Metamorfosi
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non m'è
rimasto
neppure tanto
Ma nel mio cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più
straziato
(Ungaretti, San Martino del Carso)
Sparare è facile. Prendi la mira, premi il grilletto, bang.
Lo fanno tutti.
Sparare è diventato facile. Prima non lo era per la maggior
parte di loro. Prima non potevano farlo tutti.
Atsumu non c'è riuscito finché suo fratello non
è stato morso. Dopodiché imbracciare un'arma da
fuoco è diventato necessario. Atsumu non stringe acciaio fra
le dita, ma salvezza morbida come piuma, ogni proiettile che schizza
via dalla canna è liberazione. Atsumu spara, Atsumu
respira.
I bossoli che si riversano a terra, in quel clangore affievolito
dall'erba, sono gli scheletri della speranza. Non rimane nulla, solo un
vuoto in cui fluttuano parole taciute che non potrà
più dire. La tranquillità della vita precedente
é uno spettro impalpabile che odora di lacrime e sangue, i
sogni sono ossi di seppia sollevati dalla marea: aridi, muti. Hanno
bruciato e poi sono appassiti con lui.
Cosa c'è, oltre la curva della morte? Niente, i cadaveri
sono cadaveri e i vivi aspettano di diventare tali.
Atsumu ha smesso di credere in un dopo, di vagheggiare un
qualcos'altro. La crudeltà a cui ha assistito è
troppa. Non sarà mai più felice, né in
questa né in un’altra esistenza.
Non c’è nessuna strada che conduce a un nuovo
inizio, nessuna aiuola fiorita, nessuna primavera eterna. Atsumu, per
suo fratello, non ha avuto neanche un funerale, nè un corpo
su cui piangere, perché mentre fuggi da un'orda brulicante
di esseri affamati non hai tempo per trascinarti dietro i morti -
però te li trascini dentro,
per sempre.
Per questo, per questo, sparare dritto in mezzo agli occhi di Suna e
fargli esplodere il cervello non è un problema. Prima non ci
sarebbe riuscito. Adesso è facile.
Suna lo guarda. Lo supplica con le ciglia che tremolano umide.
È stato morso all'avambraccio e non vuole diventare uno di
loro. È stato morso e vuole rimanere umano. È
stato morso ed é pronto a morire pur di fermare quel
cambiamento, quella metamorfosi di orrore, anche se perderà
il cielo, il sole, il battito del cuore (si lascerà alle
spalle tutto, anche il dolore).
Suna lo scongiura. La sofferenza incagliata nella curva delle pupille
sempre più dilatate, come una conchiglia sotto la
sabbia.
Suna boccheggia - fallo, fallo, fallo. Ti prego.
Atsumu non ha bisogno di essere pregato. Non dopo Osamu. Non dopo tutto
quello schifo.
Preme il grilletto. La pallottola lo trapassa come il suo sguardo. Suna
muore con le labbra schiuse, come se dalla gola stesse per sfuggire un
mormorio. Atsumu l'ha stroncato prima che potesse udirlo.
La sua è un’esecuzione perfetta. Suna si accascia, il corpo vuoto come un'esuvia di cicala, come il
bossolo che scivola dalla sua pistola e trova l'erba. Niente cuore,
niente anima. C'è poi tanta differenza, fra lui e quel
cadavere riverso a terra?
Atsumu volta la testa verso la strada. Non hanno tempo per seppellirlo.
Kita rimarrà con la bocca serrata in una linea stretta, Aran
singhiozzerá in silenzio lasciandosi alle spalle un sentiero
di lacrime finché Atsumu non gli ringhierà di
piantarla - perché quelli
percepiscono il dolore, la disperazione. Devono fare
silenzio. Imbottigliare tutto, reprimere gli spasmi dell'animo
nell'oblio, nel vuoto dove restano sospese tutte le cose perdute - le
briciole.
Devono continuare a correre, ad avanzare, a fuggire da quella marea
infetta, fatale.
