I
left my bike in Amsterdam
“Dobbiamo veramente andare a piedi?” Price si
premeva la
mano su un fianco, all’altezza della milza mentre, col
cappellino leggermente
storto sulla testa e il viso arrossato, si guardava attorno con fare
spaesato.
“Pensi che ti porteremo in braccio?” lo
sbeffeggiò
bonariamente Phil, piazzandosi accanto a lui e mollandogli
un’amichevole pacca
sulla spalla.
“Per una volta devo dare ragione a Price: non siamo per
niente abituati a pedalare così tanto!”
commentò Conor, la voce rotta dal
fiatone, mentre posizionava la sua bici nell’apposito
parcheggio e poi si
massaggiava le cosce indolenzite.
“Voi non siete abituati: tu e
Price!” puntualizzò
Dom, scendendo a sua volta dal mezzo a due ruote. Aveva un sorriso
smagliante e
non pareva per nulla affaticato dalla pedalata appena compiuta,
nonostante lui e
Phil avessero fatto a gara per tutto il tragitto a chi andava
più veloce.
Sapeva che sarebbe andata a finire così: nessuno aveva
opposto resistenza quando aveva proposto di noleggiare delle bici per
spostarsi
all’interno di Amsterdam, com’era tradizione in
quella città, ma negli occhi di
Price aveva scorto un pizzico di sconforto. Forse non si aspettava che
sarebbe
stato tanto faticoso e non aveva voluto privare i suoi amici di
quell’esperienza: Amsterdam era famosa per i percorsi
ciclabili e le lunghe
pedalate.
“Dunque” prese la parola Joe, consultando il
display del
suo cellulare. “Siamo a De Pijp. Non so come si legge, ma
ecco, questo è il
quartiere.”
Dom si guardò attorno: nonostante si trovassero ancora
nel grande parcheggio apposito per le biciclette, si poteva
già sentire
l’atmosfera festosa nell’aria, il vociare
proveniente dalle strade, bicchieri
di vetro che si scontravano in un brindisi, la musica diffusa dai
molteplici
locali, le luci delle bancarelle disseminate lungo il marciapiede.
Sorrise. “Andiamo? Ci sono un sacco di locali interessanti
e birrifici artigianali, direi che ci meritiamo una bella
sbronza!”
“Frena: innanzitutto qui c’è bisogno di
cibo!” lo
contraddisse Price, quasi del tutto ripresosi.
“Concordo” lo spalleggiò Phil.
“Per la strada vedo diversi ambulanti: troveremo qualcosa
da mettere sotto i denti” affermò Conor, affinando
lo sguardo.
I cinque si incamminarono verso le vie affollate e
colorate di De Pijp, inondate da giovani come loro intenti a godersi la
serata.
Un paio d’ore e diverse birre più tardi, i cinque
ragazzi
dei Nothing But Thieves si dirigevano nuovamente nel grande parcheggio
per
biciclette chiacchierando tra loro e con in mano un broodje
haring a
testa.
“Mi rimarrà sullo stomaco per tre anni”
commentò Conor,
sbocconcellando il panino ripieno di cetrioli, cipolle e aringa cruda.
Era
stato subito incuriosito da quella ricetta tipicamente olandese
– erano stati
fermati a ogni metro da venditori ambulanti intenti a elogiare le
proprie
aringhe crude, infine erano riusciti a convincerli che chi veniva ad
Amsterdam
non poteva assolutamente non assaggiare il broodje haring
– ma non
avrebbe mai pensato che sarebbe stato così pesante.
“Volete la verità? Fa cagare”
bofonchiò Dom col boccone
pieno.
“Davvero? A me piace” si sorprese Price, che
intanto
faceva fuori il suo pasto come se non toccasse cibo da una settimana.
“Esiste qualcosa in grado di farti dire il
contrario?” lo
punzecchiò Joe, dandogli di gomito.
Il batterista si strinse nelle spalle e continuò a
mangiare di gusto. A dirla tutta aveva talmente tanta fame che non si
era
nemmeno reso conto del sapore.
“Amico mio, se vuoi ti posso cedere anche il mio: se
prendo un altro morso, potrei seriamente sentirmi male e tutta la
buonissima
birra che ho bevuto stasera andrebbe sprecata” intervenne
Dom, osservando con
fare sprezzante una rondella di cetriolo che sporgeva tra le fette di
pane.
