Dog Days [traduzione di T'Jill]

di All_I_Need
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 Capitolo 16 

Quella notte, mentre Sherlock si addormentava con sorprendente facilità, il suo corpo a quanto pareva adattato a un normale programma di sonno, John rimase completamente sveglio.

Giaceva raggomitolato sulle coperte e guardava il suo amico nella luce fioca che filtrava dalle tende. Guardando il salire e scendere del petto di Sherlock e ascoltando il suono del suo cuore, John trovava difficile ricordare che poco più di una settimana fa questo sarebbe stato impensabile.

Eppure eccolo lì, un cane rannicchiato nel letto di Sherlock, e ormai non era nemmeno in grado di dire quale di queste due cose avrebbe considerato meno probabile se qualcuno gliel’avesse chiesto due settimane prima.

Ormai, il suono del cuore di Sherlock era diventato un familiare e rilassante rumore di fondo, il suo profumo - formaldeide, cuoio, prodotti per capelli, fumo di sigaretta (che si affievoliva), l'aria dopo un temporale - una scia che John avrebbe potuto seguire alla cieca.

Dalla sua involontaria trasformazione, aveva imparato di più sul suo migliore amico che in un anno di convivenza con lui. I soldati venivano in mente per primi, essendo forse la rivelazione più sorprendente. Ma c'erano anche altre cose, piccole cose che dipingevano un quadro molto più ampio: il modo in cui Sherlock lo accarezzava, sempre così attento a non tirargli la pelliccia e a trovare infallibilmente i punti che lui amava di più sentire grattare e accarezzare. Il modo in cui Sherlock dava la priorità ai bisogni di John rispetto ai propri, lasciando che lui lo trascinasse fuori dal letto alle prime ore del mattino per andare a fare una passeggiata, lasciandolo rimanere con lui durante quell'orrendo temporale, chiedendo a Sally di portarlo a fare una passeggiata piuttosto che costringerlo a rimanere nel laboratorio con il suo intenso odore di disinfettante che gli aveva bruciato nel naso. Il suo panico quando lui era stato ferito, il suo orgoglio ogni volta che John padroneggiava un'altra cosa che veniva naturale ai cani veri.

In breve, mentre John aveva cessato di essere umano, sembrava che dal canto suo Sherlock fosse diventato più umano. Forse lo era sempre stato e questa era la prima volta che poteva dimostrarlo, ma il risultato finale rimaneva lo stesso.

E John non poteva più fingere di non essere irrimediabilmente innamorato di lui.

Avrebbe dovuto sorprenderlo, questa consapevolezza, ma invece sembrava lampante, come se lui avesse sempre saputo che si sarebbe arrivati ​​a questo. Adorare Sherlock era naturale come respirare e a John non importava più quanto di ciò fosse dovuto all'istinto del cane. Credeva proprio che sarebbe successo in qualunque modo, probabilmente era accaduto per tutto il tempo mentre non stava guardando.

Sherlock si contrasse nel sonno e si spostò, girandosi su un fianco e allungando il braccio finché la sua mano non si fermò sulla schiena di John prima di giacere di nuovo immobile. John poteva sentirlo scivolare in un sonno più profondo e desiderava con tutto il cuore che gli scienziati di Mycroft trovassero presto una cura. Non sapeva quanto tempo avrebbe potuto sopportare di essere così vicino eppure così lontano.


*****


Sherlock si svegliò con la sensazione di essere osservato. Di solito non gli succedeva: non aveva l'abitudine di dormire quando c'era qualcun altro nella stanza. Be’, non fino a poco tempo prima.

Aprì gli occhi, nient’affatto sorpreso di trovare John che lo guardava. Era comunque una sorpresa vedere un cane dove si sarebbe aspettato il suo amico. Tranne che non si sarebbe mai aspettato di vedere la faccia di John al risveglio nel suo letto. Sperato, forse, in un raro momento di sdolcinata autoindulgenza, ma mai previsto.