Atsumu muove il primo passo. Poi ne fa un secondo, un terzo. Nessuno lo
segue. Non c’è tempo per i sentimentalismi,
vorrebbe gridare. Dobbiamo muoverci. Dobbiamo restare vivi.
Quindi si volta, i denti scoperti e le lacrime che gli bruciano le
guance - troppo pesanti per essere fatte di acqua e sale, è
una colata di sangue e cenere.
Dietro di lui, però, non c’è nessuno.
Solo un cadavere dal viso irriconoscibile, senza ombra. Un buco a forma
di Suna. Tutto quello che ha lasciato di sé nel mondo.
Ah già, pensa
Atsumu. Lui era
l’ultimo.
*
Shouyou vuole vivere. Vuole vivere anche se ha perso tutto.
C’è qualcosa nel sole che continua a sorgere, nel
tempo che si è svuotato di significato ma che continua a
scorrere, nella terra che continua a girare intatta nonostante
l'apocalisse, che lo spinge a inspirare grandi boccate d'aria. Persino
a cantare, delle volte, in quella perpetua ricerca di non sa neanche
lui cosa. Però sa che non si deve fermare.
È solo che ci sono ancora troppe cose che vuole fare,
nonostante il dolore. È vivo, il sangue pulsa contro i
polpastrelli delle dita, ha il collo sudato perché in
macchina si muore di caldo. Tutto è cambiato dopo la fine
del mondo, dopo che quelli
sono arrivati, ma alcune cose dentro di lui sono rimaste immutate.
Shouyou si aggrappa a esse, solleva il diaframma sebbene faccia male,
sebbene le ferite sgorganti dentro il suo cuore non si rimargineranno
mai. Il suo malessere però è la prova che lui un
cuore c'è l'ha ancora, e deve tenerselo stretto, ha perso
tutto e non vuole perdere anche se stesso.
Shouyou lo trova sdraiato vicino a un campo di girasoli selvatici.
Frena all'improvviso, schizza via dalla macchina e si avvicina.
Non sembra ferito, è rannicchiato su un fianco, il respiro
pesante, la guancia imbrattata di sangue - non è il suo.
Dev’essere
esausto, pensa Shouyou. Per addormentarsi
così allo scoperto, da solo.
A giudicare dalla posizione alta del sole, deve essere quasi
mezzogiorno. Il tempo ha perso di significato, è vero, ma
non del tutto. Adesso sono albe e tramonti i rintocchi di campana che
contano, gli allarmi a cui devono prestare attenzione,
perché è di notte che quelli arrivano,
che quelli
uccidono, non appena i raggi dorati di luce si spengono oltre
l'orizzonte.
Hanno ancora parecchie ore prima del buio.
Shouyou si siede accanto a lui. Gioca con i fili d’erba
mentre lo ascolta respirare. Il mondo di giorno emette un bel suono,
più intenso. I cinguettii dei pigliamosche, il fruscio delle
foglie, l’assenza umana ha permesso alla terra di tornare a
vibrare, a cantare, a essere cristallo e usignolo. Gli uomini hanno
iniziato a morire, la terra si è riappropriata dell'ossigeno
al loro posto.
La notte, però, fa solo paura. Ci sono grida, il rumore
della carne che viene strappata, gli spari delle armi da fuoco che
riecheggiano fra le alture. E poi il silenzio. Il silenzio che sa di
morte. Di eterno. Qualcosa che neanche il tempo si azzarda a intaccare.
Il ragazzo accanto a lui si sveglia di soprassalto. Sobbalza e non
appena lo vede serra la mano attorno all'impugnatura della pistola.
Mira alla sua testa. Shouyou sgrana gli occhi e rimane immobile.
''Non sono uno di quelli,''
mormora dolcemente, come se volesse quietare un animale selvatico.
''C’è il sole, vedi?''
