Ryhana

di heliodor
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Luci

Il suono del corno la scosse dal sonno. Ryhana balzò in piedi e ancora assonnata, muovendosi tra le ombre, afferrò la spada che aveva al suo fianco.
“Che succede?” le chiese la voce di Kariba, la ragazza dalla pelle scura con la quale divideva la baracca.
“Non l’hai sentito anche tu il corno?”
Kariba mugugnò qualcosa di incomprensibile. “Sarà un gruppo che sta rientrando da un giro” disse con voce assonnata. “Ritorno a letto. Domani la giornata sarà dura.”
Come tutte le altre, si disse Ryhana stringendo l’elsa della spada nella mano.
Sapeva a malapena usare quell’arma. Golgis, il soldato che si occupava della sicurezza lì al campo, aveva insistito perché anche le ancelle come loro imparassero a maneggiarne una.
Ryhana aveva passato un paio di pomeriggi ad addestrarsi tirando fendenti e affondi contro un povero albero dalla corteccia rovinata.
Si era arresa solo quando aveva avvertito i crampi al braccio farsi insopportabili.
“Riprenderai domani” aveva detto Golgis.
Ma l’addestramento non era ripreso anche se le avevano lasciato la spada. Era vecchia e arrugginita, ma almeno era del peso giusto per lei e non rischiava di colpirsi da sola quando la usava.
Jonee, una ragazza di due anni più grande di lei, si era staccata un dito con la sua spada. Zana, la guaritrice più anziana lì al campo, aveva escluso che la ferita si sarebbe infettata e aveva vietato alla ragazza di usare la spada e qualsiasi altra arma.
“Sei ancora in piedi?” le chiese Kariba con tono lamentoso. “Torna al giaciglio o domani ti trascinerai per il campo.”
“Ormai sono sveglia” disse. “Vado a controllare se fuori è tutto in ordine.”
“Ci sono le guardie che ci pensano.”
Ryhana la ignorò e andò alla porta della baracca. Era una tavola di legno appoggiata all’entrata e tenuta ferma da una corda. Le bastò sciogliere il nodo per aprirla, mise un piede fuori e la appoggiò di nuovo con delicatezza per non disturbare il sonno di Kariba.
Fuori era buio e le sagome delle altre baracche erano solo ombre che si stagliavano su uno sfondo nero. C’erano i fuochi dei bivacchi che illuminavano i visi stanchi e tirati dei soldati che montavano di guardia.
Ryhana individuò un gruppo di tre che sedeva con la schiena chinata in avanti e la lancia appoggiata sulla spalla e marciò verso di loro.
“Ho sentito il corno” disse rallentando quando arrivò a un paio di passi di distanza.
Uno dei soldati alzò la testa di scatto. “Che ci fai fuori dalla baracca?”
“Ho sentito il corno che suonava” ripeté.
“È una faccenda che non ti riguarda.”
“Ma” iniziò a dire.
“Torna nella baracca.”
“Agli inferi” disse al soldato. Girò su sé stessa e fece per tornare alla baracca. A cinque passi dall’ingresso si voltò per vedere se i soldati la stessero ancora osservando. I tre erano tornati a fissare il fuoco e parlottare tra loro.
Ryhana cambiò direzione e girò attorno alla baracca, raggiungendo lo spiazzo formato da una ventina di casupole tutte di un solo livello. In mezzo sorgeva una tenda che veniva usata dai guaritori. Quando vi guardò vide che un paio di figure si muovevano con passi veloci e nervosi.
Andò verso la tenda con passo sicuro, la spada sempre la fianco. “Mirok” disse nel buio a una delle figure.
Dall’oscurità emerse il viso spaventato di un ragazzo che poteva avere sui venticinque anni e un leggero accenno di barba sul mento liscio e appuntito.
“Ryhana” esclamò il ragazzo sorpreso. “Non dovresti essere qui fuori.”
“Il corno ha suonato.”
Mirok annuì. “L’ho sentito anche io. Per questo Anazi ci ha tirati tutti giù dal giaciglio.”
“Sta succedendo qualcosa di grave?”
“Non lo sappiamo nemmeno noi. Nessuno ci ha detto niente.”
“Il gruppo di Kaleena è fuori da parecchio.”
“Non devi preoccuparti. È normale.”
“Non sono mai stati fuori per così tanto tempo.”
“Senti, non voglio essere scortese ma dovresti proprio andare. A Celeth non piace che nella tenda ci siano persone diverse dai guaritori. Dice che inquinano i reagenti delle pozioni.”
“Fammi sapere se scopri qualcosa di nuovo” gli intimò Ryhana prima di andarsene.
Mirok annuì e rientrò nella tenda.