"Cosa," mormorò, "non mi trascini fuori a fare una passeggiata per prima cosa?"

John si limitò a guardarlo, con la lingua penzoloni, e fece un morbido sbuffo che poteva significare qualsiasi cosa. Sherlock pensava che avrebbe avuto bisogno di un altro paio di mesi per comprendere appieno questo nuovo modo di comunicare, eppure l’idea di non vedere il vero John, il suo John, per così tanto tempo gli lasciava la sensazione di essere abbandonato e turbato. Non aveva mai saputo che fosse possibile sentire la mancanza di qualcuno mentre era proprio lì.

Allontanando lo scomodo pensiero, si mise a sedere, felice di notare che questa volta il suo mezzo di trasporto sembrava stare comportandosi bene. Se avesse continuato a svegliarsi duro e disperato, perfino John alla fine avrebbe tratto la conclusione corretta e avrebbe scoperto che, mentre Sherlock non era affatto interessato alla bestiality, non poteva affermare lo stesso della persona intrappolata nel corpo di una bestia. Avrebbe di gran lunga di gran lunga che John non lo scoprisse mai.

Decidendo che una ritirata strategica sarebbe stata la cosa migliore prima che John, con la sua superiore comprensione dei sentimenti, in qualche modo leggesse le prove schiaccianti nello stesso modo in cui lui stesso poteva leggere una scena del crimine, barcollò nel bagno, lasciando John a crollare di nuovo sul letto, apparentemente non dell’umore per alzarsi e uscire quella mattina.

Eppure se ne andarono, una volta che Sherlock fu uscito dalla doccia e ebbe mangiato con riluttanza una fetta di pane tostato mentre John sgranocchiava la sua colazione.

Fecero la loro solita passeggiata per il parco prima di tornare all'appartamento in modo che Sherlock potesse raccogliere i documenti e le equazioni su cui aveva lavorato la notte precedente e poi si recarono allo Yard.

"Ah, eccoti," li salutò Lestrade, sbadigliando sul caffè mentre entravano nel suo ufficio. "Mi chiedevo quando saresti venuto a perseguitarmi. Salve, John."

John gli diede un colpetto col muso al ginocchio in segno di saluto e lasciò che il DI gli grattasse il collo prima di andare a cercare Sally e il sacchetto di dolci che ora teneva nella sua scrivania. Sherlock lo osservò con uno strano senso di affettuosa indulgenza, essendosi rassegnato al fatto che John l'avrebbe sempre affascinato ovunque andasse, indipendentemente dal corpo che gli capitava di occupare. Una volta che il suo amico ebbe lasciato l'ufficio di Lestrade, Sherlock tornò al DI e tirò fuori i documenti dal cappotto.

"Il contabile della vittima mi ha inviato i fascicoli che avevo richiesto. Ho iniziato a controllare i numeri ieri sera, ma..."

"Cosa, non li hai finiti?” chiese Lestrade, alzando entrambe le sopracciglia. "Di solito stai sveglio tutta la notte con prove come questa da esaminare."

Sherlock gli lanciò un'occhiataccia. "Sono andato a dormire, se devi proprio saperlo."

Lestrade sorrise. "John ti ha costretto ad andare a letto? Chi avrebbe mai pensato che avrebbe dovuto essere trasformato in un cane perché ciò accadesse."

"Cosa dovrebbe significare?” chiese Sherlock, incrociando le braccia.

L'ispettore investigativo si strinse nelle spalle. "Niente. Ma se due settimane fa qualcuno mi avesse chiesto di scommettere su come John avrebbe potuto farti andare volontariamente a letto, che lui fosse trasformato in un cane non è quello su cui avrei scommesso."

Sherlock sbuffò. "Questo dice più sulla tua mancanza d’immaginazione che su me o su John."

"Quindi stai dicendo che ci sono altri modi in cui avrebbe potuto indurti ad andare a letto?" Lestrade fece un sorrisetto furbo. "Sono contento che tu finalmente lo ammetta."

