiorato le cose. Se prima era più facile ignorarla, adesso ogni volta che la guardava ripensava alla sua bocca. Era diventata una maledizione.
“Non è importante.”
“Che cosa non è importante?”
Astrid si avvicinò alla cucina con i capelli umidi e una t-shirt pulita. Daryl rabbrividì e guardò altrove.
“Stavo dicendo a Carol che dovremmo metterci in contatto con Alexandria.”
“Vado a prendere la radio.”
Carol diede uno schiaffo a Daryl sul braccio e poi uno in testa.
“Non fare lo stronzo.”
Astrid tornò poco dopo con la radio, si sedette accanto a Carol e attivò l’aggeggio. Un crepitio anticipò un ‘bip’, poi si udì un fruscio.
“Alexandria. Qui parla Eugene.”
“Eugene, sono Daryl. Siamo arrivati ad Atlanta ma siamo bloccati in hotel perché la strada è interrotta. Domani mattina cercheremo un modo per arrivare al Centro.”
“Ricevuto. Io e Remy continuiamo a decifrare il diario misterioso. Stiamo adottando metodologie del tutto innovative. Lo sapevate che utilizzando le prime lettere degli elementi alcalini…”
“Basta così. Abbiamo capito!” si affrettò a dire Carol.
“Eugene, sono Astrid. Come state? Come vanno le cose?”
“Stiamo tutti bene. Ezekiel e Gabriel bisticciano su chi deve dare gli ordini, ma tutto sommato le cose procedono per il verso giusto. Come disse Albert Camus: La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.
Astrid ridacchiò per la vivacità di Eugene. Lo conosceva da poco tempo ma aveva imparato ad apprezzare la sua parlantina.
“Grazie per la massima, guru. Ci metteremo in contatto domani.”
“A domani.”
Un altro ‘bip’ concluse la connessione radio. Carol strappò la linguetta della carne in scatola e l’annusò per essere certa che fosse ancora buona.
“Non ci resta che cenare. Che ne dite?”
“Carne in scatola? Cibo da lusso per una suite.” Disse Astrid.
Daryl si lasciò sfuggire una breve risata, poi si ricompose subito. Si alzò e scavò nello zaino in cerca delle altre scatolette.
“Apriamo due scatole e le dividiamo. Non conviene sprecare molto cibo.”
Mentre Carol divideva le porzioni e Daryl recuperava l’acqua potabile, Astrid andò a svegliare Negan che ormai russava con la bocca aperta.
“Bella addormentata, svegliati. La cena è pronta.”
Negan mugugnò e si rotolò sul letto prima di mettersi seduto a fatica. Si passò una mano fra i capelli brizzolati, spettinandoli ancora di più.
“C’è una raffinata cena gourmet?”
“Solo schifosa carne in latta. Muoviti.”
Si sedettero a tavola e Carol consegnò loro i piatti e le posate che avevano portato da Alexandria. Daryl aveva riempito i bicchieri fino all’orlo, avrebbero bevuto solo quella quantità di acqua per non sprecarne troppa.
“Come superiamo la voragine? Il Centro è proprio dalla parte opposta.” Disse Astrid.
“Dobbiamo per forza aggirarla facendo un giro più lungo.” Disse Daryl, laconico.
Negan addentò la carne e bevve un sorso per mandare giù il boccone; odiava il cibo in scatola.
“Da qui al Centro di norma si impiega mezz’ora, ma senza traffico ci vorranno venti minuti.”
Daryl lo guardò come se avesse detto la cosa più stupida del mondo.
“Devi tenere conto dei vaganti, dei palazzi crollati, delle auto che ostruiscono le strade.”
“Nello zaino ho la mappa cittadina, possiamo usarla per scegliere il percorso.” Propose Astrid.
“Potete occuparvene tu e Daryl.” Disse Carol sorridendo.
Astrid deglutì la carne con difficoltà, era come se il peso che aveva sullo stomaco fosse risalito alla gola.
“Se per Daryl va bene…”
“Mmh.” Si limitò a dire Daryl.
Negan soffocò una risata premendo le labbra sul bordo del bicchiere e fingendo di bere; quella scenetta era patetica.
“Io e Negan penseremo al resto: provviste, partenze e altro.” Fece Carol.
 
Dopo aver mangiato e parlato ancora della missione, non restava che organizzarsi per la notte.
“Come dormiamo?” domandò Carol.
Astrid sapeva di dover scegliere prima che fosse troppo tardi. Meglio ricorrere ai ripari prima dei danni.
“Io e te potremmo dormire insieme nel letto, mentre Daryl e Negan dormono sul divano.”
“Io non dormo con quella bestia.” Obiettò Negan.
“E io non dormo con quell’assassino.” Ribatté Daryl.
Carol si mise le mani sui fianchi e roteò gli occhi, era stufa di quei due che bisticciavano come poppanti.