Ryhana marciò decisa verso la tenda della comandante, che in quel momento era assente. Al suo posto sapeva che c’era un suo luogotenente, Yov Harrell, uno stregone dalla pelle scura come la notte e i denti tutti marci.
“Yov” disse chiamandolo a voce alta. “Yov sei lì dentro?”
Il velo che chiudeva l’ingresso si scostò e un viso dagli occhi scuri si protese verso l’esterno. “Che hai da strillare, ancella? Stanno già servendo il pasto?” Chiese con voce impastata.
“Non hai sentito il corno?”
“Corno?”
“Hai bevuto di nuovo troppo vino?”
“La roba annacquata che danno alla mensa, dici? Solo due boccali.”
Ryhana si accigliò. “Da come parli ne avrai bevuti almeno dieci.”
“Ora tieni conto del vino che bevo, dannata ragazzina? Guarda che non ci metto molto a farti cacciare via se mi disturbi ancora.”
Il corno risuonò di nuovo sopra le loro teste.
“Lo senti?” fece Ryhana indicando il cielo.
Yov sospirò e uscì dalla tenda. Era alto una spanna più di lei ma magro e slanciato. Sulle spalle strette aveva un mantello di colore grigio stinto che gli scendeva fino alle caviglie. Qualcuno aveva ricamato sopra di esso l’immagine di una sirena dal petto generoso e i capelli che terminavano in ciocche simili a serpenti.
“Vediamo che accidenti sta succedendo” disse con aria seccata. “Scommetto che Efren è di nuovo ubriaco e ha suonato il corno per sbaglio.”
Ryhana lo seguì a testa bassa. “Non lo puoi dire.”
“È già accaduto, ragazzina.”
“E non chiamarmi ragazzina. Ho sedici anni.”
Yov scosse la testa. “Dovresti startene a casa tua, non qui a fare la guerra. Questa è una faccenda per gente adulta non per quelli come te.”
“Avete soldati più giovani di me nelle vostre formazioni.”
“Vero” ammise Yov. “Ma quelli sono uomini. Tu invece…”
Ryhana sollevò la spada mostrandogliela “Io ho questa.”
“Che paura” fece Yov con tono canzonatorio. “Immagino quanti Malinor metterai in fuga con quella lì. Magari lo stesso Alion in persona.”
“Non so nemmeno chi sia” ammise.
Yov scosse la testa. “Dannata ragazzina che vuole fare la guerra.”
Raggiunsero il confine del campo, un recinto di tronchi infissi nel terreno e inclinati in modo che le punte fossero rivolte verso l’esterno. Una torre di legno si ergeva per metà sopra di essi, collegata al terreno da una scala.
Yov si fermò davanti a questa e guardò in alto. “Efren” disse a voce alta. “Efren.”
Nessuna risposta.
“Dannazione, affacciati o verrò io lassù e non sarà affatto divertente.”
Una testa si affacciò verso il basso. “Chi sei?” domandò.
“Yov Harrell” disse. “Il tuo comandante.”
Efren si sporse di più. “Dannazione. Hai sentito il corno, finalmente. Credevo di dover lasciare il posto di guardia per venirti ad avvertire.”
“Qual è il problema?”
“Ho visto delle luci” disse l’uomo.
L’espressione di Yov si contrasse. “Dove?”
“A oriente, sopra una delle colline.”
“Dannazione” esclamò lo stregone. “Ne sei sicuro?”
“È buio e una luce si vede bene” rispose Efren.
“Continua a controllare.” Yov riprese a camminare diretto al centro del villaggio.
“Che vuoi fare?” gli chiese Ryhana faticando a tenere il passo dello stregone.
“Non è faccenda che ti riguardi.”
“Ma ti ho avvertito io” si lamentò.
“E di questo ti ringrazio.” Guardò la spada che portava nella cintura. “Che io sia dannato. Chi te l’ha data?”
“Me l’ha data Golgis. Dice che devo imparare a difendermi.”
“Almeno la sai usare?”
Si strinse nelle spalle.
“I malinor ammazzano tutti quelli che imbracciano un’arma o portano un mantello, ma risparmiano gli altri.”
“Dove l’hai sentito dire? Io sapevo che ammazzassero chiunque.”
“Te lo dico io” disse Yov. “Domani devi ridarla a Golgis. Poi ci farò io due chiacchiere con quell’idiota.”
Raggiunsero il centro del campo. “Lorgon, Skekter, Balyna” disse ad alta voce. “Qualcuno li svegli e li trascini qui, se necessario. Consiglio di guerra nella mia tenda.”
I soldati che si trovavano lì vicino si allontanarono in direzioni diverse.
“Tu torna nella tua baracca” disse rivolto a Ryhana.
“Voglio restare. Starò buona e non parlerò. Nemmeno ti accorgerai della mia presenza.”
“Lo farò eccome.”
“Ti riempirò la coppa del vino.”
Yov sospirò. “Come fa Kaleena a sopportarti?”
Ryhana sorrise. “Sarà l’amore.”
Lui sospirò affranto ed entrò nella tenda. “Entra. Devi versarmi il vino, l’hai scordato? Mi sa che me ne servirà parecchio, stanotte.”