Sherlock alzò gli occhi al cielo e decise di cambiare argomento, acutamente consapevole che molto probabilmente l'udito di John gli avrebbe permesso di cogliere la loro conversazione.

"Come stavo dicendo, prima che tu decidessi di regredire a una mentalità adolescenziale, ieri sera ho esaminato i numeri per vedere se c'erano incongruenze. Li ho fatti passare attraverso diverse formule e sembra che il signor James avesse ragione, qualcuno ha sottratto soldi dall'azienda. Ho fatto solo un calcolo approssimativo e naturalmente il tuo dipartimento antifrode dovrà dare un'occhiata alle cifre, ma sembra che negli ultimi due anni quasi mezzo milione sia svanito senza lasciare traccia.”

Lestrade emise un fischio sommesso. "Sono mezzo milione di motivi per l'omicidio, proprio lì. Farò esaminare i file dai nostri contabili con un pettine a denti fini. Hai idea di chi potrebbe averlo fatto?"

"Non ancora,” ammise Sherlock, accigliandosi. "Sono ragionevolmente certo che non fosse il signor James stesso. C'è una buona probabilità che non avremmo mai scoperto di lui se non si fosse presentato all'appartamento di persona. E naturalmente è stato molto accomodante nel consegnare il file che aveva ancora in suo possesso."

"Ieri ho mandato una squadra in azienda per prelevare gli altri file. I nostri ragazzi dovrebbero iniziare a lavorarci oggi, quindi mi aspetto alcuni risultati preliminari entro domani,” disse Lestrade, controllando i propri appunti. "Ho anche chiesto a Molly di dare la priorità al test del DNA sul bambino. Prima sappiamo se Forsythe junior era davvero il padre, meglio è."

"E se non lo fosse, c'è tutta una nuova strada di inchiesta che ci si apre," fece notare Sherlock. "Avrebbe potuto scoprire che il bambino era un figlio illegittimo e aver affrontato il vero padre. Questo avrebbe dato a entrambi i genitori biologici un motivo per l'omicidio.”

Condividisero uno sguardo cupo: non sarebbe stata la prima volta che una disputa familiare sfuggiva di mano in quel modo.

Lestrade si schiarì la gola e distolse lo sguardo, cercando di sembrare disinvolto mentre parlava di nuovo. "Allora, come vanno le cose con John?"

"Bene,” disse brevemente Sherlock, ancora un po’ teso dopo i precedenti commenti del DI. "Si è adattato in modo impressionante e sembra abbastanza soddisfatto della situazione.”

"Sì, lo vedo. Se non la sapessi più lunga, mi berrei completamente la tua storia. Gli si addice, non credi? Tra tutte le razze possibili che avrebbe potuto diventare, intendo. Ma non era quello che volevo dire."

Inchiodò Sherlock con uno sguardo che gli ricordò che Lestrade non aveva ottenuto il suo lavoro semplicemente perché si affidava a Sherlock Holmes. "Ci sono stati sviluppi per invertire il processo?"

Sherlock scosse la testa. "Niente. Mycroft mi ha detto che c'erano alcune idee promettenti, ma naturalmente non gli permetterò nemmeno di prelevare un campione di sangue finché non saremo sicuri che non gli faranno del male durante il processo"

Lestrade annuì. "Bene. Va bene. Non per la mancanza di progressi, naturalmente, ma... sei un buon amico, Sherlock." Fece una smorfia, chiaramente consapevole di quanto suonasse imbarazzante. "Solo... tieni presente che John ha una mente tutta sua e che può darti la sua opinione."

"Abbiamo usato le tessere dello Scarabeo per comunicare," lo informò Sherlock. "Naturalmente ci vuole un po’ per sistemarle e la sintassi corretta non è in cima alla lista delle priorità, ma funziona alla perfezione."

"E cos’ha comunicato?” chiese Lestrade, visibilmente diviso tra il divertimento e la preoccupazione per il benessere di John.