“Anch’io credo che non lo
finirò” aggiunse Conor. “Vuoi
anche il mio, Price?”
“Ehi, ma per chi mi avete preso?”
Phil, che aveva assistito a tutta la scena in silenzio,
ridacchiò. “Non vergognarti ad accettare: avrai
modo di smaltire pedalando.”
Ormai erano giunti nuovamente nel punto in cui avevano
lasciato le loro biciclette.
“Ragazzi…” attirò
l’attenzione Dom. Ancora con l’incarto
tra le mani, si aggirava per i dintorni guardandosi attorno con
circospezione:
sembrava alla disperata ricerca di qualcosa.
“Che c’è?” gli si rivolse Joe.
“Dov’è la mia bici?”
Phil sollevò un sopracciglio. “In che
senso?”
“Era qui, da qualche parte! Rossa, con il logo
dell’agenzia di noleggio da cui l’abbiamo
presa!”
“Le abbiamo parcheggiate tutte vicine, no? Questa
è la
mia, quella è di Price…”
tentò di ricordare Conor, indicando prima una bici
bianca e poi una blu.
“Non proprio. La mia per esempio era un po’
più distante”
fece notare Joe, spostandosi qualche metro più in
là e sfiorando col piede la
ruota di una bici nera e argento.
“Non mi ricordo dove l’ho messa, okay? Forse
addirittura
in un’altra corsia.” In preda alla frustrazione,
Dom mollò il suo panino ormai
freddo a Price e prese a gironzolare per il parcheggio, fermandosi ogni
volta
che i suoi occhi catturavano qualcosa di rosso; puntualmente
però una smorfia
di delusione si dipingeva sul suo viso.
“Scusa, ma quale numero aveva? Le bici a noleggio
dovrebbero avere un codice, che è riportato sia sul manubrio
che sulla chiave
del lucchetto” lo richiamò Phil.
Dom si accostò a lui ed estrasse dalla tasca la chiave,
ancora appesa al suo lucchetto. “88. Ma non vedo in che modo
potrebbe
aiutarci.”
“Aspetta un attimo: che ci fai con quel lucchetto in
tasca?” Conor fece qualche falcata in avanti, le
sopracciglia aggrottate.
Dom lo guardò confuso, poi all’improvviso parve
capire.
“Cazzo!”
“Quel lucchetto non era messo lì per figura:
serviva per
fissare la bici al parcheggio!” gli fece notare Joe.
“Me ne sono completamente dimenticato!”
Price, che intanto aveva continuato a mangiare
indisturbato – era già a metà del
panino del suo amico –, ridacchiò col boccone
pieno. “Amico, ti hanno fottuto la bici!”
“No. Non è vero. Non è
possibile!” Il moro, che già si
stava inalberando, mosse qualche passo avanti e continuò a
guardarsi attorno,
per nulla intenzionato ad arrendersi. “Dove cazzo
è la mia bici?” chiese tra sé
e sé in tono apparentemente calmo, ma che trasudava tutto il
suo nervosismo.
I suoi compagni di band lo guardavano allibiti, senza
sapere bene che fare.
Il chitarrista continuò ad avanzare fin quasi a correre,
i suoi occhi schizzavano da una parte all’altra senza sosta.
Si fermò per un
attimo, prese fiato e ripeté, stavolta gridando a pieni
polmoni: “Dove cazzo è
la mia bici? Dov’è?”
Improvvisamente la faccenda cominciava a non essere più
divertente: l’aveva cercata ovunque ma non ce n’era
traccia, e il fatto di
essere l’unico responsabile del misfatto lo faceva sentire
ancora di più un
idiota. Come poteva essersi dimenticato di legare la bici al parcheggio
prima
di andarsene?
“Se la chiami e ti metti a gridare come un evaso dal
manicomio, non credo che la bici ti risponda” gli fece notare
Joe, per poi
mettere in bocca l’ultimo pezzetto del suo panino.
Dom si voltò nella direzione dei suoi amici e si
passò
una mano sulla fronte. “Sono fottuto! Cosa dico adesso a
quelli del noleggio?”
“Che sei un deficiente” gli suggerì
Conor.
“Mi potete almeno dare una mano?”