Il puro terrore impiega qualche istante prima di sbiadire dalle sue
iridi, e Shouyou non lo biasima di certo. Infine getta
un’occhiata al cielo per assicurarsi che sia effettivamente
giorno, poi si guarda intorno confuso come se cercasse qualcuno.
''Scusa,'' gli dice. ''È stato istinto.''
Shouyou scuote la testa. ''Non preoccuparti. Sei da solo?''
''No, io-''
La voce gli muore in gola, poi punta lo sguardo a terra.
''Sì, sono da solo.''
Sembra che stia per
scoppiare a piangere, pensa Shouyou.
''Come ti chiami?''
''Atsumu.''
''Atsumu come?''
''Atsumu e basta.''
''Okay, Atsumu-san e basta,'' risponde. ''Io sono Hinata Shouyou.''
Quindi estrae dalla sacca la penultima confezione di biscotti. ''Ne
vuoi uno?'' chiede, scartandola.
Atsumu sgrana gli occhi. ''Dove li hai trovati?''
Shouyou incurva le labbra. ''Li conservo per le occasioni speciali.''
Atsumu accenna un sorriso che però non è un
sorriso vero, e ne prende uno. Lo mastica in silenzio, dopo ne prende
un altro e se lo ficca in bocca intero. Gonfia le guance come uno
scoiattolo, si lecca via le briciole. Poi la prima lacrima silenziosa
gli scivola lungo la guancia. Poi una seconda. Poi una terza. Infine si
nasconde la testa fra le gambe, la mano che trema mentre stringe
convulsamente i fili d'erba.
Shouyou non dice niente. Rimane immobile, a impastarsi la lingua di
biscotto e ad ascoltare il canto delle cicale che non è
abbastanza forte da coprire i singhiozzi di Atsumu. Quelli sono dolori
immensi, niente potrebbe aiutarlo, spera solo che Atsumu sia abbastanza
forte da rifiutarsi di affogare.
*
Shouyou gli propone di viaggiare insieme. Atsumu è solo,
Shouyou pure. Non si viaggia da soli durante un'apocalisse zombie. E
soprattutto non si viaggia a piedi, e Atsumu la macchina l'ha perduta
insieme a suo fratello. Perciò accetta, soprattutto per i
biscotti che Shouyou nasconde nella sacca.
Solo per qualche giorno,
si dice. Il tempo di
racimolare nuovamente provviste. E di trovare una macchina.
E di provviste ne racimolano abbastanza. I supermercati sono
perlopiù vuoti, ma di borse e buste sporche di sangue lungo
la strada se ne trovano a bizzeffe, con annessi i cadaveri in
decomposizione di chi è morto senza tramutare in zombie. Poi
pescano, o raccolgono la frutta dagli alberi. E trovano pure delle
macchine, Atsumu tuttavia non riesce ad
andarsene.
Domani, si
ripete. Domani.
Poi a furia di albe scoccate smette di crederci. Non può
lasciare Shouyou da solo. Non vuole lasciarlo da solo. Non vuole essere
solo.
Da qualche parte deve esserci un rifugio. Sono poche le persone ancora
vive che incontrano lungo la strada, ma tutte mormorano della stessa
notizia, una foglia che fruscia di bocca in bocca. I gruppi di persone
sono poco numerosi, perché viaggiare soli è
rischioso, ma viaggiare in più di quattro o cinque individui
lo è ancora di più. Quelli sentono
l'odore della paura. Cinque ragazzi in preda alla disperazione fanno
più rumore di uno solo. Forse è per questo che i
suoi amici sono tutti morti.
Di giorno, lui e Shouyou riposano a turno. Nessuno di loro ha mai
sentito o assistito ad attacchi diurni, tuttavia la prudenza non
è mai troppa. Sonnecchiano al sole, sgranocchiano gallette,
giocano con un vecchio mazzo di carte sporco di sangue. Shouyou canta e
balla. É un concentrato di energia. Atsumu si è
scoperto persino in grado di ridere, ogni tanto. C'è quella
sofferenza atroce e martellante che gli dilania le ossa, ma Shouyou
riesce a fargliela dimenticare per qualche istante. Gli concede il
privilegio di sentirsi leggero, un barlume dorato in cui si scorda
quello che ha intorno.