"Dati sull'odore della casa di Forsythe e sui sentimenti generali della sua vedova," fornì prontamente Sherlock. Esitò, poi aggiunse: "E una battuta."

Lestrade sbuffò una risata. "Che battuta?"

Sherlock tirò su col naso. "Era privata. Davvero non capiresti, anche se te la dicessi."

"Capisco. Quel tipo di battuta, eh? Siete sempre stati così, voi due. Intere conversazioni che lasciavano il resto di noi a chiedersi di cosa diavolo steste parlando voi due pazzi."

"Vi sta bene," gli disse Sherlock. "Non è bello ascoltare le conversazioni altrui.”

"Questo, detto da te!" rise Lestrade. "Scusami se non ti prendo sul serio."

Sherlock gli fece una smorfia. "Se hai finito?"

"Per il momento. Tuo fratello ti ha dato una stima di quanto durerà questa situazione?"

"Quale situazione?” chiese Donovan dalla porta, entrando nella stanza con John che la seguiva da presso. A Sherlock bastò uno sguardo per dire che il suo amico non avrebbe avuto bisogno di cibo per un po’.

"Il continuo affidamento dei miei genitori su di me come dog sitter,” le disse tranquillamente. "Lestrade stava solo chiedendo per quanto tempo ancora sarai in grado di rimpinzare il qui presente Johnny di dolcetti."

Sally alzò le spalle, del tutto impenitente. "Forse se gli dessi da mangiare meglio, non avrebbe ancora fame quando ti presenti qui la mattina."

"Ha svuotato un'intera ciotola, stamattina," la informò Sherlock. "E non devo giustificarmi con te. Johnny è semplicemente un ghiottone. Non è vero, Johnny?"

John gli uggiolò, ma lo sguardo che gli rivolse diceva chiaramente 'Questa te la farò pagare più tardi.’

Sherlock sorrise e si chinò per arruffargli la testa. "Proprio come ho detto."

"Hai notizie per noi, Donovan?” chiese Lestrade, facendo un cenno con il capo ai fascicoli che stava trasportando.

Sally scosse la testa. "Niente di utile. Non abbiamo ancora ricevuto notizie dai laboratori sui risultati del DNA e i nostri contabili hanno appena iniziato a smistare i dati che abbiamo ricevuto dalla società della vittima, senza contare che devono effettivamente esaminare tutto."

"Sherlock mi aveva detto che gli aveva dato un’occhiata ieri sera. Hai detto che hai eseguito alcune formule, Sherlock?” chiese Lestrade.

Lui annuì. "Solo un po’ di aritmetica di base per vedere se c'erano schemi evidenti." Si passò una mano tra i capelli. "Ho un libro sulle equazioni complesse da qualche parte, ma non sono riuscito a cercarlo ieri sera. Dovrò solo fare una telefonata e farli venire da quella via."

"Conosci dei bravi matematici, vero?” chiese Donovan, arricciando scettica le labbra.

"Si dà al caso che sia così."

Tirò fuori il telefono dalla tasca e fece scorrere i suoi contatti, premendo il pulsante di chiamata una volta trovato quello giusto e portandosi il dispositivo all'orecchio.

Quando la connessione fu stabilita, guardò John sedersi con un'espressione curiosa, chiaramente sospettando chi stesse chiamando Sherlock. Sperava che John ricordasse il suo ruolo nel loro stratagemma abbastanza bene da interpretare la parte in modo convincente.

Un attimo dopo, la sua chiamata ricevette risposta.

"Sherlock! Che bella sorpresa! Va tutto bene?"

Lui sospiro. "Va tutto bene, mamma." Vide la bocca di Donovan spalancarsi e alzò gli occhi al cielo. "Mi stavo solo chiedendo se..."

"Ohhh, come sta il mio Johnny?" lo interruppe sua madre, chiaramente ricordando anche la propria parte in questo gioco. "Fammi parlare con lui."

"È un cane, mamma, non sa parlare."