I cinque si misero a esaminare una per una tutte le bici
del parcheggio, ma la numero 88 sembrava essersi volatilizzata.
“E meno male che i ladri siamo
noi” commentò Price
in tono lugubre.
“Mi chiederanno un risarcimento pari a quello che
guadagno in un mese di tour, me lo sento” si
disperò Dom, passandosi le mani
sul viso.
“Beh, in un modo o nell’altro dobbiamo tornare
indietro,
no? Se vuoi puoi salire sulla bici con me” propose Phil.
A Dom quell’idea non piaceva per niente. “No,
grazie.
Preferisco tornare all’agenzia di noleggio il prima possibile
per avvisare che
un bastardo sta andando in giro con una delle loro bici…
magari premieranno la
mia onestà. Prendo un taxi.”
“E pensi che con quello farai prima?” chiese Joe
scettico, montando in sella.
“Certo, soprattutto se non sono io a pedalare.”
“Ah sì?” lo sfidò Conor,
rimuovendo il lucchetto e
liberando il suo mezzo. “Allora vediamo chi arriva prima al
traguardo: tu in
taxi o noi in bici!”
“Che sfida del cazzo: le vostre gambe non possono fare
quanto il motore di una macchina” lo liquidò Dom,
già col telefono in mano per
cercare il numero della compagnia di taxi di Amsterdam.
I quattro ciclisti si lanciarono un’occhiata
d’intesa.
“D’accordo, allora ci vediamo lì,
vedremo chi ha ragione
alla fine!” concluse Phil, poi sfrecciò via sulla
sua bici verde scuro seguito
da Joe, Conor e Price a chiudere la fila.
“Ah, ve ne andate già? E mi lasciate qui da solo?
Che
amici stronzi!” gli gridò dietro lui allibito.
“L’hai voluto tu!” ribatté
Conor tra le risate, prima di
scomparire lungo la pista ciclabile.
Dom sospirò, si avviò verso il marciapiede
– non aveva
tanto da fare in quel parcheggio – e avviò una
chiamata verso il numero della
compagnia di taxi. Subito venne accolto da una musichetta e da una voce
metallica che chiedeva, prima in olandese e poi in inglese, di
attendere la
risposta di un segretario perché al momento tutte le linee
erano occupate.
Aspettò per un minuto, due, e poi i minuti si fecero
cinque, ma nessuno rispondeva. Dalle labbra del chitarrista avevano
cominciato
a fuoriuscire imprecazioni di tutti i tipi: possibile che in quel
maledetto
posto, con tutte le biciclette che circolavano, tanta gente fosse
interessata a
prendere il taxi?
Stava per arrendersi quando finalmente una voce maschile
esplose al suo orecchio, bofonchiando qualcosa in olandese.
“Salve, io… parlo solo inglese”
annunciò, prima di
richiedere il suo taxi e comunicare l’indirizzo in cui si
trovava.
“Come? Può ripetere? E parlare un po’
più lentamente?”
gli chiese l’uomo all’altro capo del telefono in un
inglese stentato.
Dom tentò di ripetere scandendo meglio le parole, ma era
talmente nervoso e incazzato che il risultato non fu tanto migliore e
le sue
parole furono un fiume in piena.
“Mi sta prendendo in giro?” si alterò il
suo
interlocutore.
“No, mi serve un taxi! Sono a De Pijp, sono a
piedi!”
sbottò lui, trattenendo a stento un’imprecazione.
Si sentì rispondere in olandese in un tono piuttosto
minaccioso, poi la chiamata venne bruscamente interrotta.
Dom era allibito: allontanò lentamente il cellulare
dall’orecchio e guardò il display dove campeggiava
la lista delle chiamate
recenti. “Ma vaffanculo!” gridò.
Stava cominciando ad avere fame – del resto aveva preso
solo qualche morso del suo panino –, quindi decise di andare
a sbollire la
rabbia e comprare qualcosa da mangiare prima di ritentare la
prenotazione del
taxi.
Dall’altro lato della strada, sotto un’insegna con
la
dicitura FEBO, stazionava quello che pareva essere un distributore
automatico:
suddivise in varie cellette vi era un’ampia gamma di
crocchette e snack veloci;
da quel che Dom aveva potuto apprendere, si trattava di un tipo di
distributori
tipicamente olandesi.
Almeno sarebbe potuto andare sul sicuro, trovare qualcosa
di suo gradimento e spendere poco.