“Sul serio avete intenzione di fare così? Siete petulanti come i vecchi in banca!”
“Io posso dormire con Astrid.” Disse Negan con un sorriso furbo.
Daryl strinse le mani a pugno, le narici si allargavano ai suoi respiri furiosi.
“Tu non dormirai con Astrid. Puoi anche metterti in ammollo in piscina, non mi interessa.”
“Ma la piscina è putrida e mi rovinerebbe la pelle.”
Astrid voleva ridere per l’idiozia di Negan, doveva ammettere che col sarcasmo era davvero bravo.
“Per me va bene dormire con Negan, a patto che tenga le mani lontanissime da me.”
“Fa come ti pare.” Mormorò Daryl.
L’arciere, ormai stanco di quella discussione, prese le sue cose e si diresse fuori in terrazza.
“Vai a parlare con lui.” Disse Carol.
Astrid annuì e si infilò la giacca di jeans, ormai la sera tirava un venticello fresco e al sesto piano faceva ancora più freddo.
 
Daryl si era acceso una sigaretta e con piede disegnava cerchi confusi nella polvere del pavimento. L’acqua della piscina era marrone e puzzava, il cloruro doveva essersi combinato con gli agenti atmosferici e il sangue dei vaganti per emanare quel tanfo. Non gli importava, almeno lì poteva starsene da solo. Aveva trovato una sdraio ancora in buone condizioni e vi si era gettato con tutto il corpo spossato.
“Disturbo?”
Astrid era davanti a lui che si dondolava sui talloni e teneva le mani nelle tasche posteriori dei jeans. Era così agitata che tremava come una foglia. Daryl si mise seduto e le indicò il posto vuoto. La ragazza si accomodò e la sua gamba destra incominciò a tremolare.
“Ehm, Daryl… io non capisco cosa succede. Ho sbagliato qualcosa? Mi dispiace se ti ho ferito in qualche modo. E’ per il bacio? Perdonami, non lo farò più. Credevo che tu lo volessi e…”
“Astrid, calmati. Respira.”
“Scusami.”
Astrid prese un respiro ma i battiti del cuore non si placavano. Daryl le diede una leggera spallata giocosa.
“Tu non hai fatto niente. Non chiedermi scusa per ciò che non hai fatto.”
“E allora perché mi tratti male da quando abbiamo lasciato Alexandria?”
Daryl sentì una fitta che gli lacerava lo stomaco. La voce di Astrid era così affranta che si sarebbe preso a pugni da solo per averla fatta soffrire.
“Non volevo che venissi in missione. E’ troppo pericoloso e io passo tutto il tempo a preoccuparmi per te. Se ti dovesse succedere qualcosa non me lo perdonerei mai.”
“Quindi un pochino ti importa di me?”
“Lo sai.” Disse Daryl.
Astrid ridacchiò e gli mise una mano sul ginocchio, al che l’arciere si irrigidì ma non si ritrasse.
“So che non sei contento della mia presenza, che hai paura per me, ma devi imparare ad avere fiducia. Se ti fidi di me, se smetti di preoccuparti, sono sicura che la missione sarà più facile. Io non ho bisogno di un cavaliere dall’armatura lucente.”
“Io mi fido di te.” Confermò Daryl.
“Dimostramelo. Smettila di tenermi il broncio e inizia a collaborare con me. Io sono una sentimentale, però so che in questo momento i sentimenti devono essere messi da parte. Dobbiamo pensare alla cura.”
Daryl si perse a guardarla, ad ammirare il modo in cui i suoi capelli castani sembravano luccicare sotto la luna, a come muoveva la bocca mentre parlava. Era bella, diamine se era bella.
“D’accordo.”
“Grandioso!”
“Mmh.”
Astrid fece scorrere la mano sulla sua coscia facendolo irrigidire sempre di più. Daryl si sentiva oppresso da quel tocco, era ingestibile per lui. Ecco perché si alzò di scatto e si avvicinò al parapetto.
“Scusami. Ho esagerato.” Disse Astrid, imbarazzata.
“Ti butto in piscina se non la smetti di scusarti.”
“No, nella piscina no! Quell’acqua è così schifosa che potrebbero spuntarmi la coda da sirena.”
Entrambi risero sciogliendo quel nodo di tensione che si era venuto a creare.
“Senti, Astrid, le cose sono… complicate.”
“Ehi, non devi giustificarti. Ne riparleremo quando torneremo a casa. Atlanta non è il luogo giusto per perdersi in fantasie romantiche.”
“Okay.” Disse Daryl più sereno.
Astrid sollevò la testa e vide che il cielo era pieno di stelle. Dieci anni prima tutto quel luccichio non si sarebbe mai visto, ma senza palazzi alti e smog la natura era tornata maestosa.