"Sherlock Holmes, non fare il furbo con me! Adesso mettimi in vivavoce. Non parlare, sul serio."

Trent'anni e più gli avevano insegnato che era inutile discutere con sua madre, così Sherlock abbassò il telefono e lo mise in vivavoce, incontrando lo sguardo curioso di John e notando le sue orecchie tese. "Ecco qua. Non dirmi che non ti avevo avvertito."

"Johnny!” disse sua madre, adottando quella voce fastidiosamente alta da ‘Sto parlando con un bambino piccolo’ che le persone tendevano a usare con i loro cani. "Come sta il mio tesoro?"

John, che Dio lo benedicesse, quasi saltò addosso a Sherlock nel tentativo di raggiungere il telefono, abbaiando e uggiolando, scodinzolando così violentemente che Sherlock pensò che più tardi avrebbe potuto avere un paio di lividi da mostrare sulle gambe.

"Come puoi sentire, sta perfettamente bene,” disse, alzando la voce per farsi sentire sopra il clamore generale di John che si comportava come un cane che cercasse il suo padrone in un piccolo dispositivo elettronico.

"Ohhhh, eccoti. Bravo ragazzo!" tubò sua madre. "Seduto!"

John si sedette, uggiolando e allungando il collo il più possibile verso il telefono nella mano di Sherlock.

"Sei contenta, ora?” chiese Sherlock, con un'aria esasperata. Aveva a malapena bisogno di recitare. "Adesso sei convinta che sia vivo e vegeto?"

"Sì, sì, grazie, caro. Mi perdonerai se sento la mancanza del mio cane. Ti direi di venirmi a trovare, ma abbiamo operai in casa tutto il giorno e so quanto sei sempre impegnato. Ma mi aspetto che tu venga una volta che avremo finito di ristrutturare. E ricordati di portare con te il tuo John così..."

"Madre, non è il mio... " Sherlock cercò di interrompere in fretta prima che l'intera conversazione potesse deragliare ancor di più.

"Oh, so che non è lì in questo momento. Sto solo dicendo che, una volta tornato dalla sua visita a sua sorella, dovresti portarlo conta cena e..."

"Non è quello che volevo dire..." iniziò Sherlock, ma avrebbe anche potuto non parlare affatto. Poté sentire Donovan soffocare una risatina.

"E naturalmente dovreste fermarvi per la notte e così potremmo...”

"Madre!" sbottò Sherlock. "Non è questo il punto, adesso!"

"Oh sì, giusto. Per cosa hai chiamato?"

Prese i fascicoli dalla scrivania di Lestrade. "Al momento non ho il tuo libro a portata di mano, altrimenti avrei controllato da solo. Ho qui un mucchio di libri contabili che potrebbero contenere alcune incongruenze. Ora ricordo vagamente che hai inventato un'equazione per qualcosa di simile."

"Be’, non per il falso in bilancio, ma potremmo modificare la formula di conseguenza,” disse. "Fammi prendere carta e penna."

Ci fu una pausa e la sentì muoversi per casa in cerca di materiale per scrivere.

"Tua madre è una matematica?” chiese Lestrade, stupito.

Sherlock sbatté le palpebre. "Sì, certo. È la donna più brillante che abbia mai visto. Ti dirà che si sta solo dilettando, ma ho i suoi libri da qualche parte nell'appartamento. E la minacciano ancora con un premio Nobel."

"Minacciano?" gli fece eco Donovan.

"Hm, sì. Non le piace che la gente faccia tante storie."

Ci fu un fruscio all'altro capo del filo e poi sua madre tornò. "Va bene, Sherlock, dammi i numeri che vuoi esaminare."

Sherlock lo fece, afferrando una penna e un taccuino dalla scrivania di Lestrade e sedendosi senza tante cerimonie sul pavimento. Ci sarebbe voluto del tempo.


*****


Lasciarono lo Yard ore dopo. L'oscurità era già calata e John vide Sherlock sbattere le palpebre mentre uscivano, chiaramente sorpreso da quanto fosse tardi.