Lorgon era un omaccione grosso e corpulento, con barba e capelli lunghi che sembravano fondersi insieme in una cascata color nocciola spruzzata di grigio.
Skekter era alto e magro, gli occhi che sembravano volergli schizzare fuori dalle orbite e parlava sussurrando mentre non guardava mai in viso l’interlocutore.
Balyna era piccola e sembrava una ragazzina, ma Ryhana sapeva che aveva sei anni più di lei.
Tutti e tre indossavano il mantello grigio, anche se il tessuto era macchiato e pieno di buchi.
Yov li fissò uno per volta. “Voglio formare un gruppo di esplorazione. Skek, tu sei quello più esperto di questa regione.”
“Parliamo di quel corno” disse Lorgon. “Che intendi fare?”
“Voglio creare un gruppo proprio per questo.”
“Non ci serve un gruppo” disse l’omaccione. “Usciamo in forze dal campo e affrontiamoli prima che siano loro ad attaccare.”
Skek annuì con foga. “Sarebbe la cosa migliore da fare, sì.”
Yov guardò Balyna. “Tu che ne pensi?”
“Io dico di non fare niente” disse la strega.
“Niente?”
Balyna annuì con foga. “Sono soltanto delle luci. Forse è un altro gruppo di esploratori che sta rientrando. Che ne possiamo sapere noi?”
“Voglio mandare un gruppo di esploratori proprio perché non ne sappiamo niente” disse Yov con tono spazientito. “Skek? In quanto puoi essere pronto per uscire?”
“Dobbiamo preparare i cavalli e un paio di altre cose.”
Yov annuì grave. “Vai subito.”
Lo stregone esitò.
“Che c’è ancora?”
Skek fece un cenno della testa verso Ryhana. “Quella è da quando siamo entrati che ha in mano la brocca del vino e io ho la gola secca. Ragazzina, che ne diresti di riempirmi la coppa?”
“Muoviti” la esortò Yov.
Ryhana prese una coppa e la riempì di vino. La porse a Skek che la prese come se contenesse oro liquido, la portò alla bocca e tracannò tutto con un sorso.
“Ottimo” disse lo stregone. “È ancora parte di quel bottino?”
“Ne ho ancor cinque o sei da parte” disse Yov. “Se ci porterai buone notizie, te ne darò una.”
“Due” disse Skek.
“Una e una coppa della seconda. Che berrai alla mia salute.”
Skek emise un rutto e ridiede la coppa a Ryhana. Fece un gesto di saluto a Yov e lasciò la tenda.
Ryhana poggiò la brocca di vino sul tavolo alle sue spalle e lo seguì fuori dalla tenda.
“Dove vai?” le urlò dietro Yov.
“Mi sono ricordata di una cosa importante” disse tenendosi sul vago.


 




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