“Mi piacciono le stelle.”
Daryl rivolse uno sguardo al cielo notturno e poi tornò a guardare lei.
“La Costellazione del Dorado ha la stella più luminosa del cielo: la R136a1. Di solito è quella che ci sembra splendere di più.”
“Daryl Dixon è un esperto di stelle. Affascinante!”
Astrid gli diede una spinta e gli fece la linguaccia. Daryl sorrise, le guance che si tingevano di rosso.
“Falla finita. Sono serio.”
“Anche io sono seria. Tu non te ne rendi conti, ma sei davvero un uomo incredibile.”
“Sì, come no.”
Astrid stava per replicare quando Carol uscì in terrazza con un diavolo per capello.
“Possiamo affogare Negan nella piscina?”
“Vengo messo alla gogna solo perché voglio dormire nel letto!” gridò Negan dietro di lei.
Nel caos generale l’attenzione di Daryl fu catturata da una luce che sfrecciava nel buio delle strade. Assottigliò gli occhi e capì che si trattava di una macchina.
“In città c’è qualcuno. Vedete, laggiù c’è una macchina in movimento.”
Astrid, Carol e Negan si affacciarono oltre il parapetto. In effetti una macchia scura avanzava spedita verso il Grady Memorial, o quello che ne rimaneva.
“Credi che si tratti del gruppo di Dawn?” sussurrò Carol.
“Chi è Dawn?” indagò Astrid.
“Dawn e il suo gruppo sono morti. Forse qualcun altro si nasconde in ospedale.” Disse Daryl.
“Qualcuno bisognoso forse di cure mediche.” Ipotizzò Negan.
Astrid si accorse dell’espressione cupa di Daryl. I suoi occhi si era adombrati lasciando spazio ad una grande sofferenza.
“Possiamo andare a controllare domani, se vuoi. Possiamo dividerci.”
“Astrid ha ragione. Togliamoci il dubbio.” Disse Carol.
“Nessuna distrazione. Concentriamoci solo sulla nostra missione.” Disse Daryl.
 
Alla fine, dopo una valanga di proteste, Negan si era conquistato il letto. Carol e Astrid avrebbero preso il divano. Daryl, invece, aveva raccattato il materasso della stanza accanto e lo aveva malamente gettato sul pavimento.
“Starai comodo?” domandò Astrid.
Lei si stava slacciando gli anfibi mentre Carol era immersa nella cabina-armadio in cerca di soffici cuscini.
“Starò benone.”
“Se ti va… puoi avvicinarti … a me e a Carol.”
“Vuoi che ti tenga la manina?” scherzò Daryl.
Astrid arrossì e fece una risatina nervosa. Si sedette a gambe incrociate sul divano-letto e con l’indice disegnò cerchi immaginari sul bracciolo.
“Era una cosa stupida. Lascia perdere.”
Daryl aveva capito la sua richiesta, lo fece sorridere sapere che lei lo voleva vicino. Quindi spinse il materasso affianco al divano in modo da dormire accanto a lei. Poi si sdraiò e si mise le mani dietro la testa.
“Ora sto molto più comodo.”
“Posso tenerti la manina?” lo prese in giro Astrid.
Daryl sorrise e allungò la mano, al che lei la strinse e fece incastrare le loro dita. Era un gesto così dolce e intimo che rimasero in silenzio per un po’.
“Questi cuscini sono incredi-… oh, scusate l’interruzione!” disse Carol.
Daryl ritrasse la mano e si mise seduto con evidente imbarazzo. Lo metteva a disagio essere beccato mentre stringeva la mano di Astrid.
“Che dicevi dei cuscini?”
“Che sono incredibilmente morbidi. Possiamo portarli ad Alexandria?”
Astrid prese un cuscino e lo stritolò fra le mani godendosi quella morbidezza che tanto le mancava.
“Io questo me lo metto nello zaino!”
Carol si coricò, spiegazzò il cuscino per bene e si mise comoda per dormire.
“Come fa quello a dormire?”
Negan aveva ricominciato a russare non appena si era messo a letto. Occupava tutto lo spazio con le gambe e le braccia allargate.
“E’ come uno scarafaggio, si adatta a tutto.” Disse Astrid.
“Domani dovremo dividerci per controllare più velocemente i laboratori.” Esordì Daryl.
“Posso andare io con Negan.” Si offrì Astrid.
“Siete molto amici, eh.” Commentò Carol, scettica.
“Non si tratta di amicizia. Reputo che Negan sia un valido aiuto.”
Daryl sapeva che Astrid aveva ragione e odiava che fosse così. Negan era stato di grande aiuto contro i Sussurratori, soprattutto quando aveva agito sotto copertura per uccidere Alfa.
“Te la senti di andare con lui? Ti basta una parola e cambiamo tutto.”