Shouyou è spumeggiante, gesticola esageratamente quando
parla, ha gli occhi brillanti anche dopo le notti in cui sopravvivono a
malapena. Probabilmente
è la follia, pensa Atsumu. È il suo modo di
combattere la depressione, di riempire il vuoto. Non può
essere vero, il suo buonumore.
Ad Atsumu va bene così. É più facile
chiudere gli occhi, riposare qualche ora, quando sai che qualcuno
veglia accanto a te. Essere in due ti concede un briciolo di garanzia,
inoltre Shouyou è davvero in gamba. Non è
avventato sebbene sia forte, si muove nel modo più prudente
a discapito del suo entusiasmo travolgente, e soprattutto spara bene.
Il problema di essere in due, il problema di mettere la tua vita nelle
mani di una persona, è la sofferenza atroce che scaturisce
alla fine, quando la morte giunge e afferra coloro a cui hai
messo il cuore in mano, trascinandoli oltre la curva.
*
La notte, c’è la paura. Shouyou ha imparato a
interiorizzare quel tipo di terrore, perché la sopravvivenza
è per metà volontà, e per
metà spietata freddezza. Quando di notte quelli si
schiantano contro il vetro della macchina, la bocca senza labbra
spalancata, Shouyou deve soffocare ogni istinto di mettersi a urlare,
di rannicchiarsi su se stesso e di premersi le mani sulle orecchie per
non sentire. Quando di notte invece quelli non
arrivano, Shouyou deve mantenersi abbastanza concentrato da domare
costantemente il panico.
Nonostante abbia imparato a chiuderlo a chiave in un cassetto della
propria anima, non basta. Sul corpo ha mille finestre attraverso cui il
terrore può sgorgare, Shouyou ne chiude una ma poi basta una
folata violenta per far spalancare tutte le altre.
Il cuore accelera, i denti battono, ma deve rimanere in grado di
prendere la mira, di valutare la strada più sicura.
Aspettano l’alba come corvi appollaiati sui fili elettrici,
quando d’inverno attendono i primi raggi del sole per
scrollarsi il gelo dalle piume. Shouyou sussurra. Parla ad Atsumu, gli
fa domande, vuole distrarlo e distrarsi dall'ansia che monta. Quando il
panico assale entrambi, sforzarsi di formulare frasi dotate di senso li
aiuta ad aggrapparsi a quella briciola di lucidità e a
tenerla stretta fra i denti. Per Shouyou, è come se Atsumu
gli stringesse il polso tenendolo lontano dal buco nero che vuole
inghiottirlo. Shouyou sa che per Atsumu è lo stesso.
Ci sono notti in cui il dolore è più intenso.
Atsumu respira a fatica e tenta di controllarsi, di mantenere una
facciata composta, rigida come il tronco di una quercia, ma Shouyou
vede i suoi occhi sgranati che tremano, che inglobano la luce
lattiginosa della luna e non la restituiscono indietro. La corazza di
Atsumu si trasforma in un velo di seta, troppo leggero per la
tramontana, per quel vento che sputa loro in faccia aghi appuntiti.
Il dolore si gonfia come una marea. La macchina si allaga, respirare
diventa uno strazio.
Quando succede, Shouyou non può aiutarlo. È
così palpabile, l’immensità di quella
sofferenza, che aprire la bocca non servirebbe a nulla. Ci sono certe
cose da cui non si può guarire.
Perciò, Shouyou lo tocca. Gli sfiora piano il collo o la
guancia, gesti appena percettibili che non hanno la pretesa di
rincuorare, non hanno la pretesa di fare rumore, ma servono
semplicemente a ricordargli che in quella macchina sono in due.
Atsumu non gli ha mai domandato della sua famiglia, o dei suoi amici.
