La sinossi dei nostri incontri

di blackjessamine
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“Signora Hendriks…”
“Marya”.

“Marya, sì, mi scusi”.

Jesper tentenna. Gli capita sempre più spesso, quando le sue mani sono vuote e la voglia di lanciare un dado gli brucia le dita. 

Marya Hendriks sorride di quel suo sorriso che sembra vedere cose che Jesper  non può nemmeno intuire, gli volta le spalle e ricomincia a dipingere.

Blu cobalto, colore a olio vivo, acceso come il riflesso del sole sui vetri della Chiesa del Baratto.

Marya gli volta le spalle, ma in quel gesto c'è solo un invito a parlare senza alcuna pressione.

"I suoi quadri… come fa? Sono belli, sono…"

Jesper si interrompe. Non è dei quadri che vuole parlare, ma è pur vero che li trova belli. E chissà da quanto tempo quella figura fragile non si sente dire parole gentili sui quadri che ha dipinto ossessivamente per non perdere il proprio passato. 

"No, non sono belli. Con gli acquerelli va un po' meglio, ma comunque i miei quadri non sono belli. Sono mediocri, ma per me è bello dipingerli, quindi che non siano belli non mi importa".

Jesper è sempre stupito di sentire la donna pronunciare così tante parole tutte insieme: ha taciuto a lungo, anche dopo che aveva smesso di tremare per tutta la notte.

"Be', io di arte non ci capisco niente, ma a me i suoi quadri sembrano belli. E giusti. I colori sono sempre quelli giusti".

Marya si volta, e il suo sorriso è quello di una bambina a cui è stata offerta una caramella. 

"I colori… sono i colori a parlarti, Jesper. Quando sono tutti in armonia, quando hanno la stessa intensità e sanno stare in equilibrio, allora capisci davvero che quello che stai vedendo è giusto. E questo puoi impararlo anche senza capirci niente di arte".

Jesper non risponde. Capita spesso che Marya scivoli ancora in frasi prive di senso, sprofondando nella nebbia che troppo a lungo le ha avvolto la mente. 

Eppure, Jesper sa che questa volta la donna, nel suo modo confuso e privo di logica tangibile, ha provato a dirgli qualcosa di importante. Qualcosa che Jesper non è ancora in grado di capire, ma che deve conservare come un dono prezioso che un giorno saprà come utilizzare.

 

***

 

La prima volta che ci siamo incontrati è stato ai margini di una fiaba sbagliata. 

Fumo negli occhi e solventi acidi nei polmoni, i tuoi colori avevano la strenua tenacia di una candela nella nebbia. Brillavano, almeno un poco, ma erano un canto di cigno.

Ho pensato che sarebbe stato un peccato che tu ti spegnessi in quella storia che non era fatta per te. 

Ho pensato che mi sarebbe piaciuto leggerti nella tua, di  storia.

Siamo stati travolti dalla storia scritta da qualcun altro, pedine volontarie sullo scacchiere mosso da Kaz Brekker: tu hai dimostrato che gli scacchi non sono fatti solo per il bianco e nero.

 

***

 

La prima volta che ho sentito la mancanza dei tuoi colori eravamo accanto a una stanza che non bastava a contenere tutte quelle tele. 

Era una giornata nata sbagliata, un'esplosione accecante fatta di rabbia e ingiustizia.

Guardavi il mondo con occhi d'oro: uno sguardo sbagliato per un mondo sbagliato, oro per soffocare nel nero che cominciava a sgorgarti da dentro.

Mi mancavano i tuoi occhi di bambino, occhi blu come il mattino per guardare un mondo in cui esistesse ancora la speranza.

I colori erano solo un accessorio: era la luce, solo la luce ad essere completamente sbagliata. 

 

***

 

La prima volta che mi hai accompagnato a Cofton non sono stato capace di guardarti.

Perso nei sensi di colpa, non sono stato capace nemmeno di guardare mio padre, ma guardare un padre non serve, non quando si può tornare bambini e sentirsi piccini dentro un abbraccio capace di dire ogni cosa.

Ho guardato solo l'azzurro screziato di nuvole bianche, e l'infinita distesa di ruggine dei campi di jurda. 

Nelle fiabe giuste i principi non si arrampicano maldestri su covoni di jurda essiccata al sole soltanto per poter guardare il sole tramontare alle spalle di una fattoria sulla frontiera zemeni.

Eppure tu resti sempre qui.

 

***

 

La prima volta che mi hai baciato con le labbra sporche di ruggine, ho assaggiato tutti i colori.

Occhi grandi abbastanza per abbracciare tutto il blu di un cielo zemeni, ti sei sdraiato nel prato dietro la fattoria ridendo della terra che ti ha punteggiato le dita come lentiggini su un viso di latte. I tuoi capelli sono sbocciati sulla terra scura come jurda in primavera.

Sei tutti i colori della mia infanzia, e poco importa che io non sappia dipingere: sei sempre stato parte del ritratto del mio luogo dello spirito.





 

 


 

Note:

Innanzitutto, un grazie va a VigilanzaCostante, che durante l’iniziativa Un’etichetta per il mio Firewisky organizzata dal gruppo facebook L’Angolo di Madama Rosmerta mi ha suggerito il titolo che ha ispirato questa mini-raccolta.

 

Ora, una parola sulla storia: il concetto che sta alla base di tutto, ossia Jesper che torna a casa, fa pace con il proprio passato e riesce a vedere Wylan simbolicamente in armonia con i luoghi che rappresentano la sua infanzia e la sua natura felice mi rode la testa da un pezzo. Ho anche provato a strutturarla in una minilong di un paio di capitoli (come due saranno i capitoli di questa raccolta) più discorsivi e propriamente narrativi, ma c’è qualcosa che  non funziona. Quindi ho provato a scrivere una raccolta di drabble con introduzione (e conclusione, si spera) più ampia. Onestamente, forse per un lettore avrà poco senso, ma mi riservo la possibilità di pubblicare anche la minilong discorsiva, se mai riuscirò a darle un senso, e pazienza se il concetto di fondo sarà esattamente lo stesso.



 





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