Era rimasto seduto nell'ufficio di Lestrade per ore, prima analizzando una serie di complesse equazioni con sua madre e aggiustandole man mano che procedevano in una dimostrazione di genio matematico che aveva lasciato impressionata persino Donovan.

"Immagino che doveva averlo preso da qualche parte," mormorò Lestrade una volta che Sherlock ebbe finalmente riattaccato.

John aveva uggiolato in accordo e poi era andato a sdraiarsi accanto a Sherlock, mettendogli la testa sulla coscia e sistemandosi per un lungo e piacevole sonnecchiare mentre il suo geniale amico applicava le formule appena modificate alle cifre nei file che il signor James aveva inviato.

Sherlock non sembrava notare ciò che lo circondava, perso in una nuvola di numeri e nel proprio stesso cervello, ma ogni tanto la sua mano trovava infallibilmente la testa o la schiena di John e gli dava una carezza gentile, come se stesse ricordando inconsciamente a se stesso che John era ancora lì. Né Lestrade né Donovan osarono commentare, ma John era piuttosto convinto che anche se l'avessero fatto, Sherlock non li avrebbe ascoltati. E a lui non poteva importare di meno.

Erano rimasti lì sul pavimento dell'ufficio di Lestrade mentre la normale quotidianità dello Yard ferveva intorno a loro e teneva occupato Lestrade con scartoffie e colloqui con sospetti o testimoni di altri crimini commessi, agenti di polizia che entravano e uscivano dall’ufficio con fascicoli che richiedevano firme e richieste che necessitavano di essere approvate. Tutti loro girarono con cautela intorno a Sherlock e John al centro della stanza. Il fatto che nessuno si prese la briga di fare domande sulla loro presenza era un segno di quanto tempo loro due trascorrevano lì.

Ora l'aria frizzante della notte colpì i loro volti mentre uscivano dallo Yard e Sherlock fermava un taxi per portarli direttamente all'ingresso dello zoo di Londra in Regent's Park.

"Possiamo fare la nostra passeggiata e poi tornare a casa,” disse. "Qualche obiezione?"

John scosse la testa e saltò in cabina, facendo attenzione a non avvicinarsi troppo al sedile per evitare di lasciare peli ovunque.

Il viaggio in taxi trascorse in silenzio, il loro autista uno dei tassisti meno loquaci. John ne fu lieto... aveva vividi ricordi di quello che era successo quando un tassista loquace aveva dato sui nervi a Sherlock e non era entusiasta di una replica mentre non era in grado di lisciare le piume arruffate.

Scesero all'estremità di Regent's Park, vicino allo zoo di Londra, e fecero il giro più lungo. Tecnicamente, i parchi erano chiusi una volta calata l'oscurità, ma Sherlock conosceva gli orari dei guardiani abbastanza bene da evitare di essere rinchiuso per sbaglio. E, naturalmente, anche se fossero stati rinchiusi, non avrebbe avuto problemi a scassinare le serrature per farli uscire.

Scegliendo l'ampia Broad Walk che rappresentava il percorso più diretto verso l'altra estremità del parco, si avviarono godendosi la quiete di avere il parco quasi tutto per loro, tranne che per alcuni ritardatari che non prestarono loro alcuna attenzione.

Si fermarono alla fontanella di Ready Money per qualche sorso d'acqua. John non riusciva a raggiungere la fontana da solo, quindi Sherlock gli offrì l'acqua nelle mani a coppa. Non era il metodo più dignitoso, ma John scoprì che gli piaceva decisamente l'ulteriore vantaggio di leccare le mani di Sherlock e guardare il suo amico tremare per una risata a malapena repressa. Soffriva il solletico, a quanto pareva. John archiviò quell'informazione per dopo, per ogni evenienza.