Shouyou ha fatto lo stesso. Quel poco che conosce, Atsumu
l’ha rivelato non volendo, e Shouyou ha iniziato a mettere
insieme i pezzi di un puzzle sperando che un giorno gli restituiscano
un’immagine completa. Ma i tasselli sono ancora troppo pochi,
e probabilmente quelli perduti non li riavranno mai indietro.
Quando finalmente il sole sorge, e quella notte eterna
s’offusca, appassisce per qualche ora, Shouyou sospira e
Atsumu sospira con lui.
Di solito, Shouyou si stiracchia come un gatto. Scaccia via la
frustrazione che gli ha intorpidito le spalle e la mascella distendendo
le braccia. Quel giorno, però, Shouyou cerca la sua mano. La
trova, gli allarga le dita per incastrarci le proprie.
Atsumu non dice nulla. Guarda dritto davanti a sé, non
scivola via dalla sua presa ma neanche la contraccambia.
Sii coraggioso, pensa
Shouyou, senza staccargli gli occhi di dosso. Infine Atsumu scuote la
testa e si stacca, portando la mano sulla pistola. Shouyou
s'intristisce, abbassa lo sguardo, però non può
biasimarlo: fra la mano di un’altra persona e la sensazione
di acciaio sotto le dita, quale ti concede più sicurezza?
*
Sono sdraiati in un campo di girasoli selvatici. Somiglia a quello dove
si sono incontrati la prima volta. È sconvolgente quanto il
mondo riesca ancora a essere bello e pittoresco, con quelle chiazze
gialle e arancioni che richiamano la luce dorata del sole, sebbene sia
l’apocalisse. Poco lontano, lungo la strada, ci sono chiazze
vermiglie di interiora che imbrattano l’asfalto.
Shouyou ha gli occhi chiusi, i riccioli rossi che gli incorniciano il
viso. Sembra uno di
loro, pensa Atsumu. Se rimanesse immobile, anche
quelli lo scambierebbero per un girasole.
E lui? Lui a cosa somiglia? Non più a se stesso, questo
è sicuro. Se si guardasse allo specchio, probabilmente non
si riconoscerebbe neppure.
Atsumu vorrebbe infilarsi una mano nel petto e stringerla attorno al
cuore, giusto per vedere se c’è ancora. Il
più delle volte non gli sembra vero, di essere ancora vivo.
Magari è stato attaccato, magari sta morendo, magari le
corolle brillanti che vede non sono altro che una proiezione del suo
inconscio, per impedirgli di avvertire il dolore.
Delle volte, Atsumu vorrebbe infilarsi una mano nel petto e stringerla
attorno al cuore, non tanto per vedere se c’è
ancora, quanto piuttosto per capire se sia in grado di provare
qualcosa. Perché Shouyou è bellissimo in maniera
quasi straziante, e Atsumu vorrebbe solo chinarsi e baciarlo,
immergersi nel tepore della sua pelle come se fosse un bagno
caldo. Eppure Atsumu rimane immobile, il dolore che
anestetizza, che soffoca, l’istinto di cercargli la mano.
C’è una corazza, intorno alle sue ossa, una
corazza spessa e invisibile che lo imbalsama come se fosse uno stampo
di gesso. È c’è una foschia strana a
soffiargli dentro, come se la sua anima fosse imprigionata in una
gabbia fatta di nubi.
Atsumu vede i bordi delle costole di Shouyou premere contro la maglia
leggera. Vorrebbe passarci il dito sopra, contarle, proseguire lungo
l’addome, poggiare le labbra nella curva del collo.
Però non lo fa, ha le braccia di pietra. Atsumu si chiede se
sarà mai in grado di toccare di nuovo qualcuno.
''Shouyou-kun,'' lo chiama dunque, e l’altro apre un occhio
per ascoltarlo. ''Ma tu ogni tanto non pensi che morire sarebbe la cosa
migliore?''
''No,'' risponde Shouyou immediatamente. ''A me vivere piace molto.''
''Anche così?''
''Anche così.''