Astrid sorrise per l’apprensione dell’arciere, era bello sapere che lui ci teneva a proteggerla sempre.
“Me la sento. Io e Negan andiamo abbastanza d’accordo.”
“Okay. Però dopo i primi sopralluoghi cambiano partner.” Disse Carol.
“Sì.” Acconsentì Daryl.
“Per me va bene. Per quanto riguarda l’ospedale? Secondo voi dovremmo dare un’occhiata?”
“Non faremo niente. Atlanta è troppo pericolosa per andarsene in giro.” Disse Daryl.
Se si concentrava, Astrid riusciva a riconoscere i vaganti che dalla strada emettevano quei gorgoglii mostruosi. Era come un fitto esercito di formiche che assalta il tronco di un albero.
“Diamoci due giorni di tempo. Due giorni e poi torniamo ad Alexandria.”
“Sì, qui siamo troppo esposti.” Disse Carol.
 
Iris arrancava passo dopo passo. La ferita alla gamba aveva ripreso a sanguinare copiosamente. Un capogiro la costrinse a fermarsi e piegarsi in avanti per vomitare. Il dolore era intollerabile.
“Iris, non possiamo fermarci. Forza!” disse Logan.
“Non ce la faccio. Non posso andare avanti con questa gamba. Lasciami qui.”
Logan l’afferrò per la vita e la rimise in piedi, facendosi carico di tutto il suo peso.
“Remy mi uccide se ti mollo qui. Possiamo farcela. Dobbiamo restare uniti.”
“Sono giorni che scappiamo. Ho bisogno di riposo.” Disse Iris.
Logan si guardò intorno: si trovavano in un quartiere residenziale, uno abbastanza vicino al centro della città. I suoi occhi si posarono su una croce rossa appesa malamente ad un muro.
“Lì in fondo c’è un ospedale. Ci rifugeremo per una notte. Domattina ci muoveremo all’alba.”
Raggiungere l’ospedale fu difficile sia per Iris che zoppicava sia per le macchine accatastate lungo la strada. Logan dovette rimuovere un masso per far passare Iris.
Quando varcarono alle porte del Grady Memorial furono accolti da una sfilza di cadaveri rinsecchiti. La puzza era tremenda. Logan trattenne il respiro per non rigurgitare.
“Troviamo qualcosa per pulire e bendare la ferita.”
“Agli ordini, capitano.” Disse Iris.
Poiché gli ascensori erano fuori uso, Logan dovette trascinare Iris su per le scale con le sue sole forze. Arrivati al primo piano, il ragazzo era così sudato che i riccioli biondi gli si erano appicciati alle tempie e alla nuca.
“Ecco una stanza.”
Iris crollò sul lettino con un rantolo di dolore. I jeans erano sudici di sangue, quindi strappò la stoffa con facilità. La pelle riportava una profonda ferita che di certo doveva essersi infettata.
“Logan, cerca disinfettante, bende, aghi, antibiotici e antidolorifici.”
“Sei in grado di ricucirti da sola?”
“Sono una genetista, direi che sto rattoppare una ferita.” Replicò lei.
Logan rise nel costatate che l’amica non aveva perso la sua solita sfacciataggine. Andò direttamente nel deposito dei medicinali in cerca del necessario.
“Ho trovato tutto. C’erano tanti antibiotici e li ho presi tutti… Iris?”
Iris stava singhiozzando mentre premeva le labbra sulla fede nuziale. Il dolore fisico si era unito a quello psicologico provocandole un crollo emotivo.
“Mi manca Remy. Mi manca terribilmente.
“Ti capisco.” Disse Logan.
“Lo capisci perché sei innamorato di Astrid?”
Logan spalancò gli occhi, colto in pieno con le mani nel sacco. Rise per smorzare l’imbarazzo.
“Cosa? No, io non… okay, forse…”
“Logan, piantala. Lo sappiamo tutti che tu e Astrid siete innamorati da una vita. Sareste già sposati e avreste già dei figli se non ci fosse stato il virus.”
“Sono passati tre anni, non credo che Astrid pensi ancora a me. Forse si è messa con Ryan.”
Iris fece una smorfia tanto per il dolore quanto per l’ipotesi di Logan.
“Sarà magico quando tu e Astrid vi rivedrete. Il vero amore vince sempre.”
Logan sospirò, una misera speranza si stava accendendo nel suo cuore. Sperare di rivedere Astrid era l’unico motivo per cui lottava ogni giorno. Lei era la sua stella e lui l’avrebbe ritrovata.
 
Salve a tutti! ^­_^
Sono ritornata! Questo capitolo getta un po’ le basi per la storia.
Daryl come sempre se ne sta per conto suo e si chiude, ma Astrid è determinata a entrare nel suo mondo.
Ma Logan? Oh oh, credo che resterà molto deluso… oppure no?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 




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