Attraversò e, mentre sceglieva il suo pasto, fece partire
nuovamente la chiamata per tentare di prenotare il suo taxi. Quasi non
poteva
crederci quando una voce, stavolta femminile, gli rispose dopo appena
un minuto
di attesa.
“Salve, vorrei prenotare un taxi, mi trovo nel quartiere
De Pijp” cominciò a spiegare Dom, destreggiandosi
per tenere il cellulare
attaccato all’orecchio, il portafoglio ancora aperto e la
vaschetta stracolma
di crocchette di pollo.
Ma il suo sforzo non servì a tanto: poco dopo aver
pronunciato l’ultima parola, sentì un bip
all’altro capo del telefono e
si rese conto che la conversazione era stata interrotta.
Dal niente, senza motivo.
Dom si lasciò andare a una nuova ondata di imprecazioni e
fu tentato di scaraventare il cellulare a terra, poi si
ricordò che era suo e
che avrebbe dovuto spendere un polmone per comprarne uno nuovo
– già aveva
preventivato di dare via qualche organo per pagare il taxi, che non era
certo
famoso per essere un mezzo economico.
Decise che era il caso di consumare il suo pasto in pace
e solo successivamente cercare una soluzione: non ne poteva
più, aveva fame ed
era troppo incazzato per fare qualcosa di sensato.
“Su, ragazzi! L’ultimo sforzo e ci
siamo!” Joe pedalava
coi capelli al vento e un sorriso sulle labbra, come se
quell’attività non gli
costasse affatto. Di tanto in tanto rallentava e si voltava a guardare
indietro, dove Conor e Price arrancavano con le loro biciclette.
Il cantante aveva il volto arrossato e faceva un po’
fatica a tenere la coordinazione – forse aveva bevuto un
po’ troppo – mentre il
batterista pareva completamente sfatto.
“Avete idea di quanto ho mangiato? Mi sto trascinando
appresso tre chili in più rispetto all’andata,
ringraziate che non ho ancora
vomitato nel bel mezzo della pista!” si lamentò
quest’ultimo, fermandosi per un
istante e passandosi una mano sullo stomaco. Lo sentiva pesante come un
macigno; in genere digeriva qualsiasi cosa, ma quella sera forse aveva
davvero
esagerato.
“Andiamo! Io sono curioso di vedere se Dom è
arrivato
prima di noi!” li incitò Phil, pur mantenendo il
suo solito tono pacato. Anche
lui, al di fuori della pelle leggermente lucida di sudore, non mostrava
particolari segni di stanchezza.
“Certo che anche voi potevate rallentare, eh!”
aggiunse
Conor. In genere non disdegnava lo sport, ma lui e il ciclismo non
andavano
particolarmente d’accordo.
Joe attese che Price lo affiancasse, poi gli mollò una
pacca sul braccio. “E dire che tu dei pedali ne hai fatto il
tuo lavoro e la
tua passione.”
“Che stronzo…”
“Tra l’altro in bici si sta seduti, è
decisamente
un’attività adatta a te!”
proseguì il biondo con un sorrisetto furbo.
“Lasciamo perdere: mi sta venendo il culo quadrato su
questo maledetto sellino…”
“Ehi ragazzi, Dom non c’è!”
I due rivolsero lo sguardo verso Phil che, qualche metro
più in là, era giunto a destinazione e si
guardava attorno.
“Visto? Io lo sapevo!” si entusiasmò
Conor,
raggiungendolo con un ultimo sforzo.
“Ah, ‘fanculo.” Price rallentò
fino a fermarsi, scese
dalla bici e prese a camminarle accanto, trasportandola per il
manubrio.
“Bandiera bianca! Non ne posso più!”
“Te ne accorgi a due metri dall’arrivo che non ne
puoi
più?” commentò Phil ironico.
“Tanto non sarei riuscito a starvi dietro in ogni
caso!”
Una volta riunitisi e riconsegnato le bici, i quattro si
accomodarono su una piccola scalinata nei pressi del deposito di bici
in attesa
del loro amico.
“Ma… sentite: secondo voi è normale che
stia tardando
tanto? Insomma, noi ci abbiamo messo una vita ad arrivare”
commentò Conor con
un leggero nervosismo, scrutando la strada nella speranza di vedere un
taxi che
accostava al marciapiede.