Continuarono per la loro strada e ci vollero appena dieci minuti prima che dovessero attraversare Chester Road per seguire la Broad Walk. Tecnicamente, i cani non erano ammessi in questa parte del parco, ma né a Sherlock né a John importava, e in particolare non a tarda sera, senza nessuno in giro a lamentarsi.

Sfortunatamente, presto emerse che non erano così soli come avevano pensato.

John era rimasto indietro per annusare tra alcuni cespugli quando il suono di due battiti cardiaci accelerati - nessuno dei quali appartenente a Sherlock - e di scarpe sull'erba soffice attirarono la sua attenzione.

Sollevò la testa appena in tempo per vedere due ombre più scure staccarsi dalle siepi su entrambi i lati del sentiero e muoversi per bloccare il percorso di Sherlock. Una di loro lo salutò nel tradizionale modo londinese:

"Ehi, amico."

Sherlock si fermò. "Stai parlando con me?"

"Vedi qualcun altro?"

"Be’, c'è il tuo compagno dall’altra parte,” disse Sherlock.

John avrebbe voluto essere umano solo per poter seppellire il viso tra le mani per evitare di dover assistere alla carneficina che sicuramente sarebbe seguita.

"Oh, abbiamo un pagliaccio, Larry."

"Anche un bel pagliaccio elegante,” disse quello di nome Larry.

"Accidenti, il vostro intelletto combinato è davvero abbagliante," disse Sherlock, contribuendo alla catastrofe in erba.

John scosse la testa, ma rimase nell'ombra. Meglio non mettere tutte le loro carte in tavola finché non avesse saputo come si sarebbe evoluta la situazione.

"Smetti di parlare e consegna i soldi"

"Quali soldi?” chiese innocentemente Sherlock. "Non avevi detto niente sui soldi."

"Ascolta, amico, possiamo farlo nel modo più semplice o nel modo più difficile,” ringhiò Larry, che era chiaramente un fan degli stereotipi e dei brutti film.

Sherlock si dondolò sui talloni con l'aria di qualcuno a cui fossero state appena chieste indicazioni stradali in una città in cui aveva trascorso tutta la sua vita e che al momento stesse cercando di ricordare il nome del luogo. John poteva sentire il suo battito cardiaco regolare e persino l respiro e si rilassò un po’. Chiaramente Sherlock non era troppo preoccupato. In effetti, loro avevano regolarmente a che fare con assassini; non valeva la pena di eccitarsi per un paio di aspiranti rapinatori.

"Fammi indovinare,” disse Sherlock. "Il modo più semplice è che io consegni i soldi e poi venga picchiato e il modo più difficile sono io che vengo picchiato prima che tu mi prenda i soldi?"

"Sei un po’ un saputello, non è vero?"

"Semplicemente abituato a una classe di criminali migliore di voi,” disse Sherlock, scrollando le spalle, e arrivando addirittura a infilare con nonchalance le mani in tasca. "Di rado ho visto due criminali con un tale livello d’incompetenza. Vi siete esercitati davanti a uno specchio o vi viene naturale?"

Ci fu una breve pausa mentre i due decifravano quello che intendeva, seguita da un ruggito indignato dal più svelto dei due, e poi attaccarono.

Sherlock si tolse dalla traiettoria di uno dei pugni che volava verso il suo viso e deviò l'altro con il braccio. Tuttavia, la mossa lo lasciò scoperto per il secondo colpo del suo primo avversario. Riuscì a voltare la testa per evitare la maggior parte dell'impatto, ma subì comunque un colpo di striscio sulla guancia.

Quello fu l’attimo in cui John pensò che potesse essere un buon momento per intervenire.

Emerse dall'ombra, con i denti snudati e un ringhio basso e pericoloso che gli usciva dal profondo del petto.

Ci fu un secondo di confusione quando i due rapinatori si fermarono per guardarsi intorno alla ricerca della fonte del suono. Un attimo dopo, ottennero la loro risposta quando John si lanciò contro di loro.