*
Atsumu gli piace. Da quando si sono incontrati è trascorso
un mese, forse due, ma nessuno si preoccupa più di contarli:
le uniche cose che contano davvero sono le ore che separano la notte
dal giorno.
Atsumu gli piace e non se n’è più
andato. E mentre lo osserva sonnecchiare al sole, i raggi che fanno
brillare le sue ciglia scure, Shouyou pensa che Atsumu sia davvero
davvero davvero bellissimo.
Si avvicina e gli strofina la fronte contro la spalla. Ha la pelle
tiepida, imbevuta di calore, perciò ci strofina la fronte
più forte come un cucciolo esausto che finalmente trova una
tana dopo giorni di gelo. Tra Atsumu e la pistola, Shouyou sceglierebbe
Atsumu: è quanto più lontano ci sia dalla paura.
Atsumu volta il viso e lo fissa. Shouyou gli sorride, Atsumu non
contraccambia.
''Tu mi piaci,'' gli dice dunque, per renderlo chiaro.
''Anche tu mi piaci, Shouyou-kun.''
''A me tu piaci nel senso che voglio baciarti.''
Atsumu non risponde. Un’ombra mesta gli offusca le iridi. A
Shouyou quell’ombra non piace, l’ombra gli fa
pensare alla notte, e la notte alla morte. Quindi serra le palpebre e
sporge il viso in avanti finché non gli trova le labbra.
Sono morbide, intiepidite dalla luce e dall’estate.
Shouyou gli preme più forte la bocca contro, ma Atsumu
rimane immobile.
Shouyou si allontana appena. Inchioda i suoi occhi screziati di verde
ai propri, poi scava alla ricerca di qualcosa che
però non trova. Infine, testardo, lo bacia ancora, ma Atsumu
non si scioglie sotto il suo respiro, rimane congelato.
''Lo sai, se non ti piace basta dirlo,'' gli dice dunque Shouyou,
accennando una risata per stemperare il momento. Atsumu sospira, scuote
la testa, e Shouyou prova una frustrazione immensa che gli fa bruciare
lo stomaco come se avesse bevuto una tazza di acido. Atsumu
è a pochi centimetri da lui eppure pare distante anni luce.
Shouyou non sa come raggiungerlo. Shouyou odia quando non
riesce a raggiungere qualcosa.
''Non è che non mi piace,'' spiega Atsumu. ''È
solo che io ti guardo, e penso solo al momento in cui dovrò
spararti in testa.''
*
Adesso è Atsumu a guidare. Shouyou ha gli occhi chiusi e la
bocca aperta, la testa che ciondola a peso morto come un pendolo.
Tic-tac, tic-tac. La testa di Shouyou oscilla, gli istanti si
susseguono come foglie soffiate via dal vento. Che poi, cosa dovrebbe
farci lui, con il tempo? Atsumu ci pensa spesso, a come la sua
realtà sembri immobile: assomiglia a un videogame messo in
pausa. C’è una grande, grandissima desolazione
intorno a lui, e il buio e il giorno sono leggeri segmenti a matita che
però non separano nulla da nulla poiché tutto
è equidistante dato che è privo di fine.
Non sa quanto tempo sia trascorso da quando si sono conosciuti.
Sicuramente più di tre mesi, perché adesso gli
alberi sono arancioni o spogli, e l’aria che respira fa
pensare più all’inverno che all’autunno.
Continuano a cercare il presunto rifugio, spostandosi lungo il Giappone
senza seguire un itinerario preciso. Atsumu non crede che esista, ma
dopotutto non hanno un piano migliore.
Shouyou non ha più parlato del bacio, e Atsumu nemmeno.
È come se non fosse mai accaduto. Come se non fosse mai
esistito. E non gli piace, vorrebbe riprenderlo indietro, preservarlo
come un tesoro, perché sa che le cose tiepide e belle vanno
tenute strette perché sono divenute rare come i biscotti.