“Se avesse avuto dei problemi ci avrebbe avvisato”
lo
rassicurò Price, per poi lasciarsi sfuggire uno sbadiglio.
“Magari ha trovato il ladro di biciclette e ci ha fatto
una rissa” suppose Phil.
“Chi, Dom? È più probabile che sia
andato dritto nel
quartiere a luci rosse” ghignò Joe.
“Io spero solo che si dia una mossa perché sto
morendo di
sonno” trasse le sue conclusioni Price, sistemandosi
distrattamente gli
occhiali e sbadigliando nuovamente.
Quando Dom scese dall’auto, gli si presentò
davanti agli
occhi una scena parecchio bizzarra: i suoi quattro amici erano su delle
gradinate, Joe scribacchiava su un quadernino con una sigaretta accesa
tra le
dita, Phil conversava amabilmente con una coppia di turisti che si era
accomodata là vicino, Conor armeggiava con il suo cellulare
e di tanto in tanto
scattava qualche foto mentre Price sembrava collassato sulla spalla del
cantante, intento a sonnecchiare.
“Alla buon’ora!” Joe fu il primo ad
accorgersi della
presenza del chitarrista moro.
“Siamo arrivati praticamente mezz’ora fa”
aggiunse Conor.
“Lasciamo perdere. Lasciamo veramente perdere”
sbottò
Dom, prendendo posto sullo scalino accanto a Joe e chiedendogli
implicitamente
una sigaretta con un cenno.
Lui gli porse il pacchetto. “Sbaglio o quello non era un
taxi?”
“Infatti alla fine ho dovuto prendere un Uber. Fanculo ai
taxi, alle bici, a De Pijp e alle fottutissime aringhe crude!”
“Ma che è successo?” si
informò Conor perplesso.
“È successo che quelli del taxi non mi capivano
–
‘fanculo anche al mio accento dell’Essex
– oppure mettevano giù senza neanche
ascoltarmi, mi hanno fatto attendere quattro vite e mezzo per poi
chiudermi il
telefono in faccia. Ho cenato con delle terribili crocchette di pollo
che
sembravano di gomma, e come se non bastasse ora devo andare da questi
tizi a
dirgli che sono una testa di cazzo e mi sono fatto fottere la loro
bici… può
bastare?”
“Tutto sommato poteva andare meglio”
commentò Joe con una
risatina.
“Non c’è un cazzo da ridere.”
Anche Phil si avvicinò al cugino, dopo aver congedato i
due turisti con cui stava chiacchierando. “Chi non muore si
rivede!”
Dom sbuffò e prese una boccata dalla sigaretta.
“Qualcuno
si offre volontario per accompagnarmi da quelli del noleggio a spiegare
cos’è
successo?”
Joe si voltò dall’altra parte e
continuò a fumare come se
nulla fosse, come uno studente che spera di non essere notato al
momento delle
interrogazioni.
“Ah, non guardare me: io sto dormendo!”
esclamò Price,
posizionandosi meglio sulla spalla di Conor.
Quest’ultimo scambiò un’occhiata con
Phil ed entrambi
trattennero una risata.
“Da quando Price parla nel sonno?” disse Phil
ironico.
“Io sto sostenendo il dormiente, quindi non mi posso
spostare” fece notare Conor in tono ovvio, sghignazzando
sotto i baffi.
“Noto una grande solidarietà da parte vostra
oggi”
borbottò Dom in tono deluso, incrociando le braccia.
Infine Phil si sciolse in un sorriso. “Andiamo, ti
accompagno io.”
Dom si mise in piedi e si stiracchiò. “Non
noleggerò mai
più una bici ad Amsterdam. Mai più.”
Lui e Phil si allontanarono giusto in tempo per perdersi
l’esclamazione di gioia di Price, soffocata appena nella
maglietta di Conor.
♥
♥ ♥ ♥ ♥
AUGURI DOOOOOOOOOOOOM *_____________*
(Anche se è passata la mezzanotte vale lo stesso? Del
resto in Inghilterra c’è un fuso orario diverso e
la giornata finisce un’ora
dopo AHAHAH)
Arrivo proprio a filo, ma CE L’HO FATTAAAA a scrivere una
storia per il suo compleanno!!!! E unirlo anche alla sfida di Evelyn,
perché
insomma, il suo compleanno è capitato proprio nel periodo
della città E C’ERANO
TALMENTE TANTI SPUNTI!!!