Nessun uomo è in grado di rimanere in piedi quando inaspettatamente colpito da diciotto chili di cane che correva a tutta velocità e la sua vittima inconsapevole, Larry, cadde all'indietro con un grido e - mentre toccava terra - un grugnito.

Trasportato dalla propria stessa velocità, John rotolò su di lui, sbattendo accidentalmente la testa dell'uomo contro il selciato e tramortendolo prima che il suo corpo si fermasse in una pozzanghera fangosa.

Sherlock sfruttò la distrazione, portando abilmente il ginocchio in una regione molto sensibile del corpo dell'altro aggressore, che accartocciò a terra con un gemito di dolore confuso.

John, ancora ringhiando, si alzò da terra, si scrollò dalla pelliccia la maggior parte dell'acqua e si mosse per piazzarsi tra Sherlock e i due uomini a terra, abbassandosi con le zampe divaricate per darsi una posizione più ferma. Tutto quello che sapeva era la furia feroce nel vedere qualcuno cercare di attaccare il suo Sherlock, provare a fare del male al suo branco, provare a ferire ciò che era suo. Si chiese quale dei due mordere per primo se fossero stati così stupidi da alzarsi e riprovare.

Non lo erano.

Dietro di lui, Sherlock stava respirando pesantemente, con il cuore che ora batteva molto più in fretta di prima. John poteva fiutare la forte sfumatura di adrenalina. finalmente Sherlock stava reagendo come avrebbe dovuto.

"Tutto bene?” chiese Sherlock, accovacciandosi per dare a John un'occhiata più ravvicinata.

John si voltò e roteò gli occhi su di lui in un silenzioso ‘Naturalmente '.

"Hai rotolato su uno di loro," fece notare Sherlock. "Non è irragionevole pensare che potevi esserti ferito nel processo."

John sbuffò e scosse la testa, cercando in qualche modo di indicare che stava bene. Sbuffò e diede un colpetto al mento di Sherlock con il naso, attento a evitare la guancia.

"Mi ha colpito a malapena," lo rassicurò Sherlock. "Brucia un po’ e potrebbe lasciare un leggero livido, ma questo è tutto. Ci metterò un po' di ghiaccio una volta che saremo a casa, se insisti."

John annuì, desiderando gridare: ‘Cazzo, certo che insisto, idiota! 'e maledicendo il proprio corpo per la mancanza di corde vocali adeguate.

"Andiamo,” disse Sherlock, alzandosi e dando alle spalle di John un'altra carezza rassicurante. "Torniamo a casa prima che questi due idioti riescano a rimettersi in piedi."

John fece un piccolo balzo per sollevarsi sulle zampe posteriori, con le zampe anteriori premute sulle cosce di Sherlock, e gli diede un colpetto col muso al petto dove il suo telefono era al sicuro nella tasca interna della giacca.

Sherlock scosse la testa. "Chiamare la polizia non servirebbe a nulla. Per quando arrivassero qui, questi due sarebbero ben lontani. Informerò Lestrade domani e gli darò una descrizione dettagliata."

John sospirò e si arrese: non c'era modo di discutere con Sherlock su questo e sapeva che il suo amico aveva ragione. Non potevano restare qui a lungo se volevano uscire dal parco prima che i cancelli venissero chiusi e restare avrebbe significato prima di tutto rispondere alle domande su quello che stavano facendo lì a quest'ora della notte. Poteva già vedere la faccia completamente seria di Sherlock e sentire la sua voce impaziente mentre rispondeva "Essere aggredito da quegli idioti.”

Meglio evitarlo.

Lasciarono i due aspiranti criminali sdraiati sul sentiero e tornarono a casa. Ogni tanto, John si fermava e ascoltava in cerca del suono di qualcuno che li seguiva, ma tutto era tranquillo e gli unici suoni umani che poteva sentire nelle sue vicinanze erano i passi e il battito cardiaco di Sherlock.



 




NdT: Finalmente i due cominciano a dimostrare un po' di sana impazienza per la ritrasformazione? Era ora. E la prossima settimana, ora del bagnetto 🤣




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