Però Atsumu non ci riesce, non riesce a baciare le labbra di
qualcuno che considera un cadavere, non riesce a baciargli la fronte -
vorrebbe, vorrebbe, ma non ci riesce - quando sa che probabilmente
dovrà aprirgli un buco proprio lì, fra le
sopracciglia dall'arco gentile.
''A cosa stai pensando?''
La voce di Shouyou è inaspettata, Atsumu si volta a
guardarlo e vede un mezzo ghigno affiorare dalla sua bocca arricciata.
''Penso che sei bravo a baciare,'' risponde.
Il sorriso di Shouyou diventa più largo, le guance
arrossiscono. ''Potremmo rifarlo.''
Atsumu scuote la testa. ''Nah, non credo.''
''Perché no?''
Atsumu scrolla le spalle, senza rispondere. Non sa come spiegargli
della nebbia che gli soffoca il cuore.
Shouyou si ficca in bocca una galletta stantia. ''Credo che dovresti
lasciarti andare un po’.''
''Lasciarmi andare?''
''Sì,'' risponde Shouyou. ''Sai, posso fare altre cose.
Oltre a baciare, intendo. E sono pure bravo. E lo so che lo vuoi anche
tu, solo che sei... annodato.''
''Annodato,'' ripete Atsumu. Poi schiocca la lingua, stizzito, e una
grande rabbia gli monta dentro. ''Scusami se è morta tutta
la mia famiglia e noi rischiamo di finire sbranati ogni secondo.
È un po’ difficile lasciarsi andare, quando
l’unica cosa a cui riesco a pensare è che noi
faremo la loro stessa fine.''
''Lo so,'' risponde Shouyou. ''Lo so, anche io ho perso tutto, ma
questo non mi impedisce di provare a essere felice.''
''Non puoi essere felice. Non vivendo così. Tu fingi di essere
felice, menti a te stesso solo perché non sei abbastanza
coraggioso per accettare lo schifo che hai intorno.''
Shouyou inarca le sopracciglia. ''Guarda che anche tu fai parte
dell’insieme di cose che mi stanno intorno.''
Atsumu apre la bocca, la richiude, poi sbuffa. ''Io non faccio schifo.
Tutto lo schifo che hai intorno, eccetto me.''
Shouyou non risponde. Atsumu arrossisce, si morde la guancia
finché non sente il sapore del sangue. ''Scusa,'' biascica
poi. ''Non è vero che non sei coraggioso. È tutto
il contrario.''
Shouyou annuisce. Di’
qualcosa, pensa Atsumu. Ti prego, non tenermi il muso.
''Atsumu-san, io sono felice,'' spiega l’altro, come se
l’abbia ascoltato. ''Non sono sempre felice, è
ovvio. Ed è altrettanto ovvio che io sia terrorizzato. Ma ci
sono cose che mi fanno stare bene, cose che mi piacciono. E tu mi piaci
un sacco. Puoi frenare un momento?''
Atsumu obbedisce, accosta sul ciglio della strada (per abitudine, non
perché sia davvero necessario, dietro di loro non
c’è nessuno) e punta gli occhi sullo sterzo.
''Guarda me,'' gli dice Shouyou. Atsumu obbedisce di nuovo, sposta lo
sguardo nei suoi occhi caldi e rimane intrappolato.
''Senti,'' comincia Shouyou. ''Noi una scelta non l’abbiamo
mai avuta. C’è sempre la morte, alla fine della
strada. Solo che prima ci sembrava una cosa lontanissima, mentre da un
giorno all’altro ci siamo svegliati e l’abbiamo
trovata che bussava alla porta di casa. E io capisco, ti giuro che
capisco il senso di sconfitta, e anche io mi domando perché
continui ad aggrapparmi così stretto a qualcosa che tanto un
giorno perderò comunque. Però io voglio
combattere. E quando mi guardi voglio che tu mi veda vivo,
perchè è quello che sono e perché
quando io ti vedo ti associo a qualcosa di luminoso, qualcosa che
scaccia via la paura. E vorrei che tu guardassi me allo stesso modo.''
Shouyou solleva la mano e la agita. ''Vedi?'' aggiunge. ''È
solida, tangibile. Posso muovere il corpo. Sono vivo, respiro, e sono
accanto a te.''
Atsumu gli prende la mano - sì, è in grado di
toccare qualcuno - e la stringe forte.
*
''Dove andiamo?'' gli domanda Shouyou, non appena Atsumu sterza
bruscamente.
''Al mare,'' risponde lui. ''Primo appuntamento.''
Shouyou sorride come se Atsumu gli avesse messo fra le braccia
l’intero sistema solare. Poi allunga una mano per
accarezzargli i capelli, e Atsumu spinge la nuca contro le sue dita
facendo le fusa come un gatto.
Dopo che hanno parcheggiato sul bagnasciuga, Shouyou si slaccia le
scarpe e schizza verso il mare, correndo scalzo sulla sabbia. Atsumu
vede i capelli rossi che lampeggiano contro l'azzurro profondo delle
onde amalgamato a quello trasparente del cielo, l’acqua che
sfavilla riflettendo i raggi del sole invernale. Atsumu osserva la sua
sagoma e pensa: ora mi metto a piangere.
È solo che c'è così tanta bellezza,
persino in quel mondo sottosopra. La terra arida, gonfia di morte, ora
gli appare anche calda e rigogliosa.
Atsumu capta ogni dettaglio, si sofferma su ogni conchiglia, si fissa
nella retina persino la forma delle nuvole: quel quadro idilliaco
sarà l'immagine a cui si aggrapperá se le dita di
Shouyou dovessero essere lontane. C'è il per sempre, in
quello che vede, c'è qualcosa che rimarrà in lui
e nel tempo a prescindere dal continuo e ineluttabile cambiamento che
scuote l'esistenza. Quella è una linea fatta con il
pennarello indelebile. Si è stampata sulla sabbia, nel
cielo, e l’oceano ne è stato testimone.
Se adesso Atsumu si infilasse una mano nel petto, troverebbe un cuore
che batte. Un cuore così pulsante di vita da far tremare le
montagne, un cuore grondante di amore e sangue.
Atsumu non si infila nessuna mano nel petto, ma Shouyou lo raggiunge
con la sabbia sulle guance e gli poggia sopra la sua. È un
tocco delicato ma saldo. Shouyou chiude gli occhi, come se si stesse
concentrando per ascoltare il suo battito.
''Ho paura di morire,'' gli dice Atsumu. Si confessa, si libera, lo
accetta. ''Ho paura che tu muoia.'' E fa male, fa male ammetterlo, fa
male percepire quella marea gonfia e improvvisa di attaccamento, di
amore per la sua stessa vita e per quella di Shouyou, perché
vita significa anche sofferenza e perché prima o poi le
perderà per sempre, entrambe.
''Spero davvero che troveremo il rifugio, Shouyou,'' aggiunge poi.
''Sarebbe carino passare qualche giorno in vacanza.''
''Lo troveremo,'' risponde l'altro. Poi si avvicina e gli schiaccia la
testa contro il petto, Atsumu lo circonda con le braccia - il sole, il
vento dell'inverno, lo scroscio del mare. ''Però per adesso
sono molto felice di aver trovato te. Sai di casa.''
Note di Cora
Ciao! Questa storia è piena di difetti, avrei dovuto
approfondire centinaia di aspetti, inserire almeno una scena con gli
zombie, ma non volevo che fosse più lunga di tremila
parole e superate le quattromila mi sono proprio imposta l'ALT. Mi
dispiace!!! Grazie mille per esservi fermati a leggere e per essere
arrivati sin qui, nonostante ci siano più buchi e roba
sconnessa che altro! Come sempre ringrazio time_wings (do me, baby) che
si è sorbita tutti i miei esaurimenti.
Vi lascio il link della playlist
Alla prossima, see ya! ♥
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