Innanzitutto… il prompt da unire allo scenario della
città stavolta è stato suggerito da Kim ed
è “taxi”. So che forse è
stato usato
in maniera un po’ marginale, ma la tentazione di inserire una
cosa successami
in prima persona è stata troppo forte: una volta a Milano,
proprio dopo il
concerto dei Nothing But Thieves, ho provato a contattare il taxi in
tutti i
modi ma la chiamata mi si chiudeva subito in faccia ogni volta che
qualcuno
rispondeva, e le attese erano apocalittiche XD c’è
stato bisogno di tantissimi
tentativi prima di riuscire a prenotarne uno! E stessa cosa dopo il
concerto
dei System Of A Down a Firenze! Quindi mi sono divertita a immaginare
che anche
a Dom potesse succedere in quel di Amsterdam, avvalendomi anche del
fatto che lui
parla un’altra lingua XD
A proposito, ho fatto accenno all’accento
dell’Essex
perché Dom – così come tutta la band
– hanno un accento fortissimo che li rende
spesso incomprensibili a chi non è madrelingua XD e suppongo
che, visto che
provengono dall’Essex, sia una caratteristica del luogo,
perché non tutti gli
inglesi sono così ^^
Il fatto di Dom che non trova la bici è ispirato a un
video pubblicato nei canali social dei NBT qualche tempo fa, quando
hanno
deciso di riportare a galla vecchi video risalenti ai loro tour per
combattere
la nostalgia durante la pandemia! Questo, come potete anche leggere
nella
didascalia, è un episodio ambientato nel 2018 ad Amsterdam!
Vi suggerisco di
guardarlo perché fa CREPARE DAL RIDERE (lo potete vedere
anche se non avete
instagram):
https://www.instagram.com/p/CLXYpsXFSIU/?igshid=fsj89iwhyno
Lascio qualche altra piccola annotazione sulla città di
Amsterdam!
Innanzitutto è una città famosa, tra le altre
cose, per i
suoi numerosi percorsi ciclabili, super utilizzati sia dagli abitanti
della
città che dai turisti ^^ viene proprio consigliato di
visitare i vari quartieri
in sella a una due ruote – e vedo che i NBT si sono
perfettamente immersi nello
spirito!
De Pijp (che per inciso si pronuncia “de paip”)
è un
famoso quartiere, tra i più frequentati e pieni di vita,
famoso per i suoi
locali in e per essere frequentato da giovani e
studenti. Mi sembrava
una destinazione carina, soprattutto perché raggiungibile
dal centro in 15
minuti di pedalata circa ^^
Il broodje haring è appunto un panino
farcito con
cipolle, cetrioli e aringa cruda. Quest’ultima è
tipicamente olandese: in ogni
angolo della città si trovano bancarelle di aringa cruda, in
cui si possono
ordinare appunto anche questi panini.
Infine, i distributori FEBO sono letteralmente degli
enormi distributori di crocchette di ogni tipo, esattamente come li ho
descritti ^^
Poi… il titolo della storia è una storpiatura di
un verso
di “Amsterdam” dei Nothing But Thieves, che sarebbe
appunto “I left my heart in
Amsterdam” ^^ so di aver già utilizzato questo
verso come titolo di un’altra
storia, MA DAI COME POTEVO NON SFRUTTARLO??? XDD
Ah, un’altra piccola curiosità: mi sono presa la
licenza
di un Dom disgustato dall’aringa cruda perché
tempo fa ho trovato una foto di
Phil, Price, Conor e Dom in un ristorante di sushi, e Dom era
l’unico che
fissava ciò che stava per mangiare come se fosse una
minaccia mortale AHAHAHAHA
questo dettaglio mi ha sempre fatto ridere XD
E niente, dovrebbe essere tutto!
(Le NdA più lunghe della storia, ma dettagli AHAHAHAH)
Vi ringrazio tantissimo per essere giunti fin qui,
ringrazio ancora di cuore Evelyn per la sfida super stimolante e Kim
per il
prompt assolutamente PERFETTO!
E ancora TANTISSIMI AUGURI DOM, l’uomo con il sorriso
più
contagioso del mondo